CAPITOLO VENTOTTESIMO: LA CONFESSIONE.
Per dodici anni Erik aveva creduto che Bjorn, suo fratello, fosse l’uomo più forte che esistesse al mondo. Lo aveva visto crescere, allenarsi con gli abitanti del villaggio, unirsi a loro nelle cacce organizzate nelle foreste, marciare in prima fila quando vi erano lavori da effettuare, come spalar via la neve, liberare il torrente da detriti franati o abbattere gli alberi, e si era davvero convinto che fosse una roccia. Un eroe come quelli cantati dagli scaldi nelle saghe antiche. E, nei suoi sogni d’infanzia, avrebbe in futuro desiderato essere come lui. Avrebbe desiderato essere lui.
Tutto cambiò quando in città scoppiò una rivolta e venne inviata una guarnigione di soldati dalla Cittadella per estinguerla. Erik, all’epoca, sapeva ben poco di cosa fossero Midgard o Asgard, avendo sempre vissuto nella sua bella Iisung, affannando, al pari degli altri abitanti, per sopravvivere. Ma quando suo fratello crollò al suolo, vinto da un guerriero di nome Folken, e una pozza di sangue tinse la neve, anticipando la morte dei suoi genitori, capì che gli scaldi erano dei bugiardi e gli eroi non esistevano più.
Sconfitto dal freddo, dalla fame e dalla solitudine, sarebbe morto nei giorni seguenti se un uomo non l’avesse raccolto, spolverando via il ghiaccio dai suoi abiti laceri, e portato con sé, per dargli un nuovo scopo, fomentando, quando necessario, la sua sete di vendetta.
"Per questo Erik il Rosso combatte!" –Ringhiò, espandendo il proprio cosmo, mentre alle sue spalle comparve l’immagine del suo simbolo.
Kaun o Kaunaz. La torcia. La runa di Loki.
Libra, dall’altra parte dello spiazzo, fece altrettanto, avvampando nel suo cosmo d’oro. Da quasi un’ora i due si stavano affrontando e il Cavaliere era deciso a mettere fine a quello scontro prima possibile. Aveva notato che una ventina di Soldati di Brina erano ancora in vita, probabilmente protetti dall’onda di energia generata da Virgo da una barriera eretta dal compagno di Erik, del quale non avvertiva più la presenza vicino a loro. Doveva scoprire dov’era finito e fermare l’avanzata degli ultimi guerrieri. Con Asher e le Sacerdotesse in missione e Ioria scomparso chissà dove, era l’unico che poteva impedire loro di varcare la soglia delle Dodici Case.
"Scure di Devastazione!!!" –Gridò Erik, lanciando avanti la propria arma, carica di violacea energia cosmica. Libra evitò l’assalto balzando in alto, ma Erik, aspettandosi tale mossa, fu svelto a sollevare la scure, dirigendola ad alta velocità verso il cielo.
"Era quel che volevo!" –Sibilò a denti stretti il maestro di Sirio, concentrando il cosmo sul braccio destro e calandolo sull’arma, badando bene di colpirla nel punto esatto di congiunzione tra la lama e il manico. L’anello debole. –"Per il Sacro Libra!!!" –Tuonò, liberando un fendente scintillante di luce che obbligò persino Erik a sollevare un braccio per pararsi gli occhi.
Quando li riaprì, vide con orrore la propria arma fatta a pezzi, dispersi sul terreno e non più utilizzabili.
"Bastardo!!!" –Ringhiò il Dio di Vittoria, portando avanti il braccio, con il pugno chiuso, e scagliando una sfera di energia verso Libra, che fu lesto a muovere lo scudo ancora integro di fronte a sé, lasciando che vi esplodesse, disperdendosi. Quando il Cavaliere fece per ribattere, si accorse che Erik si era fermato, a metà della corsa, con lo sguardo fisso sulla lama e sul manico della sua scure e la mente persa nei meandri del tempo. –"Di te niente più mi rimane…" –Gli sembrò di udirlo mormorare.
Se anche avesse voluto chiedergli qualcosa, il Rosso Condottiero non gliene diede il tempo, voltandosi e scattando verso di lui, i pugni carichi di energia cosmica.
