CAPITOLO XXII

Amore e morte nel giardino degli dèi

D

urante la giornata che avevano trascorso assieme, nessuno dei due aveva minimamente accennato alla partenza di lui. Era un argomento troppo triste di cui parlare. Hyoga e Freija si divertirono molto, quel giorno, a far un pupazzo di neve che somigliava a Hilda, a preparare l’impasto con cui Freija avrebbe preparato delle focacce alle noci seguendo una delle sue ricette segrete.

Andarono anche nelle scuderie, per cercare Jòn ma non lo trovarono. Era strano che non fosse al lavoro.

‹‹Sarà ammalato›› rispose Vido quando gli chiesero notizie del vecchio stalliere. ‹‹A dire il vero, manca da un paio di giorni, ma nessuno di noi si è informato››. Si scusò infinite volte per non essersi interessato, ma Freija non era come Hilda. Non lo rimproverò, si limitò semplicemente ad esortarlo perché s’informasse.

Trascorsero ore felici quel giorno, e proprio per il fatto che si divertirono moltissimo, in un lampo arrivò la sera.

Si separarono giusto il tempo necessario per prepararsi e si rincontrarono nella sala al primo piano, pronti per cenare. Freyr era sparito qual pomeriggio e non era ancora tornato. Hilda invece era corsa ad aiutare Eir, perché Gellia, una delle thírs, stava per partorire prematuramente. Così Hyoga e Freija avevano mangiato soli. Naturalmente Leif aveva lasciato il palazzo quella mattina, per via dei suoi affari urgenti, ma nessuno si preoccupò della sua assenza.

Questa è l’ultima cena che mangeremo assieme, pensò Freija girando il cucchiaio nel piatto.

L’indomani mattina avrebbero partecipato al Þing, poi nel pomeriggio, Hyoga avrebbe lasciato Ásgarðr. Cominciarono a gustare le prelibatezze del cuoco, e si comportarono con estrema naturalezza, anche se si sentivano un po’ tristi. Finita la cena si chiusero nel salottino, portandosi dietro le focacce alle noci appena sfornate. Quegli ultimi gironi erano stati semplicemente deliziosi in compagnia di Hyoga, e lei non ricordava d’essersi mai divertita tanto. Si dilungavano in chilometriche conversazioni e quella notte, sentiva che il cuore le batteva forte se solo le loro mani si sfioravano.

È una sensazione che non avevo mai provato prima…

‹‹Cosa c’è?›› si affrettò a chiedere quando si accorse che Hyoga la fissava intensamente.

Lui le sorrise e allungò una mano, facendola sobbalzare.

‹‹Hai qualcosa sul viso››. Le sfiorò una guancia, le tolse una briciola che le era rimasta vicino alle labbra e gliela mostrò, strizzando un occhio. ‹‹Solo una briciola, niente di grave…››.

Ma tu guarda che cose imbarazzanti ha il coraggio di fare… Devo farlo smettere…

‹‹Hai lo sguardo annoiato, sei stanca?››. Hyoga si sporse verso Freija e lei vide ad un soffio dalle sue labbra quelle labbra carnose, che la tentavano e sembrava la invitassero a baciarlo. Si alzò di scatto e si stiracchiò, alzando in alto le braccia per nascondere il viso. ‹‹…sei arrossita…›› rise ingenuamente Hyoga.

‹‹È che fa caldo, qui davanti al camino…perché non facciamo due passi all’aperto?››.

Hyoga la seguì, mentre lei camminava svelta per non essere affiancata. Non voleva che lui la vedesse così ansiosa, temeva che potesse sentire il suo cuore che batteva forte e sembrava scoppiare.

Mi sento strana…sempre più strana ogni momento che passa…Ho solo incrociato il suo sguardo, perché sono così sconvolta? Cosa mi succede? Qui non si tratta più dei sentimenti del passato che rinascono, questo batticuore è diverso…

Uscirono all’aperto e camminarono per un po’ nel cortile, ma l’aria era freddissima e Freija decise che era meglio ritornare immediatamente dentro.

Nei giorni passati aveva cercato di comportarsi normalmente, per quel che poteva, evitando situazioni ambigue che potessero far precipitare l’esile barriera con la quale cercava di nascondere le sue sconosciute emozioni. Intanto però, scandagliando a fondo il suo animo, Freija dovette prendere atto di quel nuovo e profondo sentimento che le faceva male al cuore, ben diverso da quell’affetto infantile che aveva provato per Hyoga quando si erano conosciuti.

Infine, passarono dalla sala al primo piano, Freija rubò un po’ di quel vino rosso eccezionale di Hilda, Hyoga recuperò due bicchieri, e andarono a nascondersi nella sala della musica.

Era una notte di silenzi e di luna piena, con un’atmosfera da sogno che riempiva l’aria assieme al crepitio del camino, mentre a loro insaputa si addensavano scure nubi.

Freija e Hyoga erano assieme in quell’ambiente rilassante e intimo, e ridevano perché avevano brindato qualche volta di troppo. Con i sensi intorpiditi per la lieve ubriacatura riuscirono a mettersi a nudo, a rivelarsi per quello che erano veramente, e scoprirono, senza stupirsene troppo, che riuscivano a comprendersi con estrema facilità.

‹‹Che sera, stasera…›› mormorò Freija. ‹‹La luna sembra così vicina, dà l’impressione di portela toccare semplicemente allungando una mano››.

‹‹Puoi toccarla davvero, se vuoi››.

‹‹Ah sì, e come posso fare?›› gli chiese ridendo.

Freija sedeva sul pavimento, sotto una delle finestre, e Hyoga, come sempre, era sdraiato per terra lì di fianco. Erano separati soltanto dai bicchieri e dalla bottiglia appena aperta che aveva sostituito quella vuota, abbandonata poco lontano. Hyoga si passò un dito sotto al naso e sospirò.

‹‹Se non ci riesci da sola, allora te la voglio regalare››.

‹‹Che cosa, la luna?››.

‹‹Certo!›› disse Hyoga impegnato a muovere il suo bicchiere sul pavimento avanti e indietro. ‹‹Eccola, è tutta per te›› esclamò quando trovò la posizione giusta. La luna si rifletteva gialla sul vino dentro al bicchiere e loro risero.

‹‹C’è davvero la luna qui dentro!›› sussurrò Freija. ‹‹Cos’altro sai fare?››.

‹‹Poco altro, per stupirti››.

‹‹Non ce n’è più bisogno›› disse Freija.

‹‹Vuol dire che sono arrivato tardi…›› chiese Hyoga sollevandosi su un gomito.

Freija strinse le labbra e fece una smorfia. ‹‹No, vuol dire che mi hai già stupito››.

‹‹Ah››. Hyoga si stese di nuovo. ‹‹E come ho fatto?››.

‹‹Non lo so, è successo››. Anche Freija si stese, e assieme guardarono il cielo, attraverso la finestra. ‹‹Conosci le stelle?›› gli chiese.

‹‹Sì, qualcuna. Saori le conosce tutte, sai? È davvero brava lei…››.

Freija avvertì la solita inflessione dolce.

‹‹Tu vuoi bene a Saori?›› domandò ansiosa.

‹‹Sì›› rispose Hyoga immediatamente.

Freija osservò il profilo di lui, con gli occhi fissi al cielo, e restò senza parole importanti da dire.

‹‹Ci sono moltissime stelle nel cielo›› notò lui, rimettendosi schiena a terra.

‹‹…››.

‹‹Quando c’è la luna piena, non si vedono troppo bene›› continuò Hyoga.

‹‹Tu… mi vuoi bene?››. Hyoga si sollevò di nuovo, sorpreso, lei lo imitò e per un attimo si fissarono.

‹‹Sì››.

Freija strinse gli occhi, in un’espressione che esprimeva una lieve insoddisfazione, poi si sdraiò, con le mani unite sull’addome.

‹‹Come sei telegrafico…››.

Hyoga sentì che forse poteva azzardare qualcosa di più. Emise un lungo sospiro, e gli si aggrottò la fronte.

‹‹Ti… voglio molto bene…››.

Freija s’era fatta seria. ‹‹Ne sei sicuro?››.

‹‹Sì››.

Lei sbuffò. ‹‹Ancora sì…››.

‹‹Vorrei dire di più, ma potrei davvero esagerare…››.

‹‹Non vuoi…››.

‹‹No… perché non voglio scherzare con i sentimenti. Non sopporto l’idea che tu possa non ricordarti quello che ti ho detto››.

‹‹Non dimentico mai le cose importanti››.

‹‹A meno che tu non voglia farlo di tua spontanea volontà. Non mi guardare così, sei stata tu a dirmi, l’altro giorno, che volevi dimenticare quello che ti avevo detto››.

‹‹Come sei puntiglioso!›› lo rimproverò lei. ‹‹Ogni volta che parliamo di noi, litighiamo! Ti meravigli che non voglia farlo?›› si lamentò alzando un po’ la voce.

‹‹Va bene, hai ragione, mi calmo. Cosa vuoi sapere, allora?››.

‹‹Niente, posso dire tranquillamente che so già tutto››.

‹‹E allora perché mi fai certe domande?››.

‹‹Tu… stai prendendo questa discussione troppo sul serio!››. Freija si rimise seduta e prese in mano il bicchiere. La luna era sparita, naufragata tra le onde del vino come la loro discussione, ma c’era ancora Hyoga, adesso con il viso triste e gli occhi bassi. ‹‹Mi dispiace, non volevo essere scortese… ma ho paura d’ascoltare›› spiegò lei.

‹‹Non voglio che tu abbia paura di me, non dirò più niente››. Chiuse la bocca stringendo forte le labbra, e restarono in silenzio. ‹‹Io mi sento a disagio…›› disse improvvisamente Hyoga.

‹‹Perché?››.

‹‹Con te, sento di poter fare e dire qualunque cosa… mi sento scoperto, vulnerabile. Mi comporto in maniera incomprensibile. E poi, ho scoperto che sono geloso. Da morire››.

Freija si alzò faticosamente e, ondeggiando, andò a sedersi al pianoforte.

‹‹Capita anche a me, e non so se mi piace››.

‹‹Ma tu sei strana, non puoi negarlo!›› sentenziò lui. ‹‹Anche di me dicono che sono strano, ma è ben diverso››. Si stropicciò la faccia, poi si poi strinse i pugni e si stiracchiò, allungando le braccia dietro la schiena. ‹‹Non posso credere che tu riesca a tollerare che Leif ti maltratti come fa!›› borbottò tra sé e sé, scuotendo la testa vigorosamente. ‹‹No, non ci credo!››.

Lei ignorò le sue parole, ed eseguì un trillo al pianoforte, per attirare la sua attenzione.

‹‹Volevo dire che capita anche me… di essere gelosa››.

‹‹Di Leif?›› chiese Hyoga unendo le palme delle mani. ‹‹Chi vuoi che lo voglia uno come Leif? È arrogante, e ignorante! Non so davvero come si possa sopportare un tale imbecille!››.

Freija rise, perché Hyoga aveva bevuto molto più di lei, e pur sforzandosi non riusciva a mentire, come aveva sempre fatto. Stranamente, però, quella sera sentirlo inveire contro Leif non la irritava.

‹‹Sono gelosa di Hilda… e di te›› confessò. ‹‹Beh, cos’hai da guardarmi così?››.

