CAPITOLO IX

Il senso dell’amore

 

L

a mattina del giorno precedente quello del Consiglio, Freija si alzò molto presto. Si preparò velocemente ma con cura e poi uscì correndo dalla sua stanza.

Da parecchi giorni in tutta la cittadella, e soprattutto a palazzo, fervevano i preparativi per la grande festa. I thraells erano indaffaratissimi, ognuno svolgeva il proprio compito senza interferire minimamente con gli altri ma lo facevano tutti contemporaneamente: nell’insieme, un disordine ordinato.

Mentre si recava nella cucina le parve di sentire la voce della sorella, anche se non riuscì a vederla. Hilda si era impegnata molto per organizzare il ricevimento e desiderava fare una bella impressione ai suoi ospiti. Sicuramente, pensò Freija divertita, Hilda era già sveglia da parecchie ore e stava coordinando i lavori, sbuffando e sbraitando per qualunque cosa non fosse di suo gradimento.

I corridoi erano saturi di una quantità infinita di odori e profumi, e ne fu completamente inondata quando aprì la porta della cucina, un grande ambiente costituito da tante stanze collegate, dove l’aria era umida e calda.

In mezzo alle thírs che, pur con il loro vociare e spettegolare, lavoravano incessantemente, individuò, appartate in un angolo, Fulla e Hlin. Freija si fermò a scambiare due parole veloci con Andhrímnir, il cuoco, complimentandosi per l’eccellente lavoro che stava svolgendo. L’uomo, che si sarebbe potuto tranquillamente dire grasso, ringraziò e si ributtò a capofitto sulla pastella che stava preparando, rinvigorito dalle gentili parole della principessa.

Fulla e Hlin discorrevano molto allegramente, in ozio come al solito. Erano le serve personali della principessa, nonché sue confidenti, nonostante Freija non desiderasse confidare loro alcun segreto. Non avevano altro compito che quello di servirla e soddisfarla in ogni suo desiderio. E dato che Freija non era una donna noiosa né pigra, bensì era stata abituata da Skaði a provvedere da sola ai suoi bisogni, per quanto possibile, le due thírs trascorrevano le giornate a chiocciare e a bighellonare, aiutando la loro padrona nei suoi passatempi preferiti, il ricamo, il cucito o il lavorare ai ferri.

Fulla era abbastanza alta da guardare dritto negli occhi la maggior parte degli uomini, aveva lunghissimi capelli biondi, fermati sulla nuca con una fascia color oro. Hlin era di una testa più bassa dell’amica. I capelli corvini le contornavano perfettamente il viso e arrivavano fin quasi alle spalle. Aveva occhi neri come la notte, in netto contrasto con quelli di Fulla, d’un marrone tanto chiaro che, se illuminato da una luce forte, poteva sembrare addirittura giallo.

‹‹Signora, sei già in piedi?!›› incominciò subito Fulla.

‹‹Pensavamo che ti saresti alzata più tardi…›› continuò Hlin.

In un attimo le portarono la colazione: skyr (1) , pane imburrato e biscotti con miele. Freija mangiò lentamente, mentre Fulla e Hlin le raccontavano ogni minimo particolare, anche e soprattutto il più insignificante, che riguardasse i ferventi preparativi. Lei ascoltava distrattamente le due serve che a turno proseguivano nella narrazione, pensando a quanto fosse irritante quel loro modo di fare.

‹‹Dicevamo dunque che verranno anche i figli di Re Sveigdir di Svealand, Harald e Knut…›› diceva Fulla.

‹‹Forse…›› la corresse Hlin.

‹‹Sì che verranno! Tutti verranno per vederti, signora!›› riprese Fulla con maggior impeto.

‹‹Verranno per partecipare al Consiglio, e poi per mangiare l’ottimo cibo, per bere vino e birra della migliore qualità che offriremo domani sera al banchetto!›› precisò Freija, schermendosi degli innumerevoli complimenti. ‹‹Non sono l’ottava meraviglia!››.

‹‹Certo, anche per questo! Ma tu sarai certamente la donna più ricercata della serata!›› insistette Fulla.

‹‹Certamente!›› riprese Hlin, che non voleva essere da meno nell’elogiare Freija. ‹‹Tutti gli jarls d’Ásgarðr, e anche re e jarls provenienti da altre province, si riuniranno qui, e di sicuro ognuno di loro vorrà ballare con te e farti la corte! Non è stupendo?››.

Le due serve annuivano continuamente, approvando l’una le parole dell’altra, Freija cercava di ignorare la fiumana di sciocchezze che le stavano raccontando. Dopo avere riferito le disavventure che erano capitate fino allora a chiunque stesse lavorando ai preparativi della festa, cominciarono ad elencare tutti i possibili ospiti che sarebbero intervenuti, aggiungendo alla loro lista anche i più improbabili invitati.

‹‹Sarà un festeggiamento meraviglioso››. Fulla riprese caparbiamente la parola perché a suo avviso Hlin stava parlando più di lei. ‹‹Era tempo che si tornasse di nuovo a godere della pace. Avete faticato molto, tu e Hilda, per ristabilire il giusto equilibrio e ora è tempo che godiate appieno dei frutti del vostro lavoro››.

Freija allontanò dalle labbra la coppa dello skyr e fissò per un momento Fulla, meravigliandosi del drastico cambio d’argomento. Per un attimo si interessò alla conversazione che aveva preso una piega del tutto inaspettata. Fulla e Hlin stavano passando in rassegna le manovre politiche condotte per ripristinare le alleanze infrante, per fortuna non irrimediabilmente, dimostrando di non avere orecchie solo per le dicerie. Stava quasi per intervenire quando Hlin le rivolse nuovamente la parola.

‹‹A questo punto, signora, è giusto che pensi al futuro. Stasera saranno presenti i più importanti alleati di Ásgarðr, a chi permetterai di farti la corte?››.

M’ero illusa, fatica sprecata.

‹‹Adesso basta! Penso che abbiate sparlato abbastanza!›› disse Freija bruscamente per tagliare corto. ‹‹Non sappiamo ancora né chi verrà né tanto meno con quali intenzioni››. Finì lo skyr ed era sul punto di alzarsi quando Fulla, da esperta pettegola quale era, prendendo spunto proprio dalle sue parole, risollevò il discorso:

‹‹Ti stai riferendo allo jarl Leif, per caso?››.

Freija arrossì violentemente e cercò di mantenere la calma.

‹‹Ma che dici, sciocca? La mia era solo una constatazione…››. Fulla e Hlin si guardarono sorridendo perché non avevano alcuna intenzione di allentare la presa.

‹‹Perché ti scaldi tanto, signora? La nostra era semplice curiosità›› si giustificò innocentemente Fulla.

‹‹È affascinate, lo jarl Leif, e molto gentile. Hai di certo notato, signora, che si siede sempre al tuo fianco …›› precisò Hlin. (2) Freija si agitò e sentì le guance ancora più calde. Si alzò di scatto sbattendo la coppa sul tavolo.

‹‹Basta, sono stufa! Non ho intenzione di ascoltare una parola di più!›› esclamò irata e uscì dalla cucina.

Sciocche e pettegole. È colpa mia, però, se hanno preso tanta confidenza! Non riesco mai a rimproverarle come dovrei...

