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ir la guaritrice e Hilda rimasero per lungo tempo al capezzale di Hyoga. Dapprima lo osservarono attentamente e poi Eir cercò di visitarlo, tentando di farlo parlare nei momenti in cui sembrava riprendere la lucidità. |
Freija le osservava, in silenzio, seduta in un angolo della stanza. Hyoga era pallido, i suoi movimenti erano sconnessi e la sua respirazione irregolare. Tratteneva a stento le lacrime nel vederlo in quello stato di irrequietezza, poi di torpore. Avevano cercato di tenerla lontana, perché temevano che si sentisse male ma la principessa aveva rifiutato con decisione di allontanarsi. Si era passata una garza bagnata sul collo, per pulire dal sangue il taglio superficiale, ma niente di più.
Eir era tesa in volto, parlò poco e a bassa voce. Si scambiava lunghe occhiate con Hilda.
‹‹Si lamenta del bruciore alle ferite, non dovrebbe. Ha febbre e brividi di freddo…››.
Eir annuì. ‹‹Improvvisi e intensi attacchi d’ansia e inquietudine, sudorazione e sete insaziabile di acqua. Hai visto le zone di pelle secca e arrossata?››. Hilda annuì. ‹‹Cosa pensi?›› chiese pur avendo già tratto le sue conclusioni.
‹‹Non saprei››. Hilda guardò Freija, e strinse le labbra, abbassando la voce ad un sussurro. ‹‹Andiamo a parlarne altrove››.
Eir si disse d’accordo, poi chiamò Freija perché si avvicinasse.
‹‹Te la senti di restare…?››. Freija annuì in fretta. ‹‹Attizza sempre il fuoco, non lasciare che si spenga, la stanza deve essere calda. Ed evita che entrino correnti fredde››. Indicò una brocca sul tavolo. ‹‹È importante che beva molta acqua. Può darsi che si agiti e si dimeni, non t’impressionare…››.
‹‹Non lo farò›› disse la ragazza guardando il moribondo. ‹‹Ma qui fa caldo…e lui suda…›› balbettò.
‹‹È una reazione al v…››. Hilda si morse le labbra. ‹‹Abbi fiducia, Freija, fa come dice Eir››.
‹‹Sta così male…non è colpa solo delle ferite, vero?››. Freija guardò intensamente le due donne.
‹‹No›› ammise Eir. ‹‹Non ti preoccupare, Freija. Troveremo una cura per il suo male››.
Freija andò a sedersi vicino a Hyoga e lì rimase, a vegliarlo e accudirlo, fino al loro ritorno.
‹‹Perché non hai voluto dirglielo›› domandò la guaritrice mentre si allontanavano.
‹‹È importante che stia calma, non è questo che dici sempre?›› replicò Hilda, lei stessa agitatissima.
L’attesa prolungata si fece snervante per Hilda. Il laboratorio officinale, quello che considerava un luogo accogliente, la rendeva inquieta. Cominciò a guardarsi attorno in maniera frenetica, tesa in viso e in ogni muscolo, quasi si aspettasse che da un momento all’altro le pareti stesse gli fornissero la soluzione al loro problema.
Invece, tutto taceva, e l’unico rumore era il ritmico rumore delle pagine dei libri sfogliati da Eir. La guaritrice era impegnata nella sua ricerca, aveva smesso di parlare appena aveva avuto tra le mani i suoi preziosi tomi.
‹‹Allora?››.
Eir sospirò. ‹‹È stato avvelenato, Hilda. Questo l’avevi capito anche tu, immagino›› rispose semplicemente.
‹‹Sì, ma con cosa?››.
‹‹Ancora non sono sicura…››.
Eir era il tipo di persona che non avrebbe mai detto qualcosa di cui non era assolutamente sicura. Hilda era certa che la guaritrice, grazie alla sua esperienza e alle grandi conoscenze in campo omeopatico e medico, avesse già individuato quale fosse il veleno utilizzato nelle frecce. Eir estrasse un altro libro da uno scaffale e, dopo aver fatto posto, lo posò sul suo tavolo assieme agli altri già consultati. Cominciò a sfogliare le pagine ingiallite e alla fine puntò l’indice.
‹‹Ecco qua, come sospettavo!›› esclamò con aria trionfante ma grave. ‹‹L’Elmo di Odino…›› sussurrò.
Hilda corse da lei e si chinò sul libro. ‹‹Quest’erba è… aconito!››.
‹‹Esatto›› annuì Eir, ‹‹ed è una pianta molto velenosa in quanto, come saprai, da foglie, fiori, e soprattutto dalle radici, si estrae un veleno potentissimo, mortale. La sua particolarità è il rapido assorbimento, addirittura attraverso la pelle, anche se integra››.
‹‹Dunque, la freccia che l’ha colpito era intrisa di questo terribile veleno!››. Hilda passò la mano sulla pagina e si oscurò in volto. ‹‹Morirà…?››.
‹‹È incredibilmente forte e sta resistendo… ma ora non potrei profetizzare la salvezza›› rispose Eir con un filo di voce. ‹‹Il pericolo maggiore deriva dagli effetti paralizzanti che il veleno può avere sul cuore e sulla respirazione e, quando l’abbiamo visitato, aveva già perso la sensibilità agli arti. È cosa certa, però, che se la freccia avesse raggiunto il suo reale obiettivo, l’esito sarebbe stato diverso e l’agonia più breve››.
‹‹Quelle frecce erano per me…››.
Hilda era rimasta scioccata dagli eventi. Leif aveva ordito un articolato piano che aveva come unico scopo la conquista del potere su Ásgarðr e la sua morte. Restava immobile, con gli occhi fissi nel vuoto, spalancati, e un’espressione terribilmente angosciata.
‹‹Hyoga ti ha salvato la vita, Hilda›› disse Eir indaffarata. Si affaccendava da una parte all’altra del laboratorio, in cerca di un antidoto efficace contro l’avvelenamento da aconito. ‹‹Non saresti di certo sopravvissuta, ma lui si può ancora salvare. Riprenditi e aiutami!››.
Hilda si sentì svenire al solo pensiero che Hyoga sarebbe potuto morire. Trattenne le lacrime perché si rendeva conto che non era quello il momento della disperazione. Guardò Eir che rovistava tra i vasi di terracotta e gettava rapide occhiate ad alcuni libri aperti sul tavolo.
Niente è ancora deciso!
‹‹Non lo lascerò morire!›› esclamò con decisione.
‹‹Di questo ho bisogno›› disse la guaritrice. ‹‹Della tua grinta!››. Eir le fece cenno di avvicinarsi e le mostrò i testi che stava consultando. ‹‹Il nostro problema è questo, che non si trova alcun rimedio…››.
‹‹Com’è possibile?››.
‹‹Per quel che so…potremmo provare con la digitale, ma…››.
‹‹La digitale è anche lei velenosa, è troppo pericoloso›› concluse Hilda.
‹‹Proprio così›› annuì Eir lisciandosi il mento. ‹‹Proveremo a preparare un antidoto›› disse poi disponendo sul tavolo alcuni recipienti. ‹‹Per cominciare, prepariamo un infuso con fiori di lavanda. Metti a bollire dell’acqua, poi in una ciotola aggiungi quattro pizzichi di fiori secchi e lasciali in infusione››. Mentre riferiva la ricetta, Eir era occupata nella preparazione di un secondo antidoto. ‹‹Useremo l’erba crociona, poi proveremo ad estrarre il succo dalle foglie di gelso nero. Ho sentito parlare di tutti questi rimedi, ma nessuno ha mai garantito la loro efficacia››.
‹‹Ci affideremo al caso?›› chiese Hilda preoccupata.
‹‹No di certo›› la rassicurò Eir. ‹‹La nostra arma segreta è l’aceto!››.
‹‹Aceto?››.
‹‹Bevuto in grandi quantità›› precisò Eir, indaffaratissima. ‹‹Non sarò mai grata abbastanza ad Ingulf per avermi insegnato tutto questo! Sarò un problema farlo ingurgitare a Hyoga, ma dobbiamo riuscirci›› concluse guardando Hilda dritta negli occhi.
La sacerdotessa, avvolta dai fumi profumati della lavanda, guardava con ammirazione la guaritrice che valutava con occhio esperto le giuste dosi di droga da utilizzare e ringraziò gli dèi per averle concesso l’opportunità di lavorare con Eir, giovane ma esperta conoscitrice di medicina.
‹‹Possiamo finire il nostro infuso›› disse Eir con un sorriso avvicinandosi a Hilda. Con calma, filtrò il contenuto del recipiente in una tela e spremette bene per rendere più concentrato il liquido.
‹‹Faglielo bere, tutto››, ordinò a Hilda porgendole la ciotola. ‹‹Ti raggiungo appena sono pronta›› aggiunse indicando il suo tavolo da lavoro.
Freija stringeva la mano di Hyoga e piangeva in silenzio. Hyoga era piombato in uno stato di torpore irrequieto, e Freija per confortarlo, di tanto in tanto, gli sussurrava qualche frase. Gli asciugava l’abbondante sudore, e lo faceva bere, perché nei momenti in cui si svegliava si lamentava per la sete. Ogni tanto si voltava di scatto verso di lei con gli occhi sbarrati, ma il suo sguardo sembrava passarle attraverso.
Hilda, che era arrivata silenziosamente, osservò Freija attraverso la fessura della porta socchiusa. Prima di entrare, pestò i piedi per terra, emulando il rumore di passi in avvicinamento, e vide Freija asciugarsi velocemente le lacrime. Quando entrò nella stanza, la principessa la guardò speranzosa, concentrandosi sulla ciotola che la sacerdotessa teneva fra le mani.
