CAPITOLO DODICESIMO: IL CONCILIO.

Quando Atena arrivò sull’Olimpo capì che l’aria era cambiata, ben diversa dall’abbraccio di eternità che solitamente avvolgeva la cima del Monte Sacro. Lo stesso abbraccio che l’aveva cinta cinque mesi prima, quando vi era giunta per la prima volta in quella sua attuale reincarnazione.

All’epoca i boschi erano in fiore, gli alberi si allungavano rigogliosi e superbi verso il cielo, i ruscelli scorrevano sul medio versante del colle, dando vita a cascate e a giochi d’acqua, rallegrati dal canto delle ninfe e dei satiri. Le statue di marmo bianco che adornavano il viale che conduceva dal Cancello del Fulmine alla Reggia di Zeus parevano inneggiare ai fasti e alla potenza degli Dei e dei loro eroi, le cui imprese nel mito erano state osannate.

Quel giorno invece tutto era fermo, immerso in un silenzio innaturale che sembrava aver cancellato ogni forza vitale. Non vi era ombra né distruzione, piuttosto una quieta attesa dell’autunno, o peggio ancora dell’inverno, qualcosa che mai aveva varcato le soglie del sempiterno monte, arrestandosi al Bianco Cancello. Qualcosa che pareva aver chetato tutti gli esseri viventi, fermandoli in un momento del loro ciclo esistenziale, timorosi di andare avanti. Timorosi dell’esistenza di un domani.

Mai come oggi gli antichi fasti dell’Olimpo, di banchetti e tornei adorni, di poemi di guerrieri e Divinità ricolmi, mi sembrano così lontani! Mormorò la Dea, fermandosi di fronte a un’antica scultura all’esterno del tempio di Zeus. Una statua di oro e avorio che rappresentava un uomo, con mossi capelli e lunga barba, seduto su un trono, con uno scettro in mano su cui era inciso il simbolo del fulmine.


Forse è così che gli uomini ci vedono? Si chiese, lasciando vagare la mente nel passato, alle sue precedenti incarnazioni, agli anni della Grecia classica, quando Fidia abbelliva i templi degli Olimpi di pregiati lavori e Pausania ne cantava le lodi. Come vecchi infiacchiti dal tempo che hanno perso il contatto con la realtà? Come retaggi di un passato che hanno dimenticato in fretta, contribuendo a scavare un solco tra due mondi, profondo quanto l’incomprensione reciproca che ha segnato i rapporti tra loro e gli Dei. Colpevoli i primi di aver smesso di adorare i secondi, e i secondi di non aver compreso i primi, e di averli sfruttati per averne solo oro e glorie, senza dare loro niente in cambio.

"È bellissima, non è vero?!" –La delicata voce del suo accompagnatore la scosse dai suoi pensieri, portandola a voltarsi e a fissare gli occhi grigi dell’ultimo figlio di Eos ancora in vita. Euro, il Vento dell’Est. –"Ermes mi ha raccontato un giorno che Zeus, adirato e dispiaciuto per la perdita dell’originale eretta ad Olimpia, la fece ricostruire qua, nella casa degli Dei. So che non ama elogiare in pubblico le imprese degli uomini, che spesso lo hanno deluso, ma ne sa ammirare l’ingegno e la bravura, quando le vede!"

"Sei proprio come il mito ti descrive, figlio dell’Aurora. Argestes, il rischiaratore!" –Commentò Atena, con un sorriso. –"Riesci sempre a vedere il lato migliore delle cose, anche in tempi in cui forse non c’è un lato migliore in cui specchiarsi!"

"Non amo questo presente, Vergine Dea, e spesso mi rifugio nel passato, nelle rimembranze di una grandezza e di una nobiltà andate perdute!" –Spiegò Euro, ricominciando a camminare lungo il viale assieme alla Divinità e al Cavaliere d’Oro giunto con lei da Atene, fermandosi infine all’ingresso della Reggia di Zeus. –"Pur tuttavia, dal mio incontro con Pegasus e Andromeda, presso il vostro santuario, una nuova speme s’è accesa in me! E chissà che non mi sia consentito di vivere abbastanza a lungo per poter ammirare la nascita di un mondo nuovo…"

O la fine di quello presente. Rifletté, facendo cenno ad Atena di precederlo.