Sapeva di aver avuto una reazione eccessiva. Alle volte, la curiosità pettegola delle sue serve la infastidiva. Avendo troncato il discorso in maniera così brusca, però, aveva fatto capire a Fulla e Hlin d’aver fatto centro con le loro supposizioni. In effetti davvero lo jarl Leif le sedeva sempre di fianco, ma era ancora lontano il giorno in cui avrebbe deciso di sposarlo.

E poi bisognerebbe superare lo scoglio di Hilda…

Sorrise, alzando le spalle, perché aveva altro cui pensare in quel momento, mentre sentiva alle sue spalle i passi veloci delle ragazze che tentavano di raggiungerla.

Per tutta la mattinata s’affannò, avanti e indietro, per controllare che tutto procedesse nel migliore dei modi. Fece portare altri fiori, perché dessero maggiore colore e freschezza alle sale, e fece pulire gli arazzi che erano stati appesi alle pareti, perché le sembravano opachi. Si recò più volte in cucina, per informarsi se mancasse qualche ingrediente o se fossero carenti le quantità di cibo ordinato per allestire il banchetto. Fece anche un salto nella Válaskjálf, in cui, quello stesso pomeriggio, Hilda avrebbe ricevuto i partecipanti al Consiglio, e lì esortò i thraells a lavorare più veloci, perché con quel ritmo, non avrebbero fatto tempo a pulire perfettamente il marmo del pavimento.

‹‹Hilda si vorrà specchiare, cercate di non deluderla!››.

Nel grande salone al pianterreno, dove avrebbero festeggiato la conclusione del Consiglio, alcuni thraells facevano le prove per l’allestimento delle tavole, lunghe assi inchiodate su massicci cavalletti di legno.

‹‹Mettete il tavolo piccolo sul fondo e sistemate le tre tavole più lunghe in questo modo, nel senso della lunghezza. Dovrebbero di certo bastare›› suggerì gesticolando per spiegare la sua ottima idea.

Soltanto nel primo pomeriggio, quando le sembrò che i preparativi procedessero senza intoppi, si concesse un momento di pausa. Immancabilmente seguita dalle due serve, si allontanò dal palazzo per fare una passeggiata nella gelida aria autunnale.

Tutto il quartiere artigianale era in fermento, per le vie aleggiavano le fragranze del pane e dei dolci appena sfornati, i rumori dei lavori nelle botteghe.

Mentre osservava compiaciuta la frenetica attività degli artigiani, le passò per la mente un pensiero. Negli ultimi due giorni, non aveva incontrato per niente sua sorella, né al dögurðr, né al nàttverðr, e nemmeno l’aveva intravista a palazzo. Aveva sentito solo qualche volta la sua voce. La cosa le sembrò alquanto strana, conoscendo il fanatismo di Hilda e la sua cura maniacale dei particolari. In condizioni normali, la sacerdotessa sarebbe stata onnipresente per visionare ogni dettaglio dei preparativi.

Avrei dovuto incontrarla cento volte al giorno, invece! Questo suo comportamento è davvero strano…Da un lato mi fa felice, perché sapeva che mi sarei occupata di tutto io, e ciò significa che si fida ciecamente del mio lavoro. Dall’altro, a dire il vero, sono un po’ preoccupata…Non starà male? Che sciagurata sono! Non mi sono nemmeno preoccupata di andare a cercarla per informarmi!

Stava per chiedere spiegazioni alle due serve, sempre informatissime, quando con lo sguardo colse qualcosa che attirò la sua attenzione. Poco lontano, vide un uomo di spalle che le sembrò stranamente familiare. Non poté riconoscerlo, perché lui non si voltò, ma ciò che vide chiaramente, quando sparì dietro un angolo, fu che camminava a braccetto con sua sorella. Alzò meccanicamente un braccio, indicando la direzione in cui li aveva visti.

‹‹Hilda…?›› balbettò. Fulla e Hlin colsero al volo l’occasione e cominciarono all’istante a parlare.

‹‹Sì, signora. Era vostra sorella, in compagnia dell’utlänning!››. Freija si accigliò.

‹‹Straniero?›› sorrise Freija. ‹‹Spiegati meglio, Hlin. In questi giorni arriveranno ad Ásgarðr uomini da tutto Goðheimr››.

‹‹Questo è molto straniero! Ha un accento tanto strano, signora. Molti assicurano che sia un Rus. Così hanno detto, non è forse vero Fulla?››.

‹‹Giustissimo, Hlin. Ho sentito anche che Magni lo conosce. È stato lui a condurlo a palazzo, l’altra sera››.

La principessa sorrise divertita. Qualche volta era piacevole ascoltare quei pettegolezzi, tanto più che la faccenda la stuzzicava, e non le fu difficile strappare ulteriori informazioni alle sue ancelle.

‹‹Perché mai mia sorella si lascerebbe andare a certe confidenze…?›› mormorò la principessa. Non in pubblico, almeno. ‹‹Sentiamo, che cosa sapete d’altro?›› chiese cogliendo la smania sui volti delle due serve. Dopo l’imbeccata, Fulla e Hlin si scambiarono uno sguardo d’intesa e vuotarono il sacco.

‹‹È arrivato due giorni fa che era già buio, e ha chiesto subito di incontrare Hilda›› cominciò Fulla, subito seguita da Hlin.

‹‹Esatto. Ti dicevamo, dunque, che Magni lo avrebbe riconosciuto ed è stato proprio lui ad accompagnarlo a palazzo. Brinir ha detto che Thorgall lo voleva cacciare e che lui invece si è imposto, dicendo che se avessero chiamato Hilda lei l’avrebbe ricevuto sicuramente!››.

‹‹Non fate tanti misteri! Quell’uomo dovrà partecipare al Consiglio, altrimenti Magni non l’avrebbe fatto entrare né Hilda l’avrebbe ricevuto a quell’ora›› ipotizzò Freija.

Era una donna con i piedi per terra lei, abituata soprattutto a spiegare, a cercare una spiegazione plausibile piuttosto che ad immaginare. Tutto il contrario delle thírs dalle fervida immaginazione.

‹‹Questo proprio non lo sappiamo, ma Hilda certo lo conosce molto bene, tanto è vero che lo ha condotto subito nelle sue stanze!›› confermò Fulla.

‹‹Poi, come ci ha detto Gna, sono rimasti parecchio tempo chiusi là dentro. Hanno anche cenato assieme in camera: di questo siamo sicure perché è stata proprio Gna a portare loro la cena›› aggiunse Hlin.

Freija le ascoltava senza interrompere, sperando che, nella moltitudine d’inutili dettagli per lei di poco interesse, che riguardavano esclusivamente la vita privata di sua sorella, le due ragazze le fornissero indizi utili.

‹‹Hilda gli ha fatto preparare una stanza, una delle più belle, e ha insistito perché lo trattassero con ogni riguardo››.

‹‹Volete dire che sta a palazzo?›› si stupì lei. Fulla e Hlin annuirono vigorosamente, Freija scosse la testa incredula. ‹‹Che sciocchezze dite? Possibile che sia a palazzo da due giorni, che io non lo sappia e che non l’abbia mai incontrato? Non siate banali!››.

‹‹Eppure è così. Ieri mattina si è alzato tardi e ha raggiunto subito Hilda nel laboratorio››. Hlin si sfregò le mani, palesemente compiaciuta, e Fulla finì il resoconto.

