CAPITOLO XV

Pericolo in agguato

 Q

uando sentì bussare alla porta, Eir non si mosse, aspettando che fosse Hilda a parlare. Continuò a spingere con forza il pestello nel mortaio dove scricchiolavano erbe secche ormai ridotte in polvere.

Bussarono ancora, Eir alzò gli occhi corrugando la fronte.

‹‹Hilda?›› chiamò a bassa voce per scuotere la sacerdotessa, immobile sulla stessa pagina da almeno un’ora.

‹‹Sì, ho sentito…›› rispose Hilda, voltando pagina come se si fosse accorta solo in quel momento d’aver letto sempre le stesse righe. Eir alzò le spalle e cominciò a versare la polverina in un vasetto. Bussarono ancora una volta e Hilda scattò. ‹‹Abbiamo da fare!››.

Dall’altra parte si sentì una vocina che avvertiva che era una cosa importante. Hilda s’alzò facendo svolazzare la gonna e aprì di scatto la porta.

Hyoga era in piedi davanti a lei, con una faccia un po’ triste, e lei rimase a bocca aperta.

Con lui c’era Tia. L’aveva incontrato alle scuderie di ritorno dalla sua cavalcata e Hyoga le aveva chiesto di accompagnarlo dalla sacerdotessa. Lei, una bionda un po’ svanita, era stata felice di essergli utile, sfidando la collera di Hilda che aveva ordinato, per il pomeriggio, di non essere assolutamente disturbata. Per un sorriso del bel Landvarnarmaðr, molte thír, giovani e vecchie, avrebbero fronteggiato senza rimorsi l’ira di Hilda.

Eir chiuse il vasetto con la polverina, sistemò un paio di cose, poi uscì dal laboratorio. Salutò Hilda e Hyoga, ancora sulla soglia un po’ imbambolati, e trascinò via Tia per una mano.

‹‹Posso entrare?››.

Leif attraversò velocemente Iðavöllr, avvolto in un pesante mantello col cappuccio calato sulla faccia, diretto verso Asabigð. Era uscito dalla cittadella senza troppe cerimonie e senza uomini al seguito, e aveva preso un cavallo badando di non dare troppo nell’occhio. Gli uomini di Magni, di guardia alla cinta interna l’avevano riconosciuto e salutato, ma di loro si fidava. Alla porta, Heimdallr e i suoi soldati non avevano fatto caso al viandante che usciva col cavallo alla mano assieme ai contadini che lasciavano Ásgarðr.

S’inoltrò nei viottoli del villaggio e si fermò davanti all’uscio di un baer fatiscente. Smontando dal cavallo si guardò attorno, per assicurarsi che nessuno l’avesse seguito, poi bussò. Dopo qualche istante una voce roca, dall’interno, chiese chi era.

‹‹Sono io, Leif!››. Gli fu aperto ed egli controllò ancora la strada prima di richiudere la porta.

La stanza in cui entrò era lunga e stretta, con un tavolo e, ai lati, due lunghi banchi di terra che di giorno servivano da sedili, e di notte da letti. L’ambiente era buio, con il pavimento sporco e con rifiuti sparsi ovunque. Al tavolo erano seduti due uomini. Helblindi si grattò l’orecchio destro, stuzzicando l’orecchino, e salutò.

‹‹Ben arrivato, Leif!››.

Leif rispose con un’alzata di mano e si guardò attorno per vedere se c’era con loro anche Ragnarr.

Il secondo uomo al tavolo stava passando il tempo intagliando un pezzo di legno. Portava i lunghi capelli neri, rasati sopra le orecchie, legati dietro la nuca in un’unica, grossa treccia. Skœrir era detto lo Sfregiato perché aveva perso l’occhio sinistro in battaglia, e al suo posto aveva un’appariscente cicatrice che gli solcava il viso, dalla fronte al mento. La sua forza smisurata e la sua mole gli avevano valso un altro soprannome, il Bledingr, meno conosciuto ma azzeccato. Skœrir sollevò la testa, accennando un saluto distratto e poco convinto, e s’impegnò di nuovo nella sua scultura.