Hyoga scoppiò a ridere, steso sul pavimento.

‹‹Sei ubriaca, e anch’io lo sono››. Dopo un po’ si rimise a sedere con enorme sforzo, e si grattò la testa. ‹‹È bella, Hilda, ma che carattere! Non fa per me… io sono troppo buono, lei troppo esigente››.

Freija gioì. ‹‹Davvero? Pensavo che ti sarebbe piaciuto stare con lei››.

‹‹Ho detto che è bella, non che vorrei stare con lei. A me piacerebbe… stare con te…›› borbottò.

Freija ricambiava il suo sguardo, attraverso la candela posata sul pianoforte.

‹‹Anche a me piacerebbe…›› sussurrò infine Freija. Quando Hyoga si alzò, un violento fremito la scosse. ‹‹Cosa vogliamo fare?›› chiese impacciata.

Hyoga s’era avvicinato quasi inconsciamente, poi batté gli occhi, e si stropicciò la faccia.

‹‹Suoni qualcosa?››.

‹‹Eh?››.

Hyoga tornò alla finestra, prese i due bicchieri, li riempì e tornò da lei, posandoli sul pianoforte.

‹‹Suoniamo›› disse.

Si sforzava in tutti i modi di controllarsi, cercando di alleggerire la situazione che s’era fatta tesa. Non era facile mantenere il controllo, averla così vicina e non osare nemmeno sfiorarla. Freija ne fu felice. Gli fece posto sullo sgabello e lo invitò a sedersi.

‹‹Mettiti qui›› disse Freija battendo una mano sul cuscino. ‹‹Stasera ti darò lezioni di piano!››.

‹‹Ci ha provato anche Saori, sono negato››.

Lei gli prese le mani, gliele aprì e le sistemò con decisione su tasti.

‹‹Non riesco a insegnarti a suonare il violino, ma sono anche un’insegnante di pianoforte!›› disse seccamente. ‹‹Io ci riuscirò!››.

‹‹Davvero?››.

‹‹Sì, è vero››.

‹‹Mi sa che anche tu hai molti segreti›› ipotizzò Hyoga. ‹‹E me li hai tenuti nascosti!››.

‹‹Secondo me hai ancora un grande segreto di cui non mi hai parlato!›› lo affrontò con decisione.

Hyoga alzò gli occhi al cielo, e gli sfuggì un collegamento che in quel momento, vicino a lei, non avrebbe mai afferrato.

‹‹Non mi sembra…›› disse alzando le spalle. ‹‹Ti ho raccontato tutta la mia vita, l’altro giorno, non ti è bastata?››.

‹‹No, non muovere le dita›› ordinò lei. ‹‹Prova a suonare…››. Hyoga premette i tasti, con una scoordinazione estrema.

‹‹Che suono terribile…›› rise nascondendo le mani sotto le braccia incrociate. ‹‹Te l’avevo detto che sono negato…Anche Sao…››.

‹‹Hyoga!›› lo interruppe bruscamente.

‹‹Cosa?››.

Lo rimproverò con lo sguardo, con estrema severità. Era una serata speciale quella, e Freija voleva che quelle labbra non pronunciassero altro nome che il suo. Hyoga continuava a non capire la sua improvvisa irritazione, ma non sarebbe riuscito a decifrarla, a meno che Freija non l’avesse affrontato ponendogli una domanda che le saliva alle labbra ogni volta che lui nominava Saori. Freija si sforzò di trovare il coraggio, ma anche quella volta le venne a mancare all’ultimo e lei ritrovò la calma.

Ma cosa sto facendo?

‹‹Concentrati…›› s’addolcì lei. ‹‹Considerala come la tua prima lezione di pianoforte››.

Abbandonarono l’ala della servitù e quando arrivarono nel pianerottolo dal quale le scale scendevano al primo piano, Eir salutò Hilda e la ringraziò per il prezioso aiuto.

‹‹Non ce l’avrei mai fatta senza di te, ti sono debitrice››.

‹‹Il mio piccolo contributo, stasera, non ripagherà certo tutti i favori che ti devo. È stato un onore aiutarti, Eir. Non avevo mai assistito ad un parto…››.

‹‹La povera Gellia non ce la faceva più e il piccolo diavoletto voleva assolutamente uscire. Per fortuna sono salvi entrambi e stanno bene››.

‹‹Quella bambina è così piccola, sembra impossibile che possa sopravvivere…›› disse Hilda con tenerezza guardandosi le mani come se stesse ancora stringendo il neonato.

‹‹È prematura. È molto magra, come la madre del resto, ma grida forte ed è vispa. Vivrà, non temere››. Eir le strinse affettuosamente un braccio, come se volesse trasmetterle un po’ di tranquillità, e scese le scale, diretta verso il laboratorio officinale.

Rassicurata dalle competenti parole della guaritrice Hilda ritrovò il sorriso. Era stanca e avrebbe voluto correre a dormire, perché l’indomani l’attendeva una faticosa giornata al Þing, eppure si disse che poteva ancora trovare la forza di aiutare Eir nello sbrigare alcune faccende.

Ha detto di voler preparare degli impacchi caldi per lenire il dolore di Gellia ma da sola dovrà lavorare sodo. Se le dessi una mano, mi sentirei più sollevata e la povera Eir si affaticherebbe meno.

S’avviò di slancio giù per le scale e stava scendendo l’ultimo gradino quando sentì una voce sgradevolmente familiare che la impietrì.

Leif era a palazzo, proprio quando Hilda si era già abituata alla gratificante idea che non sarebbe mai riuscito a tornare in tempo per partecipare al Þing. Sentire la voce dello jarl che impartiva ordini perché gli portassero da mangiare, con quel tono saccente e il cipiglio autoritario che non avrebbe dovuto ostentare in casa d’altri, la irritò terribilmente.

Almeno non scomoda tutti perché gli allestiscano un banchetto in sala! Strano che lo jarl si abbassi a mangiare nelle cucine!

Il suo umore peggiorò esponenzialmente quando distinse con chiarezza, seppure attraverso la porta che immetteva nel corridoio su cui si affacciavano le cucine, la voce cavernosa di Magni che si mostrava più servizievole e ubbidiente di quanto avrebbe dovuto. Hilda s’infuriò e si mosse, rossa in volto per la collera, verso la porta ma si fermò di scatto carpendo un frammento della loro incredibile conversazione.

‹‹Ben tornato, Leif!›› disse qualcuno di cui Hilda riconobbe la voce.

Sono sicura, questo è Guga.

‹‹Bene un accidente! Fa tanto freddo fuori che non ho incontrato nemmeno i lupi sulla strada del ritorno!››.

‹‹Perché ti sei messo in viaggio a quest’ora se sapevi che avresti viaggiato di notte con questo tempo?››.

‹‹Hanno tardato a finire il lavoro!›› sbraitò Leif. ‹‹Non sono potuto partire prima. E poi, non potevo più aspettare›› gli sentì dire Hilda con un tono gioviale e scherzoso, ‹‹sentivo la mancanza di casa, e della mia donna››.

‹‹Questa non è la tua casa…›› esclamò Magni con severità.

Ah, allora gli è rimasto un filo di coscienza!

‹‹Ti ho portato qualcosa, Magni›› disse Leif all’improvviso. "Un regalo".

‹‹Cos’è?››.

‹‹Te l’ho detto, un regalo›› ripeté Leif. ‹‹Sei un buon amico, Magni, e voglio ricompensarti con questo. È d’argento, accettalo››.

‹‹Devo indossarlo?›› chiese Magni col suo solito tono brusco.

‹‹Se vuoi dimostrarmi che l’hai apprezzato, sì››.

Ci fu un lungo silenzio e Hilda drizzò le orecchie, per tentare di carpire qualche suono.

‹‹Ti sta bene, Magni, quel ciondolo›› disse Guga, l’uomo dalla voce tagliente.

‹‹È bello essere tornati a casa›› disse di nuovo Leif ridendo.

‹‹Questa non è ancora la tua casa, ma puoi sempre consolarti con la prinsessa prima che lo diventi!›› precisò un terzo uomo dalla ridicola risata nasale.

C’è anche Agni, che bel quadretto di debosciati! E ridono anche, i miserabili!

‹‹Questo è ben detto!›› rise Leif. ‹‹Fa tanto la buona ma, in fondo, brucia come il fuoco! Ho dovuto lottare ma quando l’ho messa sotto, allora sì che è stata brava! E stasera, magari, potrei divertirmi ancora!››.

‹‹E allora divertiti anche per noi, figlio d’un cane›› si lamentò Agni, ‹‹perché certe prelibatezze passano solo nel letto dei più fortunati!››.

Hilda non riuscì più a resistere, perché le risate e le volgarità che sentì erano per lei una pugnalata al cuore. Più di tutto la ferì il silenzio di Magni, che era uno dei suoi capitani, uno degli uomini dell’hirð, un uomo in cui riponeva piena stima e fiducia. Se chiudeva gli occhi, rivedeva il volto pallido e gli occhi rossi di sua sorella, in quel triste mattino, e sentiva riecheggiare nelle sue orecchie il suo pianto silenzioso, al quale ora dava un significato più che mai straziante. Si allontanò, silenziosa come un alito di vento, con una pericolosa sensazione di quiete che sapeva precedere lo scoppio dell’ira.

Perché non hai voluto confidarti con me, avrei saputo come punirlo per questa violenza!

‹‹Hilda!››.

La sacerdotessa si fermò, a mezza scala, imponente e tenebrosa. Il suo sguardo era indemoniato quando si voltò verso Leif e la sua voce gelida e tagliente come la lama di un coltello quando gli rispose.

‹‹Godi di quest’effimero momento, non durerà a lungo››.

Leif impietrì e Magni, che era fermo dietro di lui, poté quasi vedere, nell’aria immobile, gli occhi di Hilda che saettavano odio e disprezzo soprattutto nei suoi confronti e indietreggiò di un passo, spaventato e sconfitto.

‹‹Avverti Freija che, tra poco, andrò da lei›› disse Leif ostentando una parvenza di sicurezza.

Hilda non gli rispose e riprese a salire le scale. Quando sparì alla vista, Leif dimenò un pugno per aria e sputò per terra.

‹‹Strega!›› grugnì con disprezzo. ‹‹Ma che accidenti le passa per la testa?››.

Si voltò verso Magni, a qualche passo di distanza palesemente turbato, con il muso lungo e lo sguardo basso, e lo afferrò per una spalla e lo scosse.

‹‹Svegliati, Rosso! Non mi piantare in asso ora perché conosco chi ti può far pentire d’essere nato!››.

‹‹Sono pronto…›› balbettò Magni.

‹‹Mi hai seccato con questa tua indecisione! L’hai vista bene, e l’hai sentita?›› sibilò Leif puntando l’indice verso il punto dove pochi minuti prima stava Hilda. ‹‹È fredda e crudele, spietata con tutti! Anche con te, che gli sei sempre stato fedele! Sei forse cieco, come quei tre bietoloni dei tuoi compagni che non hanno occhi che per lei e se li farebbero strappare pur di ammettere che sta sbagliando? Lo capisci che è cambiata? Non vi stima più, vorrebbe liberarsi di voi, forse ha già trovato il modo di farlo! E sai di chi è la colpa di questo cambiamento? Dell’utlänning, l’assassino! I fatti si ripetono, con la stessa esatta sequenza d’eventi che hanno portato alla sciagura sette anni fa! Da quando è arrivato lui, Hilda ha cominciato a cambiare…Ti basta sapere questo, o vuoi di più? Vuoi che lei ti mandi a morire, come ha fatto con gli altri Guerrieri Divini, come ha fatto con tuo padre?››.

