CAPITOLO DICIASSETTESIMO: LA GUERRA INFURIA.

Cadaveri e macerie costellavano le vie di Asgard, la capitale del regno degli Asi.

Là dove un tempo sorgevano residenze sontuose ed eleganti, nelle cui stanze gli Dei si abbeveravano di idromele, raccontandosi le loro imprese leggendarie, adesso si alzavano mura storte, circondate da cumuli di rovine, tetti crollati, arazzi incendiati, sovrastati da nubi di fumo così denso da rendere difficile la respirazione.

Ma per Luxor non era un problema. Lui sapeva camminare basso sul terreno, quasi a quattro zampe, restando in questo modo al di sotto del fumo, ponderando ogni mossa con i sensi tesi al massimo, atti a captare il benché minimo movimento.

Adesso era intento nella sua attività preferita, a cui aveva destinato gli anni successivi all’omicidio dei genitori. La caccia. Seppure il luogo fosse difforme dalle innevate foreste del Recinto di Mezzo, la pratica era sempre la stessa. Lui era il cacciatore e il suo nemico era la preda. Che fosse un cinghiale, un cervo o un lupo mostruoso, per lui non faceva differenza, sempre determinato a sgozzarlo e a gloriarsi di tale trofeo.

Gli Ulfhednir avanzavano silenziosi alle sue spalle, seguendo colui che, nel giro di pochi mesi, era diventato il capo del loro gruppo ristretto. Il capo del branco.

Sapevano che la preda era vicina, la causa di tutta quella distruzione. Luxor poteva quasi percepirne l’odore. Un odore acre, pungente, che gli ricordava gli anni trascorsi nelle foreste con i lupi. L’odore del sangue.

Una sagoma immensa apparve improvvisamente di fronte a loro, in parte avvolta dal fumo che si levava dai numerosi incendi che costellavano Ásaheimr. Una sagoma che calò ringhiando su tutti loro, digrignando gli affilati denti ancora macchiati di rosso.

"Ora!" –Gridò Luxor, balzando di lato, mentre il resto del branco faceva altrettanto, disponendosi attorno all’enorme creatura fino a circondarla. Uno dopo l’altro gli Ulfhednir si lanciarono avanti, in alto o sotto il peloso corpo del gigantesco lupo, decisi a ferirlo con i loro artigli. Luxor puntò subito alla gola, certo che fosse il punto più debole, il punto che gli avrebbe concesso una rapida vittoria.

Ma la sua preda non era un cervo, né un placido animale che abitava le bianche distese del nord, bensì un lupo furioso, un cacciatore suo pari. Con un rapido movimento, si mosse di lato, evitando numerosi affondi e scuotendo la folta coda con cui spazzò via alcuni Ulfhednir. Pochi furono quelli che riuscirono a raggiungerlo, in punti non vitali del suo grosso corpo, e Luxor non fu tra questi.

"Non dimenticare chi hai di fronte! Il figlio della notte! Il re dei cacciatori!" –Sibilò il lupo, fissando il ragazzo dai lunghi capelli grigi atterrare compostamente a terra, dopo aver evitato la violenta zampata. –"E tu, ai miei occhi, sssei sssolo una croce di osssa con tanta buona ciccia attaccata!"

"Chissà che questa croce non ti resti conficcata nel palato, Hati, squarciandoti la cavità orale fino alle budella!" –Ringhiò Luxor, con tono divertito, mentre i suoi compagni si rimettevano in piedi.

Hati Hródvitnisson, fratello di Skoll, uno dei corpulenti lupi generati nella Foresta di Ferro, sogghignò beffardo, prima di avventarsi sul guerriero di Odino. Luxor deviò a destra, per schivare l’artigliata poderosa che abbatté il muro di un edificio alle sue spalle, rotolando sulla strada lastricata, per poi rialzarsi e lanciarsi contro di lui.