Oltre ai due uomini, c’era il ragazzo che aveva aperto alla porta, che era tornato sedere vicino al camino, al centro del salone. Leif guardò l’esile fuoco che languiva.

‹‹Ravviva il fuoco, Logi!›› si lamentò. ‹‹Non sentite che qui fa freddo!››

Logi scoppiò a ridere ma non si mosse. Mentre rideva sembrò che i suoi capelli, biondi fino alle punte dove il colore cambiava gradualmente all’arancio e poi al rosso, si muovessero proprio come il fuoco che ardeva lì vicino.

‹‹Non dovresti andare a Timrå, Logi?›› domandò poi Leif.

‹‹Non temere, jarl, partirò tra poco›› rispose Logi fissando Leif con occhi rossi come la brace.

Leif rabbrividì. I suoi compagni erano uomini con cui non era bene scherzare.

‹‹A palazzo si sta meglio, non è vero, Leif?›› lo schernì Helblindi.

‹‹Dov’è Bylistr?››. Helblindi indicò le porta in fondo alla sala, che portava in un soggiorno.

‹‹Ora però è impegnato!›› precisò Helblindi.

‹‹Devo parlargli…››.

‹‹Entra, a tuo rischio. Sappi che Ragnarr ha già parlato con lui››.

Leif deglutì, e si schiarì la gola. Si avviò verso la porta, titubante, accompagnato dalle risa degli uomini. Si fermò di fronte alla porta e l’aprì, senza bussare.

‹‹Bylistr!›› chiamò chiudendo bruscamente l’uscio alle sue spalle.

Nella sala piccolissima, oltre a qualche barile, c’era solo un letto di paglia con qualche coperta e un tavolo. Dalla confusione delle coperte, emerse la testa di una donna che guardò Leif e rise.

‹‹Penso che cerchino te, Bylistr›› sghignazzò.

Si alzò a sedere un uomo. Si stiracchiò e si voltò a guardare Leif, facendosi serio in viso.

‹‹Vattene, Gullveig›› disse accarezzando la donna. ‹‹Dobbiamo parlare d’affari››.

La ragazza si vestì, e uscì scambiandosi un’occhiata truce con Leif. Lo jarl guardò Bylistr che si metteva pigramente un paio di calzoni stinti e lerci.

‹‹Ti sembra questo il momento di pensare alle donne?›› lo rimproverò. ‹‹Il piano esige la massima segretezza e tu permetti ad una sgualdrina qualunque di muoversi a piede libero?››.

Bylistr si mosse verso il tavolo, si attaccò alla fiaschetta, e bevve.

‹‹Adesso è la mia donna, Leif. Non mi seccare con le tue sciocche prediche. Se vorrò un tuo parere, allora lo chiederò›› disse freddamente. ‹‹Nel frattempo, non dimenticare il principio base del piano: qui comando io!›› urlò avvicinandosi minacciosamente a Leif. Bylistr lo superava in altezza di mezza testa. Leif, spaventato, annuì. ‹‹Ottimo›› esclamò Bylistr battendogli amichevolmente una mano sulla spalla. Poi andò a sedersi vicino al tavolo e riprese la fiaschetta.

‹‹Perché siete ancora qui?›› chiese Leif alzando le braccia. ‹‹La fortezza degli Ericson non è di vostro gradimento?››.

‹‹Abbiamo avuto altre faccende da sbrigare, qui›› rispose Bylistr svogliatamente. ‹‹A parte questo, Leif, che buone nuove da palazzo?››.

Il povero jarl si agitò perché quelle che portava non erano buone notizie, e nemmeno nuove se era vero che Ragnarr aveva già parlato con Bylistr. Fece qualche respiro profondo, poi si decise.

‹‹Veramente…›› incominciò titubante ma l’altro lo interruppe subito.

‹‹Lei come sta?››.

