CAPITOLO DICIOTTESIMO: PADRI E FIGLI.
Odino sorrise alla vista di due dei cinque Einherjar che aveva inviato lungo le radici di Yggdrasill, e fu ancora più contento nel vedere che erano accompagnati da Cristal il Cigno, il Cavaliere di Atena che meglio conosceva, avendolo ospitato in occasione di due suoi precedenti soggiorni.
"Mizar! Artax! Siete dunque tornati dagli altri mondi?"
"Sì, mio Signore!" –Esclamarono i due guerrieri, inginocchiandosi ai piedi del Padre di Tutti. –"Le vostre previsioni erano esatte! La Celebrante di Odino ha aperto infatti ai Cavalieri di Atena la segreta via che, tramite gli antichi portali, conduceva ai mondi, permettendo loro di giungere in nostro aiuto!"
"E dove sono gli altri?"
"Si sono separati! Di Dragone non abbiamo notizie, ma Pegasus sta affrontando il Serpe del Mondo di fronte al Valhalla! Il suo agitarsi continuo ha distrutto i ponti sul Thund, separandomi dal Cavaliere delle Stelle che era giunto nella Terra dei Nani!"
"Un Cavaliere delle Stelle?!" –Mormorò Odino, con acceso interesse.
"Sì, Avalon ha inviato Jonathan di Dinasty e una compagna in nostro aiuto! Credo si siano diretti a Vígridhr, assieme a Orion, Mime e al Cavaliere di Andromeda!"
"Di questo sono lieto! Ogni aiuto in più è ben accetto, soprattutto esperti combattenti addestrati dal Signore dell’Isola Sacra in persona!" –Commentò il Dio, prima di spostare lo sguardo su Cristal. –"Mi fa piacere rivederti, Cavaliere del Cigno!"
"Fa piacere anche a me, Signore degli Asi!" –Esclamò il ragazzo, accennando un inchino, senza riuscire a nascondere il dolore che sentiva ancora per le ferite riportate durante lo scontro con Beli. Strinse i denti, ma il gesto non sfuggì a Odino che posò poi lo sguardo su Artax, che raccontò l’accaduto.
"I figli di Muspell… sono qua…" –Mormorò il Cavaliere, prima di guardarsi attorno e vedere l’aria satura di fiamme e fumo.
"E noi dobbiamo tenerli a bada!" –Esclamò Odino, prima di gridare a tutti i presenti di spostarsi, poiché enormi vampate di fuoco stavano ardendo il terreno, sfrecciando nella loro direzione, quasi fossero serpenti di pura fiamma. –"Attenti!!!"
Cristal, Artax e Mizar scattarono avanti, avvolti nei loro gelidi cosmi, mentre Vidharr sollevava nuovamente il manto protettivo, giusto in tempo per evitare che le Valchirie e i loro cavalli venissero travolti dall’incendiario assalto.
"Polvere di Diamanti!!!" –Gridò il Cavaliere di Atena, portando il braccio destro avanti e liberando un getto di energia congelante che rivestì le fiamme di uno strato di ghiaccio, che subito andò in frantumi. Ma altre, neppure un istante dopo, già le avevano sostituite, riempiendo l’aria di un calore allucinante.
"Nevi di Asgard, cadete!!!" –Esclamò allora Artax, affiancato da Mizar. –"In nome dei Ghiacci Eterni!"
I due attacchi congelarono l’inferno che li aveva attorniati, concedendo ai presenti un po’ di respiro. Erano rimasti pochi Soldati di Brina a Himinbjörg, avendo Erik ordinato alla quasi totalità di marciare su Vígridhr, dove avrebbero incontrato Loki, lasciando il campo ai Giganti di Fuoco. Ma quei pochi pensarono di approfittare del momentaneo calo di fiamme per scagliarsi all’assalto di Odino e dei suoi compagni.