Ma, per quanto di grossa stazza, alto sei o sette metri, Hati era sorprendentemente agile e fu lesto a muovere l’altra zampa per colpire Luxor ancora in volo. Lo ferì al ventre, strappandogli parte della pelliccia di lupo di cui era rivestito e pezzi di pelle, prima di sbatterlo al suolo, sollevando poi l’arto e leccando il sangue colante dai suoi unghioni. Inebriandosene.

Luxor ringhiò, affannando nel rimettersi in piedi. Spinse via alcuni Ulfhednir che gli si avvicinarono per aiutarlo a rialzarsi e strinse i denti, pronto per attaccare di nuovo.

Conosceva quella sensazione, la stessa che ubriacava l’animo di Hati, la stessa di cui il branco dei massimi sostenitori di Odino si nutriva. Quell’invasamento che li rendeva più simili ad animali che a uomini, più simili al simbolo della loro esistenza.

"Lupo contro lupo, Hati! Zanna contro zanna!" –Sibilò Luxor, espandendo il cosmo, come non faceva da tempo, da quando, asceso al Valhalla, aveva rinunciato a esercitare la propria energia interiore, preferendo un diverso tipo di approccio alla guerra. Lo stesso che gli aveva permesso di sopravvivere nelle foreste di Midgard per anni, da solo, assieme ai lupi.

"Mossstrami quel che sssai fare, mio bel gatto ssselvatico!" –Sghignazzò Hati, portando lo sguardo su di lui e aprendo la bocca, con un movimento teso a soffiare in faccia a Luxor il suo fetido alito. Il suo fiato che, al pari del fratello, poteva generare correnti di aria fredda.

"Denti del Lupo, azzannate!" –Esclamò colui un tempo investito da Ilda del titolo di Cavaliere di Asgard della stella Epsilon Ursae Majoris.

Da quanto tempo non pronunciava quelle parole. Dal suo ultimo scontro, combattuto con Sirio il Dragone di fronte alla grande cascata gelata.

Era strano ricordare qualcosa che, sebbene avvenuto soltanto un anno prima, aveva quasi rimosso. O semplicemente non vi aveva più prestato attenzione. Da quando era asceso al Valhalla aveva trascorso poco tempo con i vecchi compagni, uomini a cui in fondo non era legato, avendo in comune soltanto l’essere appartenuti, per un breve arco di tempo, alle schiere dei difensori di Midgard. Troppo poco, per Luxor, per stabilire un legame maggiore che andasse al di là dell’obbedienza alla Celebrante di Odino, donna che gli aveva donato l’armatura appartenuta a suo padre e di fronte alla quale persino i suoi lupi si erano prostrati.

Ricordava ancora la conversazione avuta con Odino il giorno stesso in cui il Dio li aveva accolti nel Valhalla.

"C’è qualcosa che vorresti dirmi, giovane lupo?!" –Aveva chiesto il nume a Luxor, ancora inginocchiato ai piedi dell’alto scranno, dopo che i suoi quattro compagni si erano allontanati.

"Mio Signore… perché mi avete accolto nel Valhalla? Non sono degno di questo onore!"

"Lo credi davvero? O semplicemente non lo vuoi?"

"Non lo voglio, perché non credo di essere uno di quei Campioni da cui meritate di essere difeso! Non ho fede negli uomini, né negli Dei, solo in me stesso! Non potrei essere parte di un gruppo!"

"Le tue crude parole sono sincere e la vita che hai trascorso nei boschi, dopo la morte dei tuoi genitori, ne è valida testimonianza! Credevo di farti gradito dono nel permetterti di unirti alle schiere che hanno accolto anche tuo padre prima di te! Se non altro per il piacere di rivederlo! Speravo, così facendo, di dare calore al tuo freddo cuore solitario!"