‹‹Esattamente! Ah…›› esclamò d’un tratto la ragazza agitando una mano. ‹‹Dimenticavo di dirti che ieri il Rus è stato tutto il giorno con Freyr!››.

‹‹Dunque lo conosce anche mio fratello…›› sussurrò Freija, sforzandosi di immaginare chi potesse mai essere. Se il misterioso personaggio era tanto in confidenza con i suoi fratelli, era molto probabile che lo conoscesse lei pure.

‹‹Brinir ci ha detto che sono tornati dalla città bassa che erano molto allegri, e che facevano un gran baccano. Poi sono stati fino a notte fonda alla Casa della Guardia. C’è da supporre che abbia passato la notte con vostra sorella, perché, stamattina presto, Thora li ha visti uscire assieme dalla camera del Rus!››.

A quell’ulteriore superflua precisazione, Freija si spazientì. Hilda era famosa per le sue avventure amorose e la principessa, disapprovando quel comportamento lascivo, non amava sentirne parlare, specialmente se a farlo erano i servi.

‹‹Questi non sono affari vostri!›› le rimproverò corrucciandosi in volto. ‹‹Non sono interessata a quello che ha fatto, vorrei solo sapere chi è!››. Fulla e Hlin la guardarono esterrefatte, sorprese per l’insolita curiosità della loro signora.

‹‹L’hai evitato per un soffio, signora›› sospirò Fulla scuotendo la testa.

‹‹Sono stati tutta stamattina nella stanza della sacerdotessa, ma ieri ha girato tutto il giorno per la cittadella con Freyr. Sono andati anche ad Asabigð›› precisò Hlin.

‹‹Ma voi l’avete visto?›› chiese infine la principessa. Loro annuirono all’unisono. ‹‹Dunque che aspetto ha quest’uomo?››.

‹‹È molto bello, signora, e anche giovane. I suoi capelli sono biondi, del colore del grano maturo, e i suoi occhi azzurri ricordano il cielo limpido delle giornate di primavera››.

‹‹E aveste visto il suo viso, signora, con l’espressione gentile e la mascella marcata! E aveva una bellissima voce: dolce ma profonda, con quell’accento così particolare!››.

‹‹Questo è normale, non avete detto che è un Rus?››. Freija poi sorrise, ripensando alla colorita descrizione, tanto dettagliata quanto improbabile. ‹‹Ma non starete esagerando, mie care? Chi sarebbe costui, un dio sceso in terra, più bello d’Adone?››.

Le ragazze sgranarono gli occhi. ‹‹Non conosco quest’Adone, ma il Rus è sicuramente l’uomo più bello che io abbia mai visto›› affermò Fulla annuendo per enfatizzare le sue parole.

‹‹Dev’essere davvero molto attraente se riesce a strappare complimenti anche da voi due!››.

‹‹Proprio così!›› precisò Hlin. ‹‹In verità, senza togliere nulla alla sacerdotessa, preferirei che fosse il tuo amante, signora››.

Freija arrossì violentemente. ‹‹Hlin! Impara a tacere quando è il caso! E tu›› disse voltandosi verso Fulla, ‹‹non appoggiarla! E adesso andate ad aiutare le cuoche, pettegole! Il tempo passa veloce e voi due, con le vostre chiacchiere, non combinerete nulla di buono nemmeno oggi!››.

‹‹È imprevedibile, quella ragazza! Dove sarà finita adesso?›› esclamò Hilda, che continuava a guardarsi attorno nervosamente. ‹‹Tra poco cominceranno ad arrivare i partecipanti al Consiglio e dovremo restare per il resto della giornata chiusi in Válaskjálf a riceverli! Mi devo ricordare di farle i complimenti: ha lavorato sodo, e impeccabilmente!››.

Hyoga si lasciava condurre a braccetto dalla sacerdotessa senza fiatare, e mentre camminavano per i corridoi del sontuoso palazzo si trovò a pensare che quella confidenza non gli dispiaceva per niente. Il fatto che chiunque li incrociasse, li salutasse abbassando il capo e accennando un inchino lo inorgogliva, come se quelle manifestazioni di rispetto fossero rivolte anche a lui.

‹‹Avremmo potuto dirglielo prima ma con tutto quello che c’era da fare…Chissà che sorpresa sarà per mia sorella incontrarti!›› sorrise Hilda. ‹‹È tanto che non vi vedete!››.

Hyoga batté le palpebre ritornando alla realtà. Perso nei suoi pensieri, non aveva percepito chiaramente il lungo discorso di Hilda e quell’affermazione lo scosse del tutto. Si vergognò di aver pensato a Hilda con insistenza e di aver completamente dimenticato la vera ragione della sua presenza ad Ásgarðr, Freija.

‹‹Già…davvero una sorpresa…››.

Non sarà un segno divino il fatto che siamo stati nello stesso luogo per due giorni e non siamo mai riusciti ad incontrarci? Ho un terribile presentimento…Certo, avrei potuto chiedere di lei in ogni momento. Forse, è solo colpa mia.

Hilda gli stringeva forte il braccio, intanto continuava a chiacchierare.

‹‹Speriamo di riuscire ad incrociarla prima che comincino ad arrivare i nostri ospiti, altrimenti dovremo rimandare a stasera! O addirittura domani! Sei stanco, Hyoga? Ti vedo assente…forse sei solo teso, ma questo è perfettamente normale!››.

Lui annuiva e si faceva stringere perché la naturalezza di Hilda lo tranquillizzava.

Magari, ha saputo che sono arrivato e non vuole vedermi! Se mi avesse evitato per questo motivo? Fu scosso da un brivido di paura e deglutì.

‹‹Hai freddo?›› gli chiese Hilda.

‹‹Net, net…Dicevi?››.

Le notizie si spargono in un batter d’occhio in questo posto, ma se davvero non volesse vedermi, potrei morire per la delusione! La cittadella è grande, grandissima, ma è mai possibile che non la riesca ad incontrare, nemmeno per sbaglio?

Fu allora che Hilda dovette fermarsi, sentendo che Hyoga opponeva resistenza e non la seguiva più. Si voltò con aria interrogativa e lo vide immobile un passo dietro di lei, con lo sguardo imbambolato fisso davanti a lui. I suoi occhi brillavano d’un luccichio simile a quello delle lacrime, una luce diversa dall’ardore guerriero che aveva colto in quello stesso sguardo quando avevano parlato di guerre e battaglie.

‹‹Cosa c’è…?›› cominciò a dire.

Hyoga stava fissando un punto alle spalle di lei e Hilda non ebbe bisogno di voltarsi per sapere cosa stava ammirando. Nel vederlo con quell’espressione radiosa in volto, avvertì un tuffo al cuore. Girò su se stessa, cercando di assumere l’aspetto dignitoso che s’addiceva ad una sacerdotessa.

Freija camminava leggera, nella loro direzione, come se stesse fluttuando sul pavimento. I folti capelli biondi si alzavano e le ricadevano sulla schiena ad ogni passo, formando quasi un alone fiammeggiante attorno al suo viso. Era l’immagine della gioia, radiosa nell’espressione assorta degli occhi e nello smagliante sorriso. Fulla e Hlin civettavano dietro di lei.