‹‹Sta benissimo!›› rispose Leif sicuro avvicinandosi alla sedia. ‹‹Ho seguito alla lettera le tue istruzioni. In effetti, ieri sera, è capitato un imprevisto e abbiamo dovuto anticipare i tempi, ma è tutto risolto!››.

‹‹Sì, Ragnarr mi ha detto…›› mormorò Bylistr, lanciando un’occhiata curiosa allo jarl. ‹‹…mi ha detto che c’era un utlänning a palazzo… È vero?››.

‹‹Sì, ma è tutto risolto, ti ho detto… Credo che Freija abbia discusso con sua sorella, come del resto avevi previsto. Ieri notte l’ho incontrata ed era scossa, un po’ indecisa… ma, alla fine, è stato facile legarla a me, anima e corpo!›› concluse Leif soddisfatto.

Bylistr fissò sconcertato lo jarl, poi si alzò di scatto e lo colpì violentemente con un ceffone.

‹‹Come hai osato metterle le mani addosso, infame?›› urlò mostrando i canini come un animale. Afferrò Leif e lo scrollò con forza. ‹‹Avrebbe dovuto mantenersi pura per me, cane bastardo!››.

‹‹Ho dovuto farlo…›› sibilò Leif, cercando di riprendere fiato.

‹‹Non mentire!›› gridò Bylistr furioso scaraventandolo a terra. Leif cadde pesantemente e si lamentò per il dolore. ‹‹Dovrei tagliarti la gola per quello che hai osato fare!››. Con gli occhi spalancati, Bylistr sguainò un lungo pugnale e Leif si coprì la testa con le braccia rannicchiandosi a terra. ‹‹Non importa!›› disse di colpo Bylistr, ricomponendosi e rinfoderando il pugnale. Trasse un profondo respiro e puntò l’indice contro Leif: ‹‹Non avresti dovuto permetterti! La prossima volta che la toccherai, ti scuoierò con le mie mani! Per quando sarà tutto finito, escogiterò una punizione esemplare per quello che hai osato fare!››.

Leif era ancora steso per terra e si massaggiava la guancia con una mano. Gli improvvisi sbalzi d’umore di Bylistr lo spaventavano più delle sue minacce. Era un uomo pericoloso ma le sue idee avevano stuzzicato lo jarl fin dal primo momento in cui le aveva udite. Bylistr era un fanatico e un violento, come lo erano i suoi compagni. Tuttavia, aveva studiato un piano perfetto in ogni particolare. In quel momento pensò all’utlänning, e al pericolo che rappresentava per tutti loro.

‹‹Il nostro maggior problema non sono le mie azioni…››. Bylistr si voltò,incuriosito da quelle parole, con un cenno della mano invitò Leif a continuare. ‹‹È arrivato un utlänning a palazzo, qualche giorno fa, quello di cui ti parlava Ragnarr. Conosce bene sia l’una che l’altra sorella ed è amico del principe bastardo!››.

‹‹Questo non ci preoccupa››.

‹‹Allora sappi che Hilda l’ha nominato Landvarnarmaðr, e con quel titolo ha partecipato al Consiglio››.

Bylistr ascoltava distrattamente il racconto della sua illustre spia ma non capiva che problemi avrebbe potuto causargli questo misterioso straniero.

‹‹Taglia corto, Leif! I tuoi pettegolezzi mi annoiano! Potrebbe essere chiunque…››. Bylistr sembrava essersi calmato, anche se Leif sapeva che sarebbe bastata una parola di troppo perché desse nuovamente in escandescenza. Corrugò la fronte, pensando bene a come riferire la spinosa questione.

‹‹Il problema sta nel fatto che punta Freija!›› disse bruscamente.

‹‹Può fare quello che vuole purché le sue azioni non interferiscano con le nostre›› sorrise Bylistr.

‹‹Temo che la principessa, prima o poi, possa cedere››.

‹‹Cosa?!›› sbottò di colpo Bylistr. ‹‹Mi hai assicurato d’averla soggiogata al tuo volere! Che storie mi racconti adesso?››. Leif si alzò finalmente in piedi e tentò di fronteggiare Bylistr.