"Io… è passato tanto tempo… sono abituato a stare da solo. A vivere da solo…"

"Se questo è il tuo volere, io lo rispetterò!" –Aveva esclamato Odino alzandosi in piedi. –"Ma non credere di potertene andare in giro per la terra degli Asi senza far niente! Tutti qui hanno uno scopo ultimo, e lo avrai anche tu, sia pur percorrendo una strada diversa da quella dei tuoi compagni! C’è qualcuno che voglio presentarti… Qualcuno che forse potrebbe essere interessato ad averti nel suo branco…"

"Branco?!" –Aveva balbettato Luxor, non capendo.

"Branco sì! Potrai vivere con loro nelle foreste di Ásaheimr, e al tempo stesso vivere da solo! Spero però tu non voglia morire da solo! Sarebbe triste… davvero triste!"

Come mai quelle parole gli tornassero in mente proprio adesso, nel cuore dello scontro, Luxor non seppe spiegarselo. Dovette però fare attenzione alla corrente di aria gelida emessa dalle fauci di Hati, corrente in grado di rallentare il suo attacco, non troppo potente, e di spingerlo indietro, fino a farlo schiantare contro le mura di un palazzo alle sue spalle.

Gli altri Ulfhednir prontamente intervennero in aiuto di colui che avevano scelto come guida, il guerriero sciamanico che più di ogni altro era riuscito a fondersi con l’animale totem del loro branco.

Hati dovette difendersi su più fronti, mentre gli Ulfhednir lo attaccavano con impeto, balzando su di lui, arrampicandosi sui suoi arti, sulla sua coda, sul manto di pelo grigio, azzannando con i loro canini, affondando le lunghe unghie predatrici. Non possedevano cosmo, né impugnavano armi, ma facevano uso soltanto del corpo, proprio come i lupi, unico e necessario strumento per vincere ogni caccia.

Guaendo irritato, il grande lupo di Járnviðr si sbarazzò dei suoi nemici, sbattendoli a terra, calpestandoli e dilaniandoli con i suoi artigli, osservando il sangue imbrattare il lastricato ove un tempo gli Asi marciavano festosi, distribuendo sorrisi alle loro genti.

Luxor quei bei tempi non li aveva conosciuti né, se anche avesse potuto, avrebbe mai preso parte ad alcuna parata o banchetto. Ciononostante non aveva intenzione di cedere. Non tanto per onorare Odino, quanto per se stesso, per l’impeto ferino che lo dominava e lo portava a non abbandonare mai alcuna caccia una volta iniziata.

Si rialzò e si mosse così velocemente che Hati, intento a squartare il petto di un Ulfhedinn, se ne avvide soltanto quando le unghie del ragazzo gli lacerarono il mento, strappandogli un ciuffo di peli argentati. Furioso, il grande lupo si avventò sul guerriero di Odino, deciso a cavargli il cuore a morsi, quando fasci di energia, simili a fauci di fiera, si schiantarono su di lui, obbligandolo a balzare indietro, abbattendo, con il suo ingombrante movimento, parte di un palazzo. Ydalir, l’antica residenza di Ullr, il Dio Cacciatore, per quanto poco vi avesse dimorato, preferendo, al pari degli Ulfhednir, la vita nei boschi e all’aria aperta.

"Chi osssa disssturbare il mio pranzetto?!" –Sussurrò Hati Hródvitnisson, fendendo l’aria torbida con i suoi occhi color diamante e accorgendosi dell’elegante sagoma di un uomo che avanzava a passo fermo nella sua direzione.

Rivestito da un’armatura blu, che Luxor ben conosceva, si fermò solo a pochi passi dal ragazzo, in piedi al centro della strada, porgendogli un sorriso così intenso, come mai l’aveva ricevuto.

"Daeron, questo è il mio nome! Del casato dei Luxor!" –Esclamò l’uomo dai capelli celesti, riportando lo sguardo su Hati e fronteggiandolo con fierezza. –"E sono il padre del ragazzo che hai ferito!"