La Dea lo ringraziò con un sorriso, intuendo parte dei suoi pensieri, ed entrò nel palazzo, lasciando Euro e Mur a parlare tra loro all’esterno. Camminò lungo gli ampi corridoi di marmo bianco, un tempo affollati da Cavalieri Celesti e Divinità golose di ambrosia, fino a giungere al portone della Sala del Trono, di fronte al quale un bel giovane dagli scuri capelli ricciuti la stava attendendo.

"Lieto di rivedervi, Dea della Guerra Giusta! Il Sommo la sta aspettando!" –Esclamò il Coppiere degli Dei.

"Ti ringrazio, Ganimede! E sono altrettanto lieta di sapere che le tue ferite si sono rimarginate!"


A quelle parole il ragazzo un tempo amato da Zeus parve esitare, arrossendo lievemente, mentre il ricordo della possessione subita da parte di Ampelo del Vendemmiatore riemergeva in lui, assieme ai sensi di colpa per non essere stato forte abbastanza da impedirlo. Né da impedirgli di fare del male ad altri tramite il suo corpo.

"Non preoccuparti!" –Sorrise Atena, carezzandogli il volto. –"Va bene così!" –Non aggiunse altro e aprì il massiccio portone, entrando all’interno della Sala del Trono.

Là, raccolti, stavano tutti gli Olimpi ancora in vita.

Efesto, Signore del Fuoco e della Metallurgia, aveva abbandonato malvolentieri la fucina nelle profondità dell’Etna e ora conversava con sua madre, la bella Era, Regina degli Dei, per quanto non l’avesse mai avuta in eccessiva simpatia, essendo stato da lei sempre guardato con fastidio a causa della sua deformità. Ermes, Dio dei Mercanti e dei Viaggiatori e Messaggero Olimpico, si ergeva maestoso ai piedi della scalinata che conduceva al trono, vigile sentinella e braccio armato del suo Signore, mentre Demetra osservava, dalla ricostruita vetrata che si affacciava sui giardini dell’Olimpo, lo splendore di un luogo che forse presto non sarebbe stato più.

Fu proprio la Dea delle Coltivazioni ad andare incontro ad Atena, felice di rivederla. La abbracciò con sincero affetto, senza risparmiarle tristi occhiate, piene di tutto il dolore che la Divinità provava per la distruzione in cui la Terra stava sprofondando, non soltanto intesa come pianeta, ma anche come fertile suolo.

Anche gli altri numi la salutarono e ad Atena non sfuggì che, ad esclusione di Demetra, indossavano tutti, come lei, la loro Veste Divina, quasi fossero pronti a scendere in guerra sul momento. Persino Era, che negli ultimi due secoli aveva abbandonato ogni velleità bellica, chiudendosi nel suo intimo mondo di affetti e nel suo ruolo di Signora degli Dei, era ricoperta dalla sua armatura, ornata al collo da un foulard di seta, tessuto per lei dalle Sacerdotesse di Samo, isola a lei devota.

"Sei la benvenuta, figlia mia!" –Esclamò una voce dall’alto trono, mentre una lucente figura si metteva in piedi, stringendo in mano il Fulmine, simbolo del suo potere.

"Grazie, Padre! Mi rallegro nel vedere che state meglio e che l’ombra ha lasciato definitivamente il vostro corpo!" –Affermò Atena, inginocchiandosi ai piedi della scalinata.

"Ma non l’anima!" –Si limitò a commentare Zeus il Tonante, scendendo qualche gradino e invitando le cinque Divinità a prendere posto sulle panche che erano state dislocate nella sala. –"Con il tuo arrivo, Atena, siamo al completo e l’ultimo concilio degli Olimpi può avere inizio!"