‹‹Ho detto temo!›› specificò Leif. Bylistr cominciò a camminare nervosamente per la stanza, massaggiandosi la fronte. ‹‹Per noi sarebbe un grosso problema, se Freija si lasciasse abbindolare››.

‹‹Non lo farà!›› affermò Bylistr con sicurezza. ‹‹Non è una donna insulsa, e se succedesse, allora sarebbe solo colpa tua!››. Bylistr fissò Leif per un lungo momento. ‹‹Chi è questo…come si chiama…quest’utlänning?››.

‹‹Ha un nome strano…Yuga…o qualcosa di simile…Ha un accento strano, simile a quello dei Rus…non mi sono informato…››.

‹‹Informati, cane bastardo!›› ringhiò Bylistr. ‹‹Anzi, non fare niente., manderò io qualcuno. Quando è arrivato?››.

‹‹Quattro giorni fa, mi pare›› rispose Leif.

‹‹Perché non sei venuto prima?›› chiese tranquillamente Bylistr.

‹‹L’ho incontrato per la prima volta ieri! Ragnarr avrebbe dovuto dirti anche questo! Ho avuto modo di parlare con lui, un piccolo litigio… Non è uno sprovveduto e potrebbe rappresentare una minaccia per tutti noi. C’è qualcosa in lui che non mi convince, ma non saprei dirti cosa!›› spiegò Leif.

‹‹Ti stai comportando bene Leif!›› si complimentò Bylistr. ‹‹Stiamo progettando tutto questo piano da troppo tempo perché vada a rotoli…non fare errori o prenderò la tua testa come riscatto per il fallimento!››.

‹‹Mi sembri stanco, anche tu non stai bene?›› chiese Hilda sistemando il libro che non stava leggendo.

‹‹Chi altri non sta bene?›› s’informò Hyoga.

‹‹…mia sorella…aveva un gran mal di testa, oggi non è uscita un minuto dalla sua camera…››.

Scese di nuovo il silenzio, l’imbarazzo impediva loro di discutere in tranquillità.

‹‹Sono stato fuori a cavallo…››.

‹‹Sì, l’ho saputo…In questo posto, tutti sanno tutto, è impressionante!›› si lamentò Hilda un po’ seccata.

‹‹Per restare in tema, alle scuderie mi hanno detto che Freyr è partito con Gymir… Quando tornerà?››.

Hilda guardò Hyoga con la coda dell’occhio e sentì un formicolio fastidioso alle braccia, alle gambe, in tutto il corpo.

Ho paura che da un momento all’alto mi dica che vuole andare via…Non è per questo che ha chiesto quando tornerà Freyr?

‹‹Li ha scortati fino a Timrå, il porto dove sono attraccate le navi di Gymir. Non tornerà prima di… una settimana, forse››.

‹‹Così tanto?›› esclamò Hyoga. ‹‹Avrà tempo per stare con quella ragazza dal nome impronunciabile…la figlia di Gymir…››.

‹‹Gerðr››.

‹‹Grazie, non riesco mai a ricordarlo›› sorrise Hyoga. ‹‹Ieri sera non ha fatto altro che parlare di lei››. Hyoga ripensò a Gna, che aveva visto uscire dalla camera di Freyr quella mattina. ‹‹Che strano tipo!››.

‹‹Mi dispiace per lui, ma Gerðr non è una ragazza così facile da impressionare. Dovrà usare più della sua bellezza per conquistarla››.

In quel momento i loro occhi s’incrociarono. Hilda ricordò il loro incontro alla Pozza e si morse le labbra. Hyoga dovette rivedere le stesse immagini perché abbassò la faccia e arrossì leggermente.

Si sentiva abbastanza tranquillo e disposto al dialogo, erano molte le cose da chiarire, ma non riusciva a guardarla, senza ricordarla nuda tra le sue braccia. Naturalmente, quel genere di pensieri, in un momento in cui era per lui di vitale importanza chiarire il loro grado di coinvolgimento nella piccola avventura tra i vapori della Pozza, non erano d’aiuto.