Solo allora, Hilda seppe assegnare un nome al sentimento che le aveva stretto il cuore pochi istanti prima. Poteva dunque la Grande Sacerdotessa essere gelosa per un uomo?

‹‹Finalmente t’incontriamo, sorella›› disse in tono asciutto.

Se Hilda non avesse parlato per prima, Freija si sarebbe scontrata con loro senza accorgersene. Sentendo la voce della sorella, si distrasse dai suoi pensieri e sollevò la testa. Al contrario della sacerdotessa, che camminava a testa alta, sfidando con lo sguardo chiunque alzasse gli occhi su di lei, Freija, più timida e riservata, teneva sempre lo sguardo basso, in segno di rispetto.

‹‹Hilda…dov’eri finita?›› domandò Freija con voce gioiosa.

Poi sbarrò gli occhi. In un attimo sbiancò, poi il suo volto si tinse di rosa, e gradualmente le guance arrossarono. Fulla si protese in avanti e le sussurrò all’orecchio.

‹‹Quello è il Rus, signora, l’utlänning››. Freija però non la stava ascoltando e si lasciò sfuggire un’esclamazione di sincero stupore.

‹‹Hyoga?!››.

Lui liberò il braccio destro, ancora stretto dalla mano di Hilda, accennò un saluto accompagnato da un sorriso impacciato, e l’aria si fece tesa. Hilda, innervosita dalla sbrigativa velocità con cui Hyoga si era svincolato dalla sua innocente stretta, si era subito accigliata. Freija, da parte sua, sconvolta per la sorpresa di incontrare Hyoga, per la confusione delle chiacchiere con cui le serve le avevano riempito la testa, per il solo fatto d’averli visti a braccetto, con sua sorella impegnata a civettare come faceva solo quando era interessata a qualcosa, si sentì bruciare. Fulla e Hlin quasi trattennero il fiato. Non capirono il motivo della tensione ma intuirono la pericolosità di quel triangolo di sguardi insistenti, impauriti, severi.

Freija e Hyoga si fissarono lungamente, e Hilda, come se si sentisse minacciata personalmente dalla forza che li calamitava l’uno all’altra, reagì istericamente. Si mosse di scatto, lasciando Hyoga solo e nel panico, e superò la sorella lanciandole un’occhiata gelida.

‹‹Immagino che desideriate stare soli›› sorrise maliziosa e pungente. ‹‹Dovrete parlare di molte cose!››.

‹‹Non è necessario›› si trovò a rispondere Freija, acida e sgarbata.

‹‹Penso proprio di sì, invece›› le sussurrò Hilda all’orecchio, passando con uno sguardo veloce ma profondo, dal volto nervoso di lei con le labbra tremanti, a quello imbarazzato di lui con la fronte increspata di rughe. ‹‹Andiamo, mie care›› aggiunse sollecitando Fulla e Hlin ad incamminarsi. ‹‹Freija può sbrigare questa faccenda anche senza il vostro aiuto! Ti aspetto nel laboratorio, Hyoga, non tardare troppo!››.

La vita sa essere imprevedibile, annoiarti con la sua ripetitiva monotonia, o stupirti con un evento del tutto inaspettato. Ho stretto i denti, ho vissuto finora guardando al futuro, senza mai dimenticare il passato, la cocente delusione che avrebbe dovuto temprarmi l’animo, plasmandolo fino a renderlo inflessibile come una lama da usare per difendersi ma pronta ad attaccare. Più che combatterlo però, ho convissuto con lo spettro di un sentimento che ha infestato per anni i miei sonni, che ha animato i miei sogni di belle speranze, sfiorite al mattino come un fiore che muore senza nutrimento.

Nello spazio d’un respiro ho provato rabbia e vergogna, ma com’è stato dolorosamente bello quel batticuore e quell’agitazione che mi hanno assalito, emozioni che non provavo da troppo tempo. Adesso, in questo stesso momento, mi sento viva, proprio come allora, emozionata nell’incrociare quel tuo sguardo che mi suscita scariche di brividi che mi pungono la pelle, sotto la pelle, che mi attraversano il corpo e mi scuotono.

Ma non dimentico le notti insonni e il cuscino fradicio di lacrime, il senso di vuoto per la tua assenza, la malinconia implacabile che mi assaliva ogni volta che un suono, un odore o un sapore particolare, crudelmente, mi parlavano di te.

Non dimentico l’apatia di quelle interminabili giornate d’attesa, volata via leggere come la brezza primaverile, aride come la terra sotto il sole dell’estate, mesi della mia vita passati ad aspettare, l’autunno e l’inverno, e poi da capo.

Vorrei piangere, di gioia o di rabbia, non importa…

Restarono soli, fermi in mezzo al corridoio, distanti una decina di passi. Quando Hilda e le due thírs erano scomparse alla vista, dopo qualche titubanza, Hyoga aveva provato a fare la prima mossa.

‹‹Non qui!›› lo aveva interrotto Freija, con tono aspro e seccato.

Lui non era riuscito nemmeno a reggere lo sguardo severo di lei, limitandosi a seguirla per i corridoi a testa china, fino ad una saletta al primo piano. Nell’inquietante silenzio della stanza, Hyoga notò solamente il pianoforte al quale sedette Freija, e solo perché non le aveva staccato un secondo gli occhi di dosso.

‹‹Perché sei qui?›› chiese lei senza nemmeno voltarsi.

Hyoga, perplesso e al tempo stesso stupito, si sentì schiacciare dal peso di quelle semplici parole e gli mancò il coraggio. Si schiarì la gola ma parlò a voce talmente bassa che quasi non si sentì la sua voce.

‹‹Parteciperò al Consiglio, domani… e poi volevo parlarti…ma intuisco che forse non è il momento giusto››.

‹‹Chiudi la porta!›› ordinò lei. ‹‹Le mie serve hanno la pessima abitudine d’origliare›› aggiunse in un tono più dolce.

Hyoga ubbidì meccanicamente e si fermò lontano da lei, vicino alla porta chiusa, con le mani incrociate dietro alla schiena. Di tanto in tanto, lo si sentiva schioccare la lingua, apriva la bocca per parlare ma non gli usciva la voce. Rimaneva fermo a boccheggiare, con mille smorfie e la fronte corrugata, rilassata e ancora aggrottata.

Non sei cambiato, in tutti questi anni. A questo ti ha portato la tua fede, plasmato sulla concezione biblica del perdente, ad essere un moderno e improbabile Abele, un uomo buono e remissivo, estraneo a questo mondo cinico e perverso. Uno che subirebbe tutto, anche la morte, pur di non ferire il prossimo. Come farai a giustificarti per avermi ferito? Stavolta non basterà il tuo onnipotente sguardo, l’infinita dolcezza dei tuoi modi, ci vorrà qualcosa di più delle tue squisite parole per guarire le mie ferite…

La principessa sfogliava nervosamente lo spartito che le stava di fronte, in bilico sul leggio del pianoforte. Parlò lei per prima, con voce chiara e sicura, perché sarebbe stato lungo e snervante aspettare che fosse Hyoga a trovare il coraggio di rompere il ghiaccio.

‹‹Parla pure, se hai qualcosa d’importante da dire››.

È inutile indulgere in miserabili atteggiamenti vittimistici! Sarò forte, stavolta, come non mi hai mai vista!

