CAPITOLO VI

Il primo cavaliere

I

 l principe Freyr venne a conoscenza della novità la mattina seguente il giorno dell’arrivo dello straniero, mentre era seduto in panciolle a chiacchierare con Helgi, capitano dell’hirð.

La sera prima, dopo una colossale bevuta, il principe non era rientrato a palazzo ed era rimasto a dormire con gli altri uomini ubriachi, consolandosi, per la mancanza del suo letto caldo, con la dolce compagnia di una delle ragazze che lavoravano nelle cucine.

‹‹Quanto straniero?›› aveva chiesto alterato dopo la rivelazione.

‹‹Come faccio a saperlo?›› aveva risposto Helgi. ‹‹Non l’ho mica visto! Völundr me ne ha parlato!››.

Il principe e il capitano si erano incontrati, come ogni mattina, alla Casa della Guardia, un piccolo edificio costruito di fianco al palazzo, in una vasta area riservata alle botteghe, agli alloggi dei soldati e alle scuderie. Nella Casa della Guardia si trovavano i depositi delle armi e un ampio salone, che funzionava da refettorio e da luogo di ritrovo serale d’elezione degli uomini, per chiacchierare e bere, per svagarsi con i giochi da tavolo o con la lotta.

Lì vicino si trovavano tutta una serie di officine, costruite a ridosso della cinta muraria interna, in cui gli artigiani lavoravano incessantemente per far fronte alle pressanti esigenze dei soldati, e dei Signori. C’era l’officina di Ved il falegname e la bottega di Skinn, il conciatore di pelli. Poco oltre c’era il laboratorio di Völundr il Fabbro, identificabile da una gran distanza per il fracasso prodotto dal martello sull’incudine e dalla lunga fila di uomini che sostavano in attesa di essere serviti.

In quella fredda mattinata di metà ottobre, Magni detto il Rosso, Capitano dell’Hirð, seguito dal fedele Thorgall, s’era recato dal fabbro per far controllare uno dei suoi preziosi guanti metallici e aveva incontrato Hadingus, un altro capitano. Mentre il suo allievo, il giovane e vigoroso Järn, rifaceva il filo alla spada di Hadingus, Völundr il Fabbro, impegnato a riparare il guanto di Magni, ascoltò con interesse la conversazione tra i due campioni.

Poiché era molto in amicizia con Helgi, Völundr non perse occasione di informarsi ulteriormente e, quando lo vide passare, lo chiamò per scambiare con lui due parole. Helgi però dimostrò di essere meno informato del fabbro, che avendo a che fare con decine di soldati e parlando con ognuno di loro, era sempre al corrente di tutte le novità.

‹‹Non so niente, Völundr›› gli aveva risposto Helgi, che non aveva dato nemmeno troppo peso all’accaduto, essendo un uomo riservato e poco interessato ai pettegolezzi.

‹‹Völundr ha ascoltato bene, ma non è riuscito a capire quale fosse il nome dell’utlänning, Hadingus e Magni parlavano in fretta››.

‹‹Völundr è abituato ad origliare, mi pare strano che gli sia sfuggito un particolare così importante!›› notò Freyr.

‹‹Ha detto solo che era un nome strano››.

Freyr si stuzzicò i corti fili di barba che gli spuntavano dal mento, poi batté la mano aperta sul tavolo, sporgendosi in avanti verso Helgi.

‹‹Avresti dovuto informarti, per me!›› disse Freyr. ‹‹Perché nessuno sa niente?››.

Helgi alzò le spalle. ‹‹È arrivato ieri sera, e alloggia a palazzo, non ti basta per ora? Prima di sera saprai chi è!››.

La curiosità di Freyr fu subito soddisfatta, perché in quel momento entrò Magni. Il Rosso li salutò con un cenno della testa e passò oltre seguito da Thorgall.

‹‹Ehilà Magni, ho una domanda da farti››. Magni grugnì qualcosa all’orecchio di Thorgall che corse via, poi si avvicinò al principe, imbronciato come suo solito.

‹‹Sai per caso chi è l’uomo che è arrivato ieri sera? Ho sentito dire che l’hai visto e che è stato ospitato a palazzo›› chiese Freyr distrattamente.

Magni sollevò il mento e storse la bocca. ‹‹Sì. Sta a palazzo perché così ha voluto Hilda. Ed è uno dei Sacri Guerrieri del Santuario››. Li salutò con un cenno veloce della testa e uscì dalla stanza senza aggiungere altro, rincorso da Thorgall.

‹‹Abbiamo risolto il mistero›› sorrise Helgi. ‹‹S’è fatto un gran parlare di questi guerrieri che sono ansioso di conoscerne uno››.

‹‹Non rimarrai deluso, Helgi›› puntualizzò Freyr. ‹‹Sono uomini valorosi, degni d’essere chiamati guerrieri! Chissà chi è arrivato…››.

Helgi si fece riflessivo e si grattò la testa. ‹‹Sono stati qui, l’ultima volta, prima che Hilda formasse la nuova hirð, quindi prima che noi arrivassimo ad Ásgarðr. Magni non dovrebbe conoscerlo, questo guerriero, eppure mi sembra che non sia entusiasta della visita››.

‹‹In effetti, Magni non lo conosce direttamente ma…è di mentalità chiusa. Magni è uno di quelli che hanno bisogno di tempo per accettare certe situazioni….››.

‹‹Che strane cose dici, stamattina. Proprio non ti seguo››.

‹‹È una storia lunga da spiegare, Helgi, ma te la racconterò, quando verrà il momento››.

Hyoga si svegliò quando il sole era già alto, riposato e affamato. Si vestì in un lampo e notò che le sue scarpe erano state accuratamente pulite. Alzò le spalle. Ricordava di non aver chiuso a chiave la porta ma non aveva sentito nessuno entrare. Quando uscì dalla sua stanza trovò un ragazzo ad aspettarlo.

‹‹Il mio nome è Ank e ho il compito di servirti, hersir. (1) La Grande Sacerdotessa mi ha ordinato di consegnarti questi vestiti e mi ha detto di pregarti di indossarli››.

Senza obiettare, Hyoga si cambiò d’abito. I calzoni gli erano larghi di vita e un po’ corti di gamba, ma risolse il problema infilandoli sotto gli stivali che Hilda gli aveva procurato, e stringendoli con una cintura. Non poté indossare la casacca, perché era piccola e stretta, e recuperò il maglione che gli sembrò meno appariscente e più simile a quelli indossati dagli abitanti d’Ásgarðr. Ank aspettò pazientemente fuori della stanza, poi si fece seguire.

‹‹La sacerdotessa ti aspetta nel laboratorio›› disse Ank che trottava veloce davanti a Hyoga.

Mentre scendevano le scale, incrociarono una delle ragazze che la sera prima aveva servito la cena nella stanza di Hilda. Lei lo guardò insistentemente, occhieggiando da sotto la frangia, e Hyoga la salutò con un semplice sorriso.

‹‹Mio padre dice che sei molto forte, hersir, e anche valoroso››.

‹‹Tuo padre mi conosce?››.

‹‹Certo›› annuì Ank. ‹‹Alcuni hanno detto che tu e i tuoi compagni eravate venuti per conquistare la cittadella, ma mio padre mi ha sgridato quando gliel’ho riferito. Lui dice che avete salvato la Sacerdotessa e Ásgarðr, invece!››.

Mi conosce davvero, allora!, scherzò Hyoga che si sentiva in forma splendida.

Il ragazzo camminava saltellando davanti a lui, e pur essendo ancora piccolo, portava con orgoglio la stessa casacca rossa che indossavano le guardie della cittadella.

‹‹Ank…Chi è tuo padre?››.

Il piccolo soldato si fermò di colpo per fronteggiare Hyoga, e inspirò profondamente gonfiando il petto. ‹‹Mio padre è Heimdallr, il Custode d’Ásgarðr! È un guerriero valoroso, mio padre!››.

Hyoga si limitò a sorridere. In effetti, nel ragazzo si riconoscevano i lineamenti del padre.

Avrei voluto anch’io parlare di mio padre mostrando tanta ammirazione…

Ank riprese a saltellare e Hyoga, incrociando le mani dietro la schiena, continuò a seguirlo vagando con lo sguardo per i familiari ambienti del sontuoso palazzo.

Era tornato ad Ásgarðr dopo tanti anni ed erano evidenti i grandi cambiamenti avvenuti. C’erano molte cose che non sapeva, ma era sicuro che Hilda avrebbe risposto a tutte le sue domande, quando avesse avuto il coraggio di porgergliene una.

Lo studio di Hilda era, a tutti gli effetti, un laboratorio da erborista, una stanza lunga e stretta con due piccole finestre che s’affacciavano sul cortile interno, dietro il palazzo. L’arredamento era essenziale, con due tavoli, una libreria stipata di volumi, tre grandi armadi pieni di decine di vasi e tante mensole che riempivano gli spazi vuoti delle pareti. Era una stanza vissuta, piena d’oggetti curiosi e interessanti. Il grande camino era spento, con residui di cenere, qualche pezzo di legno bruciacchiato e un capiente paiolo di rame annerito dal fuoco posato su un vecchio treppiede.