Hilda, da parte sua, avrebbe potuto introdurre l’argomento senza problemi, ma la sua sicurezza era compromessa dalla paura delle reazioni di Hyoga. La sacerdotessa, in fondo, doveva dire solo poche parole, il riassunto dei suoi pensieri dopo un’estenuante notte di riflessioni ed esami di coscienza.

‹‹La cavalcata ti ha stancato?›› tergiversò lei, appoggiandosi al tavolo proprio di fronte a Hyoga.

‹‹Sono andato abbastanza lontano, e ho preso il cavallo che non è riuscito a montare Freyr›› sorrise Hyoga facendola sorridere. ‹‹Ho paura che ci rimarrà male quando lo verrà a sapere!››.

La tensione si allentò e risero.

‹‹Freyr aveva detto che non era riuscito a domarlo…››.

‹‹È stato buonissimo, ubbidiente. Mi ha fatto divertire››.

‹‹Vorrà dire che quando tornerà, convinceremo Freyr a regalartelo››.

Era sottinteso, in quelle parole, che Hyoga sarebbe rimasto ancora ad Ásgarðr, almeno fino al ritorno di Freyr. Hilda cercò di guardarlo negli occhi, ma Hyoga sviò di nuovo, rimandando ancora il discorso.

‹‹Più che stanchezza, ho risvegliato il mio terribile mal di schiena››.

Hilda, incuriosita, s’informò sui sintomi, e Hyoga le spiegò a grandi linee, la situazione.

‹‹Non è un problema da poco!›› lo sgridò. ‹‹Non ho punture, naturalmente, ma posso trovare altri rimedi! Vediamo…››. Guardò verso l’armadietto delle erbe officinali, stropicciandosi le labbra. ‹‹Potremmo fare delle applicazioni di succo d’anemolo…oppure, sì, ti preparo un decotto di vischio!››.

Entusiasta, Hilda prese il vischio e, in un quarto d’ora, preparò il decotto, rispondendo intanto alle domande curiose di Hyoga sulle erbe medicinali.

‹‹Ecco›› disse porgendo a Hyoga una tazza fumante.

‹‹Ha un odore terribile…››.

‹‹Ma ha un buon sapore, e soprattutto, fa bene›› lo assicurò Hilda sedendosi vicino a lui. ‹‹Ingurgita!››.

Hyoga soffiò per raffreddare il liquido, poi si tappò il naso e vuoto tutto d’un fiato la tazza, per non rischiare di lasciarne neanche una goccia.

‹‹Éto prosto ! (1) Ha un sapore disgustoso!›› si lamentò lui strizzando gli occhi. ‹‹Non sai preparare una tisana che abbia un buon sapore?››.

‹‹Non essere noioso, vedrai che ti passa››.

‹‹Non è che mi hai avvelenato?››.

‹‹Ah!›› esclamò lei fingendosi offesa, ‹‹osi dubitare delle mie abilità officinali?››.

Hilda gli diede un pizzicotto su una spalla e Hyoga le bloccò entrambe le mani.

‹‹Grazie Hilda››. Le parlò con una serietà sorprendente perché improvvisa. Lei non rispose subito, poi con un sorriso impacciato si schermì.

‹‹Per cosa? Per un decotto dal sapore orribile?››.

‹‹Ba, anche per quello…›› scherzò lui con una smorfia. ‹‹Ma soprattutto perché…sei…››. Hilda rimase ad ascoltare senza interrompere, e si lasciò stringere le mani. ‹‹Vorrei riuscire a farti capire quanto ti ammiro per la donna che sei…Non ti ho detto che al Consiglio mi sei piaciuta, per la tua grinta, che alla festa eri stupenda, che senza il tuo aiuto non sarei riuscito…a farcela…Per tutte queste cose ti volevo ringraziare…››.

‹‹Non ti preoccupare, stai tranquillo›› disse lei. ‹‹Non era necessario che tu mi dicessi tutte queste cose, ma sono felice che tu l’abbia fatto››.