Tutti avrebbero voluto chiedere a Zeus di essere meno criptico nella scelta delle parole, e forse più ottimista, ma nessuno, neppure il sagace Ermes, osò intervenire, preferendo che fosse la massima Divinità ad esporre le ragioni di tale convocazione.

"Sono passati molti anni dall’ultima volta in cui ci siamo riuniti! Secoli direi! E all’epoca eravamo quasi al completo! Quando fu? A stento lo ricordo, ma credo fosse allo scoppiare della Gigantomachia, quando Tifone, istigato dalla Madre Terra, marciò per la prima volta sull’Olimpo, inquinandolo di serpi e fiamme! Ci riunimmo proprio qua, in questo salone giudicato inespugnabile, ma non fummo in grado di stabilire una strategia comune e molti di noi fuggirono in Egitto, chiedendo ospitalità ad Amon Ra, impauriti da un potere che sembrava più grande di noi! Impauriti da un’ombra di fuoco che ci ricordò le potenti Divinità che avevamo affrontato secoli addietro, durante la Titanomachia, vincendole e dando così inizio alla terza stirpe cosmica, che seguì quella delle entità ancestrali e quella dei Titani!" –Disse Zeus, mentre immagini di antiche realtà in cui avevano vissuto iniziarono a scorrere di fronte agli occhi degli Dei, permettendo loro di rivivere quei momenti angosciosi che avevano nuovamente provato mesi prima, quando Tifone, liberato da Flegias, aveva violato per la seconda volta il suolo del Monte Sacro.

"Mio Signore…" –Parlò infine Ermes, con voce resa timida dal ricordo della fuga in Egitto, quel giorno lontano. Un rimorso che non l’aveva mai abbandonato nei secoli e lo aveva portato a dare continuamente il massimo, per cancellare, con le sue azioni presenti, quello che considerava uno dei pochi errori della sua vita. –"Non ci scuseremo mai abbastanza per..:"

"Lo avete già fatto e non dovete rifarlo! Non ve l’ho mai chiesto, né ve lo chiederò adesso!" –Lo interruppe Zeus, mentre Ermes chinava il capo, un poco sconsolato. –"A dire il vero, mio vecchio amico, credo di poter affermare con tutta tranquillità che dei Dodici Olimpi voi riuniti in questa stanza siete coloro a cui sono maggiormente legato, coloro che meno mi hanno deluso e più mi hanno reso fiero! Fiero di essere vostro padre, vostro sposo o semplicemente il vostro Dio! Mia figlia Atena, che da quando le affidai l’amministrazione della Terra ha sempre lottato contro le forze avverse e soverchiatrici, disposta persino a dare la vita per ciò in cui crede! Mio figlio Efesto, abile e instancabile lavoratore, capace di produrre le migliori armi e corazze che un re sia degno di far indossare al proprio esercito! La premurosa Demetra, sorella placida e sempre attenta alla cura dell’ambiente circostante, di cui sa avvertire gli umori e le paure. Il fido Ermes, sempre pronto a solcare i cieli dell’intero pianeta pur di consegnare con rapidità e solerzia un mio messaggio! E la mia dolce sposa, compagna di vita, al cui fianco ho visto sorgere e morire mondi e soli, l’unica in grado di lenire gli affanni del tempo!"

A quelle parole Ermes parve riacquistare colore, sollevando la testa con occhi felici, mentre Era, Demetra e Atena sorridevano commosse e persino Efesto annuiva convinto.