‹‹È un infuso›› rispose Hilda alla tacita domanda della sorella. ‹‹La lavanda gli porterà un po’ di sollievo›› aggiunse, ‹‹in attesa che arrivi Eir››. Freija annuì.
Hyoga aprì gli occhi quando lo misero a sedere ma faticò a bere l’infuso. Hilda lo fece adagiare ma gli mise dietro la schiena alcuni cuscini, per evitare che conati di vomito lo inducessero a rigurgitare.
Fortunatamente Hyoga rimase calmo. Muoveva la testa a destra e a sinistra, stringendo gli occhi come se tentasse di focalizzare la vista, e apriva la bocca per cercare di parlare ma emetteva solo qualche suono aspirato.
Eir portò finalmente la sua preparazione. Stavolta Hyoga bevve con minor sforzo e la guaritrice, sorridendo, spiegò che aveva aggiunto un cucchiaio di miele per dolcificare la bevanda che altrimenti sarebbe stata, al pari di quella alla lavanda, di sapore sgradevole. Eir osservò con attenzione le condizioni di Hyoga, sembrava serena e per nulla preoccupata, cosicché Freija e Hilda, si tranquillizzarono.
‹‹Bisognerà aspettare che faccia effetto›› spiegò Eir esaminando ancora le zone di pelle arrossate. ‹‹Ma vi posso assicurare che è incredibile la sua resistenza al veleno››.
‹‹Veleno?›› mormorò Freija.
‹‹Erano frecce avvelenate quelle che ha preso per salvarmi›› rispose Hilda. Nella sua voce c’era disperazione, un senso di colpevolezza.
‹‹Ha una fibra forte, chiunque altro sarebbe già morto per l’effetto devastante dell’aconito. Ed era già provato dalle percosse››. Eir calamitò l’attenzione di Freija. Era indispensabile che lei si occupasse di Hyoga, mentre la guaritrice e la sacerdotessa tentavano di trovare altre informazioni utili sul caso. ‹‹Freija, e ho bisogno del tuo aiuto››.
‹‹Cosa devo fare?››.
‹‹Stare con lui, semplicemente››.
Bussarono alla porta. Eir aprì ed entrarono alcune thraells che portavano due grandi fiasche.
‹‹Aceto›› svelò Eir in risposta agli sguardi interrogativi di Freija. ‹‹Ne dovrà bere in grande quantità›› disse.
‹‹Servirà?›› s’informò Freija un po’ restia ad obbedire.
‹‹Certamente›› assicurò Eir pur non essendo affatto sicura. Freija allora sorrise, e tornò a sedere vicino a Hyoga, con un boccale di aceto stretto nelle mani.
Nel pomeriggio Eir uscì assieme alla sacerdotessa alla ricerca di brugo, un arbusto ramificato le cui branche ramose potevano essere utilizzate per fare delle scope. Le due donne, ovviamente, utilizzarono le piante intere per preparare un decotto e, la sera, dopo aver preparato un bagno caldo addizionato dello stesso decotto, imbevvero pezze di cotone per massaggiare le braccia e le gambe di Hyoga.
Passarono tre estenuanti giorni.
Freija si coricava la notte tardi, si svegliava allo spuntare del sole e trascorreva il giorno intero seduta al capezzale di Hyoga, trascurando le sue esigenze personali, come riposarsi e nutrirsi per occuparsi solo di lui. In realtà restava seduta, per ore e ore, a fissarlo e a parlargli, in quanto Hyoga, in bilico tra la vita e la morte, fu incosciente per la maggior parte del tempo.
Hilda faceva compagnia alla sorella, di tanto in tanto, ed era sempre presente quando Eir lo visitava.
La guaritrice trascorreva molte ore sul tavolo da lavoro, scartabellando e studiando ma quella che faceva bere a Hyoga, tre volte per giorno, era sempre lo stesso preparato di erba crociona e gelso nero, l’unico rimedio che le era sembrato potesse essere di qualche utilità. E la sera, assieme a Hilda, massaggiavano gli arti di Hyoga con le pezze imbibite di decotto di brugo, e gli controllavano le ferite.
Eir, però, non diceva mai una parola di troppo, tenendosi stretta in quanto a rivelazioni su un miglioramento del Landvarnarmaðr, e l’attesa di qualche notizia era snervante per tutti coloro che le attendevano.
Freyr andava dall’amico due volte al giorno ma restava solo pochi minuti, perché non sopportava di vederlo in quello stato. Il principe era un combattente di gran valore e andava in battaglia col sorriso sulle labbra, sprezzante del pericolo. Più della morte, infatti, egli temeva la sofferenza e l’agonia che la precedevano ed era solito affermare che avrebbe preferito raggiungere Odino e la Valhalla dopo un bel fendente in pieno petto, piuttosto che sentire il richiamo delle Valchirie o diventare folle per il dolore.
Anche i capitani della guardia chiedevano spesso informazioni sulle sue condizioni. Magni era il più affranto di tutti e pregava di continuo gli dèi perché Hyoga si riprendesse presto.
‹‹Ce la farà perché è forte›› diceva ai compagni. ‹‹E mi deve punire per quello che gli ho fatto! Dopo, potrà fare quello che vuole… anche morire!››.
I capitani lo compativano e cercavano di farlo ragionare, perché, da quando Hyoga era stato ferito al Þing, Magni non aveva fatto altro che trangugiare birra e, per questo, era sempre alticcio e parlava a sproposito e non era nemmeno in grado di adempiere al suo dovere di capitano.
Helgi era sempre freddo e impassibile: sembrava che fosse in collera con lui, per via del supposto tradimento, e alcuni pensavano che quando le cose si fossero sistemate, cioè quando il Landvarnarmaðr fosse morto o salvo del tutto e quando Magni avesse smesso di bere, l’avrebbe cacciato dall’hirð.
Hadingus passava il tempo a lamentarsi di se stesso, rimproverandosi di non essersi accorto in tempo della congiura ai danni di Hilda, e dell’inaccettabile comportamento di Magni.
‹‹Avrei dovuto capire subito che quell’infame di Leif era un falso e un impostore! Fortuna sua che è morto, altrimenti l’avrei fatto a pezzi con le mie mani! E tu smetti di bere, prima che quel po’ di cervello che ti rimane anneghi nella birra!››.
‹‹Calmati, Hadingus›› gli ripeteva Hermóðr. Il Placido faceva, come sempre, da paciere e in quella sfortunata occasione il suo intervento fu decisivo perché impedì ad Hadingus di commettere una pazzia. Hermóðr era convinto che Magni fingesse di preoccuparsi di Hyoga ma che, in realtà, fosse disperato perché si rendeva conto del rischio che aveva corso la sacerdotessa anche per causa sua.
Anche Heimdallr si era fatto vivo al palazzo e aveva chiesto qualche informazione. Stranamente passava più tempo di quanto non avesse mai fatto alla Casa della Guardia, assieme agli altri capitani e aveva lasciato che fosse Henger ad occuparsi della sorveglianza del ponte e della cinta esterna.
Hyoga non si era ripreso ma le cure scelte da Eir sembravano almeno lenire le sue sofferenze. Poiché era inutile la sua continua presenza al laboratorio, restava ore e ore a guardare la guaritrice impegnatissima nelle sue ricerche, Hilda decise che era giunto il momento di ascoltare e prendere delle decisioni. Convocò Freyr e tutti i capitani, compreso Magni, perché desiderava che le spiegassero per filo e per segno il confuso svolgimento degli eventi, e li attese nella Válaskjálf.
‹‹Ho ascoltato brandelli di storie incredibili, complotti assassinii e battaglie. Pare che ognuno di voi conosca un pezzo di storia. Ora voglio che raccontiate ciò che sapete per cercare di ricucire questa ingarbugliata vicenda››.
Freyr si fece avanti. Con lui c’erano Skirnir e Herald figlio di Healfdene l’Alto.
‹‹Comincerò io, Hilda›› disse. ‹‹Io e Skirnir siamo andati ad Asabigð il giorno predente il Þing con Miskor il Fabbro della Birra ma incrociammo Eirik il Mezz’orecchio e la sua cricca. Deviammo e li seguimmo››.
‹‹Perché?›› chiese Hilda.
‹‹Nessun motivo particolare, veramente. Fu Skirnir che stuzzicò la mia curiosità. Gran parte del merito va a lui››.
La sacerdotessa alzò gli occhi sul thraell, invitandolo a parlare. Skirnir fece un passo avanti, a testa bassa.
‹‹Conoscete tutti la cattiva reputazione del Mezz’orecchio e non c’è bisogno di ricordare tutte le meschinità per immaginare che dietro ad ogni sua azione si possa nascondere un secondo fine. Quello che dissi era semplicemente un ricordo che avevo di Eirik e dei suoi compari››.
‹‹Non ti dilungare›› esortò Hilda.
‹‹Quando andammo a Timrå, vedemmo un paio di navi dello Jötunheimr che vomitavano guerrieri, mercenari. C’era con loro un giovane uomo dai capelli gialli. Intravidi anche un altro uomo al quale non badai. Poi, quando incontrammo Eirik ad Asabigð ricordai che quell’uomo era Viddi, uno della sua compagnia. Allora dissi che solo Odino poteva sapere quali progetti passassero nella mente di quegli uomini. Dissi a Freyr che non c’era da stare tranquilli con loro in giro, perché chi indossa il simbolo del male cova il male nel cuore››.
‹‹Questo mi ha illuminato›› intervenne Freyr. ‹‹Il simbolo del male è un ciondolo, Hilda, il simbolo di un uomo che ha significato solo guai››.
‹‹Non vi seguo››.
‹‹Mostra il ciondolo, Helgi›› invitò Freyr. Helgi si sporse e consegnò a Hilda un ciondolo. ‹‹Guardalo Hilda, e dimmi cosa pensi››.