Un guizzo di rabbia illuminò gli occhi di Magni che scintillarono come fuochi nella notte e il suo volto teso cominciò a tremare di furia incontrollata.

‹‹Voglio ammazzarlo, quel cane bastardo!›› ruggì con la sua voce cavernosa.

Leif brillò di gioia nel sentire quelle parole e batté una mano sul possente petto di Magni, caricandolo ancora di più.

‹‹Adesso riconosco in te il magnifico Magni del Martello, e questo è lo spirito giusto per affrontare la prova di stanotte!››.

‹‹Allora muoviamoci, perché fremo all’idea di spaccargli il cranio con queste mani!››. I guanti metallici luccicarono e scricchiolarono quando Magni strinse i pugni ma Leif smorzò l’ira che aveva infiammato il capitano.

‹‹Ogni cosa a suo tempo! Non dimenticare il piano, che è stato preparato con cura e che non può fallire! Il nostro obiettivo è unico, ma la ricompensa per te sarà più preziosa d’ogni tesoro! Pazienta e fa la tua parte, e quando l’avremo catturato e immobilizzato, avrai la tua occasione per la vendetta!››.

‹‹È pericoloso, ma non voglio battermi con un uomo che non si può difendere! Voglio che provi a difendersi dalla mia collera, e allora godrò nel vederlo in ginocchio a supplicare perché abbia pietà di lui!››.

‹‹Lo affronterai come un uomo che si batte con un uomo, come desideri!›› mentì Leif. Gli sistemò il ciondolo di Loki sotto la casacca, e gli batté una mano sulla spalla. ‹‹Avrai la tua vendetta!››.

Magni si calmò e, lentamente, diminuì il rossore che gli colorava la faccia. Definirono gli ultimi accordi per la delicata azione notturna, poi Magni si allontanò a grandi passi verso la Casa della Guardia, dove avrebbe atteso impazientemente.

I complici di Leif, una volta fidatissimi di Magni, lo raggiunsero aprendo la porta del corridoio su cui si affacciavano le cucine, dietro la quale erano stati nascosti ad aspettare e ascoltare.

‹‹Bene, bravo!›› sibilò Guga, l’uomo dalla voce tagliente. ‹‹Non è da tutti rabbonire Magni. Ancora bravo!››. Leif sospirò, si passò una mano tra i capelli cortissimi e s’accorse di sudare freddo.

‹‹Per un momento ho temuto di non farcela! Quel colosso ha davvero il cervello di un bambino ma è meglio così, per noi!›› rise.

‹‹Non sottovalutare kapten Magni, Leif!›› avvertì Agni con la sua ridicola voce nasale. ‹‹La sua furia colpisce come il mare in tempesta, ed è incontrollabile!››.

Leif accennò un sorriso d’assenso. ‹‹Lo so, è per questo che abbiamo indirizzato il suo odio e la sua rabbia verso l’utlänning! Con quel ciondolo, è già un altro uomo, il nostro uomo!››.

I due complici sghignazzarono e si sfregarono le mani, pregustando già il dolce tintinnio delle monete che avrebbero ingrossato i loro borselli, al termine di quella fatidica notte.

Hyoga aveva un talento naturale per le lingue, ne sapeva tante, e imparava molto velocemente, ma quella sera Freija ebbe la prova inequivocabile che era davvero negato per la musica.

Non poteva essere bravo in tutto, lo giustificò lei, e allora suonò per lui, per farlo felice. Ma il loro amato e geniale Mozart, la passione di Beethoven, la dolcezza di Chopin, non riuscirono a far loro dimenticare che quella meravigliosa avventura stava per concludersi.

Mentre, in un momento di pausa, Freija sorseggiava l’ultimo goccio di vino del suo bicchiere, Hyoga si abbandonò all’amarezza.

‹‹Domani c’è il Þing››.

‹‹Sì, ma cosa c’entra adesso?››.

‹‹Io…vado via››. Anche Freija smise di sorridere.

‹‹Vogliamo rattristarci pensando a quando andrai via!›› si voltò a dire seccata.

‹‹Perché no? Io sono già triste, la mia faccia felice era solo una finzione!››.

‹‹Hai bevuto, non sai quello che dici!››.

‹‹Sono lucidissimo››.

‹‹E va bene›› disse lei stancamente. ‹‹Chiariamo per sempre questa situazione››.

‹‹Io non mi rassegnerò come ho fatto in passato, ce la metterò tutta per comportarmi da uomo›› disse lui.

‹‹Ti prego…››.

‹‹È finito il tempo della fuga, non mi nasconderò più›› cominciò a dire senza badare a lei. ‹‹Non butterò via anche quest’ultima occasione che mi resta, fosse l’ultima cosa che faccio!››.

‹‹No…››. Freija gli chiuse le mani sulle labbra e continuò a scuotere la testa, chiedendogli di non parlare più. ‹‹Ma perché non lo capisci…››.

‹‹Capisco che se ti lascio andare non mi rimarrà più niente… Davvero è impossibile per te volermi bene?››.

‹‹…››.

‹‹Guardami… Non avrei mai voluto vederti con un altro eppure sono stato qui, mentre tu eri con Leif. Invece, restare tutto il tempo con te in questi ultimi giorni… i più bei giorni di tutta la mia vita››.

‹‹Sono stata bene anch’io, ma non puoi dimenticarti di Leif››.

‹‹E come faccio a scordarlo! Dimmi che lo ami, e che non vuoi più vedermi››.

Freija soffriva nel sentire la voce di lui così severa e sentì le lacrime scenderle sulle guance. Quello era il momento migliore per chiarire quell'ambigua situazione. Freija strinse forte i pugni e respirò profondamente.

Amo Leif…

Calò un silenzio spettrale, la luna cominciò a illuminare di meno, perché in quelle ore si erano addensate spesse e scure nuvole che sembravano volerla inghiottire.

‹‹Sto aspettando›› la esortò insistendo con quel suo tono di voce neutro che la inibiva.

Amo Leif e non voglio mai più vederti!

‹‹Freija, cacciami via, o non riuscirò a lasciarti››.

Perché è così difficile mentire?!

‹‹È facile, se è quello che vuoi››.

‹‹…non voglio››.

Erano stati seduti, fianco a fianco, su quello sgabello, e lui non era più disposto a resistere, ad aspettare.

‹‹Io vorrei baciarti›› affermò con decisione. ‹‹Stavolta lo faccio››.

Freija spalancò gli occhi, grandi e lucidi, e sentì il caldo tocco delle mani di Hyoga che le asciugavano le guance.

‹‹Non ci riuscirai››.

Hyoga allontanò di colpo la mano. Alla fine, ancora una volta, Freija aveva trovato il modo per rifiutarlo, e quella era per lui la più cocente delle sconfitte. Distolse lo sguardo, fissando con insistenza l’ondeggiante fiammella della candela che si consumava solitaria sul pianoforte, e si riprese solo quando si sentì accarezzare piano dalla soffice mano di lei.

‹‹Non ci riuscirai perché succede sempre qualche imprevisto››. Freija sembrava dubbiosa ma gli si era fatta vicina e gli stringeva forte le mani, e tremava.

‹‹È colpa mia. Sono debole, tu lo sai›› sorrise Hyoga per sdrammatizzare. ‹‹Forse è destino che non succeda››.

La candela sul pianoforte s’era quasi consumata, s’erano fatte più scure le ombre. Hyoga e Freija sembravano un’unica figura, nella penombra immobile che li circondava.

‹‹Non vai via sul serio, vero?›› sibilò Freija, senza smettere di guardarlo con i suoi occhi grandi.

Hyoga scosse la testa ma si passò una mano sugli occhi, per asciugarli, e si coprì il viso con il braccio, perché non voleva che lei lo vedesse piangere.

‹‹Non vorrei, ma Leif non mi lascerà restare. Il mio tempo è finito…››. Erano successe tante cose dall’ultima volta che si erano visti, e adesso Freija era davanti a lui, tra le sue braccia, e non era un sogno. Aveva fatto un passo in avanti ma non era stato sufficiente. ‹‹Sono stato felice con te. È meglio che vada, adesso… non voglio rovinare tutto. Voglio serbare un bel ricordo di noi, felici e sorridenti…››.

Hyoga piangeva e la sua voce era un sospiro spezzato dai singhiozzi. Freija avrebbe voluto asciugare le sue lacrime, avrebbe voluto stringerlo al petto, perché la sua spontaneità senza timori faceva innamorare. Lui cercò di alzarsi ma lei lo trattenne e lo fece sedere.

‹‹Resta ancora un po’…›› disse Freija prendendogli le mani e scoprendogli il viso. Si sporse verso di lui ma Hyoga sviò gli sguardi insistenti di lei. ‹‹Guardami, Hyoga…››.

‹‹No, ho gli occhi rossi…e non riesco a smettere di piangere…››.

‹‹Mi piaci, quando sei così vulnerabile››.

Hyoga sorrise, anche se era un sorriso un po’ tirato, sparirono tutte le rughe dalla sua fronte e apparvero le ridenti fossette sulle sue guance.

‹‹Non è mica una bella cosa da dire ad un guerriero!›› scherzò lui.

Lo stoppino sprofondò nella cera e la fiamma si spense quando Freija allungò le braccia intorno al collo di Hyoga. Nella stanza, rimasero solo alcune altre candele a dispensare un fioco bagliore.

‹‹Freija…››. Lei si sporse di più. ‹‹Se fai così non riuscirò più a controllarmi…›› rise Hyoga impacciato.

‹‹E tu non lo fare…››.

Hyoga tremò mentre le mani di Freija passarono ad accarezzargli la nuca, mentre una scarica di brividi si trasmise come un’onda a tutto il suo corpo, e finalmente si baciarono. Si strinsero forte per paura che ancora una volta, uno di loro due decidesse di tirarsi indietro, ma niente li avrebbe potuti fermare, ormai.

Hilda accantonò ogni buon proposito di aiutare Eir e concentrò la sua rinnovata energia nella contemplazione di una vendetta che pregustava come fosse già stata compiuta, e non solo come un’idea appena sbocciata. Vedeva Leif, con gli occhi della mente, non più come un uomo, se mai in questa veste l’aveva visto, ma come un bersaglio contro il quale si sarebbe accanita con tutta la cattiveria di cui si potrebbe pensare capace una donna furiosa, e forse anche di più. Lo voleva vedere strisciare, umiliato e spogliato di ogni dignità umana, prostrato ad implorare pietà, privilegio che aveva perso nel momento in cui aveva osato alzare le sue sudicie e volgari mani su sua sorella.

Hilda sapeva dove andare a cercarla e si diresse a colpo sicuro verso la sala della musica. Ancora prima di abbassare la maniglia, appena all’inizio del corridoio che portava alla stanza galeotta, presagì nell’innaturale silenzio un cambiamento ed ebbe le prove schiaccianti del suo presentimento quando aprì la porta, lentamente ma senza bussare per non svelare anzitempo il suo arrivo.