Un tavolo, fatto di assi grossolane e sistemato davanti al camino, era occupato in gran parte da pestelli e piccoli mortai, sulla sua superficie erano sparsi fiori e foglie secche di diverso colore, residui della preparazione di tisane e infusi, che saturavano l’aria di un misto di fragranze. L’altro, tra la porta d’ingresso e la finestra sulla parete opposta che lo illuminava, era il tavolo da lavoro della sacerdotessa. Ingombrato da libri e pergamene runiche, era più corto e stretto ma fatto di legno migliore, con gambe finemente intagliate.

‹‹Buongiorno, Hyoga››.

La suadente voce di Hilda tranquillizzò Hyoga che entrò nello studio rispondendole con un radioso sorriso.

‹‹Buongiorno››.

Assieme a Hilda c’era una ragazza sui vent’anni appollaiata su uno sgabello, impegnata nella lettura di un vecchio libro. Alzò la testa e lo fissò per un lungo momento, chiudendo il libro. Mentre la sacerdotessa assegnava al piccolo Ank alcune commissioni, Hyoga osservò la ragazza che s’alzava in punta di piedi per riuscire a raggiungere l’ultimo scaffale di uno degli armadi. Stava per muoversi ad aiutarla, perché, data la sua altezza, per lui sarebbe stato facile allungare una mano e prendere qualunque cosa lei desiderasse, quando Ank, uscendo di corsa dalla stanza, gli passò davanti.

‹‹Eccoci pronti!›› esclamò Hilda attirando la sua attenzione. ‹‹Ti trovo riposato, bene. Immagino che avrai fame a quest’ora! Ho mandato il piccolo Ank a prenderti la colazione! Tornerà subito, vedrai!››.

‹‹Non sono abituato ad essere servito e la cosa mi imbarazza…›› obiettò Hyoga impacciato.

‹‹Eppure ti dovrai abituare››. La ragazza aveva abbandonato la sua ricerca, anche se non sembrava soddisfatta, e adesso cercava di far entrare il vecchio libro in una borsa di cuoio rovinata dal tempo. Hyoga intravide, all’interno della borsa, sacchetti di stoffa, garze ed altri strani oggetti metallici che identificarono la giovane donna come un medico. ‹‹Hilda non permette ai suoi ospiti di muovere nemmeno un dito: la sua generosità non ha pari››. Fissò gli occhi in quelli di Hyoga, e lo guardò con insistenza, fino a farlo arrossire. Alla fine, s’impegnò a chiudere la borsa e si presentò sorridendo.

‹‹Il mio nome è Eir››.

‹‹Eir la Guaritrice›› puntualizzò Hilda.

‹‹Io sono Hyoga, ma suppongo che lo sappiate già…››.

Eir si limitò ad annuire con un lungo cenno d’approvazione e strizzò l’occhio a Hilda.

‹‹Ora scappo, Hilda. La povera Gellia è alla fine della gravidanza ma continua a vomitare e non trattiene nulla di ciò che mangia. Temo che il bambino soffrirà, sempre che riesca a nascere con la madre in quelle condizioni! A proposito! Mi dovrai concedere un pomeriggio, perché stiamo finendo certe erbe e dobbiamo procurarcele››.

‹‹Naturale›› annuì Hilda. ‹‹Passa anche dal vecchio Ianes, per favore. Sua moglie dice che fa sangue con le urine e mi ha chiesto di far loro visita››.

‹‹Sì, l’ho saputo, ma hai fatto bene a ricordarmelo. Scappo!››.

Eir si avvolse in una cappa scura e uscì velocemente dalla stanza mettendosi la borsa a tracolla. Hyoga la seguì con lo sguardo, e Hilda parlò come se volesse rispondere alla palese curiosità del russo.

‹‹Ha solo ventitré anni ma la sua bravura è sorprendente: il suo è certamente un dono degli dèi, anche se studia molto per migliorarsi››.

Cominciò a liberare il suo tavolo dai libri e li sistemò con cura, ognuno al proprio posto, in una libreria che sembrava sul punto di scoppiare tanto era piena.

‹‹Hilda, anche tu sei un medico?›› chiese Hyoga.

‹‹Oh, no!›› sorrise Hilda agitando una mano. ‹‹Conosco le erbe e so guarire alcune affezioni ma non opero, se è quello che intendi. Eir lo fa, invece. Riesce a togliere i denti e a riparare le fratture di modo che gli arti, nella quasi totalità dei casi, tornano come prima. E lo fa con mezzi rudimentali, al passo con i tempi che corrono qui!›› aggiunse con una faccia tanto allucinata da far intuire la verità di quelle parole.

‹‹Una cosa rara, immagino›› indovinò Hyoga.

‹‹Eccezionale!›› precisò Hilda. ‹‹Quando ancora viveva Ingalf, che era medico nella cittadella e famoso in tutta Ásgarðr, Eir andava da lui tutti i giorni per imparare e fare pratica. Da me ha imparato l’uso delle piante officinali, Ingalf le ha insegnato la medicina: ma come sia riuscita ad apprendere, in un tempo così breve, entrambe le discipline e a padroneggiarle, resta un mistero di cui solo gli dèi conoscono la soluzione!››.

‹‹Davvero eccezionale››.

‹‹Siediti pure là, e metti per terra tutta quella roba››. Hilda indicò un scranno occupato da alcune carte ingiallite, di fronte al suo tavolo. ‹‹In questo caos totale, certe volte non mi raccapezzo!››.

S’affrettò da una parte all’altra della stanza, e quando fu soddisfatta si accomodò sulla sua sedia con un sospiro, lanciando un’occhiata curiosa a Hyoga, seduto con le carte in braccio.

Lui sorrise, innocente, posando le carte sul tavolo libero, vicino all’unico oggetto rimasto al suo posto, un candelabro di ferro battuto con tre candele mezzo consumate che avevano fatto colare la loro cera fin quasi alla massiccia base d’appoggio.

‹‹Mi sembravano vecchie e di valore. Non volevo metterle per terra…›› spiegò. Hilda sorrise.

‹‹Immagino che la maglia fosse piccola…››.

‹‹…sì, e i calzoni sono un po’ corti. Ma ho rimediato…›› concluse Hyoga indicando gli stivali.

‹‹Nonostante tutto, stanno meglio a te i calzoni di Hadingus… ma preferisco lui senza›› borbottò. Poi a voce alta aggiunse: ‹‹Farò chiamare Ordulf, il sarto, e rimedieremo!››.

Prima che potessero cominciare a parlare, venne la solita ragazza e portò la colazione di Hyoga.

‹‹Grazie Gna, appoggia tutto qui sopra›› suggerì Hilda indicando il suo tavolo.

Gna aveva il viso squadrato, e occhi piccoli sopra i quali pendeva una lunga frangia che le copriva le sopracciglia. Sorrise quando incrociò lo sguardo di Hyoga e stavolta arrossì debolmente, l’unica nota di colore sul suo pallidissimo viso, oltre al blu acceso degli occhi e al colore castano dei liscissimi capelli. Hilda l’aveva scelta come sua serva, thír, (2) perché era zelante ma riservata, a differenza delle ragazze che si occupavano di sua sorella che erano servizievoli ma terribilmente pettegole. Gna s’inchinò e lasciò velocemente la stanza.

Hilda continuò a sfogliare un libro, impegnata, e lo chiuse solo quando Hyoga vuotò la tazza di latte caldo e s’appoggiò allo schienale della sedia, sazio. Allora cominciò a passeggiare per la stanza.

‹‹Sono cambiate molte cose dall’ultima volta che siete stati ad Ásgarðr. Sarebbe lungo narrare ciò che accadde dopo la caduta di Dolvar, ma è necessario che tu sappia ciò che abbiamo scoperto dopo quel tragico epilogo››.

Hilda raccontò una storia in cui Hyoga aveva avuto una triste parte da protagonista, pur ignorandone gli incredibili retroscena.

‹‹Sette anni fa, schiava dell’anello del Nibelungo, scatenai una guerra fratricida che portò alla morte dei valorosi Guerrieri Divini, uomini che avevano giurato di proteggere Ásgarðr e di servire me, la Grande Sacerdotessa di Odino. La loro fedeltà fu cieca ed essi combatterono, seguendo i miei folli ordini, nonostante il vostro valore e la vostra determinazione avessero insinuato il dubbio nei loro animi. Quando la lasciaste, Ásgarðr era in ginocchio, governata da un sovrano che non aveva più la stima del suo popolo e senza guerrieri che la difendessero.

‹‹Devi sapere che, tra tutti i regni, il trono d’Ásgarðr è quello più ambito, per il quale si sono sempre combattute violente guerre. Ásgarðr è il centro del mondo, la dimora degli dèi, il luogo dove vissero gli dèi Asi e che da loro fu donato agli uomini, diretti discendenti di quella stirpe divina. Chi governa su Ásgarðr regge le sorti del mondo perché è investito del potere del Padre di Tutti, del Signore Supremo, Odino››.

Hyoga la interruppe subito. ‹‹Cosa significa esattamente "tra tutti i regni"?››.

‹‹Significa che Ásgarðr è uno dei tanti regni che compongono Goðheimr e, come ti ho detto, tra tutti il più ambito››.

