CAPITOLO XX

Ragione e sentimento

 

N

el cuore della notte, Freija si svegliò da uno strano sogno, con eco di grida trasformate in risate nella testa, con la fronte imperlata di sudore.

Aveva sognato di cadere dall’alto di una rupe verso il mare che era nero e tempestoso. Aveva gridato e aveva desiderato di poter volare con tutte le sue forze. E come per miracolo, mentre precipitava verso le acque fredde e schiumose che si infrangevano nei fiordi, si era sentita sollevata ed era planata sulle acque e poi era tornata su in cielo. Si sentiva leggera e volava. Le acque erano calme adesso e quando aveva abbassato lo sguardo sulla piatta superficie del mare, aveva visto il suo riflesso, lei che volava grazie a grandi ali bianche. Quelle ali stupende non erano sue però, perché qualcuno la sorreggeva e l’aiutava. Si era sforzata di capire di chi potessero essere quelle forti braccia sconosciute che la sorreggevano, ma non poteva riconoscerle, o forse non voleva.

Aveva chiesto a gran voce il nome di chi l’aveva salvata ma non aveva ottenuto risposta, e intanto continuavano a volare sul mare e lei aveva visto paesi e terre che non aveva mai conosciuto. Stavano andando lontano, ma non aveva ancora ottenuto una risposta alla sua domanda. Allora aveva urlato con tutta la voce che era riuscita a trovare che voleva tornare a casa e si erano fermati. Le mani che la sorreggevano avevano allentato la presa e lei aveva sentito il suo corpo farsi di nuovo pesante. Adesso poteva vedere l’uomo con le grandi ali perché lui la teneva sospesa sul mare per una mano, ma era davanti al sole che gli splendeva intorno e il suo viso era in ombra. Freija aveva gridato, con voce supplicante e rotta da un pianto disperato.

‹‹Non lasciarmi cadere, io non so volare, annegherò!››.

‹‹Non aver paura, non ti lascerò sola…Ti aiuterò a capire, e sarai libera di decidere se tornare, o ricominciare con me e volare…››.

L’uomo con le ali aveva parlato al suo cuore senza bisogno di parole e lei che voleva sentire la sua voce non poté. Non aveva avuto più paura di cadere, eppure piangeva perché sapeva di essere in trappola e di non poter volare. Poi l’uomo con le grandi ali aveva lasciato la sua mano e lei era rimasta sospesa perché aveva lei pure le ali, anche se erano piccole. Freija ricordò di non essersi sorpresa di quel fatto, del fatto di avere delle ali che non sapeva di avere o che forse non sapeva come usare. Il suo cuore era pieno di coraggio e aveva volato spinta da un forte vento. Al suo fianco c’era l’uomo con le ali, senza volto e senza voce. Aveva scelto di essere libera e di restare con lui, ma stavano percorrendo la strada a ritroso, verso casa.

Freija si mise a sedere sul letto e si asciugò la fronte.

Aveva gridato quando stava cadendo dalla rupe, ma quando aveva spiccato il volo le sue erano risate di gioia, o forse d’amore. Ora, sveglia e lucida, chiuse gli occhi e cercò di focalizzare l’attenzione su quel volto ignoto. Voleva a tutti i costi identificarlo ma, ovviamente non ci riuscì. Sarebbe stato sufficiente che si fosse fermata a considerare le ali dell’uomo che l’aveva salvata dal precipizio per risolvere il mistero. L’immagine delle ali era ancora viva nella sua mente e lei avrebbe riconosciuto subito l’uomo che volava con grandi e bianche ali di cigno.

La mattina, quando si guardò nello specchio d’argento che aveva in bagno, trasse un sospiro di sollievo. Sulla guancia, dove Leif l’aveva colpita, non c’era altro che un lieve arrossamento. Le faceva male, anche se solo si sfiorava, ma quel segno era una sciocchezza se paragonato al livido rosso che aveva sulla spalla, che invece era molto doloroso.

Sono stanca di tutto questo…Ma cosa posso fare? Passò una mano sullo specchio, coprendo prima metà del viso dell’immagine riflessa, poi l’altra. L’immagine è una, ma dentro sento due persone diverse, che vogliono cose differenti, come differenti sono i loro sentimenti. Non ti capisco, ma vorrei che tra noi tutto si sistemasse, Leif, ma tu non fai niente per venirmi incontro. Guardò severamente nello specchio. Io voglio bene a Leif, ma l’altra Freija desidera Hyoga e disprezza Leif. O forse è il contrario? Ma quale Freija sarò io, oggi?

Arrivò il momento della verità quando si riunirono nel salone per il dögurðr.

Hilda e Hyoga erano sorridenti e allegri, impegnati nelle solite chilometriche discussioni, e la salutarono appena la videro entrare. Anche Leif era là, già seduto al suo posto, irritato e di umore pessimo. Ciò nonostante, si alzò e l’accolse con un sorriso, aiutandola a sedersi con molta cortesia.

Freija interpretò il suo silenzio, un po’ forzato, come imbarazzo nei suoi confronti. Si comportò come suo solito, rise e scherzò con lui, Hyoga e Hilda, in maniera naturale, convinta che quello fosse il modo migliore per dimostrare a Leif che non gli portava rancore.

‹‹Se i miei calcoli sono giusti, oggi dovrebbe tornare Freyr›› disse Hilda, finendo il suo latte scagliato. ‹‹Non sarebbe una bella idea festeggiare il suo ritorno?››.