Hyoga restò un po’ in silenzio, perché sapeva di non poter aspettare troppo per riferire a cosa lo avevano portato le sue lunghe riflessioni. Tirò un sospiro per calmarsi e Hilda sciolse le mani dalla presa e prese lei quelle di Hyoga.

‹‹C’è una cosa che devo dirti, una cosa cui ho pensato oggi…››.

‹‹Per quel che riguarda ieri sera…›› disse Hilda.

‹‹Sì, anche››.

‹‹Sono stata spudorata…›› si rimproverò lei. ‹‹Se mi disprezzi, ne hai tutte le ragioni››.

‹‹Net!›› s’affrettò a dire allarmato. ‹‹Net! Non potrei mai! Tra le altre cose, volevo scusarmi perché mi sono comportato da cafone, e perché ti ho detto cose terribili…che non pensavo››.

‹‹Non ti devi scusare››› disse lei soppesando le parole. ‹‹È stato un bene che sia finita così, non credi?››. Hyoga si guardò attorno, stringendo gli occhi.

‹‹Ho pensato anche a questo, oggi›› disse alla fine. ‹‹Non mi pento di quello che ho fatto, era quello che credevo giusto, ma adesso…Non so, Hilda, sono un po’ confuso››.

Lei trattenne il respiro, il cuore cominciò a batterle forte e, per mantenere la calma, cercò di essere la donna di sempre, non quella che si sentiva coinvolta da Hyoga al punto da avere il batticuore in sua presenza. In quel momento, tornò ad essere l’Hilda che usava le persone per il suo tornaconto, senza preoccuparsi troppo dei loro sentimenti. Si armò della sua arma più potente, la sincerità sfacciata e assoluta che colpiva a sorpresa, affondando anche gli spiriti più forti e grintosi.

‹‹È solo un’impressione!›› esclamò esibendo un sorriso tirato ma convincente. ‹‹In realtà, dovresti essere orgoglioso di quello che hai fatto!››.

‹‹Hm?››.

‹‹Sì, sei stato l’unico che mi abbia resistito››.

Hyoga rimase un momento a fissarla imbambolato, ancora più confuso di quanto non lo fosse stato qualche attimo prima. Liberò una mano per accompagnare le parole, e la mosse davanti a sé, disegnando immaginari cerchi nell’aria.

‹‹Cosa vuoi dire, esattamente?››.

‹‹Non vorrei scendere nel dettaglio, sappiamo bene cosa intendo›› precisò lei in maniera vagamente illusoria. ‹‹Dico solo che quello che hai fatto è stato…eccitante››.

‹‹Lo trovi eccitante un uomo che scappa nudo nato da una donna?››.

‹‹No, questo non c’entra. La mia era solo curiosità››.

‹‹Hai cercato di sedurmi per curiosità?››.

‹‹Ma no, la curiosità di vedere la tua reazione!›› disse lei ridendo.

Hyoga, esterrefatto, liberò anche l’altra mano, con un gesto un po’ affrettato, e si grattò la fronte.

‹‹Sono stato un gioco?›› chiese deluso. Hilda sospirò, costatando quanto fosse difficile guardare gli occhi dolci di Hyoga e continuare a fingere di non sentirsi coinvolta.

‹‹No, questo no›› disse subito lei. ‹‹Ma mi piace osare, per vedere fino a che punto posso spingermi, e fino a che punto l’altra persona è disposta a seguirmi››. La sacerdotessa pensò un momento. ‹‹Sì, alle volte è un gioco…››.

‹‹Non pensi che sia sbagliato?››. Lei rispose con un’alzata di spalle.

‹‹Non saprei, non è così facile dire giusto o sbagliato››.

‹‹Per quel che penso io, giocare con i sentimenti altrui è sbagliato›› insistette lui, sentendosi coinvolto in prima persona.

‹‹La cosa terribile è che non soffro, né mi pento. Pensi che sia una donna insensibile?›› scherzò Hilda.