"Ricordate la stirpe degli Olimpi? Dodekatheon ci chiamavano gli uomini e così ci hanno dato perpetua memoria in statue e dipinti, ammiratori della nostra immortalità! Una condizione che alla fine non si è rivelata tale, almeno per alcuni di noi!" –Riprese a narrare Zeus. –"Di dodici, in sei siamo qua, mentre altrettanti sono caduti, e assieme a loro molti Dei minori! Il primo è stato Apollo, il quale, non memore della punizione che io e Avalon gli infliggemmo secoli addietro, scelse di scendere in campo da solo, per sterminare gli umani che avevano smesso di adorarlo. Si servì persino di alcuni Cavalieri di Atena, riportandoli in vita, incantati da chissà quale promessa di gloria o vendetta, oltre che di tre Cavalieri della Corona, quel che restava delle sue antiche legioni, trovando però la morte per mano degli eroici combattenti di mia figlia.

A seguire furono Nettuno e Ade ad essere sconfitti, per quanto il secondo non facesse parte della cerchia dei Dodici, avendo sempre dimorato nelle lande dell’Elisio, al di là della disperazione dell’Inferno. Quindi, durante la guerra consumatasi proprio qua, in questa reggia sacra, caddero Estia, che aveva ceduto a Dioniso il proprio posto nel concilio degli Olimpi, preferendo vivere tra gli uomini, l’avvenente Afrodite e lo stesso Signore del Vino, massacrati dai figli bastardi del Dio della Guerra!"

Zeus si fermò un attimo, dando tempo a tutti di ripensare agli eventi recenti e al figlio di reprimere un singhiozzo, che il solo nome della sua bellissima sposa gli aveva strappato.

"Dopo di loro fu il turno di Ares, punito per la guerra infame che aveva di nuovo scatenato, ereditando il lato peggiore del collerico carattere dei suoi genitori, e dell’intrepida Artemide, ultima a cadere degli Dei di Grecia. Di entrambi, nemmeno il corpo ci è rimasto, da commemorare a memoria delle loro azioni, buone o malvagie che fossero, ma sempre dettate da una volontà forte e estrema!"

"Se avessi il corpo di Ares tra le mani… le pene dei dannati in Ade sarebbero ben minima cosa rispetto alla sofferenza che infliggerei a quel bastardo! Vile traditore, per causa sua e della sua stirpe iraconda troppo sangue è stato versato! Sangue di chi avrebbe dovuto… continuare a vivere!" –Esclamò Efesto, infervorandosi, prima che il morbido tocco della mano di Ermes sulla sua spalla lo facesse voltare verso gli occhi del Messaggero, per lui un compagno ma anche un amico, e placare.

"La tua rabbia è giustificata, figlio mio, e ben la comprendo, poiché al pari tuo anch’io molto ho perso in una guerra che può dirsi grande solo per il numero dei caduti!" –Riprese Zeus. –"Duecentosettantaquattro sono i Cavalieri Celesti caduti sull’Olimpo o andati incontro a prematura morte nelle folli imprese cui Flegias li destinò, al Tempio Sottomarino, per recuperare il vaso di mio fratello e servirsene, o in Grecia e in Asia, tramutando uomini che avevano vissuto una vita intera da eroi, per proteggere quel che consideravano il paradiso, in demoni destinati all’Inferno. Questo senza contare Morfeo, Ebe, Eos, e i tanti Cavalieri e fedeli alle altre Divinità, come ad Afrodite e Dioniso, e la Legione di Glastonbury, sterminata nell’attacco all’Isola delle Ombre! Di tutti loro, di quegli spiriti grandiosi il cui nome uno ad uno ricordo, scolpito nella mia mente, a memoria imperitura dei miei errori e delle mie debolezze, rimane soltanto il più giovane, e forse il più umano tra tutti!"