‹‹A? Goðheimr?›› balbettò Hyoga confuso. ‹‹Temo che dovrai raccontarmi ben più di un riassunto, Hilda. In questo momento non so nemmeno di cosa tu stia parlando!››.

‹‹Saori non ti ha mai parlato di Goðheimr, il Paese degli Dèi?›› chiese Hilda sorpresa.

‹‹Veramente, no››.

‹‹Spiegarti tutto, per prepararti al meglio, sarà un lavoraccio!››.

‹‹L’unica cosa che so, ›› confessò Hyoga, ‹‹è di dover partecipare ad un consiglio, tra due giorni, ma credevo che Saori avesse chiarito la mia posizione in quella lettera!››.

‹‹Saori mi scrive che tu parteciperai come rappresentante del Santuario, di comportarsi quindi con te come se fosse presente lei. Ma questo non era necessario puntualizzarlo›› disse Hilda. ‹‹Ti sei scelto un incarico difficile Hyoga, lo sai questo?››.

‹‹A dir tutta la verità, la mia presenza qui al posto di Saori, è dovuta unicamente ad una serie di fortunate coincidenze…A questo punto, temo di non sentirmi affatto pronto››.

Hilda sospirò, un po’ disperata, mentre nella sua mente si chiarivano le enigmatiche premesse della lettera di Saori, parole che fino allora avevano vagato nella sua mente senza un preciso significato.

Saori, era questo che intendevi dicendo "Hyoga ha bisogno d’essere informato su alcuni avvenimenti, ma imparerà in fretta"?

Hyoga continuava a guardarla, aspettando una parola.

‹‹Sì, nella lettera Saori mi dice molte cose interessanti che ora mi sono anche troppo chiare. Bene, tralasciando il fatto che Saori sarebbe potuta venirmi in aiuto spiegandoti lei certe faccende, cosa che dovrò fare io adesso e non so proprio dove troveremo il tempo per farlo, dicevo, tralasciando questo piccolo particolare, ti chiedo di rimandare i chiarimenti su Goðheimr e sui regni che lo compongono a dopo, e di ascoltare invece ciò che ho da dirti, perché ti riguarda da vicino. Puoi aspettare e ascoltarmi?››.

‹‹Certamente, non volevo essere scortese›› si scusò Hyoga.

‹‹È un tuo diritto esigere delle spiegazioni, non ti devi scusare. Come ti dicevo, dopo aver trascurato i miei doveri di sacerdote del culto di Odino, dopo aver scatenato una guerra immotivata, dopo aver condannato a morte i miei fedeli guerrieri, dopo tutto questo non potevo più permettermi di governare, non prima d’aver pagato per i miei errori. La soluzione migliore allora mi sembrò quella di allontanarmi per un po’ di tempo, non per codardia ma per cercare aiuto. Prima di andarmene però, decisi di lasciare la reggenza d’Ásgarðr nelle mani di Dolvar, che credevo un amico fidato. Ad ogni modo, Freija sarebbe restata ad Ásgarðr, e io sono partita senza preoccupazioni, avendo saputo che entro breve tempo anche mio fratello Freyr, che fino allora era vissuto lontano, nel Vanaheimr, sarebbe tornato ad occuparsi di nostra sorella e del regno. Quello di affidare il trono a Dolvar fu un altro errore imperdonabile!››.

‹‹Non fu colpa tua se Dolvar si rivoltò contro chi l’aveva investito dei suoi poteri!›› disse Hyoga cercando di risollevare il morale della sacerdotessa che sembrava scomparire sotto il peso di quei terrificanti ricordi.

‹‹Forse non fu totalmente colpa mia, ma avrei potuto essere più accorta nella scelta. Dolvar era un sacerdote del culto di Odino, proprio come me, e avrebbe potuto svolgere un buon lavoro durante la mia assenza, ma era assetato di potere. Per nostra fortuna, il suo piano di conquista aveva un punto debole. Loki si fingeva fedele ma sperava solo nella morte di Dolvar per impossessarsi lui stesso del potere, proprio come aveva fatto Alberich, (3) uno dei miei fidati guerrieri››.

‹‹Lo ricordo bene Alberich!›› sibilò Hyoga con un filo di voce.

‹‹Dolvar credeva d’essersi circondato di fedeli compagni, ma ignorava che quelle persone, meschine e prive d’ogni scrupolo, prima o dopo, si sarebbero rivoltate contro di lui. Ciò che in apparenza sembrò una sua iniziativa privata, era in realtà il frutto di un macchinoso complotto ordito da Loki ai danni dei signori d’Ásgarðr. L’uomo che soccorresti, quello che t’informò del pericolo che gravava su Ásgarðr, aveva certamente scoperto che Dolvar cospirava alle nostre spalle, e stava cercando aiuto dall’unica persona in grado di portarlo. Col senno di poi, riesco ad immaginare la perfidia di Loki e posso affermare, con tutta probabilità, che lui e i suoi compagni lo lasciarono arrivare fin da te proprio nella speranza che ti convincesse a partire per Ásgarðr. Quel soldato servì da esca, per attirare in trappola l’unica persona che avrebbe potuto ostacolare il progetto di conquista di Loki, che sapeva bene che uno dei Sacri Guerrieri non avrebbe mai negato il suo aiuto. Intanto ad Ásgarðr ti attendeva una trappola preparata con cura da tempo.

‹‹Fu così che ti catturarono, con l’inganno, puntando sulla sicurezza che ti saresti precipitato in nostro aiuto senza esitare. Ti catturarono e ti plagiarono al loro volere, perché per Loki e i suoi era una garanzia sapere di averti dalla loro parte piuttosto che al fianco dei Sacri Guerrieri d’Atena, contro cui avrebbero dovuto combattere››. La sacerdotessa esaminò Hyoga con un lungo sguardo e tacque, scorgendo sul suo viso preoccupato un’ombra di tristezza.

Hyoga ricordò il giorno in cui, due anni prima, aveva soccorso nelle desolate lande siberiane un uomo braccato da spietati sicari. Lo riconobbe come proveniente da Ásgarðr dall’abbigliamento, quella caratteristica casacca di colore rosso, simile a quella dei suoi inseguitori. Il soldato era ferito gravemente, e in quelle condizioni Hyoga non poté nulla per salvarlo. Tuttavia, prima di spirare, il soldato riuscì a metterlo in guardia rivelandogli che, ad Ásgarðr, il nuovo Sacerdote del Culto di Odino stava progettando la conquista del mondo, cercando di spezzare il sigillo che separava Ásgarðr dal mondo reale e mirando alle soleggiate terre protette dalla dea Atena. Hyoga era partito immediatamente, preoccupato per le sorti del regno nordico e, soprattutto, per Freija.

Al suo arrivo fu ricevuto con tutti gli onori e ammesso alla presenza di Dolvar, che si presentò come Sacerdote del Culto di Odino e reggente del trono per Hilda. Hyoga chiese immediatamente di poter incontrare la principessa Freija, desideroso di discutere con lei dell’infamante accusa mossa dal moribondo soldato nei confronti del nuovo sacerdote, prima di accusarlo ingiustamente di tradimento. Già prevenuto nei confronti dell’inquietante reggente, Hyoga si trovò a dover fronteggiare, per via di quella richiesta pericolosa, l’ira di Dolvar.

Ricordava solo d’essere stato aggredito senza aver incontrato Freija, e d’essere caduto sotto i colpi di uomini che non aveva mai visto. Ciò che gli raccontarono, in seguito, fu per lui una triste rivelazione.

Prima di partire, Hyoga aveva provveduto ad informare Saori, e lei, preoccupata per la sua misteriosa sparizione dopo quell’evento, partì alla volta di Ásgarðr con i suoi Sacri Guerrieri, sicura di trovarlo lì. Al loro arrivo, furono accolti ottimamente dal perfido Dolvar, che negò ripetutamente d’aver visto mai Hyoga in Ásgarðr, appoggiato dal fedele Loki. Freija offrì loro ospitalità, ma sia lei sia Freyr si mostrarono stupiti e preoccupati dalle parole di Saori, assicurandole che, per quanto li riguardava, non avevano visto né ricevuto notizie di Hyoga da moltissimo tempo. Seiya e i Sacri Guerrieri, assolutamente convinti che Hyoga si trovasse ad Ásgarðr, si prodigarono in lunghe ricerche, e Freija impegnò molti soldati. Alla fine uno di loro riportò, come unico indizio, l’elmo incrinato dell’armatura di Cygnus, trovato poco distante dalla cittadella. Nel frattempo, Saori, convocata da Dolvar, si avviò fiduciosa di ricevere buone nuove, ignara del pericolo cui andava incontro, mentre i suoi Sacri Guerrieri, incapaci di arrendersi, continuavano la disperata ricerca setacciando la cittadella e i boschi e le colline circostanti.