"Poveri stolti!" –Commentò Mizar. –"Rispetto alle fiamme di Muspell, ben misero timore incutono in me!" –E sfrecciò in mezzo a loro, con il cosmo scintillante tra le dita, artigliando i fianchi nemici, strappando le loro tute protettive e facendoli urlare di dolore, mentre le unghie della tigre del nord falciavano le loro vite.
In quel momento, Heimdall si avvicinò a Cristal, ansimando per lo sforzo continuo a cui era stato sottoposto. Il Cavaliere del Cigno quasi non riconobbe il Custode di Bifrost, solitamente perfetto negli abiti e nella postura, mentre adesso, scompigliato e ferito, assomigliava più a un rustico guerriero che non alla Sentinella Celeste.
"Cavaliere di Atena… Devo parlarti!" –Affermò, posando una mano su una spalla del ragazzo. –"Mia è la colpa! Non sono riuscito a capire… eppure, avrei dovuto!"
"Heimdall…" –Mormorò Cristal, non capendo a cosa si riferisse. E anche Odino si avvicinò, intuendo quel che si agitava nell’animo del Custode di Ásbrú.
"La Principessa di Midgard… sorella della Celebrante… lei è giunta a Bifrost con Loki, ma io non avevo capito… che era sua prigioniera!" –Balbettò, raccontando a Cristal il modo in cui l’Ase lo aveva ingannato. –"Avrei dovuto prestare più attenzione, leggere i tormenti nel suo cuore… ma non l’ho fatto, li ho lasciati entrare! Ho permesso al Grande Ingannatore di violare il suolo di Asgard!"
"Non biasimarti, vecchio amico! Hai svolto il tuo lavoro bene come sempre! Gli inganni di Loki, i suoi malefici, sappiamo bene quanto siano perfetti! Ricordi quando, secoli addietro, tentò di uccidere mio figlio? Si mutò in una vecchia di nome Thokk, offrendosi per guarirlo dagli incubi che aveva. Nessuno sospettò di lui, neppure io né la mia adorata Frigg, che trascorreva le giornate accanto al letto di Balder! Perciò non sentirti in colpa, perché non devi, ma sentiti fiero del servigio che hai reso a Asgard per tutti questi millenni, difendendola da molti pericoli!"
"Ma non da questo!" –Commentò Heimdall chinando il capo, vittima dei sensi di colpa. –"Non dall’unico a cui avrei davvero dovuto porre attenzione! Ho fallito, mio Signore, e pagherò, lo giuro, pagherò per questa mia mancanza! Anche con la vita!"
"Se davvero vuoi espiare le tue colpe, quali che siano, Custode del Ponte Arcobaleno, allora aiutami a salvare Flare! Sarà la punizione migliore che potresti ricevere, il modo per liberarti dai tuoi fantasmi! Ed io sarò onorato di combattere al tuo fianco!" –Esclamò Cristal con un sorriso. –"Portami da Loki, adesso! Devo trovare la Principessa, l’ho promesso a Ilda! E a me stesso!"
Heimdall fissò per qualche istante il Cavaliere di Atena, gli occhi lucidi per i sensi di colpa e per le belle parole che gli aveva rivolto, forse l’unico, in tanti secoli, che aveva suscitato in lui simpatia e ammirazione. Colui che adesso gli porgeva la mano, da stringere per suggellare il loro patto. Un patto a cui avrebbero prestato fede fintantoché Flare non fosse stata al sicuro.
"Dov’è Loki?" –Chiese Cristal.
"Nello stesso luogo da cui sorgono strida infernali e urli di guerra! A Vígridhr!" –Ripose Heimdall, prima che lo scalpitio dei cavalli delle Valchirie si facesse sempre più vicino e le eleganti sagome di Brunilde e di Hnoss li sovrastassero.
"Vi porteremo noi, Cavaliere di Atena! I nostri destrieri corrono rapidi come fulmini, senza neppure sfiorare il terreno! Non vi sono animali più veloci in tutta Ásaheimr!"