‹‹Sì›› rispose Hyoga senza troppi problemi. ‹‹Insensibile, e senza cuore, ma non in senso assoluto. Certe volte sei dolce, e gentile, ma è come se ti vergognassi della tua dolcezza. Questo è quello che penso di te››.

La sacerdotessa appoggiò i gomiti alle cosce, prendendosi il viso tra le mani.

‹‹Mi hai analizzato meglio di chiunque altro, sono senza parole. Devo ammettere che hai ragione…››.

‹‹Però, penso anche che ci saranno state delle ragioni, per portarti a questo››.

‹‹Mah, questo sì…tante ragioni››.

‹‹Mi farebbe sentire meno stupido, se tu volessi provare a spiegarmi››.

Hyoga non stava scherzando più. L’indifferenza di Hilda riguardo quanto era accaduto tra loro, alla Pozza, lo irritava, perché per lui non era stato un fatto così irrilevante da poter essere dimenticato, non senza le dovute spiegazioni.

Nella realtà dei fatti, invece, nemmeno Hilda squalificava quell’avvenimento eccezionale, ma semplicemente avrebbe voluto evitare di impelagarsi in situazioni pericolose, piene d’insidie che minacciavano di farle perdere il controllo delle sue reazioni.

‹‹È che ho qualcosa di freddo nel carattere, sono io la prima a dirlo. Non riesco ad accontentarmi dell’affetto delle persone che mi vogliono bene, ho sempre bisogno di emozioni forti, per sentirmi appagata. Oltre a ciò, non avendo mai amato veramente, volevo verificare se quello che avevo visto in te era davvero amore››.

‹‹Amore?››.

‹‹Il tuo presunto amore per mia sorella, intendo. Anche per questo ti sono venuta a cercare: una specie di prova››.

‹‹Tutto qui?››.

‹‹Mi sembri deluso…Doveva esserci dell’altro?››.

‹‹Net›› disse lui scuotendo la testa, senza convinzione. ‹‹Comunque…››.

‹‹Sì?››.

‹‹Comunque, il fatto che io non abbia ceduto, non significa che non avessi desiderato farlo…››. Hilda s’impose un silenzio forzato, mentre Hyoga fissando il pavimento tra i suoi piedi, si passava nervosamente una mano fra i capelli. All’improvviso, riprese a parlare. ‹‹Cosa avresti fatto, se fossi rimasto con te alla Pozza?››.

‹‹Ero venuta là con uno scopo preciso, sarei andata fino in fondo›› rispose Hilda con naturalezza.

‹‹E poi?››.

‹‹Ho sempre pensato che un giorno troverò qualcuno che mi amerà al cento per cento, per ogni giorno della mia vita. Forse per via del fatto che ho aspettato tanto a lungo, cerco qualcosa di assolutamente perfetto, anche se non è facile››.

‹‹Un amore perfetto?››.

‹‹No, non aspiro a tanto. Vorrei amare un uomo quanto merita per quello che ha fatto per me. Avresti potuto essere tu, quell’uomo, se solo tu non fossi perdutamente innamorato di mia sorella››.

Hyoga alzò la testa, sconfitto dalla schiacciante lucidità della sacerdotessa.

‹‹Non ho mai incontrato una donna che la pensa come te››.

‹‹Sono molti a dirmelo›› disse lei.

Restarono per lungo tempo senza parlare. Una volta vinto l’imbarazzo iniziale, parlare era stato facile, anche se non si erano detti quello che avevano realmente pensato. Per Hyoga, restava il grosso problema di informarla della sua decisione di lasciare Ásgarðr. In quel momento, nonostante avesse riflettuto a lungo, non gli sembrò più che fosse la soluzione migliore.

‹‹Era da molto tempo che non parlavo di me con qualcuno, ne sentivo la mancanza››.

Hilda era completamente abbandonata, e le sue parole sottolinearono la sua fame d’affetto.

Si fissarono, si sorrisero, poi si baciarono.

 

Note:

1) È una vera porcheria, ( éto prosto ).