Freija annuì, e Hilda, ignara della furiosa lite della sera precedente, avanzò una proposta di cui era entusiasta. ‹‹Ho pensato che Freija potrebbe suonare per noi, stasera. Che ne dici, sorella?›› chiese con uno sguardo speranzoso.

Freija, colta di sorpresa, non seppe cosa rispondere.

‹‹Ma è da molto che non suono…››.

‹‹Non mi sembra una grande idea, se posso dirlo›› disse lo jarl schiarendosi la gola. Leif e Hilda si scambiarono uno sguardo distratto.

‹‹Sì, non so se è il caso…›› azzardò a dire Freija, suscitando uno sguardo vittorioso dello jarl. Era come se volesse ribadire, con quel suo ghigno, che Freija avrebbe comunque fatto quello che lui decideva fosse meglio per lei.

‹‹A me piacerebbe sentirti suonare. La trovo un’idea brillante, Hilda››. Hyoga si ribellò per lei, e si voltò verso Leif con un’espressione neutra sul viso.

‹‹Naturalmente, la scelta ultima spetta a Freija›› disse Leif. ‹‹Cosa decidi?››.

Freija rimase con gli occhi sul tavolo per un po’, mentre gli altri tre la guardavano in attesa di una risposta, e si guardavano con espressioni ambigue.

‹‹Intanto, non sappiamo se Freyr tornerà oggi. E se tornasse, ho tempo fino a stasera per prendere una decisione››.

‹‹Sì, certo›› sbuffò Hilda. ‹‹Credevo di trovare una soluzione all’apatia che ultimamente regna a palazzo, ma se dev’essere un peso, non importa››.

Hyoga cercò d’incrociare lo sguardo di Freija, ma si accontentò di scambiarsi qualche occhiata con Leif. Farlo irritare, quasi, era diventato un divertimento.

Quando si alzarono da tavola Leif le chiese di seguirlo, e Freija s’incamminò dietro di lui, ansiosa di ascoltare le sue scuse. Il segno rosso dello schiaffo era ancora evidente sulla sua guancia.

‹‹La lezione non ti è servita, allora?››.

Freija sgranò gli occhi e subì quel nuovo rimprovero con stanca rassegnazione. Mentre Leif sbraitava e si accaldava, si diede della stupida per aver sperato che le cose sarebbero andate diversamente.

‹‹Ti fa male la guancia?›› disse infine Leif, con una leggera inflessione nella voce.

Freija sospirò e scosse la testa, in cenno di diniego. "…No…".

‹‹La prossima volta, allora, mi ricorderò di colpirti più forte!›› minacciò.

Freija sentì montare la collera tanto che avrebbe voluto colpirlo lei con uno schiaffo per chiudergli la bocca, per vendicarsi. Raccolse tutto il suo coraggio, che in quei momenti, di fronte ad un uomo che alzava le mani troppo facilmente per i motivi più futili, era davvero poco, e provò a difendersi.

‹‹Non ci sarà una prossima volta…››.

Il suo tentativo fu deludente, perché la paura era troppo grande, e ciò che le era uscito non era un grido di ribellione bensì un sospiro, come se stesse implorando perdono. Difatti, Leif la guardò compassionevole e allungò una mano per sfiorarle la guancia.

‹‹Lo vedi che se vuoi sai essere ubbidiente, proprio come piace a me! Sono sicuro che non mi costringerai più a punirti per la tua sfacciataggine››.

L’abbracciò dolcemente, e lei chiuse gli occhi, aggrappandosi alle maniche della sua casacca, ricacciando indietro le lacrime.

‹‹Ora vado!›› disse lui allontanandola.

‹‹Dove vai?››.

‹‹Ho certe faccende da sbrigare, perché me lo chiedi?››.

‹‹Sei sempre lontano, e io sempre sola…›› si lamentò lei.

‹‹Ma c’è il tuo amante sempre attaccato alla tua gonna! Di che ti lamenti?›› sorrise Leif, facendo una smorfia.

‹‹Per favore, non litighiamo ancora…›› supplicò lei. ‹‹Ti ho già spiegato tutto…perché non vuoi credermi? Comincio a stancarmi dei tuoi continui rimproveri…››.

‹‹Non essere sciocca, mia cara. Vorresti ribellarti?››.

‹‹Non voglio ribellarmi…Vorrei…››.

‹‹Meglio per te!›› la interruppe lui bruscamente. ‹‹Ora devo andare, ma sappi che qui intorno, ci sono tanti occhi che vedono per me e ti controllano! Vedi di non deludermi di nuovo, principessa, perché la prossima volta non sarò così compassionevole nei tuoi confronti. Oh, sì, quando fai il broncio sei ancora più bella! Ricorda, ›› disse allontanandosi, ‹‹tanti occhi vedono per me››.

Quel mattino Helgi invitò Hyoga ad una battuta di caccia alla lepre. Era stata Hilda a proporla, perché era sicura che il principe sarebbe tornato ad Ásgarðr prima di sera. La squadra organizzata da Helgi era nel piazzale, con i cavalli sellati e i cani che latravano e correvano, quando Hyoga li raggiunse per avvertirli che preferiva restare a palazzo. Helgi tentò di convincerlo ma senza insistere.

‹‹Ci divertiremo! Non ti stanchi a stare tutto il tempo chiuso tra quattro mura?››.

‹‹Ne ho avuto abbastanza di ieri…››.

Helgi lo squadrò, con l’espressione severa di un padre che rimproverava suo figlio. Si avvicinò a Hyoga e gli posò una mano sulla spalla.