Dolvar, messo alle strette dall’insistente incredulità di Saori, si accanì contro di lei, imprigionandola sullo scafo della nave che era la base della gigantesca statua di Odino, come una bellissima e preziosa polena che servisse da monito contro chiunque osasse ribellarsi a colui che era latore del potere degli dèi. Freija fu confinata nelle sue stanze, di modo che non potesse interferire. L’unico che cercò di imporsi fu Freyr. Rivelò a Dolvar i suoi crescenti dubbi sull’ambigua natura di Loki, che col suo comportamento sospetto avrebbe potuto essere una minaccia per tutti loro. Dolvar, ignorando la perfidia di Loki, preoccupandosi solo di non essere smascherato lui stesso come impostore, fece rinchiudere il principe Freyr nelle segrete del palazzo. Certo di aver eliminato un grosso ostacolo e d’essersi avvicinato d’un passo alla meta, inviò i suoi fedeli Guerrieri Divini, Loki, Uru, Lung e Midgard, ad eliminare i Sacri Guerrieri di Atena.

Fu così che Shiryu si trovò di fronte il misterioso Midgard che rivelò la sua vera identità senza rinunciare alla lotta. Hyoga, plagiato dalla magia di Dolvar e vestito d’una splendida armatura nordica, combatté per il suo nuovo signore con tutte le energie, determinato più che mai a sconfiggere Shiryu per affermare la superiorità dei Guerrieri Divini di Odino. Il Sacro Guerriero di Dragone dovette impegnarsi nella lotta, e difendersi strenuamente per non cadere sotto i colpi micidiali di suo fratello. Hyoga riuscì a vincere lo scontro, il battito delle ali del Cigno congelò il fiero Dragone cinese, ma il poderoso pugno di Shiryu lo investì con tanta forza da liberarlo dall’incantesimo di Dolvar.

In pieno possesso delle sue facoltà, ricordando finalmente qual era il suo posto, Hyoga, a fianco degli altri Sacri Guerrieri, contribuì alla sconfitta di Dolvar e al salvataggio di Saori, aiutato nel difficile compito dall’eroico intervento di Freyr, evaso dalle anguste segrete.

Ripensò al momento in cui aveva incrociato lo sguardo di Freija, la sua dolcezza. Freija non aveva più parole per scusarsi dell’incresciosa vicenda, per chiedere a Hyoga e a tutti gli altri di trattenersi ad Ásgarðr per riposarsi e curarsi.

‹‹Restate, vi prego››. La voce tremolante di Freija gli era rimasta impressa nella mente, come quelle parole supplichevoli, accentate da uno sguardo disperato rivolto solo a lui.

Come ho potuto lasciarla sola, per tutto questo tempo?

Sospirò e scosse la testa, vergognandosi della facilità con cui l’avevano raggirato, maledicendosi per la sua insostenibile peritanza.

‹‹Loki ha gettato un’esca e quando ho abboccato, mi hanno mosso come un burattino. Ho quasi ucciso uno dei miei fratelli! Ancora fatico a credere che si possa arrivare a macchinazioni tanto cervellotiche!›› disse con un filo di rabbia nella voce, quasi volesse incolpare Loki e i suoi compagni anche per l’occasione persa con la principessa. Poi sorrise. ‹‹La mia ingenuità certe volte è disarmante››.

‹‹Io ti ammiro per il solo fatto d’aver deciso di venire in nostro aiuto, da solo! Sei stato coraggioso, Hyoga, più dei guerrieri che erano allora in Ásgarðr che non hanno mosso un passo per contrastare i cospiratori!›› ribatté Hilda con decisione. ‹‹I soldati di Ásgarðr erano terrorizzati dalla magia di Dolvar, nessuno osava contrastarlo per non incorrere nella sua ira. Solo Heimdallr e Freyr cercarono di opporsi, il Custode promuovendo una sorta di rivolta con i pochi arditi che vollero seguirlo, Freyr affrontando direttamente il maledetto traditore! Fu un tentativo ammirevole, anche se fallimentare. Heimdallr e i suoi soldati non riuscirono nemmeno ad arrivare a palazzo, perché Loki li intercettò e li rinchiuse tutti nelle segrete, dove non avrebbero potuto più nuocere. Freyr, godendo di una maggiore libertà, riuscì a confrontarsi con Dolvar, ma non poté più che avanzare i suoi dubbi. Il vostro intervento, tuo, di Saori e degli altri Sacri Guerrieri, ha impedito per la seconda volta la nostra rovina. I Signori d’Ásgarðr questo non l’hanno dimenticato!››.

‹‹La stima che hai di me mi rende orgoglioso, eppure ancora non dimentico d’aver tolto la vita a tanti uomini che combattevano per Ásgarðr. Il sangue che ho versato non si cancella con le parole››.

‹‹Ricorda anche che i guerrieri di Dolvar non si curavano del regno, combattevano solo per il loro tornaconto. Più di tutto, avevano a cuore il potere e la ricchezza!››. La sacerdotessa emise un lungo sospiro amareggiato. ‹‹Certe volte la vittoria si ottiene a caro prezzo, Hyoga››.

Lui annuì gravemente. ‹‹In tutti questi anni, questa è l’unica triste verità che ho potuto imparare. È difficile andare avanti, quando hai visto morire le persone a te più care… e quando sai di essere l’assassino delle persone care agli altri››.

La vita che aveva vissuto fino allora non era stata facile. Era stata irta di difficoltà, di ostacoli da superare e amarezze da ingoiare, stringere i denti e tirare avanti per svegliarsi in un nuovo giorno, sotto lo stesso cielo, con gli stessi problemi e le stesse sofferenze dei giorni passati. Hilda sembrò leggergli nel pensiero e provò una gran tenerezza per lui, conscia di essere stata la causa di una parte delle sue sciagure.

‹‹Alla fine, dopo tutto quello che è successo, siamo riusciti lo stesso a risolvere se non tutti, almeno una parte dei nostri infiniti problemi!›› esclamò nel tentativo di risollevarlo. Infatti, Hyoga fece un sorriso tirato ma sincero.

‹‹Prima o poi, le cose cambieranno›› rispose.

‹‹Ad Ásgarðr le cose sono molto cambiate!›› cominciò a dire Hilda cogliendo al volo l’occasione per cambiare discorso. ‹‹Abbiamo istituito un nuovo esercito e nuovi campioni si sono riuniti qui per proteggere il regno nel momento del pericolo. Purtroppo, ›› aggiunse amareggiata, ‹‹nessuno dei miei valorosi capitani ha il potere dei Guerrieri Divini che combatterono la Guerra dell’Anello, ma hanno forza e orgoglio››.

‹‹Un uomo meschino e debole di spirito non ha alcun vantaggio in battaglia se si affida solo ai suoi poteri›› la assicurò Hyoga. ‹‹Anche per questo Alberich, Loki e Dolvar hanno perso, perché un pugno non è abbastanza forte se non è guidato da sentimenti sinceri. Comunque, preghiamo di non incappare in futuro in altra gente della stessa risma››.

‹‹Non passa giorno in cui non lo faccia, credi, ma ho il presentimento che un nuovo assalto al trono non tarderà a minare la nostra tranquillità››.

‹‹…››.

‹‹Posso intuire la tua perplessità e non voglio allarmarti senza motivo. Il grosso problema, ancora irrisolto, si riassume in poche parole. Ho riguadagnato la stima del mio popolo con fatica e impegno, e interminabili odissee politiche che hanno fruttato una nuova e fitta catena di alleanze, ma assieme ai risultati positivi mi sono arrivate anche cattive notizie. Tra le file dei soldati, sono emerse alcune spie che anche dopo la morte di Loki raccoglievano ogni genere d’informazione per i suoi fratelli che sono ancora liberi: due uomini che si nascondono chissà dove, uomini che per noi non hanno volto né nome. Hanno cospirato con Loki, aiutandolo ad organizzare l’insediamento di Dolvar, e forse la tua cattura, e con tutta probabilità, stanno ancora tramando contro Ásgarðr››.

‹‹Mi stai dicendo delle cose orribili!››.

‹‹Che sono verità purtroppo!›› sospirò Hilda, appoggiandosi allo schienale della sedia.

‹‹Cosa pensi di fare per trovare queste persone?›› chiese Hyoga sporgendosi sul tavolo.

Hilda rise. ‹‹Assolutamente niente, sarebbe fatica sprecata. Goðheimr è troppo vasto per impegnarsi, anche solo col pensiero, in una ricerca che si basa solo su ipotesi. Io so che questi due uomini esistono, certe volte sento la loro presenza vicino a me, ma non posso in alcun modo muovermi per identificarli. Non sono così potente, nemmeno con l’aiuto del Padre di Tutti!››.

‹‹Vorrei poterti aiutare in qualche modo…›› propose Hyoga. Hilda rifiutò gentilmente.

‹‹Non voglio che ti sacrifichi ancora per causa mia, hai già sofferto troppo. Come hai detto, preghiamo che non ci sia bisogno di combattere ancora. Per ora cerchiamo di non pensare a queste tristezze. Abbiamo tante cose di cui parlare e poco tempo per farlo!››.

In quello stesso momento, la porta del laboratorio si spalancò sbattendo contro il muro.

Hilda gridò per lo spavento e in una frazione di secondo Hyoga era in piedi davanti alla sacerdotessa con i pugni stretti e pronto a reagire. Fissò l’uomo in piedi sulla soglia e si rilassò, abbassando le mani sui fianchi.

‹‹Ah, sei tu!›› esclamò Freyr entrando baldanzoso. ‹‹Sei solo o c’è anche Saori?›› s’informò pieno di speranza.