"Di lui puoi soltanto essere fiero, Padre!" –Commentò allora Atena, con voce ferma ma pacata, a cui Pegasus e i suoi amici avevano raccontato le gesta del Luogotenente dell’Olimpo, il primo che aveva osato mettere in dubbio le decisioni del Sommo, non ritenendole giuste. –"Come di tutti coloro che amavi e che la guerra ti ha strappato! Perdonami se ti interrompo, e mi perdonino gli altri se le mie parole possono sembrare saccenti, ma credo di conoscere meglio di voi, di tutti voi, quella sensazione di perdita e dolore che domina adesso il vostro animo! Per tutti questi secoli in cui siete rimasti sull’Olimpo, ad osservare con distacco il flusso di eventi terrestri, io ho invece avuto modo di esservi immersa e di sentire, sulla mia propria pelle, il peso di scelte talvolta ingrate ma necessarie per impedire che il mondo scivolasse sotto il tacco di un re oscuro e liberticida! E dalle mie scelte sono dipese le vite di migliaia di uomini, di migliaia di Cavalieri che, fin da quando Nettuno scatenò i primi sette Generali contro di me, si sono schierati al mio fianco, a difendere la giustizia e la libertà della Terra! Perciò, mio magnifico Padre, e tu, fratello dall’animo gentile, non torturatevi l’animo più del necessario, poiché coloro che avete amato, e che tuttora amate, non vi lasceranno mai! Rimarranno sempre con voi, al sicuro nel vostro cuore, e là li ricorderete, felici al pensiero che niente più possa sfiorarli!" –Sospirò infine Atena, gli occhi leggermente umidi al pensiero di tutti coloro che le erano stati fedeli nel corso dei millenni. Cavalieri, apprendisti, soldati, oracoli e sacerdotesse, un numero impossibile da rimembrare, che neppure gli annuali del Santuario avrebbero potuto indicare correttamente. Ma per tutti aveva lasciato un posto nel suo cuore. Quello era sempre stata la sua forza più grande, e il suo più grande dolore.

"Un bellissimo discorso…" –Commentò allora Ermes, e anche Demetra annuì.

Soltanto Era rimase in silenzio, racchiusa nei suoi pensieri, ripensando a comportamenti del suo passato di cui non andava più fiera, memorie di un tempo in cui la gelosia e la paura di perdere Zeus le avevano fatto perdere il controllo di se stessa, trasformandola in una Divinità sadica e guerrafondaia.

"Le tue parole, Atena, non fanno che confermare quanto stavo dicendo, quel che sono giunto a realizzare in secoli di riflessioni! Che per quanto fossimo un’unica famiglia, generati dallo stesso fato, uniti in realtà non siamo stati mai!" –Esclamò il Sommo, abbandonandosi a un mesto sospiro. –"Tranne quando si è trattato di perseguire un obiettivo comune, come quello di scalzare Crono, il Divoratore, all’alba della storia degli Olimpi, e combattere contro i Titani. Quella mostruosa guerra, che pochi anni or sono il mondo ha rischiato di conoscere nuovamente, fu il primo tentativo messo in atto da me, Ade e Nettuno di dare vita ad un progetto unitario, un progetto che comprendeva la spartizione della Terra tra di noi, sperando in questo modo di garantire l’equilibrio! Ma abbiamo fallito, e le Guerre Sacre che hanno insanguinato il mondo fin dagli albori ne sono sanguigna testimonianza! E quest’incomprensione sorta tra i più potenti figli di Crono e di Rea ha poi caratterizzato anche le nostre discendenze!

Non vi è mai stata realmente pace tra i Dodici, e lo dimostrano i continui scontri che mia figlia e i suoi Cavalieri sono stati costretti ad affrontare. Prima contro Nettuno, poi contro Ares, Ade e Apollo. Ciascuno convinto delle proprie ragioni, ciascuno convinto di poter riforgiare il mondo a propria immagine e somiglianza, scontenti forse di quel che avevano, invidiosi forse del mio dominio. Ma tutti destinati a fallire, a veder naufragare le loro speranze contro gli scogli dei Cavalieri di Atena!"

"Padre… voi mi lusingate…" –Mormorò Atena, cui Demetra, seduta al suo fianco, carezzò affettuosamente una gamba.