"Sarò ben felice di provarlo, Regina delle Valchirie!" –Esclamò Cristal, montando in sella dietro a Brunilde, mentre Heimdall saliva sul cavallo della figlia di Freya. –"Ci raggiungerai, mio Signore?" –Aggiunse, rivolgendosi a Odino.
"Quanto prima!" –Si limitò a rispondere il Dio, mentre le Valchirie scuotevano le briglie dei destrieri, lanciandoli al galoppo lungo il rilievo che li avrebbe condotti prima all’interno della città di Asgard, poi a Vígridhr.
Fu in quel momento che percepì qualcosa, uno strillo mostruoso che parve scuotere i mondi. Una vampa di veleno si erse in mezzo al fiume Thund, inquinando l’eterea aria del Regno degli Asi. Odino puntò lo sguardo in quella nera caligine e, anche senza Huginn e Muginn al suo fianco, fu ben in grado di vedervi attraverso, fu ben in grado di rimirare lo sfolgorante cosmo del Primo Cavaliere di Atena intento a lottare contro il Serpe del Mondo, uno dei primordiali nemici di Asgard. Per ricompensarlo dell’aiuto, e facilitarlo nello scontro, pensò bene di fargli un dono.
Qualcosa che Pegasus già conosce e che ha stretto in mano in un’altra occasione, in cui ugualmente ha dato prova del suo valore! Mormorò il Dio, sfiorando la spada dalla lama simile a ghiaccio che portava alla cintura. La affido a te, Cavaliere della Speranza! Disse, prima di riportare lo sguardo sul pendio infuocato dove gli Jötnar stavano morendo, nel tentativo di contrastare l’avanzata dei figli di Muspell, aiutati da Vidharr e, adesso, dagli Ulfhednir superstiti e da Mizar.
Solo in quel momento si accorse che Artax era scomparso.
***
Nella piana di Vígridhr si combatteva ovunque.
L’esercito degli Einherjar, guidato da Tyr il Monco, era piombato sull’accozzaglia di defunti usciti dalle Porte di Hel e su Loki e i suoi figli prima che potessero varcare il Thund e portarsi così a ridosso del Valhalla. Ma qualcosa, nel sorriso divertito del Burlone Divino, aveva fatto presagire al Nume della Guerra che l’antico rivale di Odino non ne avesse avuto intenzione, non per il momento almeno, preferendo affrontare i nemici in campo aperto. Il vero motivo lo aveva avuto chiaro dopo neppure un’ora di combattimenti, quando il fianco sinistro del loro schieramento era stato attaccato da migliaia di Soldati di Brina, gli stessi che Erik e gli Dei di Vittoria avevano condotto a Himinbjörg per lasciarla poi in balia dei Giganti di Fuoco.
Approfittando del caos susseguente all’arrivo dei figli di Muspell, e allo schianto di Bifrost, il comandante dei Sigtívar aveva guidato i suoi guerrieri a Vígridhr, come concordato con Loki, per aggredire gli Einherjar su un secondo fianco e spezzarne le linee. Nel giro di pochi minuti il caos era avvampato e gli ordinati schieramenti si erano mescolati, dando vita a zuffe furibonde che stavano insanguinando l’intera piana.
"Così, se il Guercio fosse seduto sull’alto scranno, potrebbe ammirare il ruscellare macabro del sangue!" –Sibilò Loki, in piedi sullo scuro manto di Fenrir, osservando i Soldati di Brina e l’esercito di defunti massacrare e venire massacrati dai Campioni di Odino, in quello che si stava sempre più prospettando come un bagno di sangue.
Accarezzò divertito il manto del figlio, solleticandone l’appetito, e fece giusto in tempo a sedersi, affondando nel folto pelo, per non essere sbalzato via dall’improvvisa carica del grande lupo, che piombò su un mucchio di Einherjar, sventrandoli con un sol colpo di zampa, prima di puntare su una preda ben più consistente. Il tarchiato corpo di Bragi si ergeva poco distante, intento, sia pur con malagrazia, a difendersi con fasci di energia dagli attacchi di alcuni Soldati di Brina.