‹‹Sono solo, spiacente›› lo deluse Hyoga.

Intanto, Hilda si riebbe dallo spavento e scattò in piedi allucinata.

‹‹Come ti permetti di entrare senza bussare?››. Freyr tentennò, poi si scusò mille volte per la maleducazione.

‹‹Mi dispiace, non ci ho pensato››.

‹‹Tu pensi troppo poco, Freyr!›› continuò Hilda inferocita.

‹‹…credevo fossi sola…›› tentò di dire Freyr.

‹‹C’è differenza?›› gridò lei. ‹‹Qui non siamo alla Casa della Guardia, non puoi comportarti come un villano, sai quanto ci tengo alle buone maniere!››.

‹‹Chiedo scusa, ma ero terribilmente curioso di sapere chi era…››.

‹‹Non m’importa!›› sbottò Hilda sedendosi di nuovo e prendendosi la testa fra le mani. ‹‹M’è scoppiato un terribile mal di testa per colpa tua!›› sibilò.

‹‹Un po’ è stata la paura, un po’ perché strilli e ti agiti!›› sorrise Freyr porgendo la destra a Hyoga. ‹‹È un piacere rivederti, Hyoga! È passato tanto di quel tempo che pensavo ti fossi dimenticato di noi!››.

‹‹Non potrei mai›› assicurò Hyoga ricambiando la stretta. ‹‹Ma…ho avuto molto da fare…in questi due anni…››.

‹‹Donne, vero? Come ti capisco! Allora la tua lunga assenza è giustificata!››.

‹‹Sta zitto e siediti!›› ordinò Hilda. Freyr obbedì prendendo uno sgabello.

Hilda, ritrovando in un attimo la calma, spiegò a Freyr il motivo della presenza di Hyoga e non mancò di sottolineare, con parole scelte e garbate, che il loro gradito ospite aveva bisogno di ragguagli prima del giorno del Consiglio. Secondo il pensiero di Hilda, quello era un modo gentile per far capire a Freyr che non potevano sprecare il poco tempo a loro disposizione in chiacchiere e giochi perché avevano ancora moltissime cose di cui discutere.

‹‹Ho capito!›› disse Freyr. ‹‹Vorrà dire che ti darò una mano, sorella››.

‹‹Non hai capito niente…›› si lamentò Hilda ma Freyr la zittì all’istante.

‹‹Ah, povero Hyoga! È appena arrivato e già lo assilli con la tua politica!››.

‹‹Vuoi annoiarlo con i tuoi sproloqui sui brocchi che monti e sulle donne che vanno e vengono dalla Casa della Guardia!›› ribatté Hilda pungente.

‹‹Non parlare grosso con me!›› cominciò Freyr, poi si stupì. ‹‹Come fai a sapere che ci vengono delle donne?››.

‹‹Pensi che non abbia gli occhi per vedere, o le orecchie per sentire?››.

Freyr si schiarì la voce. ‹‹Questo non conta, ora. Hyoga ha bisogno di una giornata di riposo! È arrivato ieri dopo un lungo viaggio, lo annoierai!››.

‹‹Potrei darti ragione, stavolta, ma ti voglio ricordare che non puoi permetterti con lui la stessa confidenza che dai ai tuoi uomini!›› suggerì la sacerdotessa.

Freyr rifletté un attimo, poi annuì.

‹‹Giusto! Scusa, Hyoga, non sono avvezzo alle buone maniere, e certe volte mi comporto come un orso. Ma tu mi perdonerai se lo faccio, vero?››.

‹‹Non temere, Freyr. Non siamo tanto diversi, alla fine›› rispose Hyoga con un sorriso.

‹‹Cosa sento! Una differenza abissale, mio caro. A proposito di questo, ti consiglio di non parlare troppo difficile con mio fratello, non capirebbe››.

‹‹Certe volte ho come l’impressione che tu ti prenda gioco di me, Hilda›› indovinò Freyr.

‹‹Come ti vengono certe buone idee!›› lo punzecchiò lei.

‹‹Eredità di famiglia››.

‹‹Posso sapere dove stiamo andando?›› domandò d’un tratto Hyoga che aveva seguito Hilda che stava spingendo Freyr fuori della stanza, nel corridoio.

‹‹Io non vado da nessuna parte›› gli sorrise la sacerdotessa. ‹‹Freyr tornerà alle sue occupazioni, sempre che ne abbia, e tu sei libero di decidere se restare rintanato qui dentro ad ascoltare le mie noiose chiacchiere, o se seguire lui e dare un’occhiata in giro››.

Hyoga esitò, anche se la scelta gli pareva semplice. Certamente avrebbe preferito seguire Freyr, ma non voleva assolutamente offendere Hilda che era stata tanto gentile, e si era prodigata per farlo sentire a suo agio. Infine, fu Hilda che lo aiutò a decidere.

‹‹Vai con Freyr, senza problemi. Sono talmente abituata a pensare a me stessa che dimentico che gli altri non vivono di politica come me. Avremo modo di parlare più tardi, o anche domani. Divertitevi!››.

La cittadella si estendeva su una vastissima superficie, suddivisa in due grandi settori da una cinta muraria interna. Nella parte bassa, si trovavano le abitazioni degli uomini e donne che lavoravano all’interno della cittadella, una sorta di piccolo villaggio formato da case basse e lunghe, di legno o sasso, con strade lastricate di grandi pietre, attraversato per tutta la sua lunghezza da un’ampia via che dalle porte della cittadella, passando per la grande piazza, saliva fino alla cinta muraria interna, del tutto simile alle fortificazioni che circondavano l’intera cittadella.

La zona artigianale sorgeva entro la cinta muraria interna, ai lati della via che giungeva dritta allo spiazzo antistante il palazzo, e comprendeva le botteghe, le stalle, le scuderie, i magazzini, e l’ampio agglomerato che era il quartiere dell’esercito. La sua sistemazione era stata accuratamente progettata di modo che, nel caso estremo in cui la cittadella fosse invasa, i soldati avrebbero potuto combattere e rifornirsi di armi e viveri anche restando barricati entro la seconda cinta.

Per raggiungere il palazzo, residenza dei signori d’Ásgarðr, era necessario dunque attraversare tutta la cittadella, e superare ancora un’ultima protezione, mura non molto alte ma sorvegliate giorno e notte dai soldati della guardia scelta, l’hirð. Il palazzo era costruito sull’estremità della rupe più lontana dall’entrata, alto due piani, più le cantine che fungevano da dispensa, e costituito di tre parti, sistemate a formare una "E". Il corpo principale, più grande, comprendeva l’ingresso principale con ampia scalinata sul piazzale ciottolato. Al pianterreno, la zona giorno, oltre alle sale utilizzate per le feste conviviali, c’erano alcune stanze riservate agli svaghi dei signori, come quella dei giochi, o la biblioteca. Dai due corridoi, che percorrevano l’intera lunghezza dell’edificio, si accedeva al cortile interno, perimetrato da un porticato che sosteneva la sporgenza del primo piano. Al centro, circondato nella bella stagione da un tappeto d’erbe verde, c’era un pozzo, fonte d’acqua freschissima. Poi, sul fondo del palazzo, c’era la Válaskjálf, l’Aula dei Prescelti.

Salendo al primo piano, s’incontrava la solita organizzazione di corridoi che conducevano ad una spaziosa saletta da pranzo, con ampio terrazzo affacciato sul giardino sul retro del palazzo, e alle camere da letto.

Le altre due ali del palazzo erano strette, ed erano naturalmente collegate col corpo dell’edificio. L’ala destra era occupata dall’hirð, la guardia del corpo dei signori d’Ásgarðr. Nella parte inferiore c’erano le stanze dei soldati scelti, sopra gli alloggi dei capitani. L’ala sinistra invece era riservata alla servitù, ai thraells e alle thírs, i servi che lavoravano e servivano a palazzo. Al primo piano si affollavano le loro camere, piccole ma confortevoli. Al pianterreno c’erano le cucine, e l’accesso alle cantine.

‹‹Per gli uomini, l’inverno è in gran parte un periodo d’ozio. Gli agricoltori se ne stanno rintanati in casa e riparano i loro attrezzi. Qui, nella cittadella, i soldati si addestrano a tirare frecce, ad andare a cavallo e a brandire le spade: in questo modo conservano abilità e prontezza per le battaglie!›› spiegò Freyr guidando Hyoga in una visita alla parte alta della cittadella.

‹‹Qui però c’è un gran viavai di gente che lavora!›› obiettò Hyoga guardandosi attorno.

‹‹Quest’anno ha nevicato molto presto, e passerà un inverno più rigido del previsto, lo dice anche Hilda. In questo periodo si accumulano scorte di viveri, legna e si riparano le strutture danneggiate perché non cedano col peso della neve. I soldati ozierebbero tutto il giorno, se non fossero impegnati in questi lavori, invece devono tenersi in movimento!››.

Gli edifici della zona artigianale erano costruiti seguendo lo stesso ordine a griglia della città bassa, con viuzze lastricate che separavano le file di fabbricati, tutti simili tra loro.