"Pagherai per quello che hai fatto!" –E si mosse per colpirlo, scatenando una pioggia torrenziale di colpi, che Libra parò spostando continuamente lo scudo davanti a sé, finché, stanco di dover subire, non mosse il braccio di lato, sbattendo il piatto dell’arma contro il volto di Erik, spingendolo indietro di qualche passo.
Quando il Sigtýr si rimise in posizione corretta, Libra aveva già liberato la potenza del Drago di Cina, che a fauci aperte stava sfrecciando verso di lui.
Senza la protezione del suo compagno né la scure, non può più difendersi! Rifletté il Cavaliere, con un certo sollievo per la prossima fine di quello scontro.
Dovette ricredersi quando vide il cosmo di Erik avvampare e attorcigliarsi attorno al suo braccio destro, mentre le sagome di tre creature deformi sorgevano attorno a lui. Tre creature di pura energia che, di primo acchito, a Libra sembrarono un lupo gigantesco, un serpente e una donna mostruosa.
"Ruggito del tramonto!!!" –Gridò Erik, portando avanti il braccio e liberando un impetuoso attacco di energia con il quale contrastò il Drago Nascente, annientandolo poco dopo e travolgendo lo stupefatto Libra, fino a schiantarlo contro la parete di roccia alle sue spalle.
"Ough…" –Strinse i denti il Cavaliere di Atena, ricadendo a terra e sbattendo una spalla, la stessa già ferita in precedenza, che adesso gli doleva al punto da rendergli difficile muovere il braccio sinistro, ferito e privo di scudo. –"Non avrei creduto… nascondesse ancora tutta quest’energia…"
"Errore strategico, caro il mio Cavaliere d’Oro!" –Rise Erik, che sembrava aver ritrovato il suo abituale sarcasmo, dopo l’attacco di malinconia che l’aveva invaso per un momento alla perdita della scure. –"Ma te lo concedo! Del resto, finora avevo combattuto soltanto usando la mia arma! E sai perché l’avevo fatto? Beh, da un lato perché non credevo avrei avuto bisogno di giungere a tanto per farti fuori, dall’altro perché quella scure apparteneva a mio fratello! Era l’arma con cui andava ad abbattere gli alberi! L’unico segno tangibile che mi era rimasto di lui! E ogni volta in cui la impugnavo, ogni volta in cui la sollevavo, mietendo una vita, mi sembrava di essere lui, come avevo desiderato essere da bambino! Un sogno stupido, in verità, ma in cui ho trovato la forza per crescere e divenire il più potente dei Sigtívar!"
"Nessun sogno è stupido, Erik, ma è il motore della vita di un uomo!" –Disse Libra, faticando nel rimettersi in piedi.
"Il tuo, a quanto pare, è rimasto senza carburante!" –Sogghignò il Dio di Vittoria, bruciando il suo cosmo e generando di nuovo le sagome delle demoniache creature.
"Le tre bestie… apparse alle tue spalle…"
"Fenrir, Jormungandr ed Hel!"
"I figli di Loki!" –Annuì Libra. –"Perché ne disponi? Per quanto tu sia il Comandante dell’Esercito dell’Ingannatore dubito che quei tre mostri possano rispondere alla tua volontà!"
"Così è infatti! Mi limito ad evocarne le sagome con cui plasmo l’energia di cui sono padrone, in virtù dell’armatura che indosso! Forgiata proprio per Loki, eoni fa, che offrì il suo corpo come modello, in essa è rimasto un frammento della sua Divina Volontà, una stilla del suo cosmo, sufficiente a donarmi nuove forze! Forze con cui ti ucciderò! Addio Bilancia! Il piatto della morte pesa per te più di quello della vita!" –Esclamò, espandendo al massimo il suo cosmo. –"Ruggito del Tramonto!!!" –E diresse l’assalto delle tre bestie avanti a sé, obbligando il Cavaliere di Atena a contrastarlo con la più potente delle sue tecniche.