Precipitandosi alla sala, aveva pensato solo ai suoi sentimenti confusi d’ira e odio incondizionato, e non aveva considerato ciò che aveva potuto provare Freija in quei terribili momenti, e in tutti i giorni che erano seguiti quell’incresciosa notte da dimenticare. Aveva pensato solo al modo con cui si sarebbe attuata la vendetta per riscattare l’onore di sua sorella e il suo orgoglio ferito, e non al fatto che Freija stesse già cercando di risollevarsi, aggrappandosi con tutte le sue forze all’unico appiglio che potesse esserle di aiuto in quel momento.

Solo quando aprì la porta, quando ormai era troppo tardi per tornare indietro, solo allora, trovandosi di fronte ad una situazione che avrebbe dovuto prevedere, ma che in quel suo stato confusionale la colse impreparata, si vergognò come mai in tutta la sua vita. Naturalmente, Hyoga e Freija erano insieme.

Hilda li vide svincolarsi dall’abbraccio precipitosamente, e restare seduti vicini, con sguardi colpevoli che vagavano per la stanza e mani imbarazzate, di lei che s’intrecciavano tra le pieghe del vestito, di lui strette a pugno sulle cosce.

Che stupida sono…

Hilda era arrivata fin là con un proposito ben preciso e, nonostante sentisse forte dentro di lei il desiderio di tacere, odiandosi coma mai prima d’allora, si sforzò di riferire il suo triste messaggio.

‹‹Leif è tornato››.

Le sue parole squarciarono il silenzio e sembrò che ristagnassero nella stanza, inattese e sgradite.

Freija nascose il volto dietro le mani. Il senso di colpa per essersi abbandonata ad un piccolo peccato si manifestò dalla sua coscienza come lo scoppio di un temporale, violento e improvviso. Hilda sapeva che sarebbe accaduto, ma le conseguenze sarebbero state disastrose ora che l’aveva accidentalmente sorpresa tra le braccia di Hyoga, e poi rimproverata, contro sua volontà, con parole che avrebbe dovuto pronunciare, in ogni modo e in qualunque situazione. Hilda non poté vedere, sul volto di Freija, l’espressione affranta di chi si rendeva conto d’aver sbagliato, ma percepì la vergogna che scuoteva sua sorella e la faceva tremare, e soprattutto, cosa che la colpì al cuore, la sentì piangere. Figurò nella sua mente il volto arrossato di Freija, gli occhi e le labbra serrate, e avrebbe voluto correre da lei per abbracciarla e per scusarsi.

Hilda tentennò quando vide Freija alzarsi dallo sgabello, lentamente, come se le mancassero le forze, e Hyoga trattenerla un attimo per una mano. Le labbra di lui si mossero a comporre una parola muta, prima che lei si allontanasse a piccoli passi, allungando il braccio dietro la schiena senza che Hyoga si decidesse a lasciarle la mano.

‹‹Addio…››.

Freija sembrò fluttuare fino alla porta, scivolando sul pavimento con le mani unite sull’addome, vestita di chiaro e pallida come uno spirito inquieto, e ridivenne donna solo quando Hilda ebbe il coraggio di fermarla.

‹‹Mi dispiace…››. Furono le uniche due parole che Hilda riuscì a pronunciare ma Freija, inaspettatamente, prima di sparire nel buio dei corridoi, mostrò alla sorella un sorriso sincero e umido di lacrime.

‹‹Non è stata colpa tua››.

Hilda rimase in silenzio, sulla soglia, e vagò con lo sguardo sui bicchieri tinti del rosso del vino, sulle bottiglie abbandonate sotto la finestra, sulla colata di cera sul pianoforte che era stata una candela, simbolo consumato della loro intimità.

Hyoga trasse un profondo respiro ed eseguì un trillo, sorridendo amaramente.

‹‹Questo l’ho imparato, almeno…›› disse sorridendo.

‹‹Potrai mai perdonarmi, per quello che ho fatto…›› disse Hilda camminando verso di lui.

‹‹È stato meglio così, credimi… Sarebbe stato peggio doversi salutare anche con le parole››.

‹‹Salutarsi?!›› esclamò Hilda frastornata.

‹‹Un bacio›› sussurrò dolcemente. ‹‹…il modo più bello e dolce per dirsi addio…››.

‹‹Cosa stai dicendo!››. L’umore di Hilda s’impennò e lei perse all’istante tutta la pacatezza cui era stata costretta dalle circostanze.

‹‹Hilda… In fondo il mio compito qui è terminato. Basterà che domani mi sforzi di non pensare all’amore che ho perduto, ma di considerare l’amicizia che ho guadagnato. Un ultimo sforzo prima di…››.

‹‹Non voglio sentire!›› lo interruppe bruscamente. ‹‹Non ci sarà nessuna amicizia tra voi, non c’è mai stata! Vuoi andartene proprio ora, quando lei ha più bisogno di te?››.

‹‹Hilda…››.

‹‹Taci, adesso e ascoltami!›› gridò lei disperata.

Hyoga, ancora trasognato per quel bacio, faticò a seguire il disarticolato discorso della sacerdotessa che era agitata e confusa, passeggiava avanti e indietro senza che lui potesse farla fermare e si stropicciava le mani per il nervoso.

‹‹Io sono stata una stupida, avrei dovuto capirlo prima, ma possiamo sempre rimediare, io e te, insieme! Forse tutto quello che è successo è stato interamente per colpa mia… perché tutto è cominciato quella maledetta sera, alla pozza… Mi capisci? Non avrei mai dovuto comportarmi come ho fatto, mi sono talmente vergognata, ma per fortuna tu mi hai salvato… perché se fosse accaduto qualcosa tra noi, io mi sarei uccisa per il rimorso d’averle fatto un torto simile…››.

‹‹Non parliamone più, ti prego. Non è successo nulla…››.

‹‹Invece è accaduto l’irreparabile!›› Hilda sedette dov’era stata Freija. ‹‹Se non ti avessi raggiunto alla pozza, Freija avrebbe trovato solo te e avreste potuto parlare prima… Se solo non mi fossi comportata così…››.

‹‹Freija era là…›› mormorò Hyoga. Hilda confermò, annuendo.

‹‹Sì, voleva parlare con te della sua infelicità, ma non ha potuto! Mi ha confessato di averci visto! Le ho spiegato che ciò che aveva visto era successo per colpa mia, naturalmente, lei mi ha creduto ma ormai era tardi! Ecco perché diceva che amava Leif e non lo poteva lasciare! Lei non lo ama, Hyoga, non lo può amare!››.

‹‹Stai vaneggiando Hilda, smettila!›› sbottò Hyoga spazientito. ‹‹Io e Freija abbiamo già discusso, e da ciò che ho letto tra le righe e dal tono della sua voce…››.

‹‹Non hai capito niente, allora! Lei non lo ama!››.

‹‹Che importa ormai? Freija ha già il suo uomo, la felicità verrà col tempo…››.

Hilda si spazientì, perché aveva accumulato tanta tensione in quei giorni, e le parole di Leif l’avevano resa pazza di rabbia. Alzò una mano e lo colpì con uno schiaffo violento, poi scattò in piedi.

‹‹Potrà mai renderla felice un uomo che l’ha violentata?››.

Quella notte ottobrina fu una lunga agonia. Le ore trascorrevano lente, accompagnate dal mugghiare del vento che soffiava sempre più forte e addensava dense nubi gonfie di tempeste sulla pianura Iðavöllr. Sparì del tutto la luna, inghiottita da quel tenebroso soffitto di nubi e la notte si fece più buia, e sembrava voler nascondere i visi trasfigurati dalla malinconia e dalla rabbia di uomini e donne che stavano mettendo in gioco la loro vita e i loro sentimenti in quella notte, che soffrivano, amavano e lottavano per raggiungere infine la felicità.

Hadingus finse indifferenza quando Eir lo salutò, e lo lasciò a riflettere davanti ad una porta irrimediabilmente chiusa. Eppure strinse forte i pugni per non piangere, perché le parole che lei gli aveva detto erano dolorose.

‹‹Mi sei caro, Hadingus, come un fratello›› gli aveva detto Eir. Non aveva voluto ascoltare oltre e aveva cercato di mostrarsi saldo, dispiaciuto certo ma non atterrato.

‹‹È un vero peccato, Eir. Peccato davvero…›› aveva risposto lui, sfoggiando il suo accattivante sorriso.

‹‹Dormi bene, Hadingus››.

Non l’aveva nemmeno fatto entrare, pur se lui aveva insistito. L’aveva lasciato fuori della porta, lui che, per la prima volta, aveva cercato di conquistare una donna di sua iniziativa, senza aspettare che gli eventi la facessero scivolare nel suo letto.

Era stata indelicata, rivelandogli quella triste verità senza mezzi termini, ma Eir aveva scelto la soluzione meno traumatica, piuttosto che permettere a Hadingus d’entrare e di trovarsi di fronte a Hermóðr, che da tempo occupava il posto d’amante che Hadingus aveva scelto per se stesso.

Hadingus s’allontanò dal laboratorio officinale e girovagò per i corridoi del palazzo, fino quando vide Guga, fermo di fianco alla porta della camera di Freija. Si parò davanti al soldato, con le mani sui fianchi e lo squadrò dalla testa ai piedi, pretendendo di sapere perché si trovasse lì a quell’ora.

‹‹Faccio la guardia, capitano›› rispose Guga strascicando le parole. Il soldato traditore mostrò in quell’occasione di avere la mente pronta alla menzogna, inventando su due piedi una scusa plausibile che giustificasse la sua ingiustificata presenza in quel luogo a quell’ora. ‹‹La principessa temeva che l’utlänning potesse importunarla di nuovo, come ha fatto in questi giorni, e Leif mi ha pregato di restare qui fuori, di guardia››.

Hadingus non credette alla parole di Guga, ma sorrise all’idea che lo jarl Leif fosse stato costretto dagli eventi a far controllare la principessa per paura che lei scappasse nottetempo per raggiungere l’utlänning. Si chiese che cosa avesse di tanto particolare l’utlänning che attirasse le donne come il miele le api, poi raccomandò a Guga di tenere gli occhi aperti.

Riprese a girovagare, senza pace, infelicemente diretto alla sua stanza, triste e solo, quando s’imbatté in un’altra anima in pena. Hilda sbucò all’improvviso da dietro un angolo, camminando a testa bassa, non lo vide e gli sbatté contro perdendo l’equilibrio. Hadingus fu rapido e la sostenne prima che lei potesse cadere, e si scusò infinite volte per la sua goffaggine. In quel momento, la Grande Sacerdotessa di Odino era una donna che tremava, con gli occhi arrossati che avevano pianto, e che si teneva aggrappata al suo petto con la forza della disperazione.

‹‹Hilda… cos’è successo?››.

‹‹Non mi lasciare sola, Hadingus… tienimi con te, stanotte››.

‹‹Cosa vuoi?›› chiese bruscamente Hyoga fissando severamente la ragazza.

Tia rimase impietrita con lo sguardo basso, e cominciò a lisciarsi il vestito nervosamente.

Dopo che Hilda gli aveva rivelato quel terribile segreto, la sua mente era andata fuori controllo e non aveva più potuto pensare ad altro che non fosse un modo per uccidere Leif, lo stupratore, la bestia. L’avrebbe cercato e ucciso, a sangue freddo, e non sarebbe stata un’azione troppo impegnativa né difficile, considerando la sua superiorità e la sua rabbia incontrollabile.