‹‹Non è stata davvero una scelta intelligente, la vostra. Tu stai pestando i piedi ad uno di cui nessuno di noi si fida›› sussurrò Helgi perché lo udisse solo Hyoga, indicando come per caso gli uomini che si preparavano per la caccia, poco lontano da loro. ‹‹E la principessa continua a disobbedirgli! Non ti stupire del fatto che Leif sia inferocito!››.

‹‹Non l’ho costretta, ma adesso mi dispiace che abbia accettato di venire. Hanno discusso, ieri sera…Non ho capito una parola ma ho sentito le urla…mi sento terribilmente in colpa...››.

‹‹Vieni con noi, servirà a distrarti››.

‹‹Sì, sarebbe meglio ma…non mi va di lasciarla sola››.

‹‹Non combinare altri guai, Landvarnarmaðr! Secondo me stai tirando troppo la corda››.

‹‹Da, può darsi, ma starò attento. E poi…se vuoi una scusa migliore, il tempo non promette niente di buono›› spiegò Hyoga, alzando gli occhi e indicando il cielo. ‹‹Tra poco comincerà a nevicare…Non mi sembra il caso che andiate nemmeno voi››.

‹‹Davvero?›› chiese Helgi, quasi scoppiando a ridere. ‹‹Per quel che ne so, non credo che nevicherà prima di qualche giorno››. Alcuni guerrieri udirono quell’ultimo scambio di battute e risero, sommessamente per non offendere il nuovo Landvarnarmaðr, il più strano che Ásgarðr avesse mai avuto.

‹‹Ti assicuro che nevicherà prima di mezzogiorno!›› insistette Hyoga. Poi alzò le spalle, vedendo che né Helgi né gli altri uomini gli davano ascolto. ‹‹E va bene, fa come vuoi! Io torno dentro›› sbuffò salutandoli con una mano.

‹‹Divertiti al caldo, Hyoga, e stasera festeggeremo il ritorno di Freyr con una bella mangiata di selvaggina!››.

Cacciatori e cani si mossero rumorosamente, e Hyoga li sentì allontanarsi mentre entrava a palazzo. Trotterellò per i corridoi, diretto nel soggiorno dove aveva intravisto un libro che avrebbe voluto leggere.

Dopo quello che era successo tra lui e Freija, e soprattutto dopo aver udito gli strilli dello jarl, non aveva più nessuna voglia di stare con lei.

Troppe complicazioni. Non basta il mio desiderio morboso di stare con lei a spingermi a cercarla. Le creerei solo ulteriori problemi con lo jarl, ed è l’ultima cosa che voglio. Quel maledetto…

Si fermò a metà del corridoio, stringendo i pugni, pieno di rabbia nei confronti di Leif.

Se ne avessi l’occasione, l’ammazzerei!

Poi respirò profondamente, e riprese a camminare.

No, non è vero…sono invidioso di lui, anche se penso che Freija stia facendo un grosso sbaglio! Però lei sembra convinta… In realtà, sono un miserabile, un presuntuoso, proprio come ha detto lei!

Affacciandosi alla porta del soggiorno, trovò Freija, seduta come sempre davanti al camino impegnata a terminare gli ultimi ricami del complicato arazzo sul velluto blu.

Rimase immobile sulla soglia, osservando da dietro la rotondità della sua nuca, i lunghi capelli biondi ora raccolti in un affascinante chignon. Seguì il movimento meccanico del braccio di lei, che si allargava per tirare il filo e poi spariva dietro la poltrona per infilare l’ago nel velluto, per poi tornare ad alzarsi.

‹‹Posso?›› chiese bussando leggermente sullo stipite.

Lei alzò la testa sulla spalla, poi sorrise.

‹‹Avanti››.

‹‹Prendo un libro e vado via subito››.

Freija continuò a ricamare, senza mai voltarsi, ascoltando attentamente i suoi movimenti.

La presenza inattesa di Freija, anche se avrebbe dovuto immaginare che lei fosse nella sua stanza preferita, lo colse impreparato, e trovare il libro che aveva visto divenne un’operazione lunga e complicata.

‹‹Ecco fatto›› disse infine con un filo di voce. ‹‹Buon lavoro››.

‹‹Puoi restare a leggere qui, se vuoi››.

Hyoga si era affrettato ed era già sulla soglia, lei non si era mossa. Fece ancora un passo verso il corridoio, cominciando a chiudere la porta alle sue spalle.

‹‹Questa è una delle stanza più calde del palazzo, sai? È lontana dal trambusto, ed è molto silenziosa. Anch’io vengo sempre qui, a leggere e per tante altre cose››.

‹‹Come ricamare›› precisò lui, incapace di restare serio.

Era inutile negare che Freija lo attirava come un magnete il ferro. Se lei avesse continuato a parlare, non sarebbe riuscito ad andarsene. E così fu.

‹‹Proprio così!›› disse lei con una tonalità di voce più alta. ‹‹Hilda si siede sempre là, sul divano›› continuò alzando una mano sopra la testa e indicando con l’indice il punto esatto dov’era sistemato un divano a due posti. ‹‹A lei piace stare comoda, e sceglie il divano perché può stendere le gambe. Io adoro questa poltrona, invece, la considero quasi una mia proprietà››. Rise da sola e passò le mani sui braccioli. ‹‹Anzi, questa è la mia poltrona››.

Hyoga non ebbe il coraggio di andarsene. Sembrava che volesse convincerlo a restare, forse per farle compagnia, ma era come se si vergognasse a chiederlo apertamente.

