Lo specchio delle rose
- Come Aphrodite è diventato cavaliere -
Era la cosa più bella che aveva mai visto in vita sua, perfetta in ogni dettaglio. Niente poteva essere più bello. Ogni minima piega della pelle, la conformazione dei capelli, il taglio degli occhi e la bellissima posizione della bocca, leggera e dolce nel suo muoversi, anche se non parlava. Nel sentire la voce era rapito. -Cosa! Impossibile!- Il fianco era rovinato da un livido. Aphrodite guardava inorridito il suo corpo rovinato dallo stupido metodo d’insegnamento del suo maestro. Il freddo che gli faceva patire lo costringeva ad idratare la sua pelle ogni giorno per non farla screpolare. Quello stolto doveva finirla di torturarlo. Con modi eleganti l’aspirante cavaliere si infilò la tunica. Movendosi velocemente raggiunse la stanza che aveva ottenuto a causa degli scherzi dei compagni. Domani sarebbe stato il giorno della rivelazione. Il suo potere sarebbe stato visto e approvato, lui e gli altri due allievi del suo maestro rimasti avrebbero dovuto dimostrare la loro capacità nel generare vita, il potere di chi è padrone dell’armatura dei Pesci.
Erano le sei del mattino e Aphrodite era pronto a dimostrare finalmente chi era. Il suo due compagni Hans e Gunter erano fuori dalla casa dove dormivano. Come sempre i due zotici indossavano delle vesti logore e sporche. Il loro corpo era già pieno di cicatrici e sembravano andarne fieri. Aphrodite indossava una lunga veste rossa, con dei pantaloni verdi, che si vedevano nell’apertura frontale dell’abito. I suoi capelli turchesi erano mossi e folti, come se fosse appena uscito dal parrucchiere. I suoi occhi azzurri e lucenti facevano trasparire il suo senso di superiorità. -Bene, bene. Come sei affascinate oggi Aphrodite-. Gunter ridacchiava mentre lo scrutava. -Si mia sorella è meno elegante di lui, peccato tu sia un uomo-. Presa l’imbeccata anche Hans cominciò a schernire il cavaliere il loro compagno. -Ma sei sicuro che lo sia Hans?- -Spero di si, altrimenti avrebbe qualche problema di attributi-. I due scoppiarono a ridere, piegandosi verso la neve fresca, che aveva coperto le scale della bellissima villa appartenente al loro maestro. Aphrodite passò tra i due senza dargli la minima soddisfazione. La lunga veste lasciava una scia lineare nella neve e cancellava le orme dei piedi del futuro cavaliere, rendendo puro e perfetto il suo passaggio. L’andatura eretta rendeva nobile ogni movenza e il sorriso che la sua bocca aveva mise a tacere i due spacconi. Il giovane e tredicenne allievo era riuscito finalmente a ignorare quei due ignoranti. I primi giorni, quando ancora erano in dodici, tutti lo prendevano in giro. Aphrodite ancora piccolo piangeva ogni volta. Le sue movenze e i suoi modi lievemente effeminati e la sua gracile, costituzione lo avevano reso lo zimbello del groppo. Ma quando iniziarono a capire il potere dell’energia cosmica il piccolo e gracile bambino aveva stupito anche il suo maestro. Ma eccolo che arrivava. Era quello che sarebbero diventati in futuro i suoi due compagni. Era un uomo alto, corpulento e con la pelle cotta dal poco sole che in Groenlandia arrivava. Aveva una canottiera gialla lacera. Indossava dei pantaloni che non avrebbe indossato per la vergogna un carbonaio nell’atto del lavoro ed era scalzo. Il suo primo insegnamento era stato quello di fondersi con l’ambiente e accettare il clima che questo ci dava. Il suo corpo era pieno di cicatrici e di lividi. I capelli corti e crespi avevano bisogno di una spazzolata da almeno dieci anni. Aphrodite lo odiava, ma sapeva che grazie a lui aveva imparato molto. Oggi avrebbe scelto il suo successore, colui che avrebbe indossato la sacra armatura di Piscis e lui non voleva perderla.