Hilda, per fortuna, l’aveva fermato e l’aveva costretto a ragionare. La sacerdotessa aveva placato la sua furia, le reazioni incontrollate del suo corpo, ma non aveva potuto tranquillizzare la sua mente in subbuglio.

‹‹Se ti comporterai sconsideratamente la farai soffrire ancora di più!›› gli aveva detto Hilda.

‹‹Cosa vuoi che faccia? Devo continuare a sorridere, sapendo quello che le ha fatto?››.

‹‹Devi pazientare! Leif non è nessuno, lascia correre il Þing di domani, è un avvenimento importante, e non deve essere interrotto!››.

‹‹C čjortu ! (1) Allora è vero che per te la politica viene prima di tutto?››.

Hilda l’aveva fulminato con lo sguardo, ma aveva compreso la rabbia di lui.

‹‹So come ti senti, Hyoga, credi che io non voglia vendicare Freija? Ma ogni cosa va fatta a suo tempo! È importante che lei non immagini che noi ne siamo a conoscenza, hai capito? Non ne ha voluto parlare con me, né tanto meno con te, e credo che non l’abbia fatto con nessun altro. Puoi immaginare la sua vergogna? Guardami Hyoga, lei non deve sapere che ne siamo a conoscenza anche noi! Questo deve rimanere un segreto, hai capito?››.

‹‹Pensi che non lo sappia?››. Hyoga non riusciva davvero a pensare ad altro che alla morte di Leif. ‹‹Lo jarl si porterà questo segreto nella tomba!››.

‹‹Calma, ho detto!›› era intervenuta lei. ‹‹Giura che non agirai senza riflettere!››.

‹‹Non giurerò, Hilda››.

‹‹Allora prometti che non ti vendicherai!››.

‹‹So che se mantengo la calma ora, quando avrò modo di riflettere deciderò che non ha senso ucciderlo!››.

‹‹Questo non significa niente, Hyoga! Se lo uccidi senza motivo, sarai processato come un assassino!››

‹‹Senza motivo?››.

Hilda era furiosa, forse più di lui, ma riusciva a controllarsi e pure ad esercitare la sua autorità.

‹‹Sai bene quello che voglio dire, Hyoga. Prometti!››.

‹‹Ho ancora qualcosa da dire!›› aveva risposto lui. ‹‹Ho fatto per lei tutto quello che era in mio potere, sono venuto in questo posto solo per tentare di conquistarla, questa era l’occasione della mia vita! Ero qui, e lei ad un passo da me, e non ho potuto nemmeno proteggerla da quella bestia senza cuore! Cosa vuoi che faccia adesso, Hilda? Ho paura che se avesse voluto liberarsi di lui… avrebbe chiesto aiuto… Mi fa talmente schifo per quello che ha osato fare, che non vale la pena impegnarsi ad ucciderlo! Vorrei potergli dimostrare tutto il mio disprezzo, ma anche questo sarebbe sprecato per uno come lui! Prometto, Hilda, sei contenta? Non l’ammazzo, lascio a te quest’onore! Non c’è più spazio per me, io e Freija ci siamo già detti addio!››.

Hyoga era fuggito dalla sala della musica e si era rintanato nella sua stanza, per non vedere nessuno, per non essere tentato, per riposare e riflettere.

Seccato per il disturbo, quando aveva sentito bussare, si era precipitato alla porta e si era trovato di fronte Tia, una delle thírs che lo avevano servito con più zelo in quelle due settimane di gioie e dolori. Il primo impulso era stato quello di cacciarla via ma s’era sforzato di controllare il suo umore, perché in fondo non era lei la causa dei suoi problemi.

Fissò per un momento la ragazza col broncio, e provò una grande tenerezza. Tia gli ricordava Freija, non perché si somigliassero particolarmente, forse per i capelli biondi e ondulati, forse per la costituzione. Era molto bella, e aveva anche lei occhi grandi e dolci. Si strinse nelle spalle.

‹‹Dimmi pure›› la spronò più gentilmente, facendo scaturire un radioso sorriso della ragazza che gli riferì un messaggio, quasi sussurrandoglielo all’orecchio.

Hyoga le sorrise ancora, osservando la felicità sul volto di lei. Lei l’aveva adulato, qualche volta, e in certe occasioni gli era parso quasi che lo volesse sedurre. Ma Tia aveva appena quindici anni, la sua spontaneità e ingenuità suscitavano tanta tenerezza che era impossibile per chiunque arrabbiarsi con lei. Adesso lei gli stava di fronte, con lo sguardo basso, ed era davvero molto bella.

‹‹A mezzanotte…›› ripeté Hyoga sorpreso.

‹‹Sì›› annuì lei, sempre con un sorriso splendente. Era un invito ad un incontro clandestino nella Válaskjálf.

Hyoga si grattò la fronte, confuso e indeciso. Fece un passo verso la stanza e si voltò a guardare la ragazza, ferma sulla soglia con le mani incrociate sull’addome. ‹‹Nella Válaskjálf?›› chiese ancora, dubbioso d’aver capito male.

Tia si limitò ad annuire, lentamente, e se ne andò. Hyoga si sporse nel corridoio e la guardò mentre si allontanava. Si chiuse la porta alle spalle e si trascinò verso il letto, grattandosi la testa. Si lasciò cadere a peso morto sulle coperte. Attraverso lo squarcio tra le nuvole nere, fissò lo sguardo sulla pallida luna che saliva con una snervante lentezza verso la punta del Frassino del Mondo che svettava su tutti gli altri alberi del boscoso cortile interno.

Leif la fissò con occhi severi, capace solo di pensare all’umiliazione che subiva per colpa di lei. Ma no, la colpa era solo dell’utlänning, si disse sentendo montare nuovamente l’ira.

Era giunto inaspettato e aveva ficcato il naso nei suoi affari: era pericoloso, tanto più che avrebbe potuto far saltare il suo piano perfetto per la conquista del potere.

Freija non era riuscita a raggiungere la sua camera, Leif l’aveva intercettata nel lungo corridoio che su cui si affacciavano le stanze da letto. Senza troppe cerimonie l’aveva seguita, e Freija aveva dovuto lottare con la sua confusione, la gioia di quel bacio e l’imbarazzo d’esser scoperta da sua sorella, per concentrarsi sulla discussione che si preannunciava più difficile che mai.

‹‹Come mai sei tornato così tardi?››.

Leif grugnì qualcosa d’incomprensibile ma lei non era interessata alla sua risposta.

‹‹Piuttosto, tu dov’eri?››.

‹‹Stavo… suonando››.

‹‹Ancora la tua musica›› disse Leif, sedendosi. ‹‹Al nostro Landvarnarmaðr piace molto starti a sentire››.

Ci siamo.

‹‹Sì, l’apprezza molto›› precisò lei, senza voltarsi a guardarlo.

‹‹Ah, è perché sei molto brava›› si complimentò Leif, con voce sincera.

Freija allora si voltò, interdetta. Non era preparata ad una discussione civile con quell’uomo che sembrava essere capace solo di urlare e menare le mani.

‹‹Tu non mi hai mai voluto ascoltare, come fai a saperlo?››.

Leif sorrise. ‹‹È stato un grande errore, uno dei tanti. Ma ho parlato con Hilda, l’altra sera, l’ho saputo da lei››. Fece una pausa, corrugando un po’ la fronte. ‹‹Non è stato bello da parte mia scappare a quel modo, ma ero… davvero stanchissimo››. Lei strabuzzò gli occhi.

Hyoga non stava mentendo…

‹‹Avrò altre occasioni di apprezzarti mentre suoni, o hai deciso di smettere all’improvviso?››.

Freija si passò una mano sulla fronte, e respirò profondamente. Cosa stava succedendo?

‹‹No, certo che no››.

‹‹Bene, allora›› esultò Leif.

Quello era il Leif che lei aveva sempre desiderato, disposto ad ascoltarla e ad assecondarla nelle sue passioni. Era dolce, con uno sguardo avvolgente e un sorriso pieno di comprensione, che le dava conforto.

No, questo è Hyoga! Leif è solo capace di lamentarsi e di maltrattarmi!

‹‹Che ti succede, Freija?››. Lei alzò gli occhi Leif con uno sguardo confuso, e forse disperato. ‹‹Non ti senti bene?›› s’informò lui alzandosi.

‹‹No, sono… solo stanca…››.

‹‹Allora, siediti››. L’aiutò a sedersi, senza indugiare negli abbracci com’era suo solito.

Perché fai così, perché questo cambiamento adesso?

Le premure di Leif la facevano vergognare ancora di più per essersi lasciata coinvolgere emotivamente dalla presenza di Hyoga. Era quella la punizione per quell’insignificante tradimento? Nel momento stesso in cui aveva ceduto ai suoi istinti, arrivava la punizione, terribile, sotto le sembianze di un Leif rinnovato nei modi. Era sempre bello, le era sempre piaciuto, ma adesso la riconquistava con la gentilezza.

Leif le portò un bicchiere d’acqua, poi sedette di nuovo e le raccontò quello che aveva fatto in quella giornata.

Lei lo guardava, ma non afferrò una sola parola del suo lungo racconto. Era fissata sulle sue labbra, che si muovevano al ritmo delle parole, e mentre le guardava riusciva solo a ricordare l’appassionato bacio di Hyoga. Si sentiva meschina, ma non poteva cambiare il corso delle cose. Leif forse stava cambiando per lei, per amor suo, e Freija non aveva saputo aspettarlo. Era stata forte, perché Hyoga era stato per lei una tentazione fin dal primo momento in cui si erano rivisti, ma alla fine gli aveva ceduto.

‹‹Per fortuna che sono riuscito a rientrare prima che ricominciasse a nevicare! Sarei congelato!››.

Freija si scosse in quel momento, bevve l’acqua e gli sorrise.

‹‹Sì, per fortuna››.

Restarono in silenzio per un momento, poi Leif si schiarì la gola.

‹‹Voglio chiederti una cosa, ›› cominciò a dire, tamburellando le dita sui braccioli della sua poltrona, ‹‹una cosa che riguarda il Landvarnarmaðr››. Freija trattenne il respiro ma Leif non se ne accorse. ‹‹Tu… davvero non sei stata a letto con lui?››.

Lei lo guardò veramente stupita.

‹‹No, ma cosa dici?››.

‹‹Sì, scusami, sto vaneggiando›› si riprese lui. ‹‹Non farci caso, sono solo molto geloso››.

Leif… perché sei così diverso? O sei sempre stato così, e io non me ne sono mai accorta?

‹‹L’unico nostro problema è lui, Freija›› riprese Leif all’improvviso. ‹‹Una volta che se ne sarà andato, svanirà la ragione di tutti questi nostri assurdi litigi. Come si dice: lontano dagli occhi, lontano dal cuore››. Le sorrise, con una faccia un po’ triste, poi ritornò serio. ‹‹Stavamo bene prima che arrivasse, no? Sono stato severo… mi sono comportato malissimo, e me ne vergogno… ma…››. Esitò, come se non trovasse le parole giuste. ‹‹In questi ultimi tempi, da quando è arrivato ad Ásgarðr, ti ho vista diversa, cambiata. Era come se tu fossi calamitata da questo sconosciuto, un uomo che non avevo mai visto, del quale non sapevo e non so niente tuttora! E lui che ti corteggia come se fosse un comportamento normale!››. Allargò le braccia e poi le richiuse, premendosi le mani sul petto. ‹‹Io non sapevo più come fare! In realtà mi sono disperato, perché ci si rende conto di quello che si ha solo quando si è sul punto di perderlo››.