‹‹E quest’altra poltrona, invece? Sembra nuova››.

‹‹È identica a quella dove sono seduta›› rispose lei, ‹‹ma non ha ancora trovato un padrone. Se mi fossi seduta su quella, la prima volta che sono entrata qui, forse sarebbe stata quella la mia poltrona preferita, e questa sarebbe stata la poltrona ancora senza padrone››.

‹‹Sì, ha un senso››.

Chiacchieravano di poltrone e padroni delle poltrone come se fosse stato un argomento di importanza capitale, e alla fine risero, quando Hyoga, con tono anche solenne, si proclamò padrone della poltrona senza padrone. Appoggiò il libro sul cuscino, trascinò la poltrona davanti al camino vicino a quella di lei, poi riprese il libro e si lasciò cadere.

‹‹Chop! Davvero comoda!››.

Il fuoco crepitava producendo braci ardenti, ed era quasi mezzogiorno, quando Hyoga, occhieggiando pigramente fuori della finestra, s’accorse dei radi fiocchi che cominciavano a scendere fluttuando.

‹‹Kakája neudáča ! (1) Avrei dovuto scommettere con Helgi!›› si lasciò sfuggire.

‹‹Come?››.

‹‹Vedi, sta cominciando a nevicare››. Hyoga indicò la finestra e lei esclamò per la sorpresa.

‹‹No, ancora!››.

‹‹Sì, e a giudicare dal colore del cielo, nevicherà tutto il giorno›› la informò Hyoga annuendo gravemente. ‹‹L’avevo detto ad Helgi di non andare a caccia oggi, che sarebbe nevicato prima di mezzogiorno, ma lui non ha voluto ascoltare! Avrei dovuto scommettere con lui!››. Rise. ‹‹S’infradiceranno tutti, e saranno costretti a tornare, mortificati e senza selvaggina››.

Gli uscì un involontario sorriso al pensiero di Helgi imbacuccato nel mantello per proteggersi dalla neve e dal freddo.

‹‹Invece, no›› spiegò lei. ‹‹Ti assicuro che Helgi non tornerà alla cittadella fin quando non avrà cacciato qualche animale per la cena di stasera››.

‹‹Non ci riuscirà, gli animali staranno rintanati nelle loro tane››.

‹‹Ma Hilda ha chiesto selvaggina›› riprese lei tranquillamente. ‹‹E Helgi le porterà selvaggina, sta sicuro››. Poi pensò per un momento. ‹‹T’intendi di caccia?››.

‹‹E! Quando stavo in Siberia e finivano le provviste, o era impossibile muoversi fino al villaggio, in qualche modo dovevo mangiare. L’arte di arrangiarsi…››.

‹‹Da quello che dici, sembra che tu abbia digiunato parecchie volte…››.

‹‹Cha-cha! Quanto basta per sapere che durante una tormenta gli animali non vanno in giro come i cacciatori sprovveduti!››. Freija scoppiò a ridere senza controllo. Hyoga guardò a lungo i fiocchi di neve, poi improvvisamente si voltò verso il camino. ‹‹È così severa Hilda?››.

Freija sorrise, scuotendo la testa. ‹‹Quanto basta per comandare. Ma sa esagerare, se vuole. Però, Helgi è succube e non potrebbe mai sopportare di dispiacerle, o deluderla. Per questo ti dico che tornerà solo dopo aver cacciato qualcosa. Hilda lo ringrazierà con qualche parola gentile, e lui sarà soddisfatto››. Mosse gli occhi sul fuoco, poi sulla finestra e li posò di nuovo sul velluto. ‹‹E lo fa anche per Freyr, naturalmente. I miei fratelli sono considerati due eletti, ciò che dicono e fanno, è rispettato e ammirato››.

‹‹Ho come l’impressione che la cosa ti dispiaccia›› disse Hyoga con prudenza. Freija sospirò.

‹‹No, sono orgogliosa di loro. Il problema è mio. Davvero, sono angosciata all’idea di sentirmi sezionata alla ricerca di una qualunque somiglianza, di una differenza. Alle volte, mi sento osservata come se chi mi circonda cercasse in me un sintomo di malessere, un complesso d’inferiorità. È terribile pensare certe cose, ma succede quando sei l’ultima di una famiglia di altisonanti, onnipresenti, ingombranti parenti! Hilda ha fatto questo, Freyr quest’altro, e la principessa?››.

‹‹Hm…lei sorride, è gentile e altruista…›› intervenne Hyoga. Lei lo guardò esterrefatta. ‹‹L’ha detto Helgi, ma penso sia quello che pensano tutti››.

‹‹Capisci allora quello che voglio dire?›› disse agitando le mani. ‹‹Queste saranno buone qualità, forse, ma non ti affermano in un mondo come questo, dove l’unica donna che sembra sentirsi a suo agio, e pienamente realizzata, è la mia famosissima sorella!››.

Hyoga si appoggiò pesantemente alla spalliera della poltrona e allungò le braccia sui braccioli.

‹‹Non è necessario essere famosi, o avere potere, per sentirsi realizzati. Basta che tu sia felice per quello che sei, e di quello che fai››.

‹‹Tu ti senti realizzato?›› chiese lei, dopo una pausa.

‹‹Net, non ancora. Ho ancora tanta strada davanti a me, e non sarà facile da percorrere, se vado da solo››.

‹‹Vorresti qualcuno che ti desse una mano?››.

‹‹Sì, è quello che vogliono tutti, credo››.