Nella segheria, i taglialegna, con velocità e precisione, segavano lunghi tronchi d’albero in piccoli pezzi dopo averli sistemati su massicci cavalletti e accuratamente ripuliti dai rami. Una squadra d’una decina d’uomini s’occupava poi del trasporto della legna tagliata, caricata su un capiente carretto e accatastata in un magazzino poco distante. Rami e rametti, ammucchiati tutti nello stesso punto, forse sarebbero stati seccati e usati come esca per il fuoco.

Freyr indicò un piccolo gruppo di persone che portavano due lunghe lettighe cariche di carcasse d’animali, e un paio di sacchi dal fondo gocciolante.

‹‹Ogni tre giorni, squadre di cacciatori escono per procurare selvaggina. I soldati si divertono a cacciare e passano il tempo anche addestrando i cani a quello scopo. L’uomo con l’arco più lungo, quello magro come un chiodo coi baffi, è Hund il Segugio. È il migliore cacciatore di tutto il regno, se punta un animale sta sicuro che, prima o poi, lo trafigge col suo arco! Porta appesa al collo una collana di zanne di cinghiale, sono i suoi trofei. Poi, uno con un nome così non poteva fare altro che il cacciatore!››.

Cane…Che razza di nome da dare ad un bambino!, pensò Hyoga.

Hund vociava con i soldati che avevano cacciato con lui, e mostrava orgoglioso agli uomini che si erano radunati intorno alla squadra di cacciatori, lo splendido palco di corna del cervo appena ucciso. Dopo aver festeggiato con grida la proficua battuta di caccia, i soldati risollevarono le lettighe s’avviarono da Slakta il macellaio. Lui scuoiava le carcasse, le puliva e le tagliava a pezzi. Passando davanti alla bottega del macellaio, Hyoga intravide mezzene appese alle travi con ganci metallici e udì rumori di mani che affilavano coltelli.

‹‹Quando si viaggia, la carne si mangia arrostita, o semplicemente scaldata sotto la camicia e mangiata cruda›› spiegò Freyr. ‹‹Slakta prepara delle scorte di carne affumicata, per prudenza. Lui e i suoi aiutanti fanno salsicce con carne, sangue e lardo, e stagionano il cibo con l’aglio e la mostarda. Slakta conserva anche il pesce in un’apposita dispensa››. Il pesce era un elemento importante nella dieta dei vichinghi, consumato crudo in gran quantità, oppure essiccato, in salamoia, affumicato o salato.

Poco distante, Freyr mostrò l’officina del conciatore di pelli, Skinn. Nella sua bottega lavoravano anche molte donne, che cucivano, durante l’inverno, abiti imbottiti e foderati di pelliccia, tessevano calzoni e casacche di lana, preparavano cinture, stivali e oggetti in cuoio di vario genere, inclusi i finimenti delle bestie. La lana per gli abiti era fornita dalla tosatura delle pecore. Veniva cardata e filata, utilizzata grezza per gli indumenti più semplici oppure lavorata fino a farla diventare più sottile e lineare nel caso fosse riservata ai vestiti della sacerdotessa o della principessa. C’era la possibilità di tingere i tessuti, nella tintoria, situata naturalmente a fianco della lavanderia, e tra tutte le tonalità di cui era possibile disporre, ad Ásgarðr si era creata nel tempo una particolare tonalità di rosso, la cui ricetta era rimasta un segreto tramandato da madre in figlia. Era la tinta caratteristica dei soldati della cittadella, si sarebbe potuta chiamare rosso d’Ásgarðr, che colorava i corpetti imbottiti invernali e le casacche estive. Ad Ásgarðr era tutto rosso.

Le casacche, i mattoni delle abitazioni, le guance delle ragazze…

‹‹Seguimi, Hyoga, per di qua›› esortò Freyr.

Quando s’avvicinarono alla parte più bassa della zona artigianale, le narici di Hyoga cominciarono a captare un caratteristico e pungente odore. Lì erano state collocate le stalle, a ridosso della cinta muraria interna e lontano dal palazzo. Erano lunghi capannoni in cui trovavano posto vacche e pecore, in numero sufficiente da coprire i fabbisogni dei signori d’Ásgarðr e di tutte le persone che lavoravano alla cittadella. Si allevavano anche maiali, stipati in un rumoroso e puzzolente porcile, e poi capre e pollame. Lì vicino, un piccolo caseificio raccoglieva latte vaccino, o di capra, e produceva formaggi di vario tipo, stagionati o molli, un prodotto essenziale al sostentamento.

Tornarono sulla strada principale e risalirono fino ai quartieri dell’esercito, una vasta area affollata di uomini in divisa impegnati in molteplici attività.

Molti soldati aspettavano di essere serviti, accalcati davanti alla bottega di Völundr il Fabbro, dalla quale proveniva il sordo rumore del martello sull’incudine. Dalla baracca vicino a quella del fabbro, uscì di fretta un uomo con una folta barba riccia, vestito di una casacca arancione. Dietro lui passarono alcuni uomini con delle assi sottobraccio seguiti da tre ragazzini che portavano pesanti borse piene di attrezzi.

‹‹Quello è Ved il Falegname. Sta facendo gli straordinari!›› spiegò Freyr indicando il falegname che s’affrettava, e sbraitava contro i suoi aiutanti perché si sbrigassero a seguirlo col materiale.

‹‹Freyr! Freyr!››. Helgi li raggiunse di corsa, fumando per il freddo come una canna fumaria. ‹‹Vieni un po’, per favore! Quella bestiaccia che hai comprato dal mercante di cavalli sta facendo impazzire Hadingus! Credo che l’ammazzerà prima di permettergli di salire ancora!››.

Si precipitarono verso le scuderie, con Helgi che illustrava la situazione, e Freyr che ascoltava, commentava e trovava anche il tempo per sputare per terra.

Le scuderie erano state costruite dietro la Casa della Guardia, due lunghe costruzioni separate da un corridoio coperto da una tettoia di legno coperta di catrame, con stalletti su entrambi i lati. Poco lontano, salendo una piccola rampa sterrata, un’altra serie di box ospitavano i cavalli dei signori d’Ásgarðr e dei capitani dell’hirð, una decina in tutto.

Il terreno non era lastricato, e la terra, semplicemente battuta, s’era tramutata in fango per via della neve. Attraversarono il primo complesso, passando sotto la tettoia, e molti cavalli sporsero la testa dalle aperture nelle porte, incuriositi. Salirono fino alla seconda struttura, impiastricciandosi gli stivali di fango, e arrivarono al campo di addestramento. La presenza del principe riportò ordine tra gli stallieri che stavano cominciando a mettersi le mani addosso, per decidere con i pugni quello che non riuscivano con le parole. Freyr si diresse senza esitare verso un uomo che si teneva una pezza sulla fronte sanguinante, attorniato dai soldati in apprensione.

‹‹Lasciatemi respirare! Ho battuto la testa ma ce l’ho dura!›› sbraitò il capitano liberandosi dal cerchio di uomini e andando incontro a Freyr.

Hadingus non era molto alto, naturalmente rispetto agli uomini che lo circondavano, intorno al metro e ottanta, con braccia muscolose e spalle larghe, e gambe sottili e arcuate.

‹‹Che diavolo di cavallo è questo che hai comprato? S’è impennato dritto come un palo e ha rischiato di rovesciarsi pur di farmi scendere! Per poco non mi ammazza!››.

‹‹L’hai montato, no? È già un passo avanti! Io non sono nemmeno riuscito a mettergli la sella!›› esclamò Freyr con un tono soddisfatto e dispiaciuto.

‹‹Passo avanti un accidente! Ci abbiamo messo due ore con Jòn a farlo stare fermo perché potessi salire, e un attimo dopo mi sono ritrovato per terra con un taglio in fronte!››

Dentro il recinto intanto uno stallone dal mantello nero e lucido sgroppava e rampava come un indemoniato per cercare di sfuggire agli stallieri che cercavano di prenderlo per le redini. Più gli uomini gli si avvicinavano, più l’animale nitriva e scalciava. Alla fine li costrinse a mettersi in salvo saltando oltre lo steccato per non essere travolti.

‹‹Che mi venga un colpo, ha il fuoco nelle vene!›› gridò Freyr.

‹‹Se è la prima volta che gli mettete la sella, dovreste lasciargli il tempo di abituarsi a quel peso, prima di provare a montarlo›› azzardò a dire Hyoga.

‹‹Hai ragione, ma avevamo fretta››.

Freyr approvò, ma Hadingus rispose con una smorfia.

‹‹Ah sì? E chi lo dice?›› intervenne sovrastando con tono insofferente la voce di Freyr.

‹‹Questo è Hyoga, Hadingus. È un nostro ospite, ed è un amico›› disse Freyr facendo la voce grossa.

Hadingus sorrise, osservando con curiosità l’utlänning di cui gli aveva parlato Magni. ‹‹Sì, Freyr›› disse scusandosi, e salutò Hyoga senza voglia.

‹‹L’utlänning ha ragione›› intervenne un uomo grattandosi il mento appuntito. ‹‹Lo stallone si deve abituare alla sella!››.

‹‹Vido ha ragione›› convenne un ragazzo. Indossava il corpetto trapuntato rosso tipico dei soldati, contrariamente agli stallieri che erano vestiti con larghi calzoni di tessuto grossolano e una tunica di lana grossa.

‹‹Brinir!›› lo rimproverò Hadingus. ‹‹Questo non è il tuo posto! Torna alle mura!››. Brinir corse via come un lampo.

‹‹Lascia stare il ragazzo, Hadingus!›› disse Vido. ‹‹Lo stallone t’avrebbe schiacciato se non ti avesse trascinato fuori del recinto!››.

‹‹State buoni, sempre a litigare!›› intervenne Hermóðr, capitano dell’hirð.

‹‹Dov’è Jòn?›› chiese infine Freyr.

‹‹È andato a prendere una corda nuova. Lo stallone ha tirato tanto che la vecchia s’è spezzata›› disse Vido.

‹‹Allora, cosa vogliamo fare?›› chiese Hadingus, rivolgendosi a Freyr e lanciando un’occhiata torva a Hyoga.

Freyr si lisciò il mento. ‹‹Lo lasciamo qua fuori a stancarsi… ››.

‹‹Non vuoi provare a montarlo?›› esclamò Hadingus incredulo.

‹‹Non adesso, torniamo dopo›› rispose Freyr, chiedendo consiglio anche a Hyoga. ‹‹Tu cosa faresti?››.

Helgi e Hermóðr si sporsero curiosi, Hadingus sbuffò, incrociando le mani sul petto. Lo stalliere aspettò che Hyoga parlasse grattandosi un orecchio con il mignolo. Hyoga, sentendo su di sé gli occhi dei tre capitani e di Vido, si sentì a disagio.

‹‹Я ? (4) ›› s’informò Hyoga premendosi una mano sul petto.

‹‹Sì, tu cosa faresti? Mi sembra che te ne intendi…›› insistette Freyr.

‹‹Lo lascerei fuori, perché si abitui al peso della sella›› mormorò con un filo di voce.

Hermóðr si guardò attorno per osservare la reazione degli altri, non era un esperto di cavalli ed era lì solo perché aveva accompagnato Helgi. Helgi e Vido annuirono vigorosamente, e Freyr alzò le braccia.

‹‹Allora è deciso! Lo lasciamo dov’è. Torniamo più tardi, quando si sarà stancato››.

Hadingus non poté far altro che accettare. ‹‹Va bene›› disse senza troppa convinzione. ‹‹Allora vado da Eir a farmi ricucire la testa!››.

‹‹Vengo anch’io!›› s’affrettò a dire Hermóðr.

‹‹Perché? Non stai mica male?›› grugnì Hadingus seccato.

‹‹Ti accompagno, potresti avere bisogno›› ribatté Hermóðr.

‹‹Non ho bisogno della balia! Vai a fare qualcos’altro!››.

‹‹Neanche per sogno! Ti conosco bene. Stai cercando di approfittare della situazione per rimanere solo con lei!››.

‹‹Se fosse?››.

‹‹Non lo posso permettere!››.

Hadingus salutò frettolosamente e corse verso il palazzo con Hermóðr alle calcagna, e li sentirono litigare anche quando non furono più in vista. Intanto era tornato Jòn, e Freyr lo istruì sul da farsi.

Hyoga, appoggiato allo steccato, rimase ad aspettare che il principe finisse di parlare col vecchio capo degli stallieri, scambiando qualche breve commento col mastodontico Helgi, un omone alto più di due metri, silenzioso e riflessivo.

Dopo la visita alle scuderie, Freyr disse che doveva svolgere una commissione di vitale importanza, e insistette talmente che Hyoga si lasciò convincere ad accompagnarlo ad Asabigð, il Villaggio degli Asi, distante un’ora di cammino scarsa dalla cittadella, raggiungibile in breve tempo a cavallo dirigendosi a nord lungo il sentiero ciottolato che partiva dalla grande pianura Iðavöllr e che s’immetteva nella Norðvegr, la Via a Nord che attraversava praticamente tutto il regno d’Ásgarðr, spingendosi molto più a sud e a nord, oltre i suoi confini.

Freyr spiegò che Asabigð si era sviluppata come centro di produzione e di scambio di manufatti, e altri prodotti, solo negli ultimi anni, riuscendo a concorrere con altri grandi centri come Birka, al Sud, Kaupang o Hedeby. (5)

Il villaggio occupava un’estesa superficie, era attraversato da strade sterrate, costruite secondo un sistema a griglia, ricoperte di tavole di legno perché non diventassero fangose a causa della pioggia o della neve, così come il fiume che attraversava l’agglomerato era protetto da tavole per impedire che straripasse.

La maggior parte delle case era fabbricata con graticci di canne e argilla, con rami di salice infilati dentro e fuori dei sostegni, e poi rese impermeabili con fango e argilla. Altri edifici erano costruiti col legno, con assi orizzontali fissate a pali o file di tavole conficcate nel terreno. Le abitazioni degli artigiani e dei mercanti erano riconoscibili perché erano più grandi delle altre e sistemate longitudinalmente rispetto alla strada. I tetti erano coperti di torba, e talvolta resi impermeabili col catrame.

‹‹D’estate gli agricoltori portano il bestiame ai pascoli montani e vivono con la famiglia e i servi in capanne, shieling, sulle colline. Quando arriva l’inverno, abbandonano le malghe e rientrano al baer, che poi è l’edificio principale della casa, quello lungo che sembra un tumulo››.

‹‹Servi?››.

‹‹Aha, quelli là, coi capelli corti e vestiti di bianco, gli stessi che lavorano al palazzo. I thraells, i servi, stanno al gradino più basso e a quello più alto ci sono gli jarls, che sono nobili, conti o anche comandanti militari molto ricchi. Nel mezzo ci sono i liberi, i bóndis, che possiedono delle terre, o sono artigiani o mercanti. Un uomo o una donna liberi possiedono un baer, una cascina e almeno trenta servi. Se un thraell ha grandi capacità lavorative può anche venire promosso a fattore di campagna o a custode della casa, però i servi sono proprietà del loro signore. Per legge, egli può anche batterli a morte, purché annunci pubblicamente ciò che ha fatto il giorno stesso››.

‹‹È terribile!›› si lamentò Hyoga smontando da cavallo.

Skirnir, il fedele servitore di Freyr, si prese cura dei cavalli mentre Hyoga e Freyr continuarono a passeggiare.

‹‹No, non è terribile. Anche Skirnir è un servo. Viene da una famiglia di servi, ha servito tutta la vita e non sa fare altro!››.

Ad Asabigð c’erano molti artigiani professionisti che producevano articoli di uso quotidiano, come i falegnami che facevano cucchiai o ciotole, letti e mobili di vario genere, partecipavano alla costruzione di barche e case, le cui superfici erano spesso decorate con incisioni accurate e complicate. Un falegname abile faceva tutto da sé, dall’abbattimento dell’albero alla lucidatura del prodotto finito.

C’erano intagliatori d’osso che modellavano i pattini da ghiaccio, le forcine per capelli, i ganci per i vestiti o i fusi usati per filare, mentre gli intagliatori di corno facevano pettini o pezzi per un gioco da tavolo simile agli scacchi detto hnefatafl. Gli intagliatori di steatite, invece, una pietra tenera, producevano recipienti da cottura e pietre per affilare coltelli e armi. Poi c’erano bottai, sarti, conciatori, specialisti in perle di vetro, fabbri che lavoravano il ferro, molto abbondante e di ottima qualità, e fonditori dalle grandi abilità.

Camminarono a lungo per le strade. Infine Freyr bussò alla porta di un baer ed entrarono.

L’ambiente era lungo una dozzina di metri, con due aperture sul fondo che conducevano ad un piccolo soggiorno destinato alle donne, e alla dispensa. Ai lati della sala c’erano banchi di terra che servivano da sedili di giorno, e diventavano letti di notte. Non c’erano finestre, ma sul frontone c’era una piccola apertura sulla quale veniva tesa la membrana che avvolge i vitelli alla nascita. La placenta, la skjall, era trasparente e lasciava passare luce sufficiente perché gli abitanti della casa si potessero riconoscere. In quel baer erano presenti anche alcuni candelabri di ferro, e ulteriore illuminazione era fornita dalla fiamma del focolare, un’ampia pietra ricoperta di creta.

Il lungo ambiente era sgombro di fumo, che usciva dall’apertura sul tetto proprio sopra al fuoco. In compenso, a dimostrazione del fatto che i vichinghi non davano troppa importanza alla pulizia, sul pavimento, soprattutto negli angoli, era ammucchiata parecchia sporcizia.

‹‹Chi c’è?›› chiese una voce profonda proveniente dalla dispensa.

‹‹Amici›› rispose Freyr.

‹‹Freyr, figlio d’un cane! Fatti sotto che ho appena scoperchiato una botte!››.

Attraversarono la sala, poi si lasciarono guidare dall’olfatto, seguendo una scia odorosa che li condusse ad una cantina piena di barili sistemati con cura.

‹‹Chi è il tuo amico? Non l’ho mai visto›› chiese subito Miskor, alzando la testa dalla botte aperta.

‹‹Non lo conosci perché viene da lontano. Si chiama Hyoga››.

‹‹Che razza di nome è Hyoga?›› borbottò l’uomo, riempiendo un corno dalla botte e annusandone il contenuto muovendo i baffi a destra e a sinistra.

‹‹Ah, non ci fare caso›› mormorò Freyr in un orecchio a Hyoga. ‹‹Questo è Miskor, l’Ölsmiðr, il Fabbro della Birra›› annunciò poi a voce alta.

‹‹Lo puoi dire davvero!›› si vantò Miskor. ‹‹Questa è la stessa birra che bevevano gli Asi, una bevanda sacra!››. Porse il corno che teneva in mano a Freyr e ne riempì altri due, uno per Hyoga e uno per se stesso. ‹‹Bevi, ragazzo!›› incitò tracannato il biondo liquido.

Hyoga titubante imitò il birrario e Freyr, che avevano già vuotato il capiente corno.

‹‹Því er öld bazt, at aptr uf heimtir hverr sitt geð gumi !›› gridò Freyr. (6)

‹‹Naturale›› convenne Miskor. ‹‹Adesso dimmi cosa vuoi, vuotacorni!››.

‹‹Voglio skapkers per i soldati, sono rimasti a secco!››. Miskor si lisciò la barba e incrociò le braccia sul petto. (7)

‹‹Domani te li farò portare, i miei figli sono impegnati, oggi!››.

‹‹No, domani è tardi. Ti mando Skirnir con un carro, li porterà lui alla Casa della Guardia›› disse Freyr specificando il numero di skapkers e lasciando cadere nelle mani di Miskor un sacchetto tintinnante di monete.

‹‹Va bene›› sorrise l’Ölsmiðr, legando il sacchetto alla cintola, sotto alla prominente pancia. ‹‹Adesso beviamo un altro corno di questa bjórr ! Ne vale la pena!››. (8)

Hyoga tentò di rifiutare ma Freyr gli strappò il corno dalle mani e glielo riconsegnò pieno.

‹‹Bevi, ragazzo!›› incitò di nuovo Miskor.

Vuotarono ancora un corno di birra forte e prima di lasciare la bottega del birraio, Freyr si raccomandò ancora.

‹‹Entro stasera, Miskor, ricordati di preparare tutto per quando arriverà Skirnir! E non dimenticare che in quel sacchetto ci sono monete a sufficienza anche per un barile di quella birra che ci hai fatto assaggiare››.

‹‹Vedrò cosa posso fare, Freyr›› disse Miskor salutandoli.

Girovagarono per Asabigð e Freyr fece visita ad altri pittoreschi mercanti suoi amici, tra i quali Bedrag il Farmaðr, il Trafficante, che regalò al principe una splendida collana d’argento e pietre dure, in cambio di "certi favori" che non specificò di fronte a Hyoga.

Come deciso, tornarono alle scuderie nel pomeriggio. I tre capitani erano ancora lì, assieme a Jòn, Vido, e un terzo stalliere rosso di capelli. Helgi e gli stallieri, appoggiati mollemente al recinto, osservavano senza entusiasmo l’instancabile stallone che girava in tondo come un trottola. Hadingus stava sdraiato sul fieno, in panciolle, felice e con la fronte medicata, e lì vicino, Hermóðr, di cattivo umore, arrotava il suo coltello sulla cote.

Jòn raccontò che lo stallone aveva corso e sgroppato tutto il giorno, senza mai stancarsi, e sconsigliò vivamente al principe di provare a montarlo. Anche Vido disse la sua, suggerendo di aspettare ancora un po’ per tentare di domare il cavallo.

‹‹È troppo nervoso, può essere pericoloso›› aggiunse Karn, apprensivo e petulante.

‹‹Freyr, lascia perdere! Se ti rompi l’osso del collo la sacerdotessa ci farà impalare tutti!›› scherzò Hadingus, suscitando le risa dei presenti.

‹‹Bada a come parli!›› disse Helgi, sempre pronto a difendere la sua signora.

Freyr, noncurante, volle provare lo stesso a montare lo stallone che battezzò Hrìmfaxi, Gelida Criniera. Per quante volte provò a salire, tante volte fu disarcionato, ruzzolando nel pantano del campo fino a sporcarsi come un maiale.

‹‹Si stuferà di cascare prima di rompersi tutte le ossa?›› rise Hadingus.

‹‹Scommetto di no›› rispose Vido. ‹‹È testardo come un mulo!››.

Dopo due ore di tentativi falliti clamorosamente, quando l’unica luce a loro disposizione per vedere qualcosa erano le torce accese un po’ dappertutto e la luna, Freyr strisciò fuori dello steccato e andò a buttarsi tra la paglia.

‹‹Vorrà dire che riproverò domani!››.

‹‹Eh, per fortuna che te ne sei reso conto›› gridò Hadingus, alzandosi e spolverandosi.

Hyoga, senza parole, si accosciò di fianco all’amico.

‹‹Echmá, (9) Freyr! Hai la pelle dura. Sei tutto intero?››.

‹‹Mi fa male il culo, tante volte ci sono caduto sopra! Ma ci vuole ben altro per farmi desistere. Domani riuscirò a domare quel maledetto cavallo!››.

‹‹Ma sì, ›› disse Vido allontanandosi con Karn, ‹‹ci penserai domani››.

‹‹Vatti a ripulire, o Hilda non ti farà entrare a palazzo!›› scherzò Hermóðr.

Alla Casa della Guardia, Freyr si cambiò d’abito e si diede una ripulita dal fango, mentre Hyoga restò fuori a discutere delle stelle con Hermóðr.

‹‹Notevole…›› si complimentò Hermóðr. ‹‹Menti quando dici che non sai condurre una nave!›› disse poi.

‹‹Net, è la verità››.

‹‹Saresti un buon navigatore, utlänning. Ne ho conosciuti pochi che sapevano tante cose sulle stelle Hai un accento strano, però: vieni dal nord?››.

‹‹...più o meno…›› farfugliò Hyoga in difficoltà.

‹‹Anche i norvegesi parlano strano, ma non hai mica il loro accento tu…Vuoi dirmi da dove vieni, o no?››.

Hyoga si stropicciò una guancia, cercando di scegliere una buona risposta.

‹‹Vengo…dall’Est e dal Nord, da molto lontano insomma…Un posto quasi sconosciuto…››.

Hermóðr sporse le labbra e annuì. ‹‹Non lo metto in dubbio, io ho viaggiato pochissimo. Anzi, se escludi il viaggio che ho fatto per arrivare ad Ásgarðr…posso dire di non essermi quasi mai mosso››. Fece una pausa, poi ricominciò ad annuire. ‹‹Sì! Una volta, a Birka, ho visto i commercianti Rus ! (10) Parli proprio come loro…›› disse ancora Hermóðr.

‹‹Lascialo stare! Sono affari suoi se parla come un Rus! L’importante è che sia un amico!›› disse Freyr, uscendo dalla Casa della Guardia, pulito e cambiato.

‹‹Era un modo come un altro per conoscersi meglio, vero utlänning?››. Hermóðr era gioviale e spiritoso, anche se un po’ logorroico.

‹‹Si chiama Hyoga, Hermóðr! Chiamalo col suo nome, va bene?›› lo rimproverò Freyr.

Hermóðr si scusò con Hyoga e tornò dentro, unendosi agli altri soldati che facevano un gran baccano con grida e urla.

‹‹Chiudiamo in bellezza la giornata! Andiamo a bere e a mangiare›› propose Freyr.

‹‹Dove?››.

‹‹Nella città bassa c’è una specie di ostello. Ci vado spesso: si mangia e si beve bene, e si spende poco››.

 

Note:

  1. "Signore" in antico norreno (hersir)
  2. "Serva" (pl. thírs.)
  3. Uno dei Guerrieri del Nord, morto nella Guerra dell’Anello. Alberich sapeva che Hilda era prigioniera di un maleficio, ma aspettava la sua sconfitta o la sua morte per ottenere il regno.
  4. Io, ( ja ).
  5. Intorno all’anno Mille, c’erano pochi centri in Scandinavia che potessero vantare un numero di abitanti che arrivasse al migliaio. Tra questi, i più importanti erano Hedeby, in Danimarca, Birka in Svezia e Kaupang in Norvegia. Asabigð è una località inventata. Bigð (pl. bigðr, danese by) in antico norreno significa villaggio.
  6. La birra va assorbita e al contempo dominata, come raccomanda Odino, ‹‹poiché è eccellente la birra, purché dopo riacquisti ciascun uomo il suo senno!››. (‹‹Því er öld bazt, at aptr uf heimtir hverr sitt geð gumi!››)
  7. Barili di birra (skapkers)
  8. Birra forte (bjórr)
  9. Diamine, ( echmá ).
  10. Al principio del IX secolo, commercianti svedesi e danesi navigarono lungo il Dnepr fino al centro del territorio che adesso si chiama Russia. La popolazione locale chiamò questi viaggiatori Rus, dalla parola che in nordico antico significa itinerario, strada. I Vichinghi Rus conquistarono varie città, come Kiev, Novgorod e Smolensk, e ne fecero le basi per scorrerie e commerci. Alcuni storici russi negano oggi che siano stati i Rus a fondare la Russia, ma il fatto che gli Scandinavi vi si stabilirono è inconfutabile. È facile capire, dunque, perché l’accento di Hyoga si possa confondere con quello dei Rus.