Mi sento svenire…

Freija non trovò le parole per ribattere perché Leif si era spiegato fin troppo bene. S’era sentita sconfitta e prigioniera di un uomo che si era rivelato un mostro di perfidia e malvagità. La violenza che le aveva usato Leif non poteva essere cancellata da quelle belle parole, né gli insulti o le percosse.

Aveva deciso di dimenticare Hyoga per restare fedele a Leif, poi l’aveva tradito, soprattutto col pensiero, cosa che considerava peggiore, e aveva pensato a tutti i modi possibili per disfarsi di lui. Adesso Leif si confidava con lei, cercando di dimostrarle che alla fine ciò che aveva pensato di lui era sbagliato, che in fondo anche lui poteva offrirle la felicità.

Pensò che se si fosse confidata con Hyoga o Hilda, la drammatica situazione si sarebbe sbrogliata e avrebbe avuto un felice epilogo, prima di complicarsi a quel punto. Ma adesso era tardi, si disse. Temeva la collera di Leif, perché parlargli dei sentimenti che aveva riscoperto sarebbe equivalso a dire che lui era stato un semplice rimpiazzo, un modo come un altro per passare le giornate nell’assenza di Hyoga. Se lui non fosse mai tornato, sarebbero stati felici e contenti, proprio come nelle storie d’amore a conclusione felice. Ma Hyoga era tornato da lei, inaspettatamente.

Era tornato per lei, per riconquistarla, per dimostrarle che il tempo poteva spegnere un piccolo fuoco, ma sapeva alimentare una grande passione come la loro. Come avrebbe spiegarlo a Leif senza che lui andasse su tutte le furie?

‹‹Ho avuto paura di perderti, Freija. Ho temuto che tu perdessi la testa per lui, per un uomo che corteggia tutte le donne!››.

‹‹Cosa?›› s’interessò lei, distraendosi dai suoi pensieri. ‹‹Cos’hai detto?››.

Leif la guardò, poi buttò fuori l’aria dal naso, per farle capire che quello che stava per riferire gli costava fatica. ‹‹Ho detto che è un uomo che corre dietro a tutte le donne››.

‹‹Cosa vorresti dire?››.

‹‹Non è già chiaro così?›› sbuffò lui. ‹‹Pensi che non l’abbia visto, alla Casa della Guardia, scambiarsi le donne con tuo fratello?››.

‹‹Leif!››.

‹‹Mi dispiace parlare male del principe, Freija, ma questo è quello che ho visto››. S’accomodò sulla poltrona e cominciò a recitare il suo bel discorso, preparato con cura. ‹‹Non so se lo sai, ma alcune delle thírs che servono a palazzo, frequentano la Casa della Guardia e… gli alloggi dei soldati. Anche Hyoga le ha viste, era anche lui là, e negli ultimi giorni è stato lui ad intrattenere la ragazza preferita del principe››.

Lei scosse la testa, ricordandosi di come Gna sorrideva a Hyoga, nelle occasioni in cui s’era incontrati in sua presenza.

‹‹Non ti credo››.

‹‹Liberissima di farlo, non ti obbligherò di certo›› disse lui alzando le braccia. ‹‹Eppure è la verità, Freija. Anche le tue thírs, Fulla e Hlin, che non hanno mai lodato nessuno, civettano con lui, e non sono le uniche. C’è chi giura d’aver visto Tia in sua compagnia››.

‹‹Mia sorella le ha espressamente chiesto di pensare a lui, di non fargli mancare niente››.

‹‹Anche di notte?›› chiese lei con una punta di malizia. ‹‹L’hanno vista uscire dalla sua camera, di notte››.

‹‹Non può essere vero›› negò lei alterata.

‹‹Beh, non è un male intrattenersi con certe donne facili che non hanno altro passatempo. Ma le cose si complicano, quando importuni una vera donna››.

‹‹Non insistere più con questa storia, Leif›› disse Freija alzando un po’ la voce.

‹‹Ripetevo solo quello che ho sentito dire in giro, semplicemente. Non sono tutte menzogne le chiacchiere che girano, sai? Da te volevo solo sapere, se è vero che è l’amante di tua sorella?››.

‹‹Basta!›› gridò lei.

Leif alzò la testa allungando il collo. ‹‹Perché ti scaldi tanto?›› chiese guardandola torvo.

‹‹Non ti permetto di parlare male di mia sorella!›› si riprese lei.

Leif si scusò immediatamente. Freija si morse le labbra di nascosto, ma lo jarl tacque, per sua fortuna, perché in quel momento d’estrema fragilità avrebbe potuto credere a tutto ciò che le dicevano.

‹‹Mi dispiace d’averti detto queste cose, so che lo ammiri››.

‹‹Lo ammiro ancora››. Freija trovò la forza di rispondere e di sfidare lo jarl, guardandolo dritto negli occhi.

‹‹Ma lo dimenticherai?››. Freija si alzò e si diresse nella stanza accanto, dove c’era il letto. Era stanca, voleva solo riposare. ‹‹Lo dimenticherai?›› ripeté Leif con più insistenza.

Freija, desiderosa di restare sola, annuì leggermente col capo, e sorrise, un sorriso striminzito che però parve convincerlo.

‹‹Che sollievo, mia cara››. Leif sospirò di soddisfazione. ‹‹Avverto già un netto miglioramento nel nostro rapporto e ti lascio nella speranza che, con una salutare notte di sonno, tu possa avvicinarti ancora di più a me››.

Freija sedette pesantemente sul letto, e incrociò le mani sulle cosce.

‹‹Sì, una notte di sonno… È quello che ci vuole›› disse lei sorridendo.

Leif si chinò leggermente su di lei, poi esitò.

‹‹Posso…?››.

Freija rifletté per un lungo momento, poi annuì. Ricambiò il dolce bacio di Leif, la prima volta che si sentì ben disposta ad assecondarlo, ma certo non fu nemmeno lontanamente paragonabile all’emozione che le avevano trasmesso le labbra e le carezze di Hyoga.

‹‹A proposito…›› disse lui, ‹‹torno subito››.

Leif tornò nell’anticamera mentre lei si sciacquava il viso, per riprendersi, e lo sentì raccontare altre storie, di quelle lascive e volgari che i soldati e le serve si scambiavano, su sua sorella e sulle vergognose tresche che s’intrecciavano tra quelle mura a sua insaputa, che ora coinvolgevano anche Hyoga. Si sentiva confusa, combattuta fra troppe affermazioni che s’incollavano nella sua mente che non era più in grado di distinguere la verità dalle bugie. Alla fine, si trovò costretta a chiedersi se forse non sarebbe stato meglio per tutti loro dimenticare ciò che era stato, obbedire a Leif ed evitare ogni sorta di complicazione.

Poi Leif bussò e chiese il permesso di entrare.

‹‹Sì, vieni pure››. Leif le porse un bicchiere.

‹‹Bevi questo, Freija›› l’invitò con dolcezza sincera.

‹‹Cos’è?››.

‹‹È un sonnifero che mi ero fatto preparare da Eir, per queste terribili notti insonni che ho passato!›› spiegò. ‹‹Ma sono felice di darlo a te, dopo tutte queste brutte notizie, perché temo ne avrai maggior bisogno››.

Freija, senza pensare, vuotò il bicchiere in una sorsata e lo guardò uscire dalla stanza, mentre nella sua mente echeggiavano ancora le sue parole: "lontano dagli occhi, lontano dal cuore". Si alzò e corse alla porta, sporgendo la testa all’esterno.

‹‹Leif…››.

Lo jarl era appena fuori della porta che parlava con un soldato. Freija scambiò un’occhiata veloce con Guga, che le sorrise, poi Leif, guardandosi intorno preoccupato, tornò sui suoi passi col sorriso e la riaccompagnò nella stanza.

‹‹Che ti succede?›› chiese chiudendo la porta alle sue spalle.

‹‹Dove stai andando?›› mormorò Freija con un filo di voce.

Leif notò che lei già ondeggiava e faticava a tenere lo sguardo fisso.

La seiðkona ha preparato una pozione che è fenomenale. Bylistr ha fatto bene a fidarsi di lei! Anche la collana stregata che ho fatto indossare a Magni ha funzionato. Speriamo che anche l'altra pozione abbia effetto immediato sul bastardo! Mise una mano nel borsello che gli pendeva dalla cintura, per assicurarsi d’essersi portato dietro la fialetta, e si sentì pieno d’energia e di desiderio di riscossa. Abbi pazienza, Freija. Quando Hyoga non ci sarà più e avrò eliminato Bylistr e i suoi tirapiedi, ti renderai finalmente conto di quanto valgo e saremo felici! Abbi pazienza, ancora una notte!

‹‹Vado a riposare, domani ci aspetta una giornata lunga››.

Lei sembrò cadere dalle nuvole, e, in effetti, era un po’ la sensazione che avvertiva.

‹‹Domani c’è il Þing›› si stupì. ‹‹Ci sarai anche tu?››.

‹‹Ma certo, mia cara. Non ti lascerò sola, mai più››.

Leif dice sempre… che non mi lascerà…Hyoga, invece, mi ha detto addio. È tutto finito?

Si sentiva stordita e dovette sostenersi al braccio di Leif perché le cedevano le gambe.

‹‹Mi sento strana…›› disse appoggiandosi a lui, stavolta con tutto il peso.

Leif la sollevò, prendendola in braccio, e l’adagiò sul letto. Freija aveva già il respiro grosso e lui la guardò insistentemente, prima di cominciare a spogliarla. Totalmente abbandonata e quasi incosciente, Freija lasciò che lui le togliesse il lungo abito, incapace di opporre resistenza.

Si sentiva leggera e i rumori che le giungevano alle orecchie erano suoni profondi e irriconoscibili. Per quanto si sforzasse, non riusciva a coordinare i movimenti e nemmeno ad articolare frasi di senso compiuto. Leif le diceva di non parlare ma la sua voce era buffa e la faceva ridere.

La sua mente funzionava ad intermittenza, alternando istantanei momenti di lucidità a lunghe pause di incoscienza, e le trasmetteva immagini e ricordi, che erano confusi e pasticciati.

Si rivide assieme a sua sorella, quando erano ancora piccole e giocavano assieme tra i fiori d’estate. Poi Hilda era cresciuta e la sgridava, perché stava trattenendo Hagen sveglio troppo a lungo. Era la vigilia del giorno in cui lui avrebbe tentato di guadagnarsi l’armatura di Guerriero Divino e assieme erano seduti davanti al camino. Tutto divenne buio. Poi l’oscurità fu squarciata dalla luce che emanava da due occhi blu, bellissimi e tanto tristi, e sentì dolore alle gambe, era stanca e col respiro affannato per la lunga corsa, mentre una mano amica stringeva la sua mano.

