PROLOGO
Con la fine della guerra fredda, il crollo del blocco comunista russo e dei suoi satelliti, anche la Cina rossa stava lentamente aprendosi al mondo. All’inizio degli anni ‘80, con l’innovativa politica di Deng Xiaoping, si iniziarono in alcune piccole aree le prime prove tecniche di "economia di libero mercato". In seguito, con l’introduzione nella costituzione cinese del concetto squisitamente occidentale della proprietà privata, la rivoluzione economica travolse il paese: dapprima solo nelle grandi zone industriali e commerciali lungo la costa, poi anche nelle immense regioni rurali dell’area continentale di cui faceva parte GORO-HO.
In una vecchia stazione di servizio lungo la statale che passa a qualche chilometro dal villaggio ai piedi di GORO-HO, da qualche anno si è approntato un rudimentale drug-store. Certo non è pomposo e accattivante come quelli americani, con le loro distese di coloratissime insegne luminose che pubblicizzano miriadi di servizi ed enormi piazzali ingombri di camion e mastodontici pick-up, anzi, se non fosse per il panorama di risaie con all’orizzonte i monti ricoperti di boschi, degno di una stampa giapponese, l’ambientazione sarebbe alquanto squallida.
Non vi è alcuna insegna. Il drug-store è una semplice costruzione in muratura di forma rettangolare col tetto piatto. Praticamente un capannone, con un’officina sul retro per la manutenzione dei pochi veicoli che circolano da quelle parti, per lo più mezzi agricoli, e una porta di legno in foggia semplice sulla strada, da dove entra la clientela.
Affiancate alla porta due ampie finestre illuminano l’interno e fungono da vetrine. Intorno alla costruzione si estende uno spiazzo di ghiaia, occupato sul lato destro da alcuni rottami: carcasse di vecchie Beijing1 e Shanghai1 che giacciono lì come esoscheletri di giganteschi insetti, sicuramente cannibalizzate nel corso degli anni per mantenere in funzione altre loro sorelle più fortunate. Sul lato sinistro, invece, è parcheggiata una vecchia autocisterna in grigio-verde di fabbricazione russa.
Appollaiate su uno zoccolo di cemento, e protette da una tettoia in lamiera ondulata, sono ancora in funzione due anonime pompe di servizio anni ’50, rabberciate alla bell’è meglio, con la vernice ripresa in più punti e le cromature opacizzate.
L’interno del locale è la concretizzazione del concetto di accumulo. Lungo le scansie metalliche che ricoprono le pareti, si può trovare ogni genere di prodotto: dal sapone per bucato in tranci grossi come mattonelle a una dozzina di copertoni per auto, dalle trecce di aglio alla birra.
Ce n’è per tutti i gusti, anche per i clienti più difficili. Come quello che si presentò qui un po’ di tempo fa.
Sembrava una visita qualunque. I campanelli appesi al telaio della porta si misero a tintinnare, e una minuta figura di ragazza uscì dalla tenda che occultava la porta dietro al pesante bancone di legno.
–Buon giorno!– esclamò, facendo istintivamente seguire al saluto un accenno di inchino. Poi alzò il capo, e trasalì alla figura che le si parava dinanzi: un uomo altissimo, anzi, un vero gigante, e con addosso una divisa che… beh, ne aveva viste tante di divise nella sua vita, fin da piccola, ma come quella mai!
Sembrava un’armatura scintillante, argentea, con tanto di gorgiera riccamente decorata con alamari a fasciare il collo, il coprispalle, un corsaletto che copriva petto e addome fino alla cintola e cingeva tutto il busto, e il fiancale a cadere su un gonnellino blu scuro molto simile al kilt scozzese, lungo al punto da nascondere le ginocchiere, che facevano tutt’uno con gli schinieri e gli stivali. Gli avambracci e le mani erano protetti da bracciali e manopole.
La giovane commessa rimase esterrefatta.