Hyoga inspirò profondamente e si sforzò di sorridere, ma si diede del codardo, perché era stato sufficiente vedere negli occhi di lei lampi di rabbia e irritazione per scoraggiarlo dal tentare anche solo di parlarle.

‹‹È davvero curioso che tu abbia deciso di tornare ad Ásgarðr›› riprese lei, cercando di scuoterlo. ‹‹Pensavo che sarebbe venuta Lady Saori per presenziare al Consiglio, ma non fa differenza. L’importante è che sia presente un membro del Santuario, non importa poi tanto chi sia, giusto? Ho saputo che sei qui da due giorni, è strano che non ci siamo incrociati prima, vero? Fulla e Hlin mi avevano descritto una persona ben diversa››. Mentì, indugiando con lo sguardo sul cielo plumbeo piuttosto che guardarlo, perché in realtà Hyoga era davvero bello come dicevano, e lei lo sapeva fin troppo bene. ‹‹E dimmi, ti tratterrai a lungo?››.

‹‹Immaginavo che sarebbe stato difficile parlare con te, dopo tanto tempo…sei infuriata e ne hai tutte le ragioni…non ti devi preoccupare, però. Mi tratterrò giusto il tempo necessario a svolgere il mio compito al Consiglio, e poi…lascerò immediatamente Ásgarðr››. Hyoga si grattò la fronte, e si passò la mano sulla faccia, tirando un sospiro profondo. ‹‹Certo, ero venuto anche per altre faccende ma…sarà per un’altra volta, forse…›› improvvisò lui con finta allegria. Freija esitò e cercò di rimediare.

‹‹Scusami, non intendevo offenderti. In realtà…sono felice di rivederti…magari un po’ confusa…e non so bene come comportarmi››.

Riaffiorarono i ricordi vividi del loro ultimo incontro. Erano stati felici nel breve tempo passato a chiacchierare, una passeggiata mano nella mano, l’abbraccio con cui si erano salutati, gesti semplici e innocenti che erano valsi come una promessa d’amore, il trionfo dei sentimenti non ancora surclassati dai piaceri del corpo.

‹‹Sono passati due anni…›› mormorò tristemente Hyoga, esternando uno stato d’animo che opprimeva anche Freija.

Avresti potuto farmi avere tue notizie, non l’hai fatto. Due anni trascorsi ad aspettare una tua parola, a sperare di non ricevere mai cattive notizie…a pregare per la tua vita…E tu casa facevi?

‹‹Sì, è passato molto tempo›› sospirò lei.

‹‹Sono successe tante cose, belle e brutte, soprattutto brutte››.

È questa la tua scusa? Soprattutto cose brutte…

‹‹Hilda è venuta spesso a Villa Kido, ho saputo da lei›› tagliò corto Freija.

Non voglio ascoltare i racconti delle tue peripezie per la salvezza del mondo…Ho già sofferto abbastanza, senza sapere mai se vivevi o se eri morto…

‹‹Hilda e Saori si sono incontrate spesso›› divagò lui, nell’infruttuoso tentativo di allentare la tensione fra loro. ‹‹Qualche volta ho partecipato anch’io: stavamo delle ore a discutere, pianificare e altro››.

E altro…

‹‹Sarai informatissimo sulla nostra situazione, quindi›› disse lei, sforzandosi di sorridere e di scacciare le insistenti e indesiderate supposizioni delle serve, pensieri che aggredivano la sua coscienza, senza controllo.

È arrivato due giorni fa, che era già buio, e ha chiesto subito di incontrare Hilda…

‹‹Con Hilda, avevo parlato altre volte, ma è stato a Villa Kido, molto tempo fa. Abbiamo avuto occasione di approfondire certi argomenti solo in questi ultimi giorni››.

Hilda certo lo conosce molto bene, tanto è vero che lo ha condotto subito nelle sue stanze…sono rimasti parecchio tempo chiusi là dentro. Hanno anche cenato assieme in camera…

‹‹La definiscono affascinante e carismatica a ragione. Tua sorella è davvero una donna incredibile››.

…il nuovo amante di mia sorella…

Restarono in silenzio, ognuno invischiato nei suoi pensieri, più o meno rosei.

‹‹Sono passati due anni, ma per me non è cambiato niente›› confessò infine lui, insistendo sulla continuità dei suoi sentimenti.

…il nuovo amante di mia sorella…

‹‹Invece non è così!›› scattò Freija alterata interrompendolo bruscamente.

‹‹…››.

‹‹Sono cambiate molte cose›› riprese ritrovando la calma. Esitò un attimo soffermandosi ad osservare l’espressione cupa di Hyoga e si sentì terribilmente infelice.

Cosa vuol dire non è cambiato niente? Non ho mai saputo cosa volevi veramente da me, non hai mai osato con me, e io non mi sono mai scoperta. Siamo stati due stupidi, o abbiamo involontariamente fatto la scelta giusta? Cosa non è cambiato, l’affetto, l’indifferenza, il trasporto emotivo, quest’amicizia ambigua e immobile che non muore né cresce?

‹‹Le persone cambiano, e anche la vita di chi ti sta attorno cambia, te ne rendi conto? E tu ti presenti, adesso, senza sapere niente di me, di quello che può essermi successo in questi due anni, e mi dici che non è cambiato niente! Queste sono parole che per me non hanno senso…››.

Hyoga si trovò spiazzato, e subì il rimprovero che aveva già messo in conto.

Lei era disorientata, parlava velocemente con lo sguardo sempre sfuggente, un po’ aggressiva e un po’ mite, sicuramente emozionata. Lui era insicuro, sempre sul punto di confessarsi, frenato da un’infinità di scrupoli sulla giustezza delle sue azioni, perché voleva averla a tutti i costi ma non riusciva in nessun modo a dimenticare d’averla lasciata in sospeso per tanto tempo.

‹‹Non è cambiato niente…per quanto mi riguarda. Avrei sempre voluto comportarmi con te in un certo modo che…non mi è mai riuscito bene…Alla fine, sono sempre scappato perché proprio non riuscivo a decidermi, non perché non ne fossi convinto, anzi…ma per me è sempre stato difficile esprimermi con chiarezza, dimostrare i miei veri sentimenti…So che questo non è il momento, avrei dovuto farlo molto tempo fa, forse è tardi…però io…››.

‹‹Io non ti capisco, Hyoga! Non ti ho mai capito! E poi, sì, forse è tardi…››.

Intravide un’ombra passare negli occhi di Freija e capì che lei aveva qualcosa da dire, di molto importante. Freija sembrò stesse raccogliendo tutto il suo coraggio in un respiro ma poi sospirò, e non disse niente. Lo colse il terrore di vedere realizzato il suo incubo peggiore, la stessa preoccupazione che aveva avanzato Shun: due anni, un tempo sufficientemente lungo per dimenticare una persona e per rifarsi una vita.

‹‹Ho sbagliato, perché ti ho lasciata sola, per tutto questo tempo, e mi sono comportato da egoista. Ho creduto che se avessi votato tutto me stesso alla mia causa sarei riuscito a dimenticare… ma non è stato così! Ho combattuto con più ardore, mettendo a rischio la vita anche quando non era necessario, e ho scoperto che invece dovevo fare ancora tante cose, che volevo vivere per…››.