"Colpo dei Cento Draghi!!!" –Tuonò Libra, portando, sia pur a fatica, entrambe le braccia avanti, a palmi aperti. I dragoni smeraldini riempirono l’aria, frenando la sanguinosa avanzata dei figli di Loki, che, sebbene fossero solo evanescenze cosmiche, trasudavano la loro originaria malvagità e oscurità.
I due attacchi restarono in equilibrio per qualche minuto, mentre attorno rilucevano scintille di energia e le corazze dei due sfidanti sfrigolavano al contatto con tale devastante potere. In virtù della maggiore capacità di resistenza, e della riforgiatura nel fuoco di Muspellsheimr, l’armatura di Libra riuscì a sopportare la pressione; ugualmente non poté dirsi della tanto decantata corazza di Erik, già scheggiata nei precedenti scontri, che cigolava sinistramente, schiantandosi ogni qual volta una scarica di energia riusciva a raggiungerla.
Il Rosso Comandante parve non farci caso, troppo preso dalla sua missione, troppo convinto della propria superiorità, ma Libra, i cui sensi erano affinati da due secoli di meditazione e esperienza, percepì subito la differenza. E capì da cosa fosse originata.
Per questo non cedette, portando il cosmo al parossismo, in nome di tutti coloro che aveva amato nella sua lunga vita. Atena, Shin, i Cavalieri d’Oro suoi compagni del Diciottesimo Secolo e i pochi che aveva conosciuto nel Ventesimo, Ascanio, Tebaldo, Fiore di Luna, Sirio, Demetrios. Tanti volti quante le fauci di drago che sfrecciarono verso Erik, dilaniando le fiere sanguinarie e azzannando poi il suo corpo.
Lentamente ma inesorabilmente, il Rosso Condottiero sentì la propria forza venire meno, e soprattutto le sue certezze di vittoria vacillare, una sensazione che fino a quel momento non aveva neanche immaginato. Una sensazione che gli ricordò la disillusione provata diciotto anni prima, davanti al cadavere di suo fratello, l’uomo che aveva considerato un eroe. Il suo eroe.
Di colpo, capì che non gli era rimasta più alcuna certezza e, in qualunque modo sarebbe terminato quello scontro, egli aveva perso.
Le zanne dei Cento Draghi lo raggiunsero al ventre, alle braccia, mentre frammenti di armatura schizzavano ovunque, macchiati del sangue del Dio di Vittoria. Un drago lo azzannò alla mano destra, strappandogliela, e capì che non avrebbe impugnato più alcuna scure, neppure quella di Bjorn. Un altro gli portò via un pezzo di guancia, sfregiando il suo volto più di quanto la guerra di Iisung non avesse fatto. Infine, l’ultimo drago gli sfondò il cuore, trapassandolo e portandolo con sé.
Esalò così l’ultimo ruggito il Comandante degli Dei di Vittoria, con il braccio destro ancora teso avanti a sé, nella posa della pugna, grondante sangue e amarezza.
Libra abbassò finalmente le braccia, respirando con affanno per il duro scontro. Sebbene la vera forza del suo avversario non fosse valutabile, avendo ricevuto aiuto e protezione dal suo compagno e da Loki stesso, il Cavaliere dovette ammettere di provare ammirazione per lui, nonostante il suo carattere sanguigno. Nel momento in cui aveva capito che Erik traeva forza dall’armatura, aveva diretto i suoi attacchi su di essa, distruggendola, e distruggendo con essa le speranze di vittoria di un Dio che non si era rivelato tale.
In quel momento il corpo di Erik crollò a terra, accasciandosi confusamente, prima che l’uomo riuscisse ad emettere un altro suono, spingendo Libra a correre da lui e a chinarsi, reggendogli la testa con una mano.
A fatica, Erik tentò di parlare, ma gli occhi vitrei si ritrovarono a fissare presto il cielo. Libra aveva però compreso quel che il nemico gli aveva chiesto.
"Hai trascorso la vita con un’arma in mano, brandendola in nome del tuo eroe personale! Che sia un’arma allora a farti dono del riposo eterno, Erik di Iisung!" –Mormorò, sollevando la spada dorata e piantandogliela nel cuore.