L’aspetto di quel cliente aveva un che di famigliare, gli ricordava qualcuno, ma in quel momento non riusciva proprio a coordinare i pensieri. Il suo aspetto era sì orientaleggiante ma aveva la pelle abbronzata, scurissima, e i capelli lunghi, lisci e lucidi che gli arrivavano una spanna sotto le spalle, di un brillante colore … rosso! Rosso era anche l’iride degli occhi.
La ragazza continuava ad osservarlo a bocca aperta fino a quando il cliente non parlò.
-Coca Cola!– disse il cliente con voce ferma e decisa.
-Co… Come?–
-Coca Cola!–
-Non … non abbiamo Coca Cola – rispose meccanicamente la ragazza con il naso all’insù e lo sguardo rapito da quegli strani occhi rossi.
-Coca Cola!– ripeté il cliente più lentamente, scandendo le parole.
-Noi non abbiamo la Coca cola. Abbiamo solo la Pepsi. Pepsi. Capisce?–
-Coca cola!– ripeté il cliente stavolta aggrottando le sottili sopracciglia rosse.
A quel punto la ragazza indietreggiò lentamente verso la tenda e chiamò, con voce tremante, qualcuno nel retro bottega.
Si sentì brontolare in cinese da dietro la tenda, e dopo qualche secondo si materializzò un ragazzetto dall’aria annoiata con indosso una tuta blu da meccanico. Fece per interrogare la ragazza sul motivo di quella chiamata, ma la risposta fu immediata appena sollevò lo sguardo.
Sussultò
-Coca Cola! – richiese il cliente con voce ferma posando lo sguardo su di lui. Nella sua voce si percepiva chiaramente un principio di irritazione.
-Co… Come? No …No, non abbiamo la Coca Cola ma P.. Pepsi – disse tremante il ragazzo, indicando con un dito un pallet di lattine blu con il tao tricolore vicino alle scansie alla sua sinistra.
Appostandosi di lato e costeggiando il muro con la schiena, sempre sotto lo sguardo inquietante di quello strano tipo, si avvicinò alla catasta di pacchi da ventiquattro lattine ancora impacchettati nel cellophane, prese un pacco in cima alla pila e lo mostrò al cliente tendendo le braccia e sforzandosi di sorridere. Il cliente scrutò con sguardo severo le lattine per qualche istante come a ponderare l’acquisto, mugugnando qualcosa di incomprensibile, poi sfoggiò un sorriso rassicurante e fece un accenno di assenso col capo.
La vendita era conclusa.
Il ragazzo posò il pacco sul bancone e impartì un ordine alla ragazza, che immediatamente tirò fuori da sotto il banco un pallottoliere di legno e con maestria spostò le sfere colorate da una parte all’altra sotto lo sguardo incuriosito del gigante che si era sporto sul bancone.
Pochi attimi dopo la ragazza comunicò al cliente il conto. L’espressione del gigante ora era perplessa e dai suoi brillanti occhi rossi traspariva un certo imbarazzo.
La ragazza, vista l’espressione, ripeté lentamente la cifra. Ora l’imbarazzo del gigante era evidente: non capiva ciò che dicevano.
A quel punto il cliente apri la borsa di cuoio che portava sotto la cintola e vi frugò dentro. La borsa assomigliava molto alle sporrans scozzesi, con vari disegni geometrici stampati sul cuoio e una spessa bordatura di metallo argenteo. Sembrava un gigantesco portamonete.
Vi tirò fuori un foglio verde e lo posò delicatamente sul bancone con un sorriso smagliante. I due gestori guardarono il rettangolo di carta verde e sgranarono gli occhi.
Era una banconota da cento dollari!
Dallo sguardo gioioso dei gestori il cliente capì che il conto poteva considerarsi saldato. Rapidamente prese il pacco di lattine, fece un inchino di cortesia, si girò su se stesso, e con un passo maestoso in un fulgore argenteo si allontanò spostando i lunghi capelli rossi dietro le spalle.
La porta si richiuse dietro di lui, così come l’aveva aperta, senza toccarla.
1 Case automobilistiche cinesi tutt’ora presenti sul mercato con veicoli di derivazione europea o giapponese di qualche anno fa