Magni fissò l’oggetto e impallidì. Hilda trattenne il respirò e invocò la protezione di Odino.
‹‹Il simbolo di Loki!›› esclamò stringendo il pugno attorno al piccolo serpente attorcigliato sulla spada. ‹‹Come è possibile?››.
‹‹La storia potrebbe essere molto lunga e alcuni punti sono ancora oscuri. È certo solo che vidi quel ciondolo al collo di Eirik e dei suoi compari la sera che io e Hyoga ci scontrammo con loro. Non ho ragionato su quel particolare fin quando Skirnir non ne ha parlato››. Fece una pausa passando lo sguardo su Magni che stava a testa bassa con le labbra serrate. ‹‹Ma l’avevo visto ancora quel ciondolo!›› riprese a dire con maggiore ardore. ‹‹Leif lo indossava sotto la casacca, gliel’ho visto la sera che Freija ha suonato per noi. Guga, Agni, e altri soldati della cittadella covavano sul petto questo male. E Magni indossava proprio quel ciondolo che stringi!››.
Hilda sgranò gli occhi. ‹‹Dice il vero?››. Magni non alzò lo sguardo ma annuì. ‹‹Continua›› disse Hilda concentrandosi di nuovo su Freyr.
‹‹Abbiamo seguito Eirik che si dirigeva a sud. Viaggiavano senza fretta ed erano sicuri di non essere seguiti. Stava imbrunendo quando arrivammo finalmente ad una piccola rocca, quella che era stata la dimora degli Ericson fino alla disfatta di Eric il Vile. Eirik e i suoi entrarono nella rocca, e noi li seguimmo perché nessuno vigilava sull’entrata. I pochi sopravvissuti non commetteranno una seconda volta quest’errore››.
‹‹I sopravvissuti?››.
‹‹Con ordine, Hilda›› disse Freyr. ‹‹Ciò che vedemmo in quella rocca fu incredibile. Cinque uomini avevano organizzato un piccolo esercito. Con loro c’erano anche il giovane dai capelli gialli e i mercenari che vedemmo a Timrå, e anche l’uomo che mi assalì e mi fece lo sfregio››. Si passò una mano sul petto, poi riprese. ‹‹Quelli erano i fuggiaschi del Danmörk, Hilda. Gli uomini cui dava la caccia Healfdene l’Alto››.
‹‹Come lo sai?››.
‹‹Glielo dissi io›› intervenne Herald. ‹‹Li ho visti in faccia sul campo e li ho riconosciuti. Ma ero certo che fossero loro per come ce li aveva descritti Freyr!››.
‹‹Restammo parecchie ore nascosti in quella rocca, perché chiusero le porte impedendoci di uscire. All’alba, quando cominciarono i preparativi per la partenza, ci decidemmo a tentare la fuga. Era necessario che accumulassimo del vantaggio per riuscire a raggiungere Ásgarðr e organizzare la difese. Non fummo fortunati e fu proprio Eirik a scoprirci. Ormai le porte erano aperte e niente di impediva più la fuga. Ci sguinzagliarono dietro pochi uomini, sette in tutto, compreso Eirik e i suoi. Fuggimmo nei boschi lì vicino ma i nostri cavalli erano spariti. Abbiamo faticato per sfuggire ai nostri inseguitori, ma non si sono dimostrati comunque grandi cacciatori. Ne abbiamo uccisi due e coi loro cavalli ci siamo involati verso Ásgarðr. Avevamo Odino che soffiava vento nelle gambe di quei cavalli!››.
‹‹Li ho visti arrivare come due saette›› raccontò Heimdallr. ‹‹Sono passati dalle porte e Freyr ha ordinato che suonassi il corno. In un baleno gli uomini di Ásgarðr si sono preparati per intercettare il nemico, mentre Freyr correva a liberare il Landvarnarmaðr››.
‹‹Come sapevi che Hyoga era imprigionato nelle segrete?››.
‹‹Ne ho sentito parlare nella rocca›› spiegò Freyr. ‹‹Arrivò un uomo, a notte fonda. Era somigliante come una goccia d’acqua a quello che doveva essere il capo. Rivelò di come avevano catturato e imprigionato l’utlänning, Hyoga. Disse anche che sarebbe morto prima dell’alba, Leif avrebbe dovuto ucciderlo››.
‹‹Quante cosa avrebbe potuto spiegarci il traditore se fosse ancora vivo!›› commentò Hilda.
‹‹Niente più di quello che abbiamo dedotto›› disse Helgi. ‹‹Abbiamo discusso a lungo con Herald e Freyr, e ciò che abbiamo concluso non è rasserenante. Quelli somiglianti sono i fratelli di Loki, gli altri provengono da tutto Goðheimr, e tra loro c’è anche un Oscuro››.
"Un Oscuro…". Hilda ricordò la discussione del Consiglio.
‹‹Seguendo le precise indicazioni di Freyr abbiamo teso un’imboscata ai fratelli di Loki, conseguendo un grande vantaggio. Abbiamo lasciato passare i battipista, perché come avevi previsto ne vedemmo due›› spiegò Hadingus guardando Freyr. Poi si voltò verso Hilda. ‹‹Acquattati tra le rocce e dietro i cespugli, non siamo stati visti. Siamo entrati in azioni quando ci è sfilato davanti il centro dell’esercito. Allora abbiamo attaccato, spaccando in due tronconi la colonna. Gli uomini che si sono sparpagliati sono diventati facili bersagli per gli arcieri. Si sono riorganizzati presto però, perché i loro capitani erano esperti di guerra. Abbiamo corso il rischio di rimanere intrappolati tra i gruppi che ci attaccavano compatti dalle due parti. Ma c’era Herald!›› esultò indicando il ragazzo. ‹‹Hermóðr l’aveva preso in custodia e aveva più volte parlato bene di lui. Gli avevamo affidato un gruppo di cavalieri. Con Magni e Hermóðr al Þing, e Freyr e Helgi che cercavano di raggiungervi eravamo a corto di comandanti. Abbiamo dato fiducia all’uomo giusto››.
‹‹Herald ha guidato il suo gruppo fuori del bosco infilandosi proprio nel mezzo del drappello alla nostra destra›› spiegò Heimdallr gesticolando per farsi capire. ‹‹Abbiamo combattuto a lungo, abbiamo perso anche molti uomini ma Odino ci ha dato la vittoria››.
Hilda sembrava soddisfatta. ‹Quando torneranno tempi migliori, mi ricorderò delle tue gesta gloriose Herald, e ci sarà un posto speciale per te››. Herald ringraziò gonfiando orgogliosamente il petto. ‹‹Però, ›› continuò Hilda, ‹‹mi pare di capire che i fratelli di Loki sono fuggiti. È così?››.
Ci fu un attimo di silenzio.
‹‹Non è decoroso fuggire. Ma sono stati accorti. Si sono battuti come orsi ma hanno tagliato la corda con un piccolo drappello prima che la situazione precipitasse›› rispose Hadingus. ‹‹Sei giurò di averne visti Freyr, ma solo tre di loro combatterono››.
‹‹Chi erano, dunque?›› chiese Hilda guardando soprattutto Herald che diceva di conoscerli.
‹‹Vidi Helblindi, il piccolo dei due fratelli somiglianti. Erano là l’Oscuro e un giovane guerriero dai capelli gialli. Mancava Bylistr, il fratello grande, che è la mente del gruppo, e Ragnarr dei Corvi e Skœrir che chiamano lo Sfregiato››.
‹‹Questi tre erano per certo al Þing›› disse Helgi. ‹‹Li vedemmo allontanarsi come ombre dopo aver scoccato i loro malefici dardi contro Hilda e Leif››.
‹‹Li abbiamo seguiti››. Hermóðr parlò allora per la prima volta. Il tono della sua voce era basso perché le sue non erano grandi notizie. Si era fatto valere al Þing ma gli erano scappati i cospiratori. ‹‹Avevano cavalli neri e velocissimi, sono spariti alla vista prima di essere a tiro di freccia. Loki l’ingannatore li proteggeva!››.
‹‹Non temere Hermóðr, nessuno ha niente da rimproverarti›› lo assicurò Hilda. ‹‹Ora è tutto più chiaro, ma manca ancora un resoconto, forse il più importante!››.
Magni si scosse, trafitto dalle occhiate di Hilda. La voce, sempre tuonante, in quel silenzio, sembrava ora un sibilo.
‹‹Chiedi, Hilda, e risponderò senza nascondere le mie colpe››.
‹‹Dimostrare la tua obbedienza adesso non condizionerà la mia decisione, ma se parlerai sinceramente io lo saprò e agirò di conseguenza››. Hilda tirò un lungo sospiro. ‹‹Raccontami dunque quello che sai sullo jarl traditore››.
‹‹In realtà, non sapevo di lui più di voi tutti, Hilda›› cominciò a dire. ‹‹Arrivò ad Ásgarðr preceduto dalle maldicenze sulla sconfitta rovinosa e sulla morte misteriosa di suo padre, Eric il Vile, e si presentò come jarl. Ammetto che mi parve strano che si fregiasse di un tale titolo dopo che tutti gli averi della famiglia Ericson erano stati investiti nella costruzione della flotta di suo padre, che sappiamo tutti come venne affondata nella battaglia di Bravellir. Però gli parlai, e lo conobbi, e cominciai a rispettarlo perché era riuscito in poco tempo a riguadagnare un po’ della dignità e della ricchezza sperperate incoscientemente dal padre››.
‹‹E non ti sembrò che avesse impiegato troppo poco tempo ad arricchire tanto?›› proruppe Helgi.
Hilda lo zittì alzando un braccio.