Erik sussultò un’ultima volta, poi morì. Il più grande dei cinque Sigtívar.
***
Ioria rimase ad occhi sgranati nell’udire le parole del Signore dell’Isola Sacra.
Com’era possibile che egli fosse responsabile della morte di Micene?! Aveva sempre saputo che suo fratello era stato massacrato da Gemini e da Capricorn. Non riusciva a capire in che modo Avalon avrebbe potuto…
"Non l’ho ucciso io, se è questo che ti stai chiedendo! Ma avrei potuto salvarlo! Se avessi compiuto scelte diverse, quest’oggi Micene potrebbe essere ancora vivo e lottare assieme a noi!" –Esclamò Avalon, richiamando l’attenzione del Leone d’Oro.
"Le vostre parole sono criptiche, mio Signore! Spiegatevi meglio, vi prego…"
Avalon annuì, facendo cenno a Ioria di seguirlo, e si incamminò lungo un sentiero che dalla palude saliva sulla collina principale dell’isola, girandole attorno, in modo da abbracciarne la sua intera estensione. Non molto grande, in verità, ma sufficiente per permettere ai due uomini di parlare senza essere disturbati da nessuno.
"Micene è stato un mio allievo!" –Spiegò Avalon, sorprendendo Ioria, che non aveva mai saputo chi fosse stato ad addestrare il fratello. –"Anzi, Micene era il mio allievo! E, per molto tempo, ho creduto che fosse destinato a succedermi alla guida dell’Isola Sacra, il giorno in cui avrei esaurito il mio compito! Era un ragazzo talentuoso, dotato di grandi capacità di apprendimento, fisiche e mentali, che lo avevano portato a sviluppare in poco tempo una forza fuori dal comune! Persino tra i suoi pari, voi i Cavalieri d’Oro, ben pochi avrebbero potuto tenergli testa… se fosse divenuto il Cavaliere che avrei voluto divenisse!" –E nel dir ciò si abbandonò ad un sospiro, camminando per qualche minuto in silenzio, mentre una brezza leggera solleticava il manto d’erba che si estendeva attorno al sentiero, scuotendo i rami degli alberi di mele.
"Voi… sapete quel che accadde quella notte?!"
"Sapere?! Ooh, molto di più! Io vidi quello che accadde!" –Esclamò Avalon, fermandosi e voltandosi di scatto verso il Cavaliere d’Oro. –"E l’ho rivisto per anni, senza bisogno di muovere le acque del Pozzo Sacro per rinverdire i ricordi, vividi nella mia mente! Anche adesso, riesco a sentire le stesse voci di dolore! Gli stessi frammenti di presente!"
"Ho conosciuto il tuo allievo! E devo dire che in parte ti somiglia!" –Gli aveva detto quel pomeriggio la figura maestosa a cui si era recato a fare visita.
"Davvero?! E in cosa mi somiglia, Sommo Ra?"
Amon Ra, Dio egizio del Sole, si ergeva al suo fianco, splendido nella sua Veste Divina decorata da strisce d’oro. Nonostante avesse trascorso gli ultimi secoli rinchiuso in una prigionia personale, l’aria del presente sembrava avergli reso tutte le forze, consapevole forse che ne avrebbe avuto bisogno per fronteggiare l’ombra.
"Nei suoi occhi c’è la tua determinazione, la tua fede incrollabile, la strada verso il futuro!"
Avalon aveva annuito, muovendosi per uscire da Karnak, ringraziando la Divinità per il banchetto privato che gli aveva offerto, durante il quale avevano avuto modo di parlare di suo figlio, Febo, appena giunto sull’Isola Sacra per essere addestrato. Il primo di tanti clandestini incontri tra le due potenti entità.
"Pur tuttavia…" –Lo aveva richiamato Amon Ra. –"Qualcosa di terribile presagisco! Qualcosa su cui neppure noi Dei abbiamo il potere! Una maledizione, sì, che grava sul tuo allievo! Ooh, perdonami, Signore dell’Isola Sacra, sei giunto fin qua, nelle calde terre d’Egitto, per portarmi buone notizie sulle sorti di mio figlio ed io come ti ricambio? Parlandoti di un maleficio che aleggia sul tuo allievo! Penserai che sia uno zotico!"