"Una bella bistecca! Immaginalo così! Grassa e succulenta!" –Rise il figlio di Farbauti e Laufey, mentre Fenrir digrignava i denti, lasciando che fiotti di bava si riversassero sul terreno e su coloro che avevano la sfortuna di trovarsi sotto di lui in quella che ormai era diventata una guerra per la sopravvivenza reciproca.
Proprio all’interno di quella mischia si erano ritrovati Orion, Andromeda e Mime. Pur continuando a pensare a Reis e a Pegasus, il primo prese posizione assieme agli Einherjar suoi compagni, mentre i secondi corsero in aiuto dell’uomo a cui il musico di Asgard doveva parte della sua formazione. Oltre che la sua vita terrena.
Alto e robusto, con un viso arcigno incorniciato da lunghi capelli poco curati, una fitta barba e baffi scuri, Folken menava colpi a destra e a sinistra, abbattendo tutti i nemici che tentavano di sbarrargli il passo, risoluto come solo un guerriero forgiato sui campi di battaglia sapeva essere. Indossava una cotta protettiva in bronzo e rame, sfregiata in più punti dai colpi subiti, e impugnava saldamente una spada la cui lama grondava sangue oscuro.
Mime non lo aveva mai visto combattere, ma quando era ragazzino aveva udito spesso i racconti della gente, che si riferivano a suo padre come al più grande guerriero mai esistito, al punto da definirlo invincibile. Qualcuno addirittura lo aveva considerato l’erede di Sigfrido, ben prima che Orion uccidesse il drago Fafnir. Che fossero gonfiati o meno, quei racconti lo avevano comunque impressionato, spingendolo a cercare nei canti degli eroi leggendari la forza per sopravvivere.
Folken non apprezzava che il figlio sprecasse tanto tempo a suonare la cetra, da solo o circondato dagli animali della foresta, disprezzando quell’arte da signorine, poco adatta al ruvido animo di un guerriero, come avrebbe desiderato che Mime diventasse. Come Mime doveva diventare se voleva sopravvivere all’inverno.
E, a modo suo, il ragazzo aveva obbedito, divenendo un Cavaliere abile e potente, ma senza rinunciare alla sua musica, ai canti e alle belle note, che lo rendevano vivo e gli permettevano di coprire, sia pur con un velo di melodiosa ipocrisia, i massacri della guerra. Folken non era vissuto abbastanza per veder compiersi il suo cammino, morendo prima che il figlio ottenesse l’armatura del Nord. Morendo proprio per mano sua.
"Ma tutto questo accadeva una vita fa!" –Si disse il musico dai capelli arancioni. –"Quando il rancore dominava il mio cuore e muoveva i miei passi! Rancore diretto soprattutto verso me stesso!" –Aggiunse, evitando l’affondo di un nemico e colpendolo poi con un calcio allo sterno, che lo scaraventò contro altri, sbattendoli a terra. Aveva già avuto modo di verificare che la musica non aveva effetto sugli avversarsi che provenivano da Hel, in quanto defunti, dovendo quindi far sfoggio della sua forza fisica, che certo non gli mancava.
"I morti non hanno un buon orecchio per le tue melodie!" –Aveva commentato Folken, mulinando la sua lama e staccando la testa di un defunto risorto. –"Troppo abituati alle strida dell’inferno!"
La sua sicurezza battagliera si era spenta dopo poco, quando un grosso cane dal pelo fulvo era piombato su di loro, cavalcato dalla donna più orrida che avessero mai visto, se donna poteva ancora definirsi.