‹‹Helgi mi ha tolto le parole di bocca›› disse. ‹‹Arrivò vestito di pellicce pregiate e abiti lussuosi, appesantito di bracciali e anelli d’oro, e con molti doni. Come disse di esserseli procurati?››.
‹‹Con le uccisioni e le scorrerie, in nessun altro modo avrebbe potuto!›› esclamò Heimdallr.
‹‹Non lo disse, io non mi informai›› rispose Magni. ‹‹Ma nessuno di voi lo fece! Ho semplicemente dato fiducia ad un uomo. Da ingenuo pensai che forse poteva essere lungimirante e valoroso››.
‹‹Abbiamo agito tutti con leggerezza. Leif si è insinuato tra noi spacciandosi per un amico, invece ha scavato come un verme in una mela››. Hilda strinse le mani attorno ai braccioli. ‹‹Ásgarðr ha corso un grave pericolo, ma ora che è salva non possiamo in un attimo dimenticare tutto il male che lo jarl ha causato a me, a Hyoga…a Freija!››. La sua voce crebbe fino a nominare sua sorella quasi con un ruggito.
Non aveva dimenticato che Leif si era vantato davanti a Magni e ai soldati traditori d’aver violentato Freija. Non aveva dimenticato che Magni era restato ad ascoltare senza battere ciglio, una grande delusione. Nemmeno Magni aveva dimenticato e forse per la tensione, o per la paura della collera della sacerdotessa, dovette intuire il riferimento all’incresciosa vicenda. Gli occhi di Hilda non lasciavano spazio a fraintendimenti.
‹‹Non ho parole per giustificarmi…Quella sera…››.
‹‹Ciò che accadde quella sera, ciò di cui parlaste quella sera rimarrà un segreto, è la sacerdotessa che lo ordina!››. Magni chinò la testa. ‹‹Adesso dimmi: sapevi che Leif tramava la conquista del potere, del trono di Ásgarðr?››.
‹‹No›› assicurò Magni. ‹‹Sapevo che nella sua rocca ospitava certi guerrieri che erano stati in affari col padre, ma ignoravo la loro identità. Leif si allontanava spesso da Ásgarðr per andare nelle sue proprietà, ma questo è normale per chi abbia a cuore i suoi averi››.
‹‹Non sapevi nemmeno che stessero tramando la mia morte?››.
‹‹Non lo sapevo! Dirò solo che non ero in me quando arrivai al Þing! Leif mi regalò quel dannato ciondolo, come pegno d’amicizia la sera prima del Þing. L’unico ricordo che ho da allora risale a quando Helgi me l’ha strappato››. In quel momento incrociò lo sguardo con la sacerdotessa. ‹‹Ho gravi colpe da scontare, ma più di tutto mi ferisce che tu creda che io volessi la tua morte!››.
‹‹Non l’ho detto, Magni il Rosso, ma l’ho sospettato, come tutti››.
‹‹La fedeltà a Hilda è prima nel cuore di un guerriero›› gli ricordò Helgi. ‹‹Tu hai preferito seguire le parole di uno sconosciuto che si spacciava per amico. Perché dovremmo crederti adesso?››.
Hilda ascoltò, poi fissò intensamente Magni aspettando una risposta.
‹‹Mi fidavo dello jarl, è stato bravo a mentire. Credevo che i suoi interessi fossero solo per i suoi affari e…per la principessa Freija. Niente del suo comportamento mi faceva sospettare che fosse una serpe! Ma le cose cambiarono quando arrivò il guerriero di Grecia!››. Hilda si sporse dallo scranno. ‹‹Lo conoscevano in molti ad Ásgarðr e anch’io lo riconobbi subito!››. I suoi occhi lampeggiarono.
‹‹Continua›› esortò Hilda.
‹‹Hyoga era tuo ospite, Hilda, il più prestigioso tra i tuoi ospiti, dunque, a malincuore, sacro anche per me!››. Non nascose il suo disprezzo. ‹‹Le cose cambiarono con l’arrivo dello jarl Leif. Parlai con lui di Hyoga e commisi l’errore di rivelargli una parola di troppo sul passato. La presenza di Hyoga si fece insostenibile per entrambi quando tu lo nominasti Landvarnarmaðr››.
‹‹Noi tutti…ci siamo sorpresi della tua decisione…›› rivelò Hadingus incrociando lo sguardo dei suoi compagni.
‹‹Come sarebbe a dire?›› sbottò Hilda. ‹‹Odino guidò le mie azioni! Anche voi dubitate di me?››.
‹‹No di certo›› disse Helgi. ‹‹Ma Hadingus non mente. Tutti ad Ásgarðr sono rimasti colpiti dalla tua decisione››.
‹‹Ora non possiamo far altro che constatare il tu acume, Hilda›› disse Heimdallr. ‹‹Soprattutto per via di quel titolo, Hyoga è restato ad Ásgarðr. Ed è stato la nostra salvezza››.
‹‹Ancora una volta la nostra salvezza›› ribadì Hermóðr. ‹‹Nessuno più di lui lo merita! Per questo nessuno di noi dubiterà mai più della tua parola, perché tu gli hai dato fiducia prima delle azioni mentre noi abbiamo dovuto rischiare di perderti per fidarci di lui››.
Freyr incrociò le braccia sul petto e annuì soddisfatto.
‹‹Cosa successe dopo che Hyoga fu nominato Landvarnarmaðr?›› chiese Freyr.
‹‹Leif si fece ogni giorno più nervoso, e ogni giorno mi ripeteva del pericolo che correvamo ad ospitarlo tra le mura del palazzo" continuò Magni. "Mi ricordava continuamente della morte di mio padre, di come l’aveva ucciso e io mi lasciai condizionare dall’odio e dal desiderio di vendetta››.
‹‹Non è Hyoga che devi accusare per la morte di tuo padre›› disse Hilda. ‹‹Il grande Thor del Martello morì per seguire ciecamente i miei ordini. Non devi odiare Hyoga, io sono la causa della morte di tuo padre!››.
Magni tentennò. ‹‹Sapevo come si erano svolti i fatti…Tuttavia, avere di fronte quell’uomo che calcava il suolo d’Ásgarðr mi dava sui nervi, e ammetto di aver provato soddisfazione nell’udire che lo jarl aveva intenzione di eliminare l’utlänning!››. Freyr tremò di rabbia ma rimase immobile, Magni respirò profondamente e riprese a raccontare. ‹‹Avrei voluto ucciderlo con queste mani brandendo il martello che fu di mio padre››. Si guardò le palme delle mani: gli avevano tolto i preziosi guanti metallici e il micidiale martello. ‹‹Sapevo che Leif progettava di uccidere Hyoga e non dissi niente, ma ignoravo tutto il resto. Volevo vendicare mio padre, non desideravo il male di nessun altro!››.
‹‹Allora hai partecipato all’agguato, all’incarcerazione di Hyoga?›› chiese Hilda alzandosi dallo scranno.
Magni rifletté un momento prima di rispondere. I suoi ricordi erano confusi.
‹‹Ricordo chiaramente che Leif ritornò dalla sua rocca, di sera, e mi donò quel ciondolo. Fui restio ad indossarlo ma poi ho ceduto. Da quel momento in poi, ho pochi ricordi, molto confusi, ma sì…di certo ero presente all’agguato. Il mio martello era macchiato di sangue, e non ricordo d’averlo usato››. Affranto, a fatica, espresse il suo ultimo pensiero. ‹‹Sono stato raggirato. Leif aveva bisogno del mio aiuto per imprigionare Hyoga. Da solo non ci sarebbe mai riuscito››.
‹‹E i suoi compari non avrebbero potuto aiutarlo, perché io avrei potuto riconoscerli ma soprattutto, dopo lo scompiglio creato dall’arrivo di Hyoga, deve averli disturbati la presenza di Herald che li aveva visti tutti in faccia!››. Freyr guardò Magni, e il capitano annuì.
‹‹Sì, è giusto›› rifletté il fulvo capitano. ‹‹Sono entrati due di loro, ma solo qualche volta. Ricordo che Leif era sempre molto timoroso quanto li incontrava all’interno delle mura della cittadella››.
Calò il silenzio. Magni fissava il pavimento con le mani incrociate dietro la schiena, gli altri erano concentrati sulla figura maestosa di Hilda, rimasta in piedi con i pugni stretti.
‹‹Hai commesso delle gravi colpe, Magni›› cominciò. ‹‹Ti credo quando dichiari che non desideravi la mia morte, o il male dei alcun Asar, ma hai attentato alla vita di colui che era stato nominato Landvarnarmaðr, protettore d’Ásgarðr e dunque anche della tua persona. Nessuno in questa sala è privo di colpe, eppure sono le tue ad essere considerati le più gravi in assoluto. Ringraziamo gli dèi che ancora una volta, per vie traverse, ci hanno protetto!››. Hilda fece una pausa. ‹‹Magni il Rosso, figlio di Thor del Martello, inginocchiati e aspetta con coraggio la mia decisione!››.
Magni si buttò in ginocchio senza aspettare che Hilda finisse di parlare. Gli altri capitani si avvicinarono alla gradinata fermandosi a limitare un corridoio e non staccarono mai gli occhi dalla sacerdotessa. Herald e Skirnir rimasero qualche passo indietro.
Hilda scese lentamente i gradi, passò davanti a Helgi e estrasse dal fodero la Rovinascudi. La lama lampeggiò sul marmo delle pareti e del pavimento, illuminò per un secondo i volti tesi di Freyr e dei capitani che adesso osservavano impassibili Magni, inginocchiato col mento puntato nel petto. Hilda si fermò di fronte al Rosso e sollevò alta la spada. Nel silenzio della sala si sentì solo il fruscio della lama che si abbassava e si posava sulla spalla di Magni.