‹‹Penso di sì››.

Di tanto in tanto, ripensavano alla loro fuga, il giorno prima, ma non avevano il coraggio di sollevare l’argomento, a giudicare da come cercavano impacciati di rompere il ghiaccio. Uno vicino all’altra, lui con gli occhi sul libro, lei impegnata nei suoi ricami, restarono senza parlare per almeno un’ora.

Alla fine, divorato dal senso di colpa e dalla curiosità di conoscere il significato delle urla che aveva udito, Hyoga si decise a rompere il silenzio.

‹‹Ieri sera, ho sentito che litigavi con lo jarl››. Freija spalancò gli occhi, ma non si voltò. ‹‹So che non dovrei intromettermi, ma mi sento colpevole per averti coinvolto in quell’uscita…Insomma, volevo sapere, se vuoi dirmelo, cos’è successo?››.

‹‹Niente di particolare›› gli sorrise lei. Si guardarono. Gli occhi di Hyoga indugiarono sulla guancia un po’ arrossata di lei ma non disse niente. ‹‹Leif era preoccupato, perché stava imbrunendo e ancora io non tornavo. Aveva chiesto a Magni di tenermi d’occhio… Quando non mi hanno trovata, si sono impensieriti››.

‹‹A questo ti riferivi quando mi dicevi d’essere prigioniera?››.

‹‹No!›› scattò lei. ‹‹Quello che volevo dire è che Leif ha affidato a Magni il compito di proteggermi. Quando sono scappata, senza farmi vedere, hanno temuto per la mia incolumità, tutto qui. Sono degli allarmisti, non è vero?››.

‹‹Già››.

La neve cadeva più fitta, e in fiocchi più grandi. Freija ripose con cura il velluto blu nella cesta e si alzò per attizzare il fuoco.

‹‹Leif se l’è presa con te? Per ieri, intendo››.

‹‹No. Ha urlato, questo sì, ›› disse lei, tornando a sedere, ‹‹ma solo perché si era preoccupato per me››.

‹‹Io non potrei vivere in questo modo›› borbottò Hyoga.

Lei chiese perché, e lui cercò di rispondere in tutta tranquillità, nascondendo la rabbia per Leif, che saliva e scendeva a seconda del momento.

‹‹Ti ho visto, i giorni scorsi, tappata a palazzo, mentre guardavi fuori attraverso i vetri. Ero angosciato al solo pensiero che fossi qua tutta sola››.

‹‹Non c’era bisogno di preoccuparsi per me. È stata anche una mia scelta, quella di obbedire›› si lasciò sfuggire lei.

‹‹Obbedire? A quel… A Leif, che non ti permette nemmeno di uscire, né di parlare o divertiti?››.

‹‹Può essere difficile da capire, ma è necessario imparare ad accettare gli altri per quello che sono, con i loro pregi e i loro difetti. Leif è geloso, forse troppo, ma non vuol forse dire che tiene a me? È il suo modo per dimostrare che mi a…››.

In quel momento Hyoga alzò il viso, e la fissò intensamente, aspettando di sentire l’amaro finale di quella frase, ma Freija si bloccò.

Perché davanti a lui non riesco a parlare d’amore? Non riesco a dire che Leif mi ama e che io…lo amo?

‹‹Sì, Leif è geloso ma questo è il suo modo d’amare›› si sforzò di dire, anche se a fatica e strascicando le parole. ‹‹Ascoltare quello che mi dice e obbedire alle sue richieste è una questione di…onestà e fiducia››. Hyoga alzò le sopracciglia, senza nascondere il suo disappunto, ed esibì la sua fronte corrugata.

‹‹Sono valori in cui credo anch’io, ma lo stesso non abbasserei la testa, se volesse dire rinunciare alla mia libertà! Proverei a lottare, col rischio di perdere anche quel poco che ho, ma comunque tenterei!››.

Alla fine, sotto la scorza di uomo tranquillo, Hyoga nascondeva uno spirito ribelle, abituato a lottare per ottenere qualunque piccola soddisfazione, incapace di accettare la remissività di Freija.

Purtroppo, aveva davanti a sé, una donna con un carattere inattuale, spaventata da passioni che non aveva mai provato e che non riusciva a spiegare. Lei aveva scelto di rinunciare, piuttosto che di essere delusa, e di fuggire prima di soffrire. Freija mostrava una grande volontà di rimanere fedele alle sue scelte morali, e per questo motivo, sempre più, lui la vedeva come una donna angelica, perfetta e inaccessibile.

‹‹Non c’è bisogno di lottare. Quando si ama, è sufficiente accettare qualche compromesso. All’inizio, non lo nascondo, ero irritata, scombussolata da una visione tanto diversa da quella cui ero abituata. Ma quando sei solo, non puoi immaginare le difficoltà da affrontare in un rapporto di coppia, che sono tante ma facilmente superabili››.

‹‹Con la ceca sudditanza?›› la provocò lui. In risposta ebbe un sorriso, un po’ dispiaciuto.

‹‹Non dovresti parlare così, Hyoga. Il fatto che tu non approvi il comportamento di Leif, non significa che non sia corretto nei miei confronti. Se mi rimprovera, allora credo che ne abbia motivo. Altrimenti non lo farebbe››.

‹‹A te piace il suo rigore?››.