Con un solo movimento della scopa che reggeva in mano, la strega si era liberata di Andromeda, scaraventandolo indietro con un’onda di energia, proprio nel mezzo di un mucchio di defunti, che subito si avventarono su di lui, obbligandolo a scatenare la furia della catena per tenerli a bada. E, nonostante Mime avesse prontamente intrappolato il rozzo cane in un reticolato di fili, cercando di dilaniarne le carni, questi le aveva distrutte con una zampata, balzando poi su di lui e sbattendolo a terra.
"Mime!!!" –Ringhiò Folken, alla vista del figlio ferito. E corse avanti, lama in pugno, mirando al volto della bestia. Ma Hel lo fermò, semplicemente poggiando lo sguardo su di lui. Il suo duplice sguardo, per metà di donna, per metà di vecchia consunta.
"Igh igh! Sono ormai trascorsi i tempi dei Campioni di Odino! Quel che resta delle sue schiere è bene che sia spazzato via!" –Parlò infine, con voce raschiata, sollevando la scopa di saggina. –"Così! Con un sol colpo di ramazza!" –E, nel dir questo, mosse l’utensile, generando un’onda di energia che sbatté Folken a terra, strappandogli la spada di mano.
L’antico guerriero fece per rialzarsi ma si accorse che qualcosa lo stava tenendo a terra, qualcosa di forte, simile alla pressione del piede di un gigante. Riuscì a roteare la testa, stringendo i denti per lo sforzo, e inorridì nel vedere che quel che lo stava bloccando era un semplice filo di saggina. Un filo che si era arrotolato attorno al suo collo e alle sue braccia, conficcandosi nel terreno, e impedendogli di rialzarsi, deciso a recidere la sua vita.
Sentendosi pervadere da un senso di frustrazione per non poter agire, e di umiliazione per vedersi impossibilitato a combattere da un così ridicolo pretesto, Folken fece avvampare il suo cosmo biancastro, nel tentativo di incendiare il filo di saggina, ma non vi riuscì, mentre Hel, ancora in piedi su Garmr, ridacchiava, sputacchiando ad ogni colpo di gola.
"Se così tanto ami stritolare la gente, lascia che anch’io ti mostri la tecnica offensiva della mia cetra!" –Esclamò allora Mime, richiamando l’attenzione della Regina degli Inferi, che volse il divertito sguardo verso il musico rimessosi in piedi. –"Non è poi così dissimile dalla tua!" –Aggiunse, espandendo il cosmo e saturando l’aria di migliaia di fili bianchi, che frenarono la rinnovata corsa di Garmr, tagliandogli pezzi di pelo e di pelle, intrappolandolo al suo interno, chiudendogli persino la bocca.
Ma Hel, nient’affatto intimorita, si limitò a spazzar via le corde che si chiusero su di lei con un semplice movimento della scopa, evitandone altre con destrezza, fluttuando all’interno di quel groviglio con una grazia irreale. Quasi fosse intangibile.
Mime sgranò gli occhi inorridito quando vide la figlia di Loki scomparire, dissolvendosi nell’aria, e i suoi fili aggrovigliarsi tra loro, afferrando il nulla.
"Che cosa?! Dov’è finita?" –Mormorò, fendendo l’aria attorno con i suoi sensi acuti.
Vide Garmr che si dimenava all’interno del groviglio di corde, Folken che tentava di strappar via il filo di saggina, due Einherjar che cadevano al suolo alla sua destra, tre defunti che venivano decapitati dalla spada di Tyr alle spalle di Garmr. Ma di Hel nessuna traccia. Possibile che sia scomparsa?
"Una cosa devi ben tenere a mente!" –Gli parlò infine la sua ruvida voce, senza che Mime riuscisse a comprendere da dove provenisse. –"La donna che avevi di fronte, per quanto di stracci vestita, è una Divinità! E delle più pericolose!" –Aggiunse, mentre la sua sagoma sgraziata ricompariva alle spalle del ragazzo, con il braccio destro sollevato e un pugnale dalla lama ricurva in mano.