Luxor osservò il genitore per un lungo istante, ripescando l’immagine dagli abissi della memoria. Una memoria di affetti che aveva dimenticato. E dovette ammettere di non trovarlo poi così diverso da come l’aveva visto l’ultima volta, quando, dimessa da anni l’armatura del Nord e armato soltanto di un ramo, era morto nel tentativo di proteggere la sua famiglia dall’aggressione di un orso.

"Padre…"

"Un doppio ssspuntino val bene una doppia fatica!" –Commentò Hati, lanciandosi avanti. Daeron si gettò di lato, afferrando Luxor e trascinandolo con sé, evitando la carica del grande lupo. Spinse il figlio dietro un muro, pregandolo di rimanervi fino al termine dello scontro, ma quando fece per ritornare sulla strada Luxor lo fermò.

"Non pretenderai che mi nasconda, rifuggendo la battaglia?!"

"Voglio solo che curi le tue ferite, senza affaticarti! Lascialo a me!" –Si limitò a rispondere suo padre, voltandosi verso di lui.

"Faresti prima a chiedermi di suicidarmi allora!" –Commentò Luxor bruscamente, oltrepassando Daeron e muovendosi per tornare in strada.

"Luxor!" –Lo richiamò allora suo padre. –"Sono passati così tanti anni… Ti prego, già una volta non ho potuto impedire che alla donna che amavo fosse fatto del male! Concedimi almeno di proteggere mio figlio! L’unico che ho!"

Il ragazzo non disse niente e, quando si mosse, fu per balzare sul cornicione del muro, dove gli occhi di ghiaccio di Hati erano appena comparsi. –"Mi cercavi?!" –Ringhiò, portando avanti il pugno destro, con gli artigli sguainati, deciso a conficcarglieli negli occhi.

"Sssì!" –Rispose Hati, muovendo una zampa e colpendo il ragazzo in volo, scaraventandolo a terra, con nuove ferite aperte.

"Luxor!!!" –Gridò Daeron, uscendo da dietro il muro, con il cosmo acceso e il pugno chiuso. –"Denti del Lupo!!!"

I fendenti energetici ferirono Hati in più punti, per quanto l’animale fu svelto a balzare indietro e a evitare di essere raggiunto al volto. Nonostante fosse grosso e abile, era comunque vulnerabile ad attacchi di tipo energetico, non avendo altra difesa che la sua coriacea pelle.

"Non ho bisogno di te, padre! Non sono più un ragazzino impaurito, rimasto orfano in una foresta! Sono uno dei guerrieri di Odino, un Ulfhedinn, e sono abituato a combattere da solo le mie battaglie!" –Mormorò Luxor, rimettendosi in piedi.

"È per questo motivo che hai rifiutato la corazza della nostra casata? Non credevo fosse vero, quando Freyr mi comunicò la decisione di Odino che io ne fossi il portatore il giorno di Ragnarök! ‘Tuo figlio ha scelto pelli diverse!’ Mi aveva detto il Principe dei Vani. E solo oggi, vedendoti, ho capito cosa intendesse!"

"Cos’è?! Non ti piaccio?!" –Si lamentò Luxor, e in fondo non poté biasimare suo padre, ai cui occhi non sarebbe apparso diverso da un selvaggio.

Magro, e più basso dei suoi pari, aveva lunghi capelli grigiastri che svolazzavano nel vento e un viso spigoloso, ornato da una barba poco curata. Come gli altri Ulfhednir, indossava soltanto una pelle di lupo, che gli copriva l’anca e parte del petto, ma ormai era rimasta solo una fascia attorno alla vita, su cui grondava il sangue delle ferite aperte sul suo corpo.

"Non ho detto questo, né mai lo dirò!" –Esclamò suo padre. Ma prima che potesse aggiungere altro dovette difendersi dalla rinnovata carica di Hati, che balzò su di loro a zanne digrignate, scavalcando un gruppetto di devoti guerrieri.