"Dico il vero! Hai combattuto bene, Atena, e lo hai fatto anche per noi! Per quanto non ritenga che, nei tempi passati, Nettuno o Ade avrebbero potuto sconfiggermi, protetto com’ero da una solida muraglia di Cavalieri e Ciclopi Celesti, certamente il possesso della Terra da parte di uno di loro avrebbe alterato l’equilibrio, garantendogli il dominio di due mondi. Una condizione inaccettabile!" –Spiegò Zeus. –"Avrei dovuto prestare più attenzione a ciò che avveniva nel mondo degli uomini, così vicino e al tempo stesso così lontano, e frenare le ambizioni dei miei fratelli e figli. Ma non volevo intromettermi, poiché al loro posto anch’io avrei mal visto le intromissioni di un’altra Divinità. Così l’unione fittizia che ci aveva inizialmente legato è venuta meno e ognuno ha preso la sua strada. Ma adesso è necessario tornare alle origini, recuperare quella comunione di intenti che ci ha legato contro il nostro primo nemico! È condizione imprescindibile se vogliamo sopravvivere all’era oscura che si sta aprendo!"

"Mio sposo…" –Si lasciò sfuggire Era, che mai aveva sentito Zeus parlare con toni così cupi, neppure quando Ares e Tifone avevano minacciato l’Olimpo.

"Come ci unimmo un tempo contro i Titani, ugualmente dobbiamo farlo oggi!"

"La nostra fedeltà alla causa è assoluta, Sommo Zeus!" –Esclamò Ermes, alzandosi in piedi e battendo il pugno sul cuore. E anche Efesto e Atena annuirono.

"Di ciò sono certo, mio buon amico! Ma non è per questo motivo che vi ho convocato, bensì per rendervi partecipi di una mia decisione! Alla luce di quanto vi ho detto, e delle forze oscure che stanno scendendo in campo, ritengo che avremo bisogno di ogni aiuto disponibile! Per questo ho chiesto ad Avalon di portarmi il Vaso di Atena, che i Cavalieri delle Stelle asportarono dal Tempio Sottomarino per impedire che i figli di Ares se ne appropriassero, di modo che, con esso, potremo risvegliare mio fratello Nettuno!"

A quelle parole tutti gli altri Dei si zittirono, ammutolendo in un silenzio improvviso, causato da una dichiarazione che aveva ghiacciato ogni euforia. Soprattutto Atena non riusciva a parlare, incapace di comprendere come suo Padre potesse volere una cosa simile, dopo aver ammesso gli errori degli altri Olimpi.

Si fece coraggio, spostando i lunghi capelli viola dietro le spalle, e chiese infine a Zeus spiegazioni.

"So che il tuo ultimo incontro con Nettuno non è stato piacevole, figlia mia, e so che sei invasa dal timore che un nuovo scontro possa prendere forma!" –Le disse il Padre degli Dei, avvicinandosi. –"Ma non devi temere, poiché il risveglio dell’Imperatore dei Mari, non previsto quest’oggi come non lo era lo scorso anno, servirà solo alla nostra comune causa, ingrossando di un alleato le nostre fila!"

"Pensi davvero che sia giusto, Padre? Strappare di nuovo Julian Kevines al suo mondo e lasciare che lo spirito di Nettuno lo invada un’altra volta, rischiando di mettere in pericolo la sua vita, oltre a quella di milioni di innocenti? Non ricordi quanti sono morti per le piogge continue e i maremoti che tuo fratello scatenò l’anno scorso in tutto il mondo?!"

"Non a Julian Kevines mi riferivo, Atena, ma al vero Imperatore dei Mari, la cui forza hai soltanto intravisto in occasione del vostro ultimo scontro, confinata in un corpo che non poteva contenere a pieno la sua vera potenza!" –Precisò Zeus.

"Non… a Julian?!" –Balbettò Atena, presa alla sprovvista. E anche Demetra e Ermes si guardarono incuriositi, mentre Era chinava il capo, non sorpresa dalla rivelazione. Aveva sentito Zeus parlare con il suo Luogotenente poche ore prima e sapeva dove sarebbe andato a parare.