"No, Dio del Sole, penso che la tua fama corrisponda alla verità, e che l’occhio di Ra sia davvero in grado di vedere laddove gli altri occhi non riescono!" –Aveva risposto Avalon, prima di scomparire e tornare in Britannia.
Ore dopo, quella stessa notte, aveva sentito una lama d’ombra trafiggergli il cuore. Si era alzato dal giaciglio dove riposava, correndo affannosamente fino al Pozzo Sacro, le vesti argentee che fluttuavano sull’erba, una lanterna in mano. Ma non aveva potuto vedere niente, poiché le acque erano nere.
Allora aveva fatto ciò che il suo maestro gli aveva insegnato, aveva chiuso gli occhi per osservare con una vista diversa. E aveva rivissuto in prima persona quel che era accaduto al Grande Tempio di Atene.
Aveva sentito l’angosciato respiro del fasullo Sacerdote, aveva visto il gladio d’oro scintillare pallido, prima di calare sulla culla dell’infante Dea, e il sangue del suo allievo macchiarlo poco dopo, sventando l’assassinio. Poi le immagini si erano accavallate frenetiche, tra grida disperate, armi e fuga, e quando gli era stato chiaro dove lo avrebbe trovato, Avalon aveva deciso di fare ciò che nessun Signore dell’Isola Sacra aveva fatto fino ad allora. Era scomparso, deciso ad interferire negli eventi in corso.
Si era ritrovato ad Atene, presso le rovine del Partenone, le prime luci dell’alba che sorgeva da est, pochi attimi dopo che Alman di Thule se ne era andato. Con la piccola Isabel e l’armatura del Sagittario. Il corpo di Micene giaceva di fronte a lui, debole e febbricitante, solcato da tagli aperti e lividi. Lo aveva sfiorato, avvolgendolo nel suo cosmo, fino a farlo voltare e rendersi conto che degli occhi vispi in cui si era specchiato per anni era rimasto ben poco.
"Ma… estro…" –Aveva mormorato tramite il cosmo il Cavaliere di Sagitter.
"Non parlare! Ti porterò in salvo!"
"No!" –Due sole lettere. Una sola parola. L’ultimo desiderio dell’allievo in cui aveva riposto la fiducia nel futuro.
Così era spirato tra le sue braccia, il più valente dei Cavalieri d’Oro di Atena.
"Avrei potuto salvarlo… se avesse voluto! Se avessi voluto…" –Mormorò il Signore dell’Isola Sacra, spostando di nuovo lo sguardo su Ioria, che aveva ascoltato in silenzio il suo racconto, incapace di dire qualsiasi cosa, incapace persino di rivivere quei momenti tristemente noti. –"Ma lui si oppose! Micene era convinto che esistesse una sola vita per ognuno di noi e che fosse proprio questa unicità a renderla così bella, così importante, così degna di essere vissuta! La certezza di non averne un’altra a disposizione dovrebbe spingere ogni uomo a dare il massimo, a viverla intensamente, senza rimpianti! Così fece lui, portando all’estremo questo suo credo, morendo… per qualcosa in cui credeva!
Rispettai la sua scelta, tenendogli la mano ancora per pochi secondi, il tempo sufficiente per sentirla lasciare la presa e ricadere al suolo, finalmente in pace!" –Sospirò Avalon, trattenendo un singhiozzo, come invece non era stato in grado di fare quella mattina di quindici anni prima. –"Sollevai infine il suo corpo, avvolgendolo nel mio mantello, e lo portai ad Avalon! Volevo che avesse il rito funebre che spettava ad un eroe suo pari, non che finisse anonimo e disonorato in chissà quale fossa comune! Così lo pulii, gli diedi abiti nuovi e assieme ai druidi miei compagni lo portammo sull’alto colle di Avalon, dove allestimmo una pira in suo onore! Proprio qua…" –Aggiunse, spostando il braccio e mostrando a Ioria la sommità del rilievo ove erano giunti camminando.