-Siete qui. Bene , la puntualità mi è sempre piaciuta.- Il maestro guardò in particolare Aphrodite. La sua voce era orribile e l’allievo non riusciva ad ascoltarla. Era rauca e secca, priva di spessore o immedesimazione. Il maestro, Fredrich, li condusse all’orto. Il punto in cui ognuno dei tre aveva generato la vita e dato prova del suo potere. Il primo giardino era quello di Hans. Appena entrati la luce venne a mancare. Una fitta cupola di rovi aveva oscurato quasi del tutto il sole e sotto erano cresciute delle erbe dalla natura oscura, che ogni bravo contadino avrebbe eliminato per non rovinare il raccolto. Proprio in quel momento un topo passò in mezzo alla radura di mostruosità e un ramo di rovi apparve da terra circondando l’animale, per poi stritolarlo. Il sangue della bestia colò dalla pianta e sotto di essa altre orribili piante crebbero. -Bene Hans, il tuo giardino è pieno di vita, ma poco efficiente. Senza il tuo cosmo non sopravvivrebbe senza sole, lo hai coperto, ma bene.- "Bene? Come bene, è orribile, questo non è un giardino, ma una fogna." Aphrodite era costernato, ma visto la reazione positiva del suo maestro a questo scempio era certo che vista la sua opera sarebbe rimasto entusiasta. Entrati nel guardino di Gunter il maestro sembrò estasiato. Miriadi di rovi crescevano ovunque arrampicandosi in luoghi nascosti e esterni. Al centro c’erano erbe curative, chiuse in erbacce terribili. Un uccellino si posò su una di quelle erbe e in men che non si dica la flora fagocitò la fauna. Aphrodite non poté credere alle sue orecchie. -Bravissimo Gunter. Mi ricorda molto il mio primo giardino, sei stato bravo, devi solo allenarti e sarai perfetto.-. Ora era il turno di Aphrodite, ma ormai aveva dei dubbi. Il suo giardino era di gran lunga il più bello, ma no era più sicuro che sarebbe stato gradito. Il suo maestro era più zotico di quanto pensasse. Aperte le porte che portavano al giardino il pretendente all’armatura dei Pesci si mise di lato, per non rovinare la bellezza della sua creazione, portandola a paragonarsi con la perfezione del suo corpo. Davanti ai quattro si aprì un vero e proprio giardino. Delle bellissime rose rosse rampicanti salivano per le mura, accompagnate dall’edera. A terra le rose di tutti i colori cingevano piccole zone di colori diversi a seconda dei fiori che le abitavano, ma il tutto con perfetti abbinamenti cromatici atti a sfumare dal chiaro esterno allo scuro interno. Anche questo giardino ebbe la visita di un animale. Un coniglio stava per mordere un fiore, ma appena il profumo di questi lo toccò, l’animale cadde svenuto. Le piante circondarono l’animale, spingendolo sotto terra per non rovinare l’idillio. -Questo lo chiami un giardino dei Pesci. Un giardino che dovrebbe rispecchiare il tuo potere e il tuo cosmo? Vuoi uccidere i tuoi avversari con delle rose Aphrodite. Mi hai davvero deluso, ti facevo più furbo. Sei rimasto con me solo perché il tuo cosmo è forte, ma non hai la minima capacità di focalizzare il potere. Vattene, saranno Gunter e Hans a disputarsi con una sfida l’armatura di Piscis.-. Le parole del maestro colpirono Aphorodite con la stessa violenza di un martello. Come osava criticare il suo lavoro, mettere in discussione il suo cosmo. Senza pensarci il giovane allievo aveva espanso proprio il cosmo che era in discussione. -L’armatura spetta a me di diritto, Maestro, e lei lo sa-. Alle parole di Aphrodite e al suo atteggiamento minaccioso gli altri allievi si avventarono contro di lui per metterlo fuori combattimento. Il cosmo della loro vittima si espanse ulteriormente e dei petali di rose rosse li investirono assieme a molte spine. Prima che raggiungessero il loro bersaglio erano a terra privi dei loro sensi. -Ora a lei. Io le dimostrerò che sono l’unico cavaliere di Piscis, a costo di ucciderla.