"Sto parlando del corpo divino di mio fratello, intriso della sua vera essenza, non l’involucro umano che usava ogni volta in cui voleva reincarnarsi sulla Terra!"

"Il corpo mitologico di Nettuno?! Non ne vedo le fattezze da molto tempo… da… dallo sprofondamento di Atlantide!!!" –Rifletté Atena, sgranando gli occhi e capendo adesso il progetto di suo Padre. –"È là che si trova?!"

"Precisamente!" –Confermò Zeus. –"Dopo la sconfitta che i tuoi Cavalieri inflissero alle schiere di Generali e Soldati degli Abissi, Nettuno ritenne opportuno mettere in salvo il suo vero corpo, conscio del potenziale mostrato dal tuo esercito! Così lo celò in un tempio della sprofondata Atlantide, il suo primo e stupendo regno, cullato dalle onde degli oceani da lui amati e al sicuro da qualsiasi pericolo!"

"Questo spiega perché, da allora, si sia servito di un membro della famiglia Kevines, gli imperatori economici dei mari, per non mettere a repentaglio la sua forma ultima!" –Intervenne allora Ermes, a cui Zeus annuì. –"Proprio come Ade preferiva scegliere il corpo dell’uomo più puro della Terra, anziché rischiare il proprio!"

"Atena, devo proprio ammetterlo, sei stata una spina nel fianco per i miei fratelli più di quanto loro si siano mai degnati di ammettere, spingendoli a nascondere persino la loro vera essenza, impauriti dalla prospettiva di perderla! Prospettiva che tu, e i tuoi valenti condottieri, avete generato in loro!" –Sorrise il Sommo.

"In un certo senso… è allora a causa mia se Julian, i suoi antenati e altre persone hanno tanto sofferto, posseduti dalla smania di potere di un Dio che continuamente cercava la sua rivincita sui Cavalieri della Speranza da me mandati a morire!" –Mormorò Atena, socchiudendo gli occhi e abbandonandosi ad un sospiro.

"Hai fatto ciò che dovevi fare! Ciò che il tuo ruolo di faro delle umane genti ti ha imposto! Lo hai detto tu pochi minuti fa, non crucciarti di coloro che sono andati poiché sono caduti per quello in cui credevano!" –Le disse Zeus, prima di volgere le spalle ai presenti e iniziare a risalire la scalinata di marmo. –"Il Vaso di Atena ci sarà consegnato tra poco! Ho già dato ordini al Cavaliere dell’Eridano Celeste di recarsi ove giacciono i resti di Atlantide, assistito da una persona di massima fiducia, ma vorrei che anche tu, Ermes, andassi con loro! Tu che conosci bene la dislocazione dei templi sull’isola inabissata, essendotici recato spesso per consegnare i miei dispacci, porterai loro lo spirito di Nettuno, necessario affinché il risveglio avvenga!"

"Come comanda, mio Signore!" –Esclamò prontamente il Messaggero dai sandali alati, alzandosi e accennando un inchino, prima che Atena richiamasse il Sommo, tornando al tono formale che aveva sempre caratterizzato i loro incontri.

"Dunque è stato tutto già deciso? Non ritenete, Padre, che sarebbe opportuno parlarne assieme, per capire se questa frettolosa decisione sia davvero conveniente? O se non possa costituire un ulteriore pericolo per la Terra?"

"Lo abbiamo fatto, mi pare! E una decisione su cui ho meditato per mesi non la definirei frettolosa, Atena! Volevo soltanto rendervene partecipi…"

"Capisco…" –Si limitò a rispondere la Dea della Guerra Giusta. –"Spero solo che non avremo a pentircene!"

Zeus non rispose, sedendosi nuovamente sul trono ed espandendo il proprio cosmo, che squarciò come un fulmine il cielo di Grecia, trepidando verso nord, fino a lambire i confini estremi dell’Europa, dove una tempesta di diversa natura stava avendo luogo.