Una spianata verde circondata da alti megaliti di pietra, simili a quelli che il ragazzo aveva visto a Stonehenge nelle foto degli atlanti di Lythos, qualche anno addietro.
"Ecco perché il suo corpo non fu mai trovato…"
Avalon annuì, portandosi col Cavaliere al centro del cerchio sacro.
"Al Grande Tempio misero una tomba fittizia, per dissipare ogni ansia! Lo stesso Arles cercò il cadavere di tuo fratello per anni, senza trovarlo, roso addirittura dal dubbio che potesse essere ancora vivo!" –Spiegò Avalon, prima di aggiungere rattristato. –"E avrebbe potuto esserlo… Invece è passato oltre, in un luogo dove non possiamo raggiungerlo, per adesso! Ma il suo spirito, forte e tenace, è perdurato, rimanendo nell’armatura d’oro e sollevandosi ogni volta che la giustizia sulla Terra è stata minacciata! Come ha aiutato te contro i Titani, e Pegasus e i suoi compagni nelle battaglie che hanno sostenuto, e come continuerà a fare fino all’ultima guerra!"
"Perché mi state dicendo tutto questo?" –Domandò infine Ioria, la voce in parte rosa dalla rabbia.
"Perché per anni sono stato convinto di aver agito bene, rispettando la volontà di Micene, convinto che ogni cosa avesse il suo posto nell’universo! I Cavalieri nascono per combattere, gli Dei per essere venerati e i controllori per controllare e garantire l’equilibrio!" –Sospirò Avalon. –"Ma oggi una decisione di Zeus ha minato per la prima volta le mie certezze, portandomi a chiedere cosa sarebbe stato se… portandomi a chiedere cosa sarebbe accaduto se avessi alterato l’equilibrio che sono preposto a difendere!"
Ioria non parlò, continuando ad osservare l’enigmatico uomo che aveva di fronte.
"Di certo Micene avrebbe compiuto grandi imprese e tu non avresti sofferto quel che invece hai patito per anni! Perdonami se puoi, Ioria del Leone, perdona il responsabile del tuo dolore! Non ti biasimo se mi odi, anzi lo comprendo, ma ciò che ho fatto, o che non ho fatto, non è stato per indolenza o malvagità, ma per rispettare la volontà di tuo fratello, convinto che tutto, persino lui stesso, facesse parte dell’equilibrio, un equilibrio che nessun baro può permettersi di manipolare!"
Il Cavaliere di Atena rimase ancora in silenzio, prima di volgere le spalle al Signore dell’Isola Sacra e muovere qualche passo all’interno del cerchio di pietre, respirando a fondo l’aria di quel paesaggio, che pareva trarre origine e forza da millenni di storia.
"Per troppo tempo il mio cuore angosciato ha coltivato l’odio, verso un eroe che non era tale, corrompendo il mio animo e abbandonandomi al rancore! Di questo, per tredici anni, mi sono cibato!" –Avalon fece per intervenire ma Ioria sollevò una mano, pregandolo di farlo terminare. –"Solo in seguito ho capito che tutto quell’odio non era per mio fratello, ma per me! Per non aver capito! Per non aver creduto in lui! Scoprire la verità, scoprire quel che probabilmente avevo sempre saputo ma ero stato troppo vigliacco per ammettere, è stata per me una liberazione, un’esplosione di gioia come nessun’altra nella mia vita! Non ho intenzione di tornare indietro, Signore dell’Isola Sacra, non ho intenzione di tornare a odiare, né me stesso né voi, il maestro di mio fratello, colui che ha contribuito a renderlo il grande uomo che è stato!"
Avalon sorrise, lasciando ancora qualche minuto a Ioria per assimilare tutte le notizie che gli aveva riferito e per permettergli di inspirare a fondo l’ancestrale aria che permeava la sommità dell’Isola Sacra, in modo da trarne la forza necessaria per abbattersi come un leone sui suoi nemici.