Era con Hyoga e scappavano assieme dalle segrete, dal palazzo, dalla cittadella. Hilda la voleva uccidere e anche Hagen li voleva morti, entrambi. Era nelle grotte, il luogo dove Hagen si stava confrontando con Hyoga per la salvezza d’Hilda e per amore di lei. Ricordò il momento in cui si parò davanti a Hyoga per proteggerlo dalla collera di Hagen, e rivide la terribile scena di Hagen che scelse l’obbedienza alla sacerdotessa, deciso ad ucciderli. Vide il vortice di fuoco che turbinava verso di lei, si avvicinava e stava per investirla in pieno.

‹‹No›› balbettò contorcendosi. Leif la trattenne dolcemente per le spalle.

‹‹Stai tranquilla, andrà tutto bene››.

Ancora le immagini tornarono a tormentarla. Non c’era più il fuoco, non sentiva dolore, perché Hyoga l’aveva protetta col suo corpo, e lei vide un’estesa bruciatura sul suo fianco nudo. Si sforzò di ricordare quando l’aveva vista, quella scottatura, e ricordò che aveva giaciuto con un uomo. Ora ricordo, Hyoga, abbiamo fatto l’amore… ma i tuoi baci erano diversi, quella notte, mi hai fatto male. Rivide la pozza e Hilda che baciava Hyoga. Forse Leif ha ragione quando dice che Hyoga preferisce Hilda e le altre donne… ma Hilda mi ha assicurato che non c'è stato niente tra loro. A chi devo credere?

Leif, premuroso come mai prima, l’aveva svestita e sistemata sotto le coperte.

Hyoga, non eri tu che mi toccavi quella notte… Non m’importa niente di ciò che hai fatto…

‹‹Copriti o prenderai freddo››.

‹‹Non m’importa…›› mormorò Freija delirante.

‹‹Lasciati coprire, Freija, ti ammalerai››. Vederla in quello stato delirante lo commosse, e si chinò a baciarle la fronte.

Hyoga… sei tu, vero? Allora sei rimasto con me…

Freija allungò le braccia intorno al collo di Leif e lo baciò.

Ti amo…

‹‹Quando la luna arriverà sul Frassino del Mondo, a mezzanotte, io ti aspetterò nella Válaskjálf. Sii prudente e bada di non essere visto, o seguito da nessuno. A mezzanotte, ti aspetterò››.

Hyoga s’era assopito per il troppo pensare. Poi si girò pigramente e vide la luna sfiorare l’alta cima del Frassino. Saltò giù dal letto in un lampo. Avvertì una strana sensazione, come di freddo, ma forse era l’ansia e la gioia che gli trasmettevano quel gelo alle gambe. S’infilò i suoi logori scaldamuscoli e con il messaggio che gli ronzava nella testa, silenzioso e cauto, attraversò gli scuri corridoi, impaziente di raggiungere la Válaskjálf.

Nel silenzio del palazzo, gli sembrava che i battiti del suo cuore producessero un rumore assordante, che tamburellava nelle sue orecchie, e arrivò al pianterreno quasi senza respirare o deglutire per il timore di svelare la sua presenza.

La smania d’incontrare Freija, l’eccitazione per l’incontro segreto, e la complicità di Tia come messaggera, velocizzarono i suoi passi e in un attimo aprì la porta dell’Aula dei Prescelti. Sbirciò dentro la sala buia attraverso la porta socchiusa e in fondo, dall’altra parte del salone intravide una figura immobile, in attesa, illuminata fiocamente ma col volto in ombra.

Col cuore in gola, riconobbe l’abito che Freija aveva indossato quella sera. Aprì la porta dell’Aula dei Prescelti, troppo concentrato sulla figura di lei che lo aspettava, in gran segreto, perché la sua mente inebriata potesse anche solo lontanamente immaginare le conseguenze che ne sarebbero derivate.

Hilda era intraprendente, tenace e vendicativa, una donna da cui ci si poteva aspettare di tutto. S’era spogliata nuda davanti ai suoi occhi, sfacciata e senza vergogna, offrendogli ciò che un uomo che non fosse stato rispettoso quanto lui, non avrebbe mai potuto rifiutare. Freija però era diversa, angelica, così perfetta e inaccessibile al punto da spingerlo quasi tra le braccia della sorella per la paura di ammettere i suoi sentimenti. Avrebbe mai potuto, una donna così riservata e timorosa, invitarlo esplicitamente ad un incontro segreto dalla dubbia moralità? Se Hyoga fosse stato lucido, nel pieno delle sue facoltà intellettive e non totalmente alienato, avrebbe giurato di no.

Entrò di slancio nella Válaskjálf, ignaro e impreparato, e non vide le figure nell’ombra che lo attendevano oltre la soglia.

Il primo colpo, portato a segno allo stomaco con violenza col manico di un’ascia, lo costrinse ad accartocciarsi su se stesso. Indietreggiò d’istinto, ma la porta alle sue spalle era già chiusa e la via di fuga sbarrata da un uomo che l’afferrò strettamente passandogli un braccio attorno alla gola.

Hyoga si dimenò per cercare di liberarsi dalle forti mani che quasi contemporaneamente gli avevano bloccato le braccia ma uno degli aggressori, Magni, gli era già di fronte di fronte e lo colpì ancora, sempre allo stomaco, con il suo massiccio pugno guantato. In quel momento lo lasciarono andare e Hyoga cadde in ginocchio lamentandosi. Mentre contava gli uomini che lo avevano assalito, cercò di alzarsi, più velocemente che poté, ma ricevette un calcio al costato che gli tolse il respiro e subito dopo un sordo cazzotto alla mascella che gli riempì la bocca del sapore del sangue.

Sotto quella gragnola di colpi i suoi pensieri si rivolsero tutti verso Freija, verso la sagoma di donna che assisteva impassibile al suo pestaggio, nascosta dalla penombra sul fondo del salone. Avrebbe dovuto pensare prima di tutto a difendersi, ma gli aggressori erano decisi a non mollare la loro vittima, e non gli lasciavano un attimo di respiro continuando a colpirlo senza sosta. La resistenza che Hyoga oppose si rivelò tardiva e blanda per essere efficace.

Era quasi sconfitto quando vide brillare il bianco sorriso di Leif. Una scintilla di rabbia incendiò il suo sopito spirito guerriero, e il desiderio di punire lo jarl, la voglia incontrollata di vendetta, gli fecero ritrovare la forza per ribellarsi.

‹‹Maledetto!››.

Con un grugnito rabbioso, si liberò le braccia spingendo di lato Guga e Agni che tentarono invano di trattenerlo, colpì al viso l’uomo che gli stava alle spalle rovesciando con forza la testa all’indietro e allontanò Magni, che gli stava di fronte, con un calcio al petto.

Leif sbiancò in viso, sentendosi afferrare per il colletto, e non ebbe nemmeno il tempo di emettere un suono perché Hyoga lo aggredì, digrignando i denti come una bestia, bombardandolo senza tregua con una pioggia di pugni.

I quattro compari di Leif corsero in suo aiuto, ma per un lungo momento, ottenebrato dall’ira e accecato dall’odio, Hyoga riuscì a difendersi e a contenerli tutti e cinque.

Pur essendo più forte di tutti loro, si trovò in difficoltà quando vide scintillare la lama della spada di Leif. Hyoga si sarebbe fatto uccidere piuttosto che accettare la resa, avrebbe potuto attaccarli utilizzando il suo potere e ucciderli tutti, ma esitò alla vista della spada e l’esito dello scontro si decise in quella frazione di secondo.

‹‹Dovrai ammazzarmi, se mi vuoi!›› sibilò Hyoga verso Leif.

Guga e Agni tentarono di colpirlo, uno con una mazza ferrata, l’altro con il manico dell’ascia, badando bene di non ferirlo mortalmente. Hyoga, fuori controllo, schivò la mazzata e afferrò il manico dell’ascia congelando all’istante il legno che si frantumò in schegge. Il metallo della lama, cadendo a terra, provocò un rumore squillante che echeggiò nel salone, mentre Guga cadeva di schiena col naso sanguinante e Agni s’inginocchiava lentamente, premendosi una mano sulla bocca.

‹‹Adesso!›› esclamò Leif in quel momento.

Magni andò a segno col suo martello, alzandolo e abbassandolo con rapidità. Hyoga barcollò, ma restò in piedi girandosi verso il capitano, dimenticandosi di Leif e del quinto uomo. Helblindi lo colpì alle spalle, con una bastonata sul collo che lo sbilanciò in avanti, e mentre Leif lo spingeva in ginocchio, Magni roteò il martello alto sulla testa e colpì con tutta la sua forza. Hyoga gridò per il dolore quando il martello lo colpì sulla schiena, e rotolò a terra contorcendosi.

Leif si avvicinò con gli occhi spalancati, il fiato grosso e le narici dilatate, schiumando di rabbia e sputando sangue. Si accanì calciando con crudeltà fino a quando i lamenti di Hyoga si ridussero a sommessi rantoli quasi impercettibili. Un ghigno soddisfatto gli arricciò le labbra mentre contemplava il suo nemico umiliato, che si contorceva per gli spasmi ai suoi piedi, mentre una macchia di sangue si allargava sul marmo della sala.

Dal suo borsello estrasse una boccetta, la guardò, quasi con ammirazione, poi la porse a Magni che lì di fianco lisciava il potente martello con una mano.

‹‹Deve berla tutta!›› ordinò. ‹‹Fino all’ultima goccia!››.

Guga e Agni sollevarono Hyoga per le braccia mentre Helblindi lo costringeva ad alzare la testa tirandolo per i capelli.

Dopo avergli aperto di forza la bocca per vuotare il flacone, Magni gliela tappò col palmo di una mano mentre, con l’altra, gli chiudeva le narici, impedendogli di respirare. L’unico modo possibile che rimase a Hyoga per trarre un respiro, fu quello di ingurgitare l’amaro liquido che ebbe peraltro un effetto quasi immediato.

Gli si appannò la vista, per prima cosa, e tutto ciò che gli stava intorno cominciò a muoversi ora a scatti, ora in maniera molto rallentata. Cercò allora di focalizzare l’attenzione su un punto ma non riusciva a tenere ferma la testa che, indipendente dalla sua volontà, oscillava a destra e a sinistra, avanti e indietro, disorientandolo. Nonostante tutto si sentiva rilassato, e lo era al punto che quando lo lasciarono cadde faccia a terra, incapace di reggersi in piedi da solo. Le pareti della Válaskjálf giravano vorticosamente, e ricordò di aver provato una sensazione simile le volte che aveva bevuto troppo. Pensò che avrebbe voluto che quella terribile sensazione fosse dovuta ad una semplice bevuta piuttosto che all’effetto di chissà quale droga.

Con la faccia premuta contro la fredda pietra del pavimento, con l’ultimo barlume di coscienza che gli rimaneva, fissò la figura immobile vicino alla porta in fondo alla sala. La donna lo guardava ma, dalla grande distanza, Hyoga non poté vedere gli occhi di lei scintillare per le lacrime. Aprì la bocca per cercare di chiamarla, ed emise un rantolo strozzato, ma la ragazza aprì la porta sul fondo del salone e uscì. Hyoga sentì il rumore di passi veloci che si allontanavano lungo il corridoio e il suo cuore in frantumi.

Il suo respiro si fece sconnesso, poi sempre più lento e regolare, come quello di chi scivolava nel sonno profondo. Con una pedata Leif lo girò per poterlo vedere in faccia e fissò con soddisfazione gli occhi ribaltati del nemico che si chiudevano inesorabilmente, mentre un rivolo di saliva colava dalla sua bocca socchiusa mescolandosi al sangue.