‹‹Da Hilda ho imparato cosa significa essere rigorosi›› spiegò con calma. ‹‹La sua è una vita fatta di indicazioni precisissime, anche di ordine fisico e gestuale. Tutto deve essere previsto, ordinato programmato, e curato nei minimi dettagli. Hilda dà pochissima importanza all’improvvisazione, chi vuole piacerle deve semplicemente mettersi al suo servizio, e sottostare al suo rigore. Per questo, io non la capivo, era una condizione mentale troppo lontana dalla mia. Anche con Leif però, funziona allo stesso modo, seppur con qualche differenza››. Si morse le labbra, poi sorrise di nuovo, a fatica. ‹‹Adesso però mi sono abituata anche al suo rigore, e faccio fatica a farne a meno››. Hyoga stese le gambe e sprofondò nella poltrona, poi cominciò a stropicciarsi la fronte. ‹‹Sì, penso d’aver raggiunto il massimo ottenibile, per una come me intendo. Non ho mai avuto particolari aspirazioni: è già difficile sopravvivere, immagino la fatica di impegnarsi a fondo per realizzare i propri sogni, e poi la delusione di non riuscire››.

‹‹Nella maggior parte delle persone, è maggiore la paura di riuscire che quella di fallire››.

‹‹È facile da capire, una simile paura. Non è terribile spendere tutte le energie nella realizzazione del proprio sogno nel cassetto, e non avere altro scopo nella vita dopo esserci riusciti?››.

‹‹Poi bisogna sforzarsi di mantenere il risultato, impegnarsi a difendere ciò che si è ottenuto››.

‹‹In questo modo, non potrai mai dire d’essere realizzato, perché dovrai sempre faticare per mantenere la felicità. Tanto vale accontentarsi, e godere di quello che si ha››.

Hyoga si sporse dalla poltrona, verso Freija, con un’espressione allucinata.

‹‹Tu non hai un sogno, un’ambizione segreta? Non hai mai desiderato qualcosa tanto ardentemente da non pensare ad altro che a quello?››.

‹‹No›› mentì Freija, ma non riuscì a convincerlo.

‹‹Mi dispiace, ma non ti credo. Tutti sognano di migliorare la loro vita, tutti pensano che si possa avere di meglio››.

Stavolta Freija rise, di gusto. ‹‹Tu sei un sognatore, Hyoga! Non è di sogni che si vive, e rimango comunque dell’idea che se impariamo ad amare quello che abbiamo, vivremo benissimo››.

Freija aveva un sorriso luminoso, e quell’incisivo ribelle le dava un non so che di intrigante. Hyoga smise di fissarla, e tornò a sedere in maniera composta.

‹‹Io non ho niente. Se non sogno, cosa mi resta?››.

‹‹Ah, non scherzare›› disse lei, smettendo di colpo di ridere. ‹‹A Tokyo, hai una famiglia che ti vuole bene››.

‹‹Saori e i miei fratelli sono un insieme di persone che convivono, nemmeno troppo felicemente. Mi pare azzardato parlare di famiglia…››

‹‹Sono comunque persone che ti stimano››.

‹‹Questo sì, credo. Ho anche un lavoro e un posto dove vivere. Eppure, non sono felice, questo non basta. Mi manca qualcosa›› precisò voltandosi.

‹‹Allora, sei incontentabile. C’è chi pagherebbe, per avere quello che hai tu›› sviò lei.

‹‹Sì, ma tu hai capito benissimo a cosa mi riferisco! Mi… manca una persona d’amare, da viziare…e che mi ami…››.

‹‹È solo una questione di tempo, troverai l’anima gemella›› scherzò lei, impacciata. ‹‹Basta cercare››.

‹‹Se è per questo l’ho già trovata››.

‹‹Davvero?››. Finse indifferenza, come se davvero non immaginasse chi potesse essere questa persona.

‹‹Nu, konéčno! È bellissima, dolce e altruista. C’è solo un problema…››. Freija deglutì, un po’ accaldata. ‹‹Devo convincerla che io sono la sua anima gemella!›› disse lui con un’espressione grave.

La principessa scoppiò a ridere, e quasi pianse.

‹‹Sei davvero buffo, con tutte le smorfie che fai!››.

‹‹Non era uno scherzo, stavo parlando sul serio! Non sarebbe facile sopportarmi››.

‹‹Ma dai, Hyoga! Tutte le donne vorrebbero un uomo come te!››.

‹‹Anche tu?››. Freija ammutolì. Si voltò verso il camino, e cominciò a lisciare le pieghe del vestito. ‹‹Anche tu lo vorresti?›› ripeté con insistenza.

‹‹No!›› rispose lei seccamente rivoltandosi di scatto.

Hyoga ci rimase male, soprattutto per la crudezza del rifiuto. Freija continuava a fissarlo severamente.

Sono un presuntuoso!

Avrebbe voluto buttarla sullo scherzo, ma si fissò di nuovo sulla macchia rossa sulla guancia di lei, e gli parve di risentire gli urli dello jarl.

È questo il suo rigore?

Si alzò dalla poltrona e si fermò davanti alla finestra, appoggiandosi alla parete con un avambraccio, noncurante della presenza di Freija, che si era alzata per seguirlo. Guardò la neve, sperando senza risultato di freddare la rabbia che lo infiammava.

‹‹Hyoga…non volevo dire…››.

‹‹Certo che volevi›› la interruppe bruscamente staccandosi dalla parete e voltandosi. ‹‹In fondo, è vero. Non potrei mai andare bene per te, perché a te piacciono gli uomini che ti maltrattano››.

‹‹Cosa dici?›› esclamò lei indietreggiando di un passo.

‹‹Dico quello che penso! E penso esattamente quello che ho detto!››.