‹‹Ásgarðr non può permettersi di perdere uomini valorosi›› disse Hilda. ‹‹Giurami di nuovo fedeltà e io dimostrerò che tutti meritano una seconda opportunità!››.
La mattina del quinto giorno, Eir entrò nella stanza di Hyoga quando il sole era sorto da almeno un’ora e trovò Freija addormentata sulla sedia, con la testa rovesciata di lato.
La principessa si svegliò di colpo e scattò in piedi: a giudicare dal suo stordimento, doveva essersi addormentata da poco. Aveva la faccia smunta, e le occhiaie le gonfiavano gli occhi.
‹‹Mi dispiace averti svegliato così improvvisamente›› sussurrò Eir.
‹‹…mi sono addormentata al sorgere del sole… si è agitato tanto, stanotte, ero preoccupata al punto che non sono riuscita a lasciarlo da solo››.
‹‹Sei sciupata, Freija››. Eir le carezzò gentilmente una guancia. ‹‹Devi riposare, non puoi continuare a non dormire e non mangiare. Finirai per crollare››.
‹‹Quando Hyoga starà meglio, mi riprenderò anch’io››. Freija sorrise debolmente, e si spostò indietro per farle posto.
Eir procedette alla visita, come ogni mattina, ma la principessa non mancò di notare che la guaritrice aveva la fronte corrugata. Freija cominciò a preoccuparsi quando la vide più volte prendere il polso e pizzicare Hyoga sulle braccia. Gli appoggiò la mano sul petto e, dopo avergli alzato una palpebra per vedere la pupilla, incrociò lo sguardo di Freija.
‹‹Cosa succede?›› chiese la principessa sgranando gli occhi.
Eir rimase in silenzio per un momento che sembrò interminabile. Sembrava stupita ma il suo viso non lasciava trasparire alcuna emozione. Freija si sentì svenire, cominciò a guardare Hyoga disperata. Sembrava addormentato. Quella notte si era agitato più del solito, aveva delirato, poi si era calmato e finalmente si era assopito. Anche Freija, approfittando della tranquillità, era scivolata nel sonno.
‹‹Eir?!›› chiamò con voce isterica.
‹‹È fuori pericolo›› disse semplicemente Eir sorridendo. ‹‹Penso che si riprenderà presto››.
Freija scoppiò a piangere, immediatamente, e cadde in ginocchio mentre Eir gioiosa apriva la finestra per cambiare l’aria viziata.
Hyoga era sveglio quando, verso mezzogiorno, la guaritrice entrò silenziosa nella stanza. Si riprese completamente solo quando lei gli parlò.
‹‹Ben svegliato›› disse gentilmente posando il vassoio che portava. ‹‹Sarai affamato, immagino››.
Hyoga disse di sì mentre cercava di sollevarsi sui gomiti, gemendo per le fitte di dolore. Si sentiva indolenzito in ogni parte del corpo e non mancò di riferirlo alla guaritrice.
‹‹È normale›› rispose Eir. ‹‹A stare fermo tutto questo tempo, i tuoi muscoli si sono rilassati. E naturalmente, impiegherai ancora del tempo prima di guarire dalle ammaccature››.
Hyoga si guardò, era pieno di lividi di tutte le dimensioni sparsi un po’ dappertutto. Gli faceva male anche il viso, e sentiva un occhio pesante.
‹‹Quanto tempo sono stato a letto esattamente?››.
‹‹Cinque giorni. Adesso mettiti giù, e sta fermo, per favore››.
Hyoga si buttò la testa indietro sul cuscino, e pensò mentre Eir gli controllava la spalla.
‹‹Vorrei alzarmi›› disse dopo un po’.
‹‹Risparmiati, mio caro, non ti sei del tutto ristabilito››.
Hyoga alzò la testa confortato dalla familiare voce di Hilda che stava entrando nella stanza in quel momento.
‹‹Mangia qualcosa, Hyoga›› lo esortò Eir sollevando il panno sul vassoio che nascondeva una scodella di minestra fumante.
Si issò a sedere, aiutato da Hilda e, prima ancora di chiedere spiegazioni, cominciò a mangiare. Aveva fame e la minestra era buona, ma si arrese subito in quanto il suo stomaco non volle accettare che metà della porzione.
‹‹Mi sento tanto debole che è uno sforzo persino mangiare››. Dopo aver posato la ciotola, tornò a stendersi e sbuffò affranto.
‹‹Non ti preoccupare›› lo rassicurò Eir. ‹‹Il tuo stomaco si deve riabituare alla consistenza del cibo ed è bene non sforzarlo, dato che in questi ultimi giorni hai ingerito solo liquidi››.
Eir si avvicinò di nuovo, e alzò le coperte per controllare la ferita al fianco. Non si trattenne dal ridere quando vide Hyoga arrossire al tocco delle sue mani.
‹‹È inutile vergognarsi, ora›› scherzò Eir. ‹‹Io e Hilda ti abbiamo visitato in tutti questi giorni…non hai più niente da nascondere››. Le due donne risero, Hyoga finse indifferenza.
‹‹Forse non ero cosciente…ora lo sono››.
Eir scosse la testa ma era soddisfatta. ‹‹Tutto a posto›› esclamò. ‹‹Lo lascio nelle tue mani, Hilda››.
‹‹Recupererai presto le forze›› assicurò Hilda sedendosi sul bordo del letto, mentre Eir usciva dalla stanza portando via il vassoio. ‹‹Sei stato colpito da due frecce avvelenate e hai lottato con la morte. Hai dimostrato una grande resistenza, ora sei fuori pericolo››.
‹‹Questo non mi era mai successo››.
Aveva un singolare modo di sdrammatizzare la situazione e Hilda si sentì sollevata nel trovarlo in ristabilito, se non nel corpo almeno nello spirito.
‹‹C’è sempre una prima volta››.
‹‹Speriamo che non succeda più, però›› precisò lui, passandosi una mano sulla spalla sinistra. ‹‹Ricordo quello che è successo all’assemblea…Una freccia alla spalla, e una al fianco, di striscio per fortuna››. La ferita al fianco non gli faceva particolarmente male, mentre ancora sentiva fitte pungenti alla spalla. Però aveva l’avambraccio fasciato stretto e lo sentiva pesante. ‹‹E questo?›› chiese alzandolo faticosamente.
‹‹Rotto, e steccato›› spiegò Hilda. Lui strinse gli occhi.
‹‹…Che fortuna…››. Sospirò passandosi una mano sulla barba lunga, poi chiese a Hilda di aprire la finestra. ‹‹Immagino che non mi permetterai di alzarmi tanto presto››.
‹‹Immagini bene›› rise la sacerdotessa. ‹‹Possiamo permetterci di ridere ora, ma sono stati giorni terribili››.
Hyoga aspirò a pieni polmoni l’aria fredda. Si sentiva davvero spossato, un po’ era l’effetto del veleno, un po’ le botte ricevute. Si voltò verso Hilda e chiese cosa ne era stato di lui.
‹‹L’ultima cosa che ho visto è stato il suo sangue. Pensavo che mi avrebbe tagliato la testa››. Si passò una mano sul collo con una smorfia.
Hilda gli parlò con calma.
‹‹Leif mirava ad usurpare il trono di Ásgarðr e ha colto l’occasione del Þing per mettere in atto il suo piano. Aveva dei complici che lo hanno aiutato ad architettare questo piano, ma forse questo lo sapevi già››. Lui annuì gravemente. ‹‹Una volta che io fossi morta, tutto sarebbe stato più semplice››. Scosse la testa, come se ancora faticasse a rendersi conto che qualcuno aveva attentato alla sua vita. ‹‹Avevano anche dei complici, tra i soldati dell’hirð››.
‹‹Sapevo anche questo, ma non ho potuto avvertirti in tempo›› si scusò lui.
‹‹Hai fatto molto di più, Hyoga. Mi hai salvato la vita e ti sarò eternamente debitrice. Ti sei salvato dal veleno grazie alla tua resistenza fisica mentre io non sarei sopravvissuta››.
Hyoga ascoltava con aria cupa. Non si sentiva un eroe per quello che aveva fatto ed era felice di sapere che Hilda era sana e salva. Nella sua mente però si insinuò un pensiero che si palesò in un’espressione spaventata.
‹‹Freija sta bene›› continuò Hilda. ‹‹Quello che è successo l’ha sconvolta ma è stata tutto il tempo a vegliare su di te. Quando ha saputo che eri fuori pericolo, ha pianto fino allo sfinimento. I nervi hanno ceduto alla tensione, era normale. Adesso dorme, ma verrà presto››.
Hilda gli ricordava Saori. Era capace di leggere nel suo cuore e di capire il suo stato d’animo semplicemente registrando i cambiamenti nel suo aspetto esteriore o nel timbro della voce.
‹‹Non sono molto fortunate le mie visite ad Ásgarðr…››.
‹‹Freija è una donna fortunata›› la invidiò Hilda. ‹‹Se tu non avessi perseverato, avrebbe dovuto sopportare le pene dell’inferno. Al Þing, dopo la mia morte, Leif avrebbe usurpato il trono, poi avrebbe ucciso te, e per lei sarebbe stata la fine. Legata a quell’essere infido!››. La sacerdotessa abbandonò il sorriso e serrò le labbra, mostrando in una smorfia il disprezzo e l’odio provato per quell’uomo. ‹‹Leif ha avuto la punizione che meritava, gli dèi non gli avrebbero comunque perdonato il tradimento. Giustiziato dai suoi complici!››. La voce di Hilda era piatta, priva di compassione per la morte di Leif. ‹‹Non mi guardare così›› continuò lei. ‹‹Abbiamo tentato di soccorrerlo, ma era già morto. Hermóðr e i suoi uomini si sono precipitati all’inseguimento dei tre che sono fuggiti dal Þing, i compari di Leif, ma li hanno persi di vista. Si sono dileguati››.