‹‹Zitto!›› esclamò lei in fretta. ‹‹Hyoga, per favore, ti ho già detto che le cose sono cambiate!››.

‹‹Sei qui, di fronte a me, e ti vedo diversa nell’aspetto, più bella e più matura, ma sei così cambiata da non voler nemmeno ascoltare?››.

‹‹So già quello che mi vuoi dire…›› disse lei, ostentando distacco e controllo nella voce, eppure incapace di sostenere l’azzurro di quegli occhi tristi che aveva tanto sperato di rivedere. ‹‹Non voglio sentire!››.

Allora Hyoga, stringendo i denti, dette fondo al coraggio messo da parte per quell’occasione, per andare incontro alla fine o ad un nuovo inizio.

‹‹Ho vissuto senza uno scopo, senza conoscere la paura della morte, ma è stato meraviglioso, un giorno, svegliarsi e sentire di nuovo la voglia di vivere. Ci ho messo molto tempo, è vero, ma non volevo sbagliare, perché ho già perso troppe persone care. Volevo essere sicuro d’aver fatto la scelta giusta, per non fare soffrire altre persone››. La guardò per decidere se continuare, lei girò la testa. ‹‹Ho scoperto che la mia voglia di vivere eri tu››.

‹‹Non m’interessa più sapere queste cose…Ho detto che è tardi…››.

Adesso lei aveva gli occhi lucidi e Hyoga non poté fare a meno di sorridere istericamente. Freija l’aveva conquistato non solo per la sua bellezza ma anche per la purezza e limpidezza del suo animo. Non era difficile capire, osservando quei grandi occhi verdi, che quel luccichio che li faceva brillare non era felicità ma tristezza.

‹‹Dette adesso, queste parole davvero non hanno senso, vero?›› ammise amaramente. Freija però restava in silenzio, trattenendo a stento le lacrime.

Hyoga era alla disperata ricerca di un cenno che confermasse o smentisse le sue parole. Freija non si mosse, lasciando intravedere le guance rigate dalle lacrime.

‹‹Perché piangi?›› chiese prendendole una mano.

La principessa sollevò il viso, cercando di apparire dignitosa nonostante le lacrime, e di nascondere lo sconforto.

‹‹Dimmi solo se posso sperare ancora…›› disse, terrorizzato da quel silenzio indecifrabile.

Freija si morse le labbra, socchiuse la bocca, ma non riuscì ad esprimere il tumulto di emozioni e le uscì solamente un altro lunghissimo sospiro. Hyoga allungò una mano per asciugarle le lacrime.

‹‹Hai idea di quanto siano stati lunghi questi due anni…?›› mormorò premendo la guancia contro la sua mano. Un attimo dopo spalancò gli occhi sentendo il respiro di Hyoga sulle sue labbra, e lo allontanò, decisa ma con gentilezza.

‹‹Non posso…›› mormorò portandosi una mano al petto, sentendo il cuore che batteva all’impazzata.

Hyoga, disorientato, distolse lo sguardo arrossendo.

‹‹Prosti …scusami… ››. (3)

Mi scoppia il cuore…cosa mi succede?

Se quello fosse stato un sogno, magari uno dei tanti che aveva fatto anche ad occhi aperti, se fosse accaduto tempo addietro, si sarebbe abbandonata, e avrebbe visto realizzarsi il desiderio di vivere felicemente con lui. Scosse la testa, affranta, pensando che quel tempo era finito, anche se doveva ammettere che non era riuscita a dare una spiegazione plausibile al desiderio che aveva provato alla carezza di Hyoga. Lui, intanto, aspettava una spiegazione.

‹‹Ho bisogno di tempo per pensare…›› disse lei senza esitare. Si pentì subito.

Hyoga le lanciò un’occhiata sospettosa, e dalla sua espressione cupa s’intuiva chiaramente che faticava a crederle. Anche se, a tutti gli effetti, Freija non aveva mentito, in quanto aveva davvero bisogno di riflettere sui suoi sentimenti ora sconvolti, le sue parole non corrispondevano nemmeno alla piena verità.

No, devo dirglielo ora, prima che lo venga a sapere da altri. Si merita la verità… Perdonami, Hyoga. Spero che sentire queste parole ti faccia soffrire meno dolore di quanto ne proverò io nel pronunciarle…

In quello stesso momento, qualcuno bussò alla porta e, a malincuore, Freija dovette interrompersi per invitare ad entrare. All’aprirsi della porta videro affacciarsi Hlin. La serva si guardò attorno cautamente. Impacciata e rossa in volto per l’imbarazzo, la povera Hlin girava alternativamente il viso, fissando ora lo straniero, immobile come una statua, ora la sua signora, pallida e agitata.

Freija respirò profondamente e si sistemò con cura i capelli dietro le orecchie. Dopo che ebbe riacquistato la calma, la esortò a parlare e Hlin dovette riferire il suo messaggio. Con lo sguardo basso e le mani intrecciate sull’addome, parlò sommessamente, come se temesse l’ira della sua padrona.

‹‹Lo jarl Leif è appena arrivato e ti sta aspettando, signora… È impaziente di vederti, e, se possibile, ti chiede di non farlo attendere troppo…››.

Freija spalancò gli occhi e impallidì di colpo. Congedò Hlin con un gesto nervoso e solo quando furono rimasti soli, si decise a voltarsi verso Hyoga che la fissava impassibile. Il suo volto era una maschera tragica e nel vederlo Freija si sentì svenire. Si pentì di non avergli detto subito la verità e si rese conto che le parole della povera Hlin l’avevano ferito più di mille colpi al cuore. Le sembrò addirittura di cogliere nei suoi occhi quel luccichio che precedeva le lacrime.

‹‹Era questo che non volevi dirmi?›› chiese con distacco.

La sua voce era atona e piatta, priva d’ogni calore, ed era così calmo da far paura. Di fronte a lei non c’era più il gioioso ragazzo che l’aveva fatta ridere e divertire: in lui Freija vide l’uomo messo di fronte ad una nuova difficoltà da superare, talmente disilluso dalla vita nelle sue aspettative da non trovare più nemmeno lo stimolo per ribellarsi. Se si disperava tanto per lei perché aveva scoperto che c’era un altro uomo nella sua vita, era mai possibile che si fosse lasciato sedurre da Hilda, che fossero davvero amanti?

Perché sono gelosa di te? Io non mi devo più preoccupare di quello che fai…né tu di me…

‹‹Era questo che non volevi dirmi?›› ripeté Hyoga. ‹‹Agá (4)…me l’aveva anche detto Shun…Due anni sono un tempo sufficientemente lungo per dimenticare una persona e rifarsi una vita…››.

Freija avrebbe voluto avvicinarsi a lui per abbracciarlo; avrebbe voluto dirgli che lo aveva aspettato per tanto tempo, che nemmeno lei aveva mai smesso di pensarlo, che l’altro non rappresentava niente per lei mentre lui era tutto. Avrebbe voluto dire tante cose ma non disse niente. Cominciò a piangere, quasi senza accorgersene, e tentò di avvicinarsi.

Lui indietreggiò e uscì dalla stanza.