"Attento!!!" –Gridò Daeron, spostandosi in fretta, mentre il figlio faceva altrettanto, gettandosi sull’altro lato della strada. Hati si volse allora verso di lui, mentre l’uomo concentrava nuovamente il cosmo attorno al pugno destro, e lo anticipò, colpendolo con una zampata in pieno volto e sbattendolo a terra.

Nell’urto il Campione di Odino perse l’elmo, che rotolò distante, mentre un ruscello di sangue gli imbrattava il volto. Ma grazie alla protezione della corazza non riportò ferite maggiori. Furono comunque sufficienti per infervorare ulteriormente l’animo bestiale di Hati, che si mosse per balzare su di lui.

"Hai dimenticato qualcosa!" –Esclamò la squillante voce di Luxor, ponendosi in mezzo ai due contendenti e lanciandosi contro un arto del lupo. –"Quando si inizia una caccia, non c’è modo di sottrarsi alla sua fine. O si vince o si perde, questa è la regola!" –Nel dir questo si aggrappò al folto pelo grigio, piantando le sue unghie affilate e strappando un grido al lupo di Járnviðr, che si agitò, cercando di liberarsi di lui. Con l’altra zampa, sbatté Luxor nel terreno, affondando gli artigli nella sua pelle, ma quando sollevò l’arto destro, dovette muoverlo per parare violenti fendenti energetici che Daeron aveva intanto diretto contro di lui.

L’attacco di energia cosmica spinse Hati indietro, aprendogli nuovi squarci sul corpo, dove chiazze purpuree iniziarono a maculargli il pelo, togliendogli parte del suo smalto argenteo.

"Come hai fatto a trovarmi?" –Domandò allora Luxor a suo padre.

"Stavo andando a Vígridhr, dove Tyr ha radunato il grosso dell’esercito di Einherjar, quando ho sentito avvampare il tuo cosmo. Una fiammella quasi, nel caos che sovrasta Asgard, ma sufficiente per farmi notare quanto fosse simile al mio!"

"Non siamo simili, padre. Tu sei stato un eroe, un Cavaliere che ha combattuto per difendere Asgard, fedele sostenitore della corona nella guerra di Iisung. E sei stato un buon marito. Idri potrebbe testimoniarlo! Io invece sono solo, come un lupo, e come tale combatterò!" –Esclamò Luxor, incamminandosi a fatica lungo la strada, lasciando dietro di sé una scia di sangue.

"No, non lo sei! Perché io sono con te!" –Lo chiamò Daeron. –"Che tu voglia accettarlo o meno, moriremo insieme quest’oggi, figlio mio! La foresta ti ha fatto da madre, i lupi ti hanno fatto da fratelli, la solitudine ti è stata compagna! Ma che le mie parole, e i miei gesti, possano ricordarti che solo non sei!" –Non disse altro e scattò avanti, sorpassando Luxor e avvampando nel suo cosmo azzurro.

Hati, ripresosi, fronteggiò l’assalto dell’uomo, liberando il suo alito freddo, che come una corrente di gelo ghiacciò parte degli affondi energetici di Daeron, disperdendone altri e facendo sì che venisse raggiunto solo in un paio di punti. Due sole ferite, ma sufficienti per farlo barcollare. Daeron approfittò di quel momento per balzare su di lui, ma Hati fu più lesto e lo sbatté al suolo, staccandogli la testa con una zampata dei suoi mastodontici artigli, di fronte allo sguardo raggelato di Luxor.

Rotolò fino ai suoi piedi, l’aggrovigliata matassa di capelli sporchi di sangue, il volto fermo, con le labbra ancora contratte nelle ultime parole che aveva rivolto al figlio.

"Solo non sei! Sei mio figlio, un figlio degli uomini!"

