Capitolo 35: Resa o Morte

Il sole era ormai alto ad Atene, la Meridiana dello Zodiaco, con i suoi fuochi spenti, era, di norma, segnale di pace presso il Santuario della dea, ma, malgrado non vi fosse il rischio di alcun rischio, nessun nemico sembrasse desideroso di invadere quelle terre, la mente ed il cuore del Sommo Sacerdote erano scossi da innumerevoli preoccupazioni.

Aveva mandato il suo più fidato consigliere, Ascanus, cavaliere dello Scorpione, in soccorso ai nove santi d’argento che erano da diversi giorni ormai in missione nel lontano Medio Oriente e, ben presto, non sarebbero stati gli unici impegnati in battaglia.

Lo stridere di cosmi lontani, in più luoghi del mondo, oscurarono il vecchio sguardo di Sion, la consapevolezza che ciò che avveniva era al di là della sua comprensione, lo preoccupava, il non sapere, più del non aver compreso fin da subito, lo torturava.

Non avrebbe mai immaginato, quando gli era stato richiesto di inviare dei cavalieri in quelle terre, che si sarebbe riavvicinato a ciò che era successo dieci anni prima, l’avvenimento che aveva messo in guardia sia lui, sia il suo anziano compagno d’armi, Dauko della Bilancia.

Da allora, si erano preparati, consapevoli che quella minaccia sarebbe stata ben diversa da ciò che avevano combattuto quasi due secoli fa, assieme alla dea Atena, reincarnatasi nella giovane Sasha, al suo maestro Hakurei ed agli altri cavalieri di allora, Sisifo in testa, che tanto coraggiosamente li guidava.

Un triste sorriso, al ricordo di quei volti lontani nel tempo, fece capolino sul viso invecchiato del Sommo Sacerdote, un sorriso dedicato agli amici ormai persi, che aveva giurato di onorare, creando un nuovo ordine di eroi consacrati ad Atena e così aveva fatto negli anni, rinforzando le file dei santi di ogni categoria, di generazione in generazione, fino a quella attuale.

Ora doveva chiedere ai suoi cavalieri d’argento di combattere contro un nemico di cui non comprendeva né i piani, né le forme, né, tanto meno, i poteri; poteri capaci di fare ciò che il suo cosmo aveva avvertito dal Santuario: sigillare l’essenza di una divinità, quale era quella che sembrava, fino a poche ore prima, aleggiare sopra il Medio Oriente; poteri che, in quello stesso momento, sentiva risvegliarsi in luoghi più distanti, dove si erano combattute altre battaglie.

I pensieri del Sommo Sacerdote furono interrotti dall’aprirsi delle ante che conducevano alla sua sala; con uno sguardo pieno d’affetto, l’anziano cavaliere osservò i tre custodi dorati inginocchiatisi dinanzi a lui, riconoscendone le vestigia e chiamandoli con le loro costellazioni guida: "Sagittario, Leone, Capricorno.".

Tre su sei, quello era il numero di santi d’oro presenti alle Dodici Case, non contando lui e Libra; tre su sei, dello Scorpione aveva fatto a meno, per mandarlo a soccorrere dei cavalieri d’argento che si sarebbero trovati dinanzi a pericoli ben più grandi di loro; al contrario il custode della Quarta Casa si era rifiutato di lasciare il suo piccolo castello in Francia, mentre Vladmir di Acquarius aveva mandato delle scuse, spiegando come ritenesse più importante concludere l’addestramento dell’ultimo allievo rimastogli, destinato alle vestigia del Cigno. Solo Munklar aveva accettato di compiere tale viaggio, giacché Leone e Capricorno erano già al Santuario, al pari di Ascanus stesso.

"Sommo Sacerdote, i cavalieri sono tutti giunti, anche coloro che erano stati mandati a fare le ultime ricerche.

Triangolo attende qui fuori, per informarla di quanto scoperto, gli altri, al contrario, sono già nell’Arena delle prove, in attesa di ascoltare i suoi ordini.", esordì il cavaliere della Decima Casa, sollevando leggermente il capo.

Aveva lunghi capelli castani, incredibilmente curati, che scendevano lungo la nuca, senza arrivare al collo, le basette, al contrario, scivolavano in una sottile barba del medesimo colore, lasciando lisce le bianche guance, ma correndo il filo delle mascelle, per poi perdersi lungo il mento, in una barba caprina, e, allo stesso tempo, allungarsi a coprire le labbra, in dei baffi che sembravano quasi taglienti.

Gli occhi viola scrutavano con rispetto la maschera dell’Oracolo della dea, pensando come fosse strano per lui, Kalas di Capricorn, poter parlare direttamente a colui che gli aveva dato l’investitura, di norma ad Ascanus spettava questo onore, ma, stavolta, il santo dell’Ottava Casa era in missione, e lui aveva questo diritto, come secondo cavaliere d’oro più anziano di quella generazione.

La beffa più grande, però, era che, in quel caso, Kalas avrebbe preferito sostituirsi ad Ascanus nella missione, giacché, come ben sapeva, avrebbe dovuto soccorrere il suo allievo, Damocle di Crux, e gli altri santi d’argento in terra straniera; e per quanta fiducia avesse nel suo italico ed orgoglioso allievo, il cavaliere della Decima Casa, aveva un timore nascosto, dettato da quella strana emanazione cosmica che da Medio Oriente si era allungata fin da loro, fino a poche ore fa. Ed era certo, Kalas, che anche Munklar del Sagittario provava lo stesso.

"Bene, Capricorno, lasciate pure entrare Triangolo, dopo aver parlato con lui, ci dirigeremo all’Arena del Santuario.", furono le semplici parole di Sion, troppo preso da diversi pensieri, fra cui, domande sulla sorte dei cavalieri che combattevano ad Accad.