Hilda si chiuse nel suo studio, dopo aver assegnato alle due thírs mansioni di poco conto. In pochi istanti aprì alcuni antichi tomi che aveva estratto dagli scaffali della libreria e sedette al suo tavolo da lavoro. Abbassò la testa sulle pagine incartapecorite dal tempo, sforzandosi di focalizzare l’attenzione e di sfruttare la carica d’energia che aveva accumulato per qualcosa di più positivo che non l’ira, ma era troppo agitata per studiare e, passato lo slancio iniziale, scartò immediatamente l’idea. Si abbandonò sulla sedia e rallentò la respirazione sentendo la tensione svanire.

Cosa mi sta succedendo?

Mai prima d’allora, Hilda aveva provato un tale disagio alla presenza di sua sorella. La sua mente lottava per placare il sentimento di rivincita, nato dalla consapevolezza di essere stata sconfitta facilmente da Freija prima ancora d’aver tentato di conquistare un uomo che, solo ora che aveva la possibilità di riflettere con calma e lucidità, la intrigava.

Era bello, cattivante col suo agire flemmatico, affascinante con la sua strana parlata intrisa di molti accenti diversi, col suo disilluso modo di essere.

Era cambiato molto da quando l’aveva conosciuto la prima volta, molti anni prima. Già allora l’aveva trovato grazioso, anche se un po’ anonimo. Adesso i tratti del suo volto si erano fatti più duri, con la mandibola forte e la fronte spaziosa. Le labbra, più carnose, erano incorniciate da una barbetta incolta e fiancheggiate da due incantevoli rughe d’espressione. Soltanto gli occhi non erano cambiati: sormontati da sopracciglia più lunghe e folte, avevano mantenuto la stessa espressione gentile e triste al tempo stesso.

Hilda sospirò appoggiando il volto alla mano e pensò che lo desiderava per sé. Si crogiolò in quel dolce pensiero ma subito le venne in mente lo scintillio che aveva colto nei suoi occhi all’apparire di Freija. Non c’era bisogno di possedere mirabolanti arti magiche per comprendere la natura del sentimento che era alla base di quello sguardo languido. Se non fosse stato per il Consiglio e tutto il resto, Hilda, che vantava un sesto senso infallibile, avrebbe potuto giurare che Hyoga si era recato ad Ásgarðr solo per incontrare sua sorella. Si sentì avvampare per la gelosia e l’invidia, perché era la prima volta che un uomo su cui aveva posato gli occhi preferiva Freija a lei. Avrebbe accettato passivamente la palese superiorità della sorella o avrebbe cercato di competere con lei? Rise di gusto, tamburellando le dita sulla copertina di pelle di uno dei libri che erano sul tavolo. Era conscia di poter recitare, senza difficoltà alcuna, un incantesimo tanto potente da attirarlo magneticamente verso di lei, una piccola magia che avrebbe fatto impallidire e sbiadire agli occhi di lui la bellezza della sorella.

Non sono mai ricorsa a simili meschinità per realizzare i miei desideri, di qualunque cosa si trattasse e di certo non lo farò con Hyoga.

La sua espressione tesa si addolcì quando pensò all’eventualità che l’amore di Hyoga fosse ricambiato. Ripensò con una punta d’amarezza a quegli ultimi anni, durante i quali lei era stata troppo impegnata negli affari per preoccuparsi di badare alla sorella e alle sue esigenze. Regnare su Ásgarðr, dopo la morte della madre, era stato un compito difficile che aveva assorbito tutte le sue energie e che, dovette ammettere a se stessa, l’aveva resa acida e insopportabile. Fortunatamente c’era stato Freyr ad accudire la piccola Freija, troppo fragile e sensibile per sapersi difendere da sola dalle insidie di un mondo duro e per certi versi incivile come era allora Ásgarðr.

In più d’una occasione Hilda aveva pensato all’eventualità di allontanare Freija da Ásgarðr, perché vivesse in quello che lì chiamavano il Mondo Nuovo, dove avrebbe potuto studiare musica e condurre un’esistenza tranquilla. La Grande Sacerdotessa chiuse gli occhi e sorrise, e le parve per un attimo di sentire una melodia che giungeva da lontano, triste e meravigliosa.

Gli dèi avevano donato a sua sorella uno straordinario talento per la musica, accompagnato da una splendida voce, ma alle volte l’uomo era costretto a sacrificare i suoi sogni per prendere il suo posto nel ciclo degli eventi umani, che erano spesso inspiegabili ma anch’essi parte integrante e inscindibile dei disegni divini. Freija aveva rinunciato al suo sogno, inspiegabilmente.

Chiuse gli occhi e, in una sorta di trance, ripercorse eventi passati cui non pensava da troppo tempo. Rivide sua madre, Skaði, una donna forte, di grande carisma, fiera ed orgogliosa, e suo padre, Njörðr.

Si diceva che egli appartenesse all’antica stirpe degli dèi Vani, numi tutelari della fertilità e della fecondità che vivevano un tempo in Vanaheimr, uno dei nove regni. I suoi antenati erano andati a vivere in Ásgarðr agli inizi dei tempi, quando gli Asi avevano concluso il trattato di pace con i Vani, loro nemici. Njörðr divenne, tra gli Asar, una figura di primo piano assai rispettata, al punto che a lui toccò la successione al trono dopo la morte del vecchio re Odi, trapassato senza lasciare eredi.

Una volta diventato re, per compiacere gli dèi, egli aveva preso in moglie la bella Skaði, figlia di Þjazi, re di Þrymheimr. Il loro matrimonio però non fu dei più felici in quanto essi avevano caratteri e gusti completamente opposti. Skaði era abituata a sentire intorno a se il gelido abbraccio delle montagne innevate, a cacciare con il suo arco, a scivolare veloce come il vento con gli sci sulle pendici impervie di altissimi monti. La ‹‹signora delle nevi››, come erano soliti chiamarla i suoi sudditi, avrebbe voluto trascorrere ogni attimo della sua esistenza tra le montagne di Ásgarðr che tanto somigliavano a quelle della sua terra natale. Con Njörðr ebbe vita difficile. Egli era al contrario il "signore delle navi" e aveva scelto come dimora Nóatún, una cittadella affacciata sulle rive del Grande Mare, nel regno di Vanaheimr. Il re, sordo alle esigenze della sua regina, trascorreva la maggior parte del tempo in mare, per la felicità dei suoi uomini, che lo veneravano come un dio, e costringeva l’infelice Skaði a lunghi forzati soggiorni in quella città marittima.

Hilda ricordava il viso triste di sua madre, dalla carnagione perennemente pallida da sembrare una maschera di porcellana, in contrapposizione al volto del re, scuro e abbronzato, solcato da profonde rughe e rovinato dalla salsedine come quello dei vichinghi che navigavano con lui.

Per non recidere il sacro legame sancito dal matrimonio, Skaði aveva accettato di seguire il re a Nóatún, dove dimoravano per la maggior parte dell’anno, avendo imparato a conoscere ben presto il carattere capriccioso e imprevedibile di Njörðr. Fu lì che nacque Hilda, la primogenita, una benedizione per Skaði che poteva finalmente dare amore a chi lo meritava veramente.

Il re non aveva protestato alla nascita di una femmina ma era evidente che avrebbe desiderato un erede, nonostante si dimostrasse affettuoso con la piccola Hilda che gli somigliava moltissimo.