"Prima di andartene, c’è una cosa che voglio darti!" –Gli disse poco dopo, sulle soglie della sua dimora, porgendogli un sacco. –"Sono gli abiti di Micene, i suoi calzari, la sua tunica, persino la fascia che legava intorno alla testa nell’allenamento! Li ho conservati per anni, certi che un giorno avrei avuto occasione di darteli!"
Ioria lo ringraziò, stringendo il fagotto al petto quasi come contenesse reliquie, prima di discendere insieme il versante dell’Isola Sacra, dirigendosi verso il molo di legno vicino al quale si era ritrovato dopo il teletrasporto.
"Il tuo ruolo non deve essere facile, Signore dell’Isola Sacra, amato e al tempo stesso odiato da molti! Hai in mano i destini del mondo, ma dubito che tu ne sia felice, perché ne percepisci il peso, proprio come Micene percepì il peso della scelta che fece quella notte, quando salvò la bambina in fasce mosso solo dal cuore!" –Parlò Ioria, continuando a scendere assieme ad Avalon. –"Continua nella tua opera, tira a dritto, e non curarti delle critiche, che sempre pioveranno, anche sugli uomini onesti! Io farò altrettanto, continuando l’opera di mio fratello! Il martirio di Micene, l’infamia che ha segnato il suo nome, saranno esempio per tutti noi!"
"Sei proprio l’erede di Adamant!" –Disse Avalon, ringraziandolo con un sorriso.
"Chi è costui? Il suo nome non mi è nuovo…"
"Forse tuo padre, il valoroso Agamennone, te ne parlò quando eri un ragazzino! Era un eroe, un Cavaliere dei tempi antichi. E come tale era un uomo solo! Come te!"
"E anche come te!" –Commentò Ioria.
"Micene lo era, io non credo di esserlo, un eroe!" –Sospirò Avalon, avvolgendo il Cavaliere d’Oro nel suo cosmo e osservandolo svanire nell’aria. –"Che le tue zanne siano sempre pronte a combattere per la giustizia, giovane Leone, perché neppure Adamant e Micene potranno aiutarci per contrastare la marea d’ombra!"
"Ti sei tolto finalmente un peso!" –Esclamò una voce alle sue spalle.
Avalon si voltò, annuendo al suo maestro, il Primo Saggio della fratellanza dei druidi, incamminandosi al suo fianco verso il Pozzo Sacro. Sentiva che l’altro suo allievo, quello che aveva preso il posto di Micene, dopo la sua dipartita, aveva bisogno di lui.
***
Ioria ricomparve esattamente dove Avalon lo aveva trascinato via, nel cuore della battaglia che opponeva i soldati di Atena agli ultimi invasori.
Con un ruggito si abbatté sui Soldati di Brina ancora in vita, sorpresi dalla sfolgorante apparizione, che non ebbero la prontezza di sollevare le armi, venendo dilaniati dalle fauci del re delle fiere e scaraventati in aria, le corazze fumanti energia cosmica.
Soltanto un gruppo rimase in piedi, ammassandosi compatti e sollevando congiuntamente le lance in modo da dirigere un unico raggio di energia congelante verso il Cavaliere di Atena.
"Stolti!" –Mormorò Ioria, rotolando di lato, evitandolo, prima di piantare un pugno nel terreno e scaricarvi il suo cosmo d’oro. –"Lightning Fang!" –Gridò, osservando numerose folgori di luce sorgere dal suolo ai piedi dei Soldati di Brina, distruggendo le loro armi e schiantando i loro corpi tra grida acute.
Dopo che anche l’ultimo nemico crollò a terra, Ioria si rimise in piedi, volgendo lo sguardo verso la scalinata che conduceva alla Casa dell’Ariete, sui gradini della quale Libra si era appena seduto, stanco per il combattimento sostenuto. Il Cavaliere di Leo gli si avvicinò, ma prima che entrambi potessero parlare percepirono una violenta esplosione di energia dilaniare il Santuario dall’interno.
Ioria sollevò lo sguardo sulla Collina della Divinità, fino a posarlo sulla ricostruita Sesta Casa e capire cosa stava accadendo.
Il Cavaliere di Virgo era nel pieno di uno scontro mortale.