‹‹Ma tu sai chi sono›› indovinò Hyoga.
‹‹Sì, l’ho saputo›› asserì Hilda gravemente. La sacerdotessa narrò brevemente ciò aveva appreso nella piccolo riunione nella Válaskjálf. ‹‹È stato Herald a riconoscerli››.
‹‹Allora erano i fuggiaschi…››.
Hilda annuì. ‹‹Gli uomini sfuggiti dal Danmörk, gli assassini di suo fratello Horgal, gli uomini più ricercati di tutta Goðheimr››.
‹‹Erano proprio qui!›› esclamò Hyoga. ‹‹Dunque, se erano complici di Leif, potrebbero essere gli stessi che hanno convinto Eric Ericson a partecipare a Bravellir?››.
‹‹Sì, è molto probabile ma…c’è anche di più da dire. ‹‹Due di loro sono i fratelli di Loki›› rivelò Hilda fissandolo intensamente. ‹‹Questo mi fa pensare male…››.
‹‹Ma no!›› sdrammatizzò Hyoga. ‹‹Potrebbe essere solo una coincidenza››.
‹‹Temo di no›› riprese lei, strofinandosi le mani. ‹‹Loki aveva due fratelli, te ne avevo parlato ricordi? Sapevo i loro nomi, ma erano senza volto. Ora l’hanno!›› concluse in un crescendo quasi vittorioso.
‹‹Avevi detto di non sapere i loro nomi?››.
‹‹Ho mentito›› confessò lei dispiaciuta. ‹‹Alle volte è meglio non rivelare tutta la verità, per il bene di tutti››.
‹‹Ti capisco, lo fa anche Saori. Dice che è un modo per salvaguardarci››.
‹‹Sacrosante parole!›› rise Hilda, ritornando subito seria. ‹‹Il problema è che questi due fratelli non si separano mai, sono molto affiatati nei loro malvagi intenti, proprio come lo erano quando ancora viveva Loki! Mentre Bylistr era al Þing, Helblindi guidava il piccolo esercito di mercenari che sono stati intercettati da Heimdallr e Hadingus. Per di più, Freyr ha riconosciuto uno dei due guerrieri che erano con Bylistr, l’uomo che ha tentato di assalirlo assieme al Mezz’orecchio››.
‹‹L’uomo in nero…quello che lo ha ferito al petto?››.
‹‹Proprio lui›› annuì Hilda. ‹‹I due fratelli di Loki, l’uomo in nero che ha nome Ragnarr, Skœrir lo Sfregiato, e poi un giovane di Múspellsheimr e un Oscuro…››.
‹‹Tutti ad Ásgarðr…›› mormorò Hyoga, preoccupato. Si coprì la faccia col braccio e trasse un profondo respiro. Era stanco. Gli ultimi erano stati giorni confusi, gli era quasi sembrato di fluttuare nell’aria, tra le nuvole, e aveva dimenticato tutti i problemi. Il pensiero di Freija gli attraversò la mente come un fulmine.
‹‹Come sta Freija?›› domandò di getto. ‹‹Insomma, vorrei sapere come ha reagito alla sua morte…››.
‹‹Come reagirebbe chi ha perso una parte del corpo che l’avrebbe fatto marcire tutto!›› disse Hilda con cattiveria. Poi si riprese. ‹‹Bene, credo…›› ipotizzò Hilda. ‹‹Quando vi ha visto a terra, tu e lui, è svenuta e si è ripresa quando era già nel suo letto. Non c’è stato modo di convincerla a riposare, dopo le forti emozioni, voleva vederti e sapere come stavi. Non ho ancora potuto parlarle, in privato intendo, ma per quel che ho intuito, il suo unico desiderio è dimenticare››.
‹‹Dimenticare…››.
Hilda annuì. ‹‹È difficile fare delle previsioni, Hyoga, ma è certo che se lo farà, non piangerà a lungo la sua morte. Se anche fosse stata innamorata, e non voglio che questo assurdo pensiero mi sfiori la mente, adesso, venendo a conoscenza dell’intera vicenda, dovrebbe solo odiarlo››. Hilda annuì di nuovo. ‹‹Ha bisogno di vivere, di ridere, di divertirsi. In poche parole ha bisogno di ricominciare… come tutti credo››.
Lui si grattò ancora la barba, cui non era abituato. ‹‹E io cosa devo fare?›› chiese. ‹‹Il giorno in cui ci siamo conosciuti ci siamo lanciati in una disperata fuga dalle segrete del palazzo, e ciò che ha visto di me è stato il modo in cui ho eliminato le guardie che ci volevano fermare››.
‹‹Freija sapeva che avresti dovuto combattere per uscire dalla cittadella, per salvare lei e me››.
Senza dar segno d’aver ascoltato, Hyoga continuò a parlare.
‹‹Ha rischiato di morire anche lei per proteggermi da Hagen. E io, davanti ai suoi occhi, l’ho ucciso. È stato per difenderla, ma lui l’amava e io l’ho ucciso con queste mani››. Si guardò le palme. ‹‹La seconda volta che sono tornato ad Ásgarðr, Dolvar l’ha rinchiusa nelle segrete, e per poco, solo per miracolo, Freyr non è morto…La vostra bella statua…È stata anche colpa mia se è andata completamente distrutta !››.
(1)‹‹Stavolta è stato diverso, Hyoga››.
‹‹Davvero?›› disse ironicamente. ‹‹Allora non me ne sono accorto, Hilda. Io so solo d’avere un altro cadavere sulla coscienza, un’altra persona cui Freija aveva voluto bene! Che opinione avrà di me, se ogni volta che le sto vicino qualcuno muore? Non sono dispiaciuto per la sua morte, Hilda, ha pagato per il male che le ha fatto, mentre stavo nelle segrete pregavo per la sua morte! Ma questa è comunque una disgrazia di cui mi sento colpevole››.
‹‹Nessuno ha pianto la sua morte, Hyoga›› sentenziò Hilda. ‹‹Leif era un traditore, ha attentato alla mia vita e alla tua. Avrebbe pagato lo stesso con la sua vita il suo ardire! Ci hanno pensato i suoi compari a dargli quello che meritava. Tu non hai nessuna colpa, a meno non consideri una colpa l’averci salvato dalla rovina!››.
Hyoga abbassò lo sguardo, vergognandosi del rimprovero di Hilda.
‹‹Sei un eroe, Hyoga. Questo è il tuo destino, non puoi sfuggire››.
‹‹Guarda come sono ridotto, sono un eroe maldestro…che fa preoccupare le donne che salva›› rise Hyoga sistemandosi nel letto.
Si sentiva esausto, la lunga chiacchierata l’aveva stancato e Hilda se n’era accorta.
‹‹Freija aveva già capito di che pasta era fatto Leif. Non credo che abbia sofferto troppo per la sua perdita, ma so che gioirà per ciò che ha guadagnato››.
Hyoga sorrise a Hilda, ma aveva già gli occhi piccoli e si abbandonò in uno stato di torpore. La sacerdotessa si limitò a rimboccargli le coperte sul petto e lo lasciò riposare.
Hyoga aprì gli occhi improvvisamente. Si sentiva riposato, dopo il lungo sonno, anche se gli arti erano pesanti. La stanza era buia, ma attraverso le pesanti tende che coprivano la finestra filtrava la luce del giorno. Aspettò che arrivasse qualcuno, pazientemente. Non sapeva da quanto tempo dormiva, ma il suo stomaco brontolava per la fame. Si passò una mano sul viso.
Devo radermi, questa barba mi da fastidio. Pizzica terribilmente.
Si voltò a guardare la porta, speranzoso. Dal corridoio non proveniva nessun rumore e si stancò presto di aspettare.
Hilda mi sgriderà per averle disubbidito ma proprio non resisto…
Si sollevò a sedere sul letto. Era vestito solo della sua biancheria intima, ma almeno indossava qualcosa. Per fortuna, si disse. Armato di buona volontà mise giù le gambe, ma si lamentò appena posò i piedi per terra e cercò di alzarsi. La ferita al fianco si faceva sentire e non sarebbe stato indicato sforzarla oltre ma Hyoga strinse i denti. Aveva sopportato di peggio. Con estrema lentezza si alzò in piedi e arrancò fino alla finestra.
‹‹Ma quanto ho dormito? È appena sorto il sole?!››.
Spalancò la finestra e respirò a pieni polmoni l’aria del mattino sentendosi rinvigorito. Sulla cassapanca c’erano i suoi vestiti, e lì vicino, per terra, il suo zaino e tutte le sue cose. Freyr e Helgi avevano perquisito le segrete, e là li avevano trovati. Recuperò i suoi effetti personali e si trascinò fino in bagno. Col braccio steccato si sentiva impedito nei movimenti, e quando sentì bussare alla porta ancora non era riuscito a combinare niente. Rispose a voce alta per farsi sentire.
‹‹Entra pure, Hilda!››. La porta si aprì e sentì passi leggeri in avvicinamento. ‹‹Volevo radermi ma non ce la faccio…››.
‹‹Ti sei alzato da solo?!››.
La voce di Freija gli giunse alle orecchie così dolce, appena allarmata, che quasi credette di sognare ancora. Lo stick con la crema da barba gli cadde nell’acqua e cominciò inesorabilmente a sciogliersi. Poi, prima di voltarsi, con gesti impacciati e non senza arrossire, si coprì i fianchi con una tovaglia.
‹‹Volevo farmi…la barba…›› biascicò.
Freija andò a posare il vassoio con la colazione di Hyoga.
‹‹Come ti senti?›› chiese affacciandosi al bagno.
‹‹Bene, grazie›› assicurò lui, tenendosi appoggiandosi alla parete e spostando il peso del corpo tutto sulla gamba sinistra per non sforzare la ferita sul fianco destro.