"Aaargh!!!" –Gridò Mime, mentre Hel piantava Sulltr, il Coltello della Carestia, nella sua schiena, facendovi fluire parte del suo cosmo venefico.
"Tienilo a mente, questo mio misero insegnamento! Chissà… potrebbe anche esserti utile… qualora tu vivessi una terza vita! Igh igh igh!" –Rise la Sovrana degli Inferi, mentre Mime si accasciava sulle ginocchia, lo schienale dell’armatura macchiato da una sempre più nitida chiazza rossa.
"Li lascio a te, mio bel cagnolino! Il più e il meglio l’ho fatto! Occupati delle loro carcasse e buon appetito! Igh igh igh!" –Esclamò, allontanandosi, sempre con la scopa in mano, per strappare la vita ad altri Einherjar.
Mime rimase a terra, boccheggiando per lo sforzo. La ferita non era tanto profonda, ma la lama di quel vecchio pugnale doveva essere intrisa di chissà quale veleno, rendendogli difficile la respirazione e annebbiata la vista.
Proprio in quel momento Garmr strappò gli ultimi fili che lo immobilizzavano, muovendosi per lanciarsi su Folken. Bastò quello a far reagire Mime, a farlo rialzare, con il cosmo concentrato nella mano e mille fasci di energia che riempirono l’aria, falciandola come le righe di un pentagramma.
Il mastino guaì, raggiunto dai precisi attacchi, e fiotti di sangue iniziarono a zampillare dal suo corpo, mentre Mime si chinava su Folken, recidendo il filo di saggina con i suoi raggi energetici.
"Vattene via, Mime!" –Gridò suo padre, ansimando nel rimettersi in piedi, con i polsi e il collo lividi e sanguinanti per la stretta mortale.
"No!" –Rispose semplicemente il ragazzo, mettendo in quell’unica parola tutta la sua dignità di Cavaliere. E di figlio.
Garmr scattò nuovamente su di loro, obbligando Mime a scartare di lato, in tempo per evitare che la zampata del mastino gli staccasse la testa, quindi lo travolse con le sue linee di energia, strappandogli ciuffi di pelo e pelle e grida mostruose. Con gli occhi iniettati di rabbia, il custode di Hel caricò il musico di Asgard, deciso a riempirsi la bocca del suo corpo, imbrattandosi le zanne di cinabro sangue.
"Fermò lì!" –Esclamò Mime, radunando tutte le forze e portando un dito alla cetra. Fu uno scampanellio leggero, indistinguibile nel frastuono della battaglia, ma sufficiente per fermare Garmr. In un attimo migliaia di corde si allungarono nella sua direzione, avvinghiandosi alle sue zampe, al suo corpo, alla sua coda, stringendo con forza e impedendogli di liberarsi, mentre Mime muoveva le dita sulla cetra, di fronte allo sguardo interessato di Folken. –"Padre, questa melodia è per voi, in onore all’eroe che Asgard ha a lungo ammirato! L’eroe che, in vita, io non ho mai apprezzato! Perdonatemi, furono l’odio e il dolore che la guerra aveva infuso in me a impedirmi di vedere quel che di buono c’era nel vostro cuore! Lasciate che adesso possa rendervi il favore, salvandovi come voi salvaste me dalla tormenta di gelo e da altri pericoli!" –Parlò, ad occhi chiusi, mentre un noto motivo si diffondeva nell’aria, facendo tintinnare le corde, pervase dal cosmo del musico. –"Melodia delle tenebre! Risuona!!!"
Il corpo di Garmr venne percorso da mille scosse, le corde si insinuarono sempre di più nel suo corpo, scavando ferite sanguigne e prostrando il grosso animale a terra, mentre la musica proseguiva implacabile, fino all’ultima nota. Con un ultimo guaito il guardiano delle Porte dell’Inferno si accasciò a terra, il corpo straziato dai solchi delle corde, mentre Mime, esausto per lo sforzo e per il veleno di Hel, barcollava, cercando di rimanere in piedi.