Hyoga sentì che gli prendevano le mani per legargli i polsi, ma non avrebbe potuto cercare di opporsi, era come un manichino. Leif s’inginocchiò su di lui e sorrise, mostrando i denti insanguinati.

‹‹Ci hai fatto faticare più del previsto, ma non poteva finire diversamente!››.

‹‹Ammazzalo e fallo sparire!›› ordinò Helblindi. ‹‹E togliete questo sangue!›› si lamentò indicando le chiazze sul pavimento.

‹‹Mi occuperò di tutto, Helblindi!›› disse Leif. ‹‹Aiutaci a portarlo via, poi ti faremo uscire!››.

Non ancora svenuto, percependo le loro risate sommesse e crudeli come suoni distorti e grotteschi, Hyoga ebbe il suo ultimo pensiero cosciente.

Aiuto…

Hadingus fissava il soffitto, rilassato ma incapace di prendere sonno. Alla fine, si era convinto che avrebbe potuto dimenticare Eir, perché non era certo l’unica donna sulla quale avesse posato gli occhi. Si sentiva sollevato, ora che era tornato tutto alla normalità.

‹‹Aiuto! Qualcuno chiede aiuto!››.

Hadingus si scosse per la sorpresa e trattenne Hilda che si stava alzando in fretta e furia.

‹‹Calmati, era solo un brutto sogno›› la assicurò facendola stendere di nuovo. Hilda sembrava sconvolta e tremava, e lui la coprì con un forte abbraccio. ‹‹Era solo un sogno. Ero sveglio e non ho sentito nessuno gridare aiuto››.

La sacerdotessa si lasciò cullare da Hadingus e si tranquillizzò, sentendo che si colmava il senso di vuoto che aveva provato durante tutto il tempo in cui non avevano dormito assieme.

‹‹Mi sei mancato…›› disse improvvisamente, senza cogliere nel buio il sospirato sorriso di felicità del capitano.

‹‹Anche tu››.

Tra le braccia di Hadingus, Hilda dimenticò le ansie e le preoccupazioni accumulate in quelle ultime angosciose ore.

Mi sento tranquilla e protetta ma questa piacevole sensazione di quiete non durerà in eterno… Prima o poi, dovrò affrontare la realtà, non ha senso fuggire e nascondersi qui.

‹‹Adesso che ti sei svegliata, andrai via come fai sempre?›› chiese Hadingus con voce piatta e rassegnata.

I loro incontri si consumavano in gran segreto, la maggior parte delle volte nella spartana stanza di Hadingus, situata in quell’ala del palazzo riservata agli alloggi dei capitani dell’hirð. La cruda verità di quell’innocente domanda le piombò addosso come un involontario sebbene lecito rimprovero.

Andrò via come ho sempre fatto, anche stavolta?

Hilda si chiese cosa rispondere, e soprattutto se rispondere. Hadingus non le aveva chiesto più di qualche ora, né lei si era mai preoccupata di dargli di più, eppure sapeva che le sue parole non erano state del tutto casuali.

Cosa vuoi che ti dica?

Il silenzio divenne quasi insopportabile ma d’altra parte non sapeva nemmeno lei cosa dire in una situazione del genere. Hadingus parlò per lei, anche se Hilda non fu felice per quello che udì.

‹‹Ora che sei qui, sono rilassato, eppure questa cosa non va bene così. Voglio sapere perché sei qui, adesso? Ti sei forse stancata del Rus?››.

‹‹Non c’è mai stato niente tra noi››.

‹‹Sarà come dici… Stasera c’è qualcosa nell’aria che non so spiegare…Voglio essere sincero con te, mi hai incontrato per caso, perché ero stato da Eir, prima…››.

‹‹Eir?›› gli fece eco Hilda sorpresa. Si sollevò sui gomiti per vederlo in faccia e quando incontrò i suoi occhi, seppe con certezza che, quella notte, Hadingus voleva da lei di più.

‹‹Ho riflettuto sulla mia situazione, in questi ultimi giorni. Eir mi piace ed è gentile con me, e tu mi avevi cacciato talmente tante volte, giorno dopo giorno, che mi sono illuso di trovare consolazione in un’altra donna››. Hadingus riprese a parlare dopo una lunga pausa. ‹‹Eir mi ha rifiutato ed è stato meglio così, perché quando ti ho incontrato, anche se per caso, mi s’è sgombrata la testa da tutti gli altri pensieri, e ho visto solo te››.

Hilda si lasciò scivolare giù, sul petto di Hadingus, perplessa e confusa.

Sta succedendo ciò che non avrei mai voluto succedesse. Hadingus mi attrae ma è solo una questione d’aspetto fisico, oppure c'è dell'altro? Come può vedere solo me, che sono meschina e approfitto della sua compagnia per soddisfare i miei desideri? Non ho mai pensato davvero ai sentimenti degli altri, e adesso che mi ha costretto a farlo mi odio per il mio egoismo.

‹‹Perché non parli?›› disse di nuovo Hadingus.

Non so cosa dirti.

‹‹Se tu mi dicessi qualcosa, qualunque cosa, potrei almeno mettermi il cuore in pace, nel bene e nel male, perché ogni volta che esci da questa stanza non capisco se è stata l’ultima volta o se tornerai ancora da me››.

Come faccio a dirti qualcosa che non so nemmeno io?

‹‹Potresti almeno sforzarti di parlare… Sarebbe meglio parlare con sincerità piuttosto che continuare a tacere››.

Mi sento la testa scoppiare…

‹‹La tua solitudine ti ucciderà, prima o poi. Perché non provi a confidare di più negli altri?››.

La mia solitudine mi intorpidisce i sensi, tanto che non riesco a mantenere una relazione… forse non ne sono capace.

‹‹Mi hai chiesto di tenerti con me stanotte, ma preferisco stare da solo piuttosto che con te muta come una tomba al mio fianco. Se non ti soddisfo più, dimmelo e lasciami libero. Mi sto rovinando, aspettando che tu decida se restare da me o correre da qualcun altro. Sempre che tu stia pensando di decidere!››.

Finora non mi sono mai posta il problema, ma adesso è diverso…

‹‹Hilda, vuoi rispondermi?››.

È così difficile esprimersi, quando non lo si fa da tanto tempo. Parlare dei miei sentimenti mi fa sentire vulnerabile, e non mi piace esserlo.

Hadingus adesso era nervoso e impaziente. Come prima cosa alzò il braccio col quale abbracciava Hilda, e poi si girò su un fianco, voltandole la schiena.

‹‹Vattene, e non tornare!›› disse con durezza.

Fino allora, anche nei momenti in cui si amavano, Hadingus non aveva mai smesso di considerarla la sua signora, e si era fatto trascinare in un rapporto ambiguo e segreto che non lasciava spazio ai sentimenti. Erano sempre stati la Regina d’Ásgarðr, la Grande Sacerdotessa, e un capitano dell’hirð, di giorno e di notte. Quella notte però, Hadingus aveva voluto darle il cuore e la signora d’Ásgarðr lo stava rifiutando. Eppure, quelle accorate parole avevano sortito un certo effetto, aprendo una breccia nel duro e freddo guscio dietro al quale Hilda si riparava dagli insulti del mondo.

‹‹No›› sussurrò con un filo di voce.

Con un sospiro sconsolato, Hadingus si voltò in quel letto che era piccolo per due, ma dove Hilda sapeva che lui le avrebbe sempre fatto posto, e la fissò, aspettando di sentire da lei ancora qualcosa.

‹‹No cosa?›› chiese lui seccato.

La felicità è difficile da trovare e da mantenere… ma con un piccolo sforzo…

‹‹Stavolta non vado via››.

‹‹Perché?››.

‹‹Perché voglio restare con te…››. Hadingus sorrise, contento di poco.

‹‹E poi?››.

‹‹Non so… Anch’io sarò sincera. Non so per quanto tempo sarà così, ma adesso sento che posso restare››.

‹‹Va bene così, non dire di più. A me basta…››.

Hilda sentì ancora una volta il corpo di Hadingus su di lei e si lasciò abbracciare.

‹‹Ti sono piaciuta?››.

‹‹Sei stata brava, Tia››.

La ragazza si voltò nel letto, e il suo amante l’afferrò saldamente.

‹‹Sei gentile ›› mormorò quando Leif le fece prendere fiato dal lungo bacio.

‹‹La principessa ti ringrazierà di persona, perché grazie al tuo prezioso aiuto siamo riusciti a catturare l’utlänning››.

Tia era una ragazza semplice, e tanto ingenua. Era stato facile per Leif, adescarla e convincerla ad aiutarlo con qualche azzeccata menzogna. Lei gli aveva creduto e si era fidata, ansiosa di compiacere lui e la principessa.

‹‹Ma Hilda non s’arrabbierà quando saprà che avete imprigionato l’utlänning?››.

‹‹Certo che no›› mentì Leif. ‹‹Hai pulito bene la Válaskjálf?›› chiese poi.

Tia annuì. ‹‹Certo, jarl, non è rimasta nessuna traccia dell’agguato››.

Leif rise di gusto, soddisfatto del suo piano perfetto, di se stesso, della sua perfidia.

‹‹Ora brindiamo!››.

S’alzò dal letto e camminò verso l’unico arredo della camera della thír, eccettuato il letto e una cassapanca che serviva anche da sedia. Su quel grezzo tavolo aveva appoggiato una fiasca di birra.

‹‹Birra!›› esclamò trionfante alzando la fiasca.

‹‹Che onore brindare con te, jarl››.

‹‹Te lo sei meritato, Tia››.

Lei era rimasta nel letto, lui le dava le spalle mentre riempiva i due corni. I suoi vestiti erano posati lì vicino, e non gli fu difficile allungare una mano e infilarla nel borsello appeso alla cintura.

Sì, tutto è andato a meraviglia, meglio di quanto avessi immaginato!, pensò mentre estraeva un sacchettino di cuoio ben chiuso. Freija ha finalmente capito che io sono l’unico di cui ha bisogno, era la conclusione più ovvia!! La sua confusione è stata indotta dalla presenza dell’utlänning, ma quando ha ragionato ha capito che il suo trasporto era solo un’illusione. Ora lei è tutta mia, Bylistr, tu ti dovrai accontentare di morire! Andrai in Hel a fare compagnia al nostro compianto Landvarnarmaðr e alla sacerdotessa strega! Preparati Hilda, perché la prossima sei tu!

La polverina che aggiunse alla birra di Tia sfrigolò per un momento a contatto col liquido, poi la reazione cessò e rimase ad agitare la birra solo la sua naturale fermentazione che faceva salire, dal fondo del corno, colonne di bollicine.

Il momento del trionfo è vicino, e brindo al mio successo, da solo!

Tia afferrò il corno che lui le porse e bevve con gusto.

‹‹È forte questa birra, jarl!›› sorrise lei. Leif tracannò d’un sorso il suo corno, e anche lei lo finì. ‹‹Già mi gira la testa…›› disse ancora Tia, lasciandosi cadere sul letto.

Nella stanza riecheggiò la risata demoniaca di Leif, ma nessuno poté sentirla perché fuori imperversava una tempesta furiosa, e il mugghiare del vento era così violento da coprire ogni altro rumore.

Note

1) Al diavolo, ( c čiortu ).