‹‹Il tuo equilibrio mi sembra precario›› sorrise lei evitando di fissarlo per non imbarazzarlo ulteriormente.
‹‹Nient’affatto!›› si vantò cercando di fare il disinvolto.
‹‹Ti aiuterò io a raderti, se vuoi, ma torna a sedere o la ferita non guarirà mai! Sanguina per lo sforzo che hai fatto!››.
Le bende che gli fasciavano il fianco, e tutto l’addome, erano chiazzate d’un tenue alone rosso. Hyoga si staccò dal muro e passò la mano sulle bende.
‹‹In effetti, fa un po’ male››.
‹‹Appoggiati, ti aiuto››.
Freija lo fece sedere sul bordo del letto. Mentre lei recuperava il necessario per sbarbarlo, lui si coprì con le coperte. Quando ebbe preparato tutto, lo invitò a sedersi sulla sedia.
‹‹Devo proprio?››.
‹‹Lavorerei meglio se tu ti sedessi sulla sedia. Non ti preoccupare, ti aiuto››.
‹‹Qui non va bene?›› suggerì Hyoga battendo una mano sul letto.
‹‹Hyoga, il letto è alto, tu sei alto…Farei una gran fatica, e rischierei di sporcare le coperte››. Lui pensò un momento. ‹‹Cosa c’è che non va?››.
Si grattò la fronte, e pian piano riprese ad arrossire.
‹‹Sono quasi nudo, mi vergogno a farmi vedere così….››.
Lei si sistemò i capelli dietro le orecchie con un’espressione un po’ seccata.
‹‹Non avresti fatto tante storie se ci fosse stata Hilda al posto mio…?!››. Era una constatazione, e un rimprovero.
‹‹La considero un dottore, ormai…lei e Eir…non ci si vergogna del proprio dottore…››.
‹‹Volevo anch’io fare qualcosa per te›› si giustificò lei. ‹‹Ora vado a chiamare Hilda››.
‹‹No, aspetta››. La trattenne per un braccio. ‹‹Non volevo offenderti, è solo che farmi vedere…da te… mi imbarazza moltissimo…››.
Allungò una mano con gli occhi bassi. ‹‹Aiutami tu, per favore. Sono più contento se sei tu ad occuparti di me››. Lei si sporse per aiutarlo, gli passò la mani intorno al petto ma cominciò lei a cambiare colore.
‹‹Facciamo una cosa›› disse tirandosi indietro. Andò a recuperare il paio di calzoni accuratamente ripiegati sulla cassapanca, e glieli porse. ‹‹Mettiti almeno questi…››.
‹‹Mi dispiace…ma con questo braccio rotto e la spalla, e tutto il resto, non riesco a vestirmi… Ho bisogno di parecchio aiuto››.
Freija fece un sospiro. ‹‹Come pensavi raderti da solo?›› lo rimproverò chinandosi per aiutarlo ad infilare le gambe dei calzoni.
‹‹Hilda mi ha detto che sei stata con me, in questi giorni…e che saresti venuta presto a trovarmi…››.
‹‹Stai su…›› esortò lei aiutandolo a sollevarsi.
‹‹Volevo rendermi presentabile, guarda che barba ho››.
Si guardarono, lei sorrise. ‹‹Non mi sembra così lunga. Quasi tutti gli uomini portano barba, baffi, o entrambi›› commentò tirandogli su i calzoni. ‹‹Ah… abbottonali da solo per favore…››.
‹‹Certo, certo…››.
‹‹Sei dimagrito, ti stanno larghi››.
‹‹Recupererò in fretta›› promise sedendosi sulla sedia. ‹‹Viene un buon profumo da qui sotto, cosa c’è?›› chiese annusando il vassoio.
‹‹Un’abbondante colazione, per recuperare in fretta›› rise lei.
‹‹Allora comincio subito››.
‹‹Non vuoi aspettare d’essere sbarbato?›› avanzò Freija che aveva già il pennello in mano.
‹‹L’hai mai fatto prima?›› domandò lui.
Lei allungò le labbra e strinse gli occhi. ‹‹No, ma c’è sempre una prima volta…››.
‹‹Stai attenta a non sfregiarmi!›› si raccomandò Hyoga.
‹‹Starò bene attenta›› lo rassicurò lei. ‹‹Il tuo viso mi piace così com’è›› azzardò a dire.
Hyoga la guardò mentre bagnava il pennello e produrre a fare la schiuma con lo stick da barba. Era un po’ pallida, ma aveva ritrovato il suo sorriso.
‹‹Freija…se ti piace, la barba, posso tenerla…››.
‹‹Sembri più grande››.
‹‹Più bello, no?›› scherzò lui.
‹‹Questo è impossibile›› rispose lei per accontentarlo. ‹‹Allora…la sistemiamo un po’››.
‹‹Se viene male?››.
‹‹Se viene male o se non ti piace, la eliminiamo del tutto››.
‹‹Sì, ha un senso››.
Freija afferrò saldamente il pennello, gli si fermò di fronte con sguardo altamente professionale, e lo insaponò sotto il mento. Quand’ebbe finito, prese il rasoio e cominciò a raderlo, con estrema delicatezza, mentre lui la guardava, estasiato.
Spiegarle che era felice d’essere vivo, come non lo era mai stato, e che la sua felicità derivava dalla semplice presenza di lei, sarebbe stato difficile. Illuminata dai pallidi raggi solari, Freija gli appariva come una bellissima dea, circondata dai lunghi capelli biondi come da un’aureola, con i chiari occhi verdi ora socchiusi, che assieme alle sorridenti labbra rosse le dipingevano sul viso un’espressione di dolcezza estrema.
‹‹D’ora in poi, verrò sempre da te…a farmi fare la barba…››.
‹‹Fermo›› disse lei, alzando il rasoio dalla pelle liscia della gola. ‹‹Potrei tagliarti, se ti muovi››. Lui annuì leggermente. ‹‹Comunque, non ci contare, questo è un caso d’emergenza›› si tutelò lei. ‹‹Quando riuscirai a stare in piedi da solo, e ad usare tutte e due le braccia, farai da solo››.
Ad ogni passata, Freija muoveva la testa al ritmo della mano e si mordeva il labbro inferiore.
Arrivati a quel punto, Hyoga si sentì in dovere di rivelarle il suo più grande segreto.
‹‹Devo dirti una cosa…Ach!››.
‹‹Fermo!›› gridò lei. ‹‹Hyoga, te l’avevo detto!››.
‹‹Ah, è solo un graffio…›› assicurò Hyoga togliendosi l’asciugamano dal collo per pulirsi. ‹‹Abbiamo qualcosa in comune, anche tu ne hai uno simile›› scherzò lui alzando l’indice.
Freija si coprì la gola con una mano e accennò un sorriso divertito. ‹‹Non ho ancora finito…›› si lamentò.
‹‹Finirai dopo, adesso devo dirti una cosa››.
Hyoga fece una lunga pausa e lei lo fissò a lungo, in piedi lì di fronte.
‹‹Allora?›› lo esortò lei alla fine.
‹‹Puoi mettere via il rasoio?›› disse lui.
‹‹Vedo che stai recuperando in fretta anche il tuo umorismo›› rise lei e posò il rasoio. ‹‹Dimmi››.
‹‹È una storia lunga…››.
‹‹Abbiamo tempo, adesso››.
Non sorrideva ma nemmeno sembrava rattristata. Lo guardava con un’espressione rilassata, come di chi non ha più nulla di cui preoccuparsi. Dimenticati i problemi, con qualche strascico doloroso, adesso era pronta per ricominciare.
‹‹I miei problemi sono cominciati, sette anni fa, quando ti ho conosciuta››. Non era il più promettente degli inizi, ma Freija sembrava conoscerlo abbastanza per aspettare che riuscisse a trovare il modo migliore per esprimersi. Ciò che lo frenava era la sua timidezza, questo lei lo sapeva, ed era la timidezza stessa che lo rendeva così dolce mentre si sforzava di trovare le parole giuste. ‹‹Mi sei subito piaciuta, ho sentito che non saresti stata per me solo una conoscenza. Questo lo sapevo, ma avevo paura…di farti del male. Questo perché tutti coloro che ho amato hanno sofferto… Li ho persi tutti, uno dopo l’altro. Mia madre, i miei maestri…ed è stato per causa mia…››.
‹‹Non essere così severo…hai ancora i tuoi fratelli. Non li ami forse?››.
‹‹Sì…ma non sono così legato a loro…Non è una vera famiglia, quella che ho a Tokyo…››.
L’interruzione di Freija l’aveva confuso, e lei cercò di rimediare.
‹‹Vai avanti…››.
Hyoga aggrottò la fronte. ‹‹Io…pensavo che sarebbe bastato restare lontani per dimenticare…non volevo coinvolgerti nella mia vita, non avevo niente da offrire…non ho niente nemmeno ora, ma sono cresciuto, mi sento pronto perché ho riflettuto a lungo. Però, nel tempo in cui mi chiedevo quanto forti fossero i miei sentimenti, ho commesso un grave errore…››. Freija cominciò ad agitarsi. Allora si rese conto che della vita di Hyoga conosceva solo il lato avventuroso, quello che lo aveva portato a combattere nemici formidabili e a sfidare addirittura la morte. ‹‹Non riuscivo a dimenticarti e ho pensato che se…mi fossi innamorato di un’altra sarebbe stato tutto più facile…››.
‹‹L’hai fatto?›› chiese di slancio Freija.
Hyoga aspettò a rispondere, riflettendo su quelle parole. ‹‹No, non era amore vero, credo…un amore riflesso, dovuto al fatto che le ero grato per quello che aveva fatto per me…››.