L’antico Cavaliere di Asgard sollevò lo sguardo verso Hati, portando il braccio avanti e chiudendo il pugno, in chiaro segno di sfida, mentre tutto attorno a sé avvampava il cosmo che gli apparteneva, carico delle reminescenze del suo glorioso casato.

"Per quel che può valere, padre…" –Mormorò, lanciandosi avanti, mentre già l’alito freddo dell’ancestrale creatura lo investiva, gelandogli la pelle e le magre ossa. –"Ti ho sempre ricordato, ti ho sempre portato nel cuore! Assieme a Idri e a King! Voi, e i lupi, le mie due famiglie! Per onorarvi scateno i Lupi nella Tormenta!!!"

Gli affondi energetici dilaniarono la carne del fratello di Skoll, strappandogli ringhi rabbiosi, mentre ovunque schizzava il sangue scuro della bestia, imbrattando persino Luxor, che a tale odore era comunque avvezzo. Il ragazzo evitò una zampata di Hati, balzando sul suo dorso e affondando gli artigli nella carne, scaricandovi tutto quel che restava del suo potenziale cosmico. Gli altri Ulfhednir rimasero paralizzati, attorno al grande lupo, ad osservarne il corpo straziato, pervaso da grida che parevano non esaurirsi.

Fu un fascio di energia a porre fine alla sua vita, un’unica e precisa retta luminosa che lo raggiunse al centro del muso, trapassandolo e facendolo crollare a terra, mentre Luxor veniva sbalzato via a sua volta. Quando la luce scemò di intensità, i guerrieri fedeli a Odino poterono ammirare una lunga lancia conficcata nel cranio della bestia. Una lancia che ben conoscevano, avendola rimirata in mano al Capo delle Schiere ogni volta in cui l’avevano seguito in battaglia.

E proprio Odino Herran, il Signore Supremo degli Asi, apparve pochi istanti dopo dall’altro lato della strada dove lo scontro tra Hati e gli Ulfhednir si era consumato, con Geri e Freki ai suoi lati.

Splendido, in groppa a Sleipnir, il nume sapiente e terribile si avvicinò al gruppo di sopravvissuti, aprendo il palmo della mano destra e richiamando a sé la sua arma, che si staccò dal muso di Hati, illuminandosi, prima di tornare nella salda presa di colui che con essa poteva frantumare mondi.

"Gungnir! Forgiata dai nani!" –Esclamò il Padre di Tutti, ai cui piedi gli Ulfhednir ancora in vita si inginocchiarono. –"Sentiti onorato di questa fine, immondo animale figlio dell’ombra! Non è da tutti essere immolati dalla lancia di un Dio!"

"Mio Signore…" –Fece per parlare uno dei guerrieri, indicando i feriti, ma Odino lo zittì con un cenno della mano, volgendo il cavallo e preparandosi per correre via.

"Ci sarà tempo per onorare i caduti e curare i feriti! Ma non adesso! Adesso la guerra ci attende, un inferno di fuoco che sta abbrustolendo la Roccia del Cielo!" –Declamò, prima di spingere Sleipnir avanti. –"Seguitemi, Mantelli di Lupo! Una festa vi attende, il banchetto dei corvi e dei lupi!"

Gli Ulfhednir obbedirono senza esitazione, ululando e scattando ai fianchi di Odino, lasciandosi alle spalle il corpo ferito di Luxor, crollato a terra a pochi metri dalle carcasse senza vita di Hati e di suo padre.

Non hai deluso le mie aspettative, Giovane Lupo. Pensò il Padre di Tutti. E sono lieto che, anche solo per breve tempo, tu abbia rivisto tuo padre e vi siate potuti parlare. Credi alle sue parole; anch’io, al par suo, temo per i miei figli. Sospirò, avanzando nella direzione da cui provenivano fiamme e fumo e ricordando le ultime parole della Veggente.

Chi vivrà degli uomini quando sarà trascorso quel famoso Fimbulvetr tra i mortali?