‹‹Ma che ti prende così all’improvviso?›› si lamentò lei, intimorito dalla foga di Hyoga.

‹‹Mi prende che siamo arrivati ad un punto morto!›› sbraitò lui agitando le mani in aria. ‹‹È un serpente che si morde la coda! Quando credi d’essere arrivato finalmente ad una svolta, ecco che devi ricominciare tutto daccapo! Non riesco ad accettarlo!››.

‹‹È incredibile quello che stai dicendo!›› gridò lei di rimando. ‹‹Non puoi dare in escandescenza solo perché non ti ho detto quello che volevi sentire. È un comportamento infantile!››.

Hyoga rise. ‹‹Pádi bóga (2), smettiamola con queste assurdità!›› la zittì alzando le mani.

‹‹Improvvisamente quello che dico sono assurdità!›› si rivoltò lei. ‹‹Chi ti credi di essere, si può sapere? Vuoi giudicare gli altri senza essere giudicato? Non puoi accettare le critiche senza sentirti messo in croce? Credevo d’aver visto qualcosa di diverso in te, ma che errore ho fatto! Tu sei come Hilda, che è talmente convinta della sua superiorità che non può accettare che qualcuno dissenta il suo pensiero. Ti svelo un segreto, Hyoga: la tua parola non è legge!››.

‹‹E non voglio che lo sia!››.

‹‹È sicuro che non lo è per me!››.

Hyoga girovagò avanti e indietro, rosso in faccia, con i muscoli delle guance tirati e sporgenti e le labbra serrate.

‹‹Io non sono nessuno, e lo so bene! Ma vorrei che ti rendessi conto che sei succube di un uomo senza qualità! Chi vive di violenza, ha quella soltanto da offrire!››.

‹‹Adesso smettila!›› strillò lei. ‹‹Perché ti comporti così?››.

‹‹Voglio che apri gli occhi, e che guardi Leif per quello che è! Se io ho visto il male in lui, e l’ha visto anche Hilda, cosa t’impedisce di vederlo?››.

‹‹Basta! Vuoi parlare di cose che non sai e mi stai offendendo! Non sono una stupida!››.

‹‹Davvero?››. Hyoga si avvicinò a Freija, stravolto e rosso in viso. ‹‹Sei abbastanza stupida da credere che non mi sia accorto di quello?›› gridò indicandole la guancia. Lei si coprì, istintivamente. ‹‹Quello è uno schiaffo, Freija! Forse non è il primo, forse non sarà l’ultimo! E tu ancora lo difendi!››. La guardò con occhi stretti a fessura, furioso. ‹‹Voglio sapere cos’hai fatto per meritarlo!››.

Freija, intimorita dal suo comportamento, si fece piccola e strinse le braccia al petto, come per proteggersi.

‹‹Sono cose che non ti riguardano…››.

‹‹Sì, invece!›› insistette lui afferrandola per un polso, poi per le spalle.

Freija si contorse per il dolore, per il livido alla spalla. Gli occhi di Hyoga erano di ghiaccio, e lei ebbe paura nel vederlo così rabbioso, proprio com’era Leif, incapace di controllarsi.

‹‹Lasciami, Hyoga!››.

‹‹Net! Dimmi perché ti ha colpito! Dimmi che è per colpa mia, così avrò un motivo per affrontarlo! Dimmelo!››. Hyoga alzò ancora di più la voce e la scosse per le spalle.

‹‹Mi fai male!›› gridò di nuovo. Poi, confusa, non riuscì più a sopportare le urla e il male alla spalla, e reagì, stringendo forte il pugno. ‹‹No, Leif! NO!››.

Hyoga lasciò immediatamente la presa, come se quelle parole disperate l’avessero fatto rinsavire di colpo, ma Freija lo colpì al volto con tutta la sua forza.

‹‹Aj! Fú-ty!››.

Hyoga scattò indietro e subito si portò le mani alla bocca, per la sorpresa e per il bruciore, pestando un piede per terra per il dolore. I lamenti la destarono dallo stato catatonico. Alzò gli occhi, vide il sangue che scorreva tra le dita della mano di Hyoga, lento e d’un rosso acceso. Incredula, si guardò la mano e vide una macchiolina sulla pietra dell’anello che le aveva donato Leif.

‹‹Hyoga…››. Lui, sorpreso, s’era appoggiato al piccolo tavolo del soggiorno, ed era fermo, con gli occhi chiusi e la testa china sul petto. ‹‹Mi dispiace…›› sussurrò lei.

‹‹È stata colpa mia, non ti devi scusare››.

‹‹Ma ti ho ferito!›› esclamò Freija. ‹‹Fammi vedere la ferita… Ti prego, Hyoga››.

Gli sfiorò appena un braccio, ma Hyoga si spostò e allargò le braccia perché lei non si avvicinasse. Aveva il labbro inferiore tagliato e la ferita sanguinava ancora, colorandogli la bocca. Freija esclamò di nuovo, coprendosi il viso, e cercò di convincerlo a farsi medicare.

‹‹Almeno è servito a qualcosa quel maledetto anello!›› sbottò Hyoga.

‹‹Lascia che ti accompagni da Eir, ti supplico!›› tentò ancora lei, con le lacrime agli occhi.

Cominciò a piangere, e per quante volte Hyoga le ripetesse che non era colpa sua, tanto più forte lei singhiozzava. Era convinto d’essersi meritato quel colpo, per la sua arroganza, mentre lei non si dava pace perché sapeva d’aver sfogato l’accumulo d’ira con l’uomo sbagliato.