***

Mentre gli Olimpi erano riuniti a concilio nella Sala del Trono, Euro, Vento dell’Est, camminava con Mur dell’Ariete fuori dalla Reggia di Zeus, nell’alberato viale dove il Cavaliere d’Oro, assieme a Scorpio, Virgo e Andromeda, aveva combattuto contro i Cavalieri Celesti guidati da Giasone della Colchide. E dove, in seguito, aveva affrontato persino Tifone, un mostro leggendario, di cui aveva sentito parlare soltanto dal suo maestro, il grande Shin dell’Ariete, che un giorno aveva inviato uno dei Cavalieri d’Oro in Sicilia, per prevenire un suo possibile risveglio.

"Micene…" –Mormorò il discendente del popolo di Mu, ricordando l’energico giovane che aveva permesso a tutti loro di essere là quel giorno.

"Come scusa?!" –Ripeté il figlio di Eos, che passeggiava a fianco dell’Ariete.

"Oh, perdonami, Vento dell’Est! Mi stavo perdendo nei ricordi! Pensavo a quanto la vita umana sia piena di scelte. Nessuna di esse è casuale e soprattutto nessuna è priva di conseguenze. Anche la più piccola, quella che potrebbe sembrare la più insignificante, può portare a dei risultati!" –Commentò Mur, prima di sollevare lo sguardo verso il cielo, quasi a veder risplendere la costellazione del Sagittario sopra di sé.

E tu, quella notte, scegliesti per il bene di tutti noi. Per la salvezza di tutte le genti, dando la vita come un martire, per onorare quel che credevi sacro. Oh Micene, avrei voluto conoscerti di più, perché da te tutti avremmo potuto imparare!

"Credo che il concilio si prolungherà per qualche ora!" –Spiegò Euro. –"E ho l’impressione che Zeus aspetti una visita importante! Ha dato ordine a Ganimede e alle ancelle di preparare un banchetto nella Sala delle Feste, evento che non si verificava da prima dello scoppio delle ostilità con Atene!"

"Come mai tu non ne hai preso parte?"

"Oh, le questioni di politica non mi interessano, Cavaliere di Ariete! Inoltre, anche se avessi voluto, non sarei stato ammesso a una riunione degli Olimpi, non facendone parte! Né mia madre era una di loro, discendente diretta del Titano Iperione!" –Spiegò Euro, nient’affatto dispiaciuto all’idea di poter respirare l’aria dell’Olimpo, anziché rinchiudersi in nebulose riflessioni. –"Inoltre Phantom e Ascanio potrebbero aver bisogno di aiuto, e preferisco tenermi disponibile! Non che mi piaccia, lo sai bene, scendere in guerra, un atto che disprezzo al solo pensiero, ma come già ti dissi durante il nostro precedente incontro credo stia arrivando un momento in cui le visioni personali di ognuno di noi debbano essere abbandonate, in nome di un’unità di intenti! Come potremmo altrimenti resistere all’oscurità montante?"

Mur non disse niente, per quanto avrebbe voluto avere maggiori informazioni sulla missione dei due Cavalieri Celesti cui Euro aveva fatto riferimento, ma si limitò ad ascoltare interessato il soliloquio del figlio di Eos, solitamente piuttosto schivo nei rapporti interpersonali.

"Li senti anche tu, vero? I venti di guerra che spirano sull’intero pianeta! Ne percorrono la superficie, spazzando via ogni certezza di infinito, ogni speranza nel futuro!" –Riprese infine, fissando Ariete con occhi in cui Mur parve perdersi, tanto erano profondi e colmi di antichi riflessi. –"Qualcosa di terribile sta per accadere, qualcosa di fronte al quale gli inganni di Flegias e i tentativi imperiali di Nettuno, Ade e Ares erano ben poca cosa! Un’ombra incombe sulla Terra tutta, un’ombra come mai l’ho percepita. Un’oscurità primordiale da cui nessuno potrà fuggire!"