***

"Maestro!", esclamò stupefatta Bao Xe della Musca, ancora al suolo, riconoscendo il proprio mentore, Ascanus di Scorpio, "Un cavaliere d’oro…", osservò sbalordito Zong Wu dell’Auriga, riconoscendo l’uomo che li aveva accolti ad Atena giorni prima.

"Chi è costui? Le sue vestigia ricordano quelle degli Appalaku…", domandò, sorpresa dal nuovo giunto e dalla vastità del suo cosmo, Ninkarakk.

"Sì, può sembrare uno dei vostri Appalaku, ma in confronto a quello che si trovava sulle Mura tre giorni fa, o a Nanaja, il maestro della mia maestra è molto, molto più potente.", rispose, con voce rassicurante, Dorida della Sagitta.

Il cavaliere d’oro si guardò intorno: vide la propria allieva al suolo, ferita e stanca, al pari di lei anche gli altri santi d’argento, dalla discepola di Bao Xe, di poco lontana dalla maestra, a Wolfgang dei Cani Venatici, Leif di Cetus, Gwen del Corvo, Zong Wu e Damocle di Crux; con suo rammarico Ascanus comprese che le ossa annerite a qualche metro di distanza erano di Husheif di Reticulum, il giovane che pochi giorni prima, ad Atene, si allenava vicino all’italiano ed a Menisteo di Eracle, l’altro guerriero morto in quella giornata. Un sacrificio, quello del discepolo di Degos di Orione, che aveva avvertito, quando era ormai in prossimità della città di Accad, ma, malgrado ciò, non aveva fatto in tempo né a salvare l’uno, né l’altro cavaliere d’argento.

Ora, però, avrebbe fatto tutto per proteggere i restanti santi di Atena lì presenti e, con loro, anche i tre estranei dalle vestigia verdi, o almeno ciò che restava delle loro armature era di colore verde, poté valutare con una nota di triste ironia.

Le riflessioni del silenzioso cavaliere d’oro, alla fine, si chiusero, come la sua attenzione, sul nemico: era uno, ma il cosmo, così come le parole, trasmettevano qualcosa di divino, ma era una divinità falsa, solo il potere che aveva rubato era vero, un potere che, si disse Ascanus, gli avrebbe tolto, in qualche modo.

"Orbene, straniero, prima eri ricco di parole ed ora osservi in silenzio? C’è forse qualcosa che non torna in ciò che vedi, o lo sgomento di esserti trovato dinanzi ad un dio ti ha ammutolito?", domandò ironico Baal del Trono, ancora ricoperto dalla candida emanazione cosmica della Nana Bianca.

"Nessuno sgomento, guerriero mesopotamico, bensì tristezza per la morte dei cavalieri caduti è quella la causa del silenzio.", tagliò corto il cavaliere d’oro, espandendo il proprio vasto cosmo.

"Sono qui per fermarti, nemico delle tue stesse divinità, già te lo dissi, quindi preparati alla battaglia!", lo ammonì infine Ascanus, la cui dorata aura già prendeva la forma di un maestoso Scorpione.

"Al contrario, straniero, sei tu che devi sollevare le difese e sperare che siano solide!", urlò di rimando Baal, lanciandosi alla carica.

L’Appalaku sferrò un primo portentoso pugno, un colpo diretto, veloce quanto mai si sarebbe potuto credere, subito seguito da un gancio allo stomaco del cavaliere d’oro, due attacchi che, data la natura della Nana Bianca, avrebbero potuto incenerire le carni del nemico, se questo vi fosse entrato in contatto.

Il custode dell’Ottava Casa, però, fu lesto nel compiere dei veloci spostamenti laterali, movimenti che ai più risultarono impercettibili, ma che il Sovrano di Smeraldo distinse chiaramente, così come quello Dorato, quando, alla fine dei due rapidi colpi, Ascanus era ancora in piedi, in posizione d’attesa, con le braccia alla cinta, illeso.

"Di certo il tuo potere è grande, guerriero mesopotamico, ma finché non riesci a toccarmi, non puoi farmi alcun danno.", lo ammonì con calma il santo di Atena, volgendo un sorriso sornione verso il nemico.

Un ruggito di disappunto scaturì dalla maschera bianca che celava il volto dell’Appalaku, prima che questi si lanciasse in un nuovo assalto: con una spallata cercò di raggiungere di sorpresa il cavaliere d’oro, che, già pronto all’attacco, evitò con un semplice spostamento laterale, portandosi in posizione di difesa, con la mano sinistra dinanzi a se e le gambe ben flesse per ogni eventuale movimento.

Un primo pugno cercò di raggiungerlo, con un movimento a spazzare da destra verso sinistra, subito seguito da un veloce calcio alle ginocchia, colpi che il cavaliere di Scorpio riuscì ad evitare con facilità, sfruttando semplicemente l’agilità dei movimenti.

Baal, a quel punto, unì i pugni sopra il capo e cercò di calarli contro l’avversario in un unico movimento a martello, costringendo Ascanus, a spostare l’intero corpo con un salto all’indietro, e fu quello il momento in cui l’Appalaku rilasciò un’ondata di bianca e caldissima energia, che corse rapida verso il cavaliere d’oro, un’ondata di puro calore, che lo scosse, sbilanciandolo e costringendolo a compiere, a mezz’aria, una capriola, per poi atterrare sulle gambe.

Non ebbe, però, nemmeno il tempo di poggiare i piedi a terra, il santo di Atena, che già il nemico gli fu addosso di nuovo, cercando di investirlo con un veloce calcio all’addome, un colpo dalla falciata tanto ampia che, in quella