Hilda era sempre stata un passo avanti rispetto agli altri bambini che crescevano con lei, più matura della sua età, e sembrava comprendere l’infelicità della madre meglio di chiunque altro. Aveva cominciato a leggere, perché sua madre l’aveva seguita con impegno, e a parlare molto presto ed era strano vederla seduta sui libri piuttosto che a correre e giocare come i suoi coetanei.

Quando Skaði restò incinta per la seconda volta, ritornò ad Ásgarðr con la piccola Hilda. La regina insisteva nel dire che il suono della risacca e l’infrangersi delle onde sulla riva, insieme all’insistente stridio dei gabbiani e al penetrante e intenso odore della salsedine, l’avrebbero resa pazza. In realtà Hilda, che aveva allora appena otto anni, sapeva bene che sua madre non sopportava l’idea che il re giacesse con altre donne, come era solito fare. Fu allora che cominciò ad odiare suo padre per come faceva soffrire sua madre, per come la trascurava.

Nel dicembre dell’anno in cui Skaði e Hilda fecero ritorno ad Ásgarðr nacque la secondogenita, Freija. Hilda cullava e coccolava la sorellina come se fosse sua figlia e nel vedere che sua madre si stava riprendendo in quell’ambiente familiare, s’illuse che avrebbero potuto vivere felici anche senza colui che non chiamava padre ma semplicemente re.

Freija cresceva ed era bellissima. Aveva i capelli talmente biondi da sembrare bianchi, i grandi occhi verdi. Con la sua pelle candida era il ritratto di Skaði, al contrario di Hilda che aveva invece la carnagione più scura e i capelli corvini come quelli del padre.

Njörðr tornò ad Ásgarðr per vedere sua figlia quando Freija aveva già passato da parecchi mesi il suo primo anno di vita. Hilda lo aveva trovato invecchiato, nonostante avesse appena compiuto quarant’anni, e la sua presenza le fu quasi indifferente. In quegli anni aveva cominciato ad interessarsi di magia e stava compiendo i primi studi sotto l’attenta guida del saggio Kvasir. Non aveva altro desiderio che quello di sapere, eppure si rattristò quando vide tutto l’amore che Njörðr manifestava verso la piccola Freija. Stranamente, il re rimase ad Ásgarðr per molto tempo, compiendo solo di rado qualche viaggio a Nóatún, forse per ritornare in mare o forse per altro.

Fu durante uno di quei viaggi che giunse ad Ásgarðr un messaggero che riferiva che il re aveva combattuto una cruenta battaglia, conclusasi con una spettacolare vittoria, ma che ne era uscito gravemente ferito. Skaði sarebbe voluta partire per raggiungerlo ma fu informata che il re stava già viaggiando alla volta di Ásgarðr, dove sarebbe rimasto il tempo necessario per riprendersi. Le condizioni di Njörðr erano gravi e ben presto fu chiaro a tutti che il re, forse per dimostrare a Skaði che a modo suo l’aveva amata, era tornato ad Ásgarðr solo per rivedere la famiglia e per ricevere degna sepoltura.

Freija aveva solo sei anni, ma soffrì terribilmente per la morte di Njörðr, cosa che non successe né alla regina né tanto meno a Hilda.

Il giorno in cui tumularono il grande re, Skaði non poté fare a meno di notare, tra tutti gli uomini che erano giunti al seguito del re, un giovanotto, alto e magro, con la carnagione chiara e i capelli biondo cenere, sul cui volto si riconosceva però quello del defunto, che si chiamava Freyr. La regina accolse il figlio illegittimo di Njörðr come fosse suo, a patto però che il ragazzo rinunciasse ad avanzare pretese sull’eredità del trono che spettava di diritto alla primogenita, Hilda.

Hilda sospirò, rattristata da quei lontani ricordi. In un primo momento era stata orgogliosa di diventare regina, poi, sebbene fosse terribilmente affascinata dal potere, sarebbe voluta tornare indietro e scegliere d’essere semplicemente una sacerdotessa votata al Culto di Odino.

Freija cresceva in tutto e per tutto uguale a loro madre, in bellezza, generosità e correttezza, mentre Hilda sapeva di aver ereditato il carattere irascibile e imprevedibile del padre.

La regina Skaði, che aveva sofferto per tutta la vita ed era sopravvissuta al marito, spossata dalle sofferenze, si spense quando Hilda aveva appena compiuto vent’anni. Le sue ultime parole furono una preghiera perché i suoi tre figli, perché tale considerava anche Freyr, non dovessero mai dividersi né lottare a causa del potere, che rendeva schiavi e succubi anche i più forti e che creava nemici mortali anche tra coloro che portavano lo stesso sangue nelle vene.

Appoggiò i gomiti sul tavolo e nascose il volto nelle mani. Erano passati tanti anni ma ancora sentiva la mancanza di una figura forte come quella di Skaði. Il dolore per la perdita della madre era stato così intenso che aveva passato giorni e notti terribili, piangendo e vegetando. Alla fine, conscia dell’inevitabilità della morte, Hilda aveva ricominciato a vivere, spinta dalla consapevolezza di dovere regnare sugli Asar come aveva fatto sua madre prima di lei. Ma quando, giorno dopo giorno, la sua fluente chioma nera cambiò di colore fino a diventare completamente grigia, si rese pienamente conto dell’immenso vuoto interiore causato da quella perdita. Fu allora che Hilda decise che non avrebbe mai voluto avere dei figli, perché non dovessero soffrire come aveva fatto lei per la morte di sua madre.

Adesso che aveva trent’anni, Hilda era ancora convinta di non voler diventare madre ma, non di rado, ripensava con dolcezza a quando stringeva tra le braccia sua sorella, così piccola e fragile, e alla gioia che provava quando Freija le sorrideva.

Hilda amava sua sorella e non avrebbe mai voluto ferirla. Si era comportata male, era vero, e l’aveva trascurata ma avrebbe trovato il modo di rimediare alle sue mancanze. Pian piano si costrinse ad abbandonare i ricordi per concentrare tutta la sua attenzione al presente, in particolare all’imminente Consiglio e ai problemi che prevedeva avrebbe causato a tutti loro.

Hyoga…

Avrebbe ricevuto un duro colpo venendo a sapere che la sua amata, perché era chiaro che ne fosse innamorato, era impegnata con un altro uomo. Niente era ancora deciso e Freija avrebbe potuto in ogni momento scartare l’altro pretendente.

Mi sto illudendo, sorrise amaramente. Freija è tanto ingenua da non vedere come Leif la stia usando per assicurarsi potere e ricchezza! Maledetto arrivista! Se soltanto mi volesse ascoltare, avrebbe da tempo aperto gli occhi.

Il solo pensiero che, in quello stesso momento, mentre lei si arrovellava il cervello in mille congetture, probabilmente Freija stava per svelare quella tragica verità a Hyoga le fece venire i brividi. Avvertì effettivamente un cambiamento nell’aria, come un alito di vento invisibile e gelido. Si diresse meccanicamente alla porta e uscì nel corridoio. Quando, poco dopo, vide arrivare Hyoga, capì che egli aveva già saputo.

Note:

  1. Skyr: Latte scagliato, di cui i vichinghi erano ghiotti.
  2. Se un giovane sedeva più di una volta accanto ad una ragazza, era come se le avesse fatto una promessa di matrimonio.
  3. Scusa, ( prosti ).
  4. Ma sì, ( agá ).