La realtà fu peggiore persino delle sue aspettative. Questo Odino dovette ammetterlo, quando comparve ai margini di Ásaheimr, nella valle, un tempo fiorita, che conduceva alla beatitudine di Himinbjörg.

Là, Vidharr, suo figlio, stava guidando i Giganti fedeli al Valhalla, assieme alle prime schiere di Nani e di Einherjar che assieme a lui avevano varcato Valgrind. Ma prima di loro, le legioni femminili di Odino erano giunte a portare aiuto al prode Heimdall, le splendide Valchirie guidate da Brunilde, le cui schiere si erano assottigliate a causa del violento attacco scatenato dai Giganti di Fuoco. Un’orda demoniaca a cui non avevano potuto opporsi.

"Padre!" –Esclamò Vidharr, correndo incontro a Odino, mentre gli Ulfhednir, Geri e Freki scattavano avanti, in aiuto alle Valchirie e agli Jötnar. –"La situazione è tragica! Il Dio Bianco e Brunilde sono riusciti a contrastare l’avanzata dei Soldati di Brina, ma quando i figli di Muspell hanno distrutto Bifrost, non hanno potuto fare altro che ripiegare, permettendo agli eserciti di Loki di invadere Ásaheimr. Molte residenze sono state saccheggiate e nelle strade di Asgard ho sentito combattere!"

"L’ho visto, figlio mio! Proprio là mi ero recato, attirato dallo spegnersi continuo di cosmi a me cari!" –Commentò il nume, prima di spostare lo sguardo dai lunghi capelli marroni di Vidharr al rosso assassino delle fiamme di Muspell.

L’intero declivio che un tempo conduceva alla residenza di Heimdall e al Ponte degli Dei era un oceano di fuoco, dove vampe continue si innalzavano al cielo, saturo di quel fumo che, spinto dai venti, stava ormai ricoprendo l’intera Asgard. Ovunque il Dio posasse lo sguardo riusciva a scorgere mostruose figure che parevano composte di pura fiamma, che ondeggiavano silenti prima di abbattersi contro i suoi guerrieri o i Giganti a lui fedeli, trapassandone i corpi, incendiandoli, incenerendoli.

Proprio da quel mucchio di fiamme, Odino vide arrivare due cavalli, sopra i quali si ergevano, stanche e affumicate, l’impavida Brunilde e la sua seconda in comando, Hnoss dalle trecce d’oro. Proprio lei, la bella figlia di Freya, portava con sé il corpo stanco del Custode del Ponte Arcobaleno, che trovò comunque la forza di smontare da cavallo e inginocchiarsi di fronte a Odino.

"Sommo Wotan…" –Tossì Heimdall, prima di rimettersi in piedi, aiutato da Vidharr. –"Abbiamo cercato di fare quanto in nostro potere…"

"Lo so, mio buon amico! Lo so!" –Si limitò a commentare Odino, osservando le condizioni in cui versava il nobile Guardiano. La sua Veste Divina era danneggiata in più punti, annerita dai fumi in mezzo ai quali aveva combattuto finora. Una ferita alla spalla gli aveva imbrattato di sangue il braccio sinistro e un’altra gli segnava la fronte. Pur tuttavia Heimdall si ergeva ancora, l’ascia stretta in mano, il Gjallarhorn ammaccato affisso alla cintura.

"Attenti!!!" –Gridò Vidharr, indicando una palla di fuoco che, scagliata da qualche Gigante di Muspellheimr, stava per schiantarsi su di loro. Congiunse le mani, evocando una barriera protettiva che ricoprì tutti i loro corpi, mentre Odino sollevava la lancia, che emise un sottile ma potentissimo raggio di luce capace di distruggere la sfera incandescente all’istante. Le scintille infuocate non raggiunsero nessuno dei presenti, riparati dietro il velo di energia di Vidharr.

"È in questo modo che abbiamo resistito finora, contenendo le perdite! Ma non possiamo rimanere inerti in difesa, né i miei poteri potranno durare per sempre!"