‹‹Non morirò per un graffio!›› sdrammatizzò lui. ‹‹Guarda ha già smesso di sanguinare››. Lei provò a guardare il piccolo taglio rosso su quelle labbra, cercando di trattenere le lacrime, e provò una grande tenerezza quando riconobbe il suo viso dolce e po’ sofferente, solo pochi istanti prima trasfigurato dalla rabbia. ‹‹Vedi?›› continuò lui, avvicinandosi. ‹‹È tutto a posto!››. Cercò di sorridere, ma fece una smorfia. Lei gli si buttò addosso e l’abbracciò forte.

‹‹Scusami››.

Col cuore che gli batteva forte, Hyoga le cinse le spalle con la destra, perché l’altra mano era tutta macchiata di sangue. Restarono un po’ abbracciati.

‹‹Spero di non stringerti ancora sulla spalla che ti fa male›› sorrise lui.

Lei si staccò un po’ dal suo petto e lo guardò stupita.

‹‹Ma come…?››.

Hyoga strizzò un occhio. ‹‹Ho una certa esperienza nel campo delle ferite e dei lividi…Non potevo non notarlo››. Lei fece mille smorfie, ricominciando a piangere e lo abbracciò più stretto, lasciandosi accarezzare i capelli. ‹‹Volevo tanto che tu vedessi la differenza tra me e lo jarl, e alla fine mi sono comportato come lui. Non volevo spaventarti, mi vergogno da morire per aver perso la calma a quel modo. Ma… non avrei mai potuto farti del male, per nessuna ragione al mondo›› l’assicurò lui.

‹‹Lo so›› disse Freija. ‹‹Non ho avuto paura di te… Ho rivisto la scena di ieri sera e ho reagito in ritardo››.

Freija sentiva il cuore di Hyoga che lentamente ritornava ad un battito regolare, mentre si lasciava cullare dal ritmico alzarsi ed abbassarsi del petto nel respiro.

‹‹Non puoi continuare così›› disse lui dopo un po’. ‹‹Non può colpirti ogni volta che discutete››.

‹‹È la prima volta, Hyoga››.

Ogni volta che dalla bocca di Freija uscivano parole che, in qualche modo, giustificavano il comportamento di Leif, Hyoga sentiva un colpo al cuore, ogni volta uno spillo che lo trafiggeva senza preavviso e che si spingeva in profondità con crudeltà. E il suo cuore s’era fatto pesante, gravato dal peso delle sofferenze sue e di quelle di Freija che inevitabilmente si ripercuotevano su di lui.

‹‹Si è arrabbiato con me, perché era geloso di noi….credo›› cominciò a dire Freija, come se volesse precisare il significato delle sue parole. Si staccò dall’abbraccio e si asciugò il viso. ‹‹Qualche volta litighiamo, ma immagino che sia normale. Mi aveva avvertito di non…incoraggiarti, né con parole né con azioni. Ho disobbedito e lui ha perso il controllo››. Si passò una mano sulla guancia, ma ripensando al litigio, quasi ricominciò a piangere. ‹‹Mi ha chiesto mille volte scusa, dopo… Credo che non succederà più››.

Mentire a Hyoga era crudele, e terribilmente ingiusto, ma non c’era altro da fare. Evitò di guardarlo negli occhi, perché aveva la certezza che lui non credesse alle sue menzogne sul conto di Leif. In quel momento, mentre Hyoga cercava di pulirsi mani e bocca dal sangue rappreso, lei si chiese per quale motivo si ostinasse a difendere Leif. La parola amore sembrava ingombrante e priva di significato, se riferita allo jarl, e pensando all’amore, Freija s’accorse d’aver in mente altre immagini di altre persone.

Una promessa è una promessa, e anche se a parole non ho promesso, l’ho fatto col silenzio. Però, se chiedessi l’aiuto di mia sorella, non sarebbe difficile cambiare questa mia situazione senza via d’uscita. Ma a quale scopo? Da un uomo che conosco poco, a un uomo che non conosco…

‹‹Stavolta, sono io a chiederti di dimenticare quello che ho detto prima›› disse lui all’improvviso. ‹‹Un uomo che non odia è forte, e io ho mostrato tutta la mia debolezza. Ma sono solo un uomo, e forse mi perdonerai››. Strinse i denti, e serrò le labbra. ‹‹Ancora ti dico, con maggior fatica, che sei felice, lo sono anch’io. È giusto che, alla fine, ci diciamo tutta la verità, no? Allora, questa era l’ultima cosa che mi resta da dirti, il resto l’hai già sentito e non lo ripeterò, perché sarebbe patetico››.

Respirò profondamente e lei si voltò nel momento in cui Hyoga parlò, interrompendola.

‹‹Non sarebbe patetico…››.

‹‹Odio lo jarl, con tutto l’odio che posso provare per un uomo, e spero che Dio lo maledica per il male che ti fa!››.

Uscì dalla stanza, lasciando le sue ultime parole a riempire il silenzio.

Freija rimase a bocca aperta ma non riuscì a proferire parola. Non avrebbe voluto sentir parlare di odio, o di maledizioni. In quel momento avrebbe sortito un effetto del tutto inaspettato il sentirsi dire quelle cose che Hyoga non aveva voluto ripetere. Invece rimase sola, con le sue verità da raccontare. Che erano molte.

Note

1) Che disdetta, ( cacáia nieudača ).

2) Per carità, ( pádi bóga ).