Fu Folken ad afferrarlo in tempo, prima che cadesse.
"Lasciami andare…" –Mormorò il ragazzo. –"Me lo merito!"
"Di cosa ti fai colpa?"
"Di non aver capito!" –Rispose, con voce malinconica. –"Cosa provasti quel giorno, quando il Celebrante di Odino precedente a Ilda ti ordinò di marciare su Iisung, per riportare i loro capi alla ragione ed evitare una guerra! Quando, fallito il negoziato, dovesti usare i tuoi poteri, perché la guerra lo richiedeva, la guerra madre di tutte le ingiustizie! La guerra che ci fa compiere gesti che in periodi diversi, e più felici, invece paventeremmo!"
"Le tue parole sono vere, Mime! Per questo non dovresti biasimarti per esserne tu stesso stato vittima!" –Esclamò Folken, aiutando il ragazzo a restare in piedi. Forse fu un gioco di luce, forse fu dovuta agli occhi arrossati dallo sforzo, ma a Mime sembrò di vedere una lacrima bagnare il viso del padre adottivo.
Un ringhio spaventoso riscosse entrambi, costringendoli a voltarsi verso quello che ormai consideravano il cadavere di Garmr, realizzando che l’orrido cagnaccio era ancora vivo e faticava nel risollevarsi.
"Non temere, me ne occuperò io!" –Disse Folken, muovendosi per recuperare la propria spada. Ma Mime lo fermò, ponendogli una mano sulla spalla. –"Non tu, ma noi ce ne occuperemo!" –E sorrise, per quanto il dolore glielo permettesse.
Garmr tentò di lanciarsi su Folken, per impedirgli di recuperare l’arma, ma Mime ne fermò la corsa scagliandogli contro i raggi del pentagramma di energia, in numero e in potenza inferiori a quelli scagliati in precedenza. Forse il cane se ne accorse e decise allora di avventarsi su di lui, incurante dei nuovi squarci che si aprivano sul suo corpo all’avvicinarsi al Cavaliere di Asgard.
"Mimeee!!!" –Gridò Folken, scattando contro Garmr e saltando più in alto che poté. Lo colpì al mento, affondando la lama e caricandola della sua energia cosmica, mentre il cagnaccio sbatteva Mime a terra, ferendolo ad un braccio e danneggiando parte della sua corazza. A tal vista l’antico difensore di Midgard avvampò, balzando di nuovo in alto e mozzando la testa di Garmr con un unico fendente.
"Un problema risolto…" –Commentò, atterrando vicino a Mime e scrutandone preoccupato il colorito, sempre più pallido. –"Dovrei portarti da Eir! La Guaritrice saprebbe certamente curarti!"
"Non ne abbiamo il tempo!" –Si limitò a rispondere il ragazzo, facendosi forza per restare in piedi. –"Siamo stati destinati a questo fin da quando varcammo il Thund! Ne siamo sempre stati consapevoli! Non avrebbe senso rinunciarvi adesso! Né voglio farlo! Voglio solo vivere con te il tempo che ancora mi resta!"
Folken annuì fiero alle parole del figlio, prima di voltarsi, con la spada in pugno, e fronteggiare un gruppo di nemici che si era intanto chiuso a cerchio attorno a loro.
Fintantoché Garmr era vivo, si erano prudentemente tenuti lontani, non avendo in simpatia, neppure loro, le bestie infernali da cui Loki si faceva accompagnare, l’unico forse a non essere turbato dalla loro presenza. Ma morto il cane, avevano ben pensato di farsi avanti, approfittando delle ferite già aperte sui corpi degli avversari.
"Non si può dire che siano stupidi…" –Mormorò Mime, mettendo d’istinto mano alla cetra, ma ricordandosi poi che, sulla feccia che marciava contro di lui, la musica non aveva effetto. –"Forse le melodie, ma ugualmente non può dirsi delle righe del pentagramma!" –Aggiunse, bruciando il cosmo e dirigendo numerosi raggi energetici contro i nemici, che vennero travolti e falciati.