I sospetti di lei si fecero spessi e pesanti, difficili da accettare. Hyoga le stava per rivelare qualcosa che non era certa di voler sentire, qualcosa che aveva sospettato fin da quando avevamo avuto modo di parlare.
‹‹È successo tutto in fretta, come quelle cose che non t’aspetti ma che sai che accadranno…non dico che fosse premeditato, questo no, ma…per come erano andate le cose, in quel periodo, mi aveva sfiorato la mente il pensiero che lei potesse…essere interessata a me, come uomo…››.
Freija si girò a guardare fuori.
‹‹E lei non ti era indifferente come donna…››.
‹‹No›› ammise Hyoga. ‹‹Ero sicuro d’essermi innamorato di Saori››.
Freija incrociò le braccia sul petto. Hyoga non osava nemmeno alzare gli occhi su di lei.
‹‹Siete stati amanti…?›› chiese con un filo di voce.
Hyoga sembrò che si vergognasse, non rispose ma annuì debolmente. Restarono in silenzio, poi lui riprese a parlare, con estrema calma.
‹‹Ero felice, mi sentivo appagato e…avevo smesso di pensare a te››. Freija chiuse gli occhi e strinse i denti, perché era doloroso ripensare alle notti insonni passate a piangere l’assenza di lui e paragonarle, ora, a quelle appassionate di Hyoga tra le braccia di Saori. ‹‹Ero felice, ›› ripeté lui, ‹‹ma non è durato a lungo››.
‹‹Perché?››.
‹‹Era un modo come un altro per fuggire la realtà, e non certo il migliore. Avevamo concordato che sarebbe stato meglio nascondere la relazione a tutti, per…un’infinità di motivi, la maggior parte dei quali erano talmente insulsi che mi vergognerei a dirteli se me li chiedessi. Ci incontravamo in gran segreto, di nascosto, come due ladri…ed era difficile comportarsi come sempre, in compagnia dei miei fratelli, o anche al Santuario, quando avevi fresco nella mente…››. Hyoga si passò una mano sulla faccia, Freija indugiava con lo sguardo fuori della finestra. ‹‹Alla fine, com’era prevedibile, abbiamo litigato…furiosamente…››. Rise tra sé e sé. ‹‹Avevo pensato di nasconderle la verità, capisci, e dimenticavo che Saori legge nei nostri cuori, conosce i nostri reali sentimenti…le nostre paure››.
‹‹E nel tuo cuore cos’ha letto?›› chiese lei voltandosi.
‹‹Amore per lei, almeno fin quando non sono ritornato ad Ásgarðr. Fingevo d’averti dimenticato, anzi ne ero quasi convinto. Saori non se ne sarebbe mai accorta, perché il suo giudizio nei miei confronti era influenzata dal nostro legame. Quando ci siamo rincontrati, io mi sono reso conto che non avevo mai veramente smesso di pensarti, e l’ha fatto anche lei››.
‹‹Per questo motivo siete scappati da Ásgarðr in tutta fretta? Per la sua gelosia?››. Nella voce di Freija c’era un punta di rancore.
‹‹No, no›› assicurò Hyoga. ‹‹Saori somiglia molto a Hilda, una donna che non può assolutamente permettersi certe cadute di stile››. Quelle parole la fecero sorridere, e allentarono un po’ la tensione. ‹‹Siamo andati via per altri motivi, ma quando si sono calmate le acque per gli altri Sacri Guerrieri, per me la tempesta era appena cominciata. Fino allora, non mi era mai capitato di discutere così…in maniera così accesa con qualcuno…Immaginerai che i nostri rapporti si erano gravemente incrinati…››.
‹‹È per questo che hai lasciato la Villa?››.
‹‹Sì, soprattutto per questo motivo. Avevo bisogno di pensare a cosa fare della mia vita, tempo per prendere una decisione››.
Si fissarono per un momento, poi si concentrarono ognuno nei propri pensieri. In fondo, ciò che era successo nel loro passato, apparteneva al passato. Leif e Saori erano state persone importanti nella loro vita, ricordi con cui avrebbero dovuto imparare a convivere per affrontare serenamente un futuro assieme. Questo fu quello che pensò Freija, un’importante presa di coscienza che le permise di cambiare radicalmente il suo punto di vista sull’argomento.
‹‹Cos’hai deciso?››.
Lui sorrise. ‹‹Che avrei chiuso la relazione con Saori, definitivamente, e che…avrei tentato di…riconquistarti››.
‹‹…riconquistarmi?››.
‹‹Dopo tanti anni, ero sicuro di averti perso…se mai avevi provato qualcosa per me. Sapevo di meritare il tuo odio per come mi ero comportato, e per paura d’essere cacciato non riuscivo a decidermi a tornare da te››.
‹‹Non hai pensato che, in tutti questi anni, potevo essermi rifatta una vita?››.
‹‹Mille volte al giorno, fino allo sfinimento. Mi dicevo che dovevo desistere, che dovevo lasciarti in pace, e cercavo di convincermene. Invece, mi trovavo sempre a cercare una scusa per poterti rincontrare››. Nonostante le tensione gli uscì un sorriso. ‹‹In tutto questo tempo, Shun non ha mai smesso d’incoraggiarmi, sai? E adesso eccomi qua…››.
‹‹E Saori?››.
Hyoga cominciò a stringere gli occhi e a fare smorfie con la bocca.
‹‹Io le devo fedeltà, lei è la dea che ho giurato di proteggere››. Tirò su col naso, poi si fece serio. ‹‹Però non la amo. Per questo ero venuto, per dirti che sono innamorato di te e di nessun altra››.
Freija l’aveva sempre saputo, era il messaggio nei suoi occhi. Sarebbe stato stupendo confessare i suoi sentimenti e ricominciare. Ma ancora qualcosa la turbava.
‹‹Il passato è passato›› mormorò, un pensiero a voce alta. Hyoga strizzò gli occhi.
Freija si mise a sedere sul letto, e rimase muta. Cominciò a lisciare le coperte con le mani, ripetutamente. La sincerità era una qualità meravigliosa. Hyoga avrebbe potuto tacere quell’avventura. Lei avrebbe continuato a dubitare perché quel terribile pensiero le aveva sfiorato la mente più di una volta. Adesso Hyoga cercava di rimediare ai suoi errori, confessandosi con lei. Era sinceramente intenzionato a ricominciare.
‹‹Il tuo silenzio mi imbarazza›› disse lui sistemandosi sulla sedia.
Le cose da dire erano molte, e molto delicate perché Freija sentiva il bisogno di aprirsi e non trovava il coraggio di farlo. Poteva tacere la sua disgrazia guardandolo negli occhi?
‹‹Ti prego, dimmi qualcosa›› implorò Hyoga. ‹‹D’improvviso, ti sei rabbuiata››.
Cosa penserai di me?
Tirò un lungo sospiro. ‹‹Anch’io devo confessarti una cosa, ma…››. Accennò un flebile sorriso.
‹‹Non ti preoccupare›› la rassicurò Hyoga. ‹‹Non potrà essere più scioccante di quello che ho appena detto!›› scherzò.
L’ombra sul volto di Freija fu un indizio sufficiente. Ciò che lei voleva rivelare era davvero più scioccante, e Hyoga si vergognò di averlo dimenticato. Esitò. Dirle che lo sapeva già avrebbe aumentato l’imbarazzo di Freija, che già soffriva, ma lasciare che si torturasse ulteriormente nel tentativo di liberarsi da sola di quel fardello gli sembrava un’alternativa ancora peggiore. Restò con le labbra serrate, stringendo forte i denti.
‹‹Il passato è passato›› disse infine.
Avrebbe finto di non sapere, decise. Col tempo, dimenticheremo anche questo.
‹‹Leif mi ha violentato››. Gli si accapponò la pelle e fu scosso da un brivido. Freija sorrideva appena. ‹‹Era giusto che lo sapessi. Io volevo dirtelo››.
Io sono debole…
‹‹Hyoga?!›› esclamò Freija sgranando gli occhi.
‹‹Mi dispiace, mi dispiace››. Continuò a ripeterlo all’infinito, coprendosi la faccia col braccio, come se fosse successo per colpa sua.
Freija s’inginocchiò davanti a lui. ‹‹Non piangere… Non è stata colpa tua, Hyoga…tu mi hai salvato… è tutto finito, adesso››.
Hyoga cominciò a piangere a dirotto, lei non poté far altro che cercare di tranquillizzarlo con parole amorevoli. Freija lo lasciò sfogare, stringendolo e accarezzandolo, mentre sentiva che qualcosa stava cambiando anche in lei.
Questo è ciò di cui avevo bisogno, pensò protetta dall’abbraccio di Hyoga.
La genuinità e dolcezza fecero vibrare per l’emozione ogni sua fibra, aprendo il suo cuore e la sua mente a ricevere tutto l’amore che lui era in grado di donarle, e risvegliando in lei il desiderio di ricambiare con altrettanta spontaneità. Fu allora che Freija, per la prima volta, lo amò davvero. In quel preciso momento, si sentì diversa, e il sentimento incompleto e incompreso che aveva provato fino allora mutò impercettibilmente in amore. Hyoga finalmente smise di piangere ma i due rimasero abbracciati a lungo.
‹‹Pensi…di riuscire a sopportarmi…anche quando sarò vecchio?››.
Lei si staccò e gli diede un bacio.
‹‹Ci vorrà pazienza con uno come te, ma sì, è quello che ho sempre voluto››.
Note
1)
Freyr partecipò alla lotta contro Dolvar e rimase ferito gravemente. In quello scontro crollò la grande statua di Odino che torreggiava sulla cittadella, e al suo posto, nel giardino del palazzo, crebbe il Frassino del Mondo, Yggdrasill.