"Vidharr dice il vero, mio Signore!" –Intervenne Brunilde. –"Avremmo bisogno di Einherjar dotati di poteri congelanti o capaci di controllare l’acqua e la pioggia! E solo le Norne sanno quanta ce ne vorrà per spegnere quest’incendio senza fine!"

"Rimpiango di non avere Njörðr al mio fianco! Il Dio dei Venti avrebbe spento senza problemi queste maledette fiammelle!" –Ringhiò Odino, sollevando di nuovo Gungnir e distruggendo una seconda sfera infuocata che stava piovendo su di loro.

Ma gli Dei e le Valchirie non ebbero tempo di parlare d’altro che un paio di enormi sagome, di fiamme e magma composte, si ersero loro di fronte, allungando le braccia nella loro direzione. Odino spinse Sleipnir verso destra, evitando i fiotti incandescenti, mentre Brunilde e Hnoss, recuperato Heimdall, sfrecciarono nella direzione opposta, in groppa ai loro destrieri, ben allenati ma stanchi.

Soltanto Vidharr, l’Ase Silenzioso, rimase impassibile al suo posto, le mani giunte e il cosmo radunato attorno a sé in modo da creare un velo, leggero ma indistruttibile, su cui la fiumana di magma scivolò via, senza raggiungere il suo corpo al di sotto.

"Dobbiamo aiutarlo! Non potrà rimanere bloccato in quel guscio per sempre!" –Esclamò Brunilde, agitando le briglie del cavallo e spingendolo a tornare indietro, mentre il cosmo si espandeva attorno a sé. –"Cavalcata delle Valchirie!!!" –Gridò, sollevando un vento freddo che diresse contro le due figure di puro fuoco, che videro sfrecciare verso di loro un esercito di guerriere armate composte di aria e nuvole.

"Non è potente come quelli del Dio del Vento e della Navigazione il mio attacco, ma se posso essere utile sarò lieta di dare la vita, come le mie sorelle hanno fatto prima di me!" –Disse, mentre anche Hnoss univa il cosmo a quello della sua comandante.

"Parole audaci, bella Brunilde! Parole che condivido appieno!" –Replicò Heimdall, scendendo di sella e bruciando il cosmo. –"Corno risuonante!" –Gridò, sommando il proprio potere a quello delle Valchirie, sì da infondere maggior potenza ai venti scatenati da Brunilde, unica, tra i presenti, dotata di un potere che potesse, se non spegnere, quantomeno disperdere le fiamme avverse.

I tre riuscirono nel loro intento, proprio mentre Odino tornava a fianco di Vidharr, che aveva appena tolto il suo velo difensivo, annientando, con un’esplosione di energia, la lava e le fiamme che lo avevano imprigionato.

Non riuscirono neppure a gioire che già nuovi Giganti di Fuoco marciarono verso di loro, attratti da quel gruppetto che pareva resistere alla loro marcia.

Odino puntò la lancia, pronto per colpire, mentre Brunide, Hnoss e Heimdall, disposti i cavalli di fronte al Signore degli Asi, espandevano i loro cosmi e Vidharr sollevava di nuovo la barriera protettiva. Furono tre voci a sorprenderli però, voci che non provenivano dall’inferno di fronte a loro, bensì dalle loro spalle.

"Serve del ghiaccio, mio Signore?!" –Esclamarono tre ragazzi, mentre una tempesta di gelo si scatenava contro i Giganti di Muspell, fermando la loro avanzata e tramutandoli in rozze statue di ghiaccio, che andarono in frantumi poco dopo.

Il Padre delle Schiere si voltò, avendo riconosciuto le voci, e sorrise a due suoi Einherjar, Mizar e Artax, che accompagnavano il biondo Cavaliere di Atena a cui la sorella della sua Celebrante a Midgard si era unita, Cristal il Cigno.