Folken, dal canto suo, aveva già ingaggiato combattimento contro altri, impegnandone più d’uno contemporaneamente.
Non erano potenti quei defunti portati a nuova vita, ben pochi conoscevano i rudimenti del cosmo. La quasi totalità era costituita dai risvegliati corpi degli adulteri, dei vecchi, dei suicidi, di coloro che avevano disonorato il loro casato e la loro terra, armati di lance e di space, di archi e di asce, seppur non troppo abili nell’usarli. Ma erano tanti, terribilmente tanti, forse il triplo degli Einherjar, e questo giocava a sfavore dei difensori di Odino, già provati dai vari scontri con i Sigtívar e gli Dei e le creature infernali alleate di Loki.
Su questo rifletteva Mime, cercando di rimanere in piedi e di evitare gli affondi delle lance e delle armi nemiche. Una freccia, scagliata da chissà dove, lo raggiunse ad una spalla, spaccandogli il coprispalla, mentre una coppia di daghe si protendeva verso il suo viso. Il ragazzo sollevò il braccio per tenerle lontane con una folgore energetica, quando si accorse che strali luminosi stavano rischiarando l’aria attorno a sé, abbattendosi sui suoi avversari con furia implacabile e altrettanta meticolosità.
Le parole che udì poco dopo gli strapparono un sorriso, avendo riconosciuto le armi del suo salvatore.
"Onde del Tuono, fermate i nemici!!!" –Gridò il Cavaliere di Atena, balzando a fianco di Mime, mentre lo scintillio della Catena di Andromeda si schiantava sui corpi dello sventurato esercito di Hel, trapassandoli uno ad uno, prima di lasciarli ricadere al suolo, morti. –"Amici, state bene? Ho dovuto affrontare un centinaio di costoro, per questo non sono riuscito a portarvi aiuto prima!"
"Non preoccuparti, Andromeda, hai fatto anche troppo per noi! Così oggi, così l’anno scorso!" –Sorrise Mime, cercando di apparire sereno. Ma il pallore della sua pelle e la fitta che lo aggredì, piegandolo in due, tradirono una sicurezza inesistente.
"Mime!!!" –Gridò Andromeda, mentre anche Folken si avvicinava, scagliando sfere di energia tutto intorno, per tenere a distanza debita gli avversari.
"Le parole di Arvedui… Ricordale Andromeda! E non portargli rancore!" –Continuò Mime, incurante dei richiami del Cavaliere alla sua salute. –"Gli elfi sono così, i massimi gaudenti della vita. Vivono in un mondo di primavera eterna, senza preoccupazioni, o perlomeno questo è quello che credono e che permette loro di sorridere sempre! Non avercela con lui, ma ricorda ciò che ti ha detto! Ti permetterà di migliorarti ancora… e di ottenere una sempre maggiore conoscenza!"
Mime tossì, piegandosi su se stesso e sputando sangue, di fronte agli occhi sgomenti di Andromeda. Prima che il ragazzo potesse fare qualcosa, un’ombra sovrastò i tre compagni, un’ombra gigantesca che apparteneva al ferino figlio di Loki.
"Cos’abbiamo qua? Bocconcini prelibati e sanguinolenti?!" –Sibilò Fenrir, guardando dall’alto i tre Cavalieri. –"Una vera delizia per il mio palato!" –Aggiunse, sputando a terra quel che aveva masticato finora. La carcassa di un uomo a cui era stata strappata la pelle, azzannata con disumana ferocia, al punto da lasciare soltanto uno scheletro con scarni pezzi di carne.
Andromeda fece un passo indietro inorridito, mentre Mime soffocò un grido di dolore nel riconoscere, sia pure a stento, il cadavere di Bragi, Dio della Poesia, di cui Fenrir si era nutrito.