-. Fredrich si mise in guardia e sorrise. -L’allievo vuole battere il maestro? Stai al tuo posto femminuccia-. Il maestro espanse il suo cosmo e a distruggere l’idilliaca perfezione del giardino spuntarono dei rovi, che si diressero verso Aphrodite, che ne l frattempo aveva apportato una straordinaria difesa. I fiori, ma in particolare le rose si erano posti attorno al cavaliere e frenarono la stretta dei rovi, che però continuarono ad insinuarsi attorno al suo corpo. -Morirai soffocato, stolto allievo. Sempre che le spine non dilanino prima il tuo fragile corpo-. Una fragorosa risata uscì dal maestro, che stava già per andare a sincerarsi della salute dei due allievi rimasti. In quel momento un’esplosione dorata dilaniò le sue verdi creature e fece apparire Aphrodite intatto, tranne per un piccolo squarcio alla manica sinistra del vestito. -Pare che il suo unico potere sia distruggere le cose perfette, ma non riuscirà a distruggere la migliore, la perfezione incarnata, il mio corpo non sarà la sua vittima. Rosa di Fatale Incanto!-. Una pioggia di rose nere investì il maestro, che cadde a terra pieno di piccoli tagli. Mentre cercava di rialzarsi, delle terribili convulsioni attraversarono il suo corpo, accompagnandolo alla morte, mentre i fiori del giardino stavano facendo la stessa cosa che avevano fatto per il coniglio con i due compagni del loro creatore. I tre erano ormai morti. Aphrodite non li degnò di uno sguardo o di una parola e si diresse nella villa dove dimoravano tutti. Arrivato al corridoi delle camere entrò in quella del suo maestro e la aprì. Il disordine regnava sovrano e il cavaliere trattene ogni commento, quello che stava per fare aveva la priorità assoluta. "Eccola". Lo scrigno della sacra armatura era davanti a lui. Tirò la leva e un’energia impareggiabile lo investì. Poi una sensazione di potere precedette la vestizione, l’armatura lo aveva accettato. Togliendosi l’elmo Aphrodite mosse la testa per risistemare i capelli e decide di non mettere più indosso un oggetto che copriva il suo meraviglioso viso. Arrivato alla sua stanza ammirò il suo splendore nell’armatura e poi si mosse verso l’uscita.
Due giorni dopo
Sion aspettava da due giorni notizie da Fredrich. Doveva avergli già comunicato il suo successore, il Gran Sacerdote era in pena. Poi un servitore entrò rompendo il filo dei suoi pensieri. -Il cavaliere di Piscis è qui, Gran Sacerdote-. -Fallo entrare-. Sion si accomodò sul trono, curioso di vedere chi stava per entrare con le sacre vestigia del dodicesimo segno dello zodiaco e perché non aveva saputo niente prima di allora. Con passo fiero e deciso il cavaliere attraversò le porte della grande sala del trono. Il suo passo era lieve, il suo corpo si muoveva armonioso, mentre i celesti capelli si muovevano alle piccole brezze che penetravano dalle fenditure, come se mossi dalle onde del mare. I suoi profondi occhi azzurri erano rivolti al Sacerdote e una rosa era nella sua bocca. La scintillante armatura rispendeva di una luce abbagliante, come se fosse stata lucidato o meglio rifatta a nuovo. L’elmo era sotto il braccio sinistro del cavaliere, che ormai era giunto al cospetto del Gran Sacerdote. Inginocchiandosi il cavaliere abbassò il capo in segno di rispetto e poi lo rialzò. Con la mano libera prese la rosa, che pose ai piedi del suo interlocutore. -Il mio maestro è morto, Gran Sacerdote. Durante l’allenamento è stato ferito a morte. Ho provveduto a seppellirlo con le mie stesse mani e spero lei mi accetti come suo successore-. Sconcertato Sion lo guardò per lungo tempo. Il viso di quell’uomo era meraviglioso e sembrava splendere di luce propria, ma qualcosa in lui non gli piaceva. -Se l’armatura ti ha scelto, vuol dire che tu sei il degno successore di Fredrich. Benvenuto cavaliere, alzati pure e dimmi qual è il tuo nome-. Allargando il sorriso in un espressione diabolica, -Sono Aphrodite di Piscis, cavaliere di Atena. Da ora in poi la dodicesima casa sarà la più splendente e affascinante di tutto il Grande tempio-. Sion rimase impietrito sia dalle parole che dall’espressione e per questo lo congedò senza altre domande. L’era di Aphrodite come cavaliere di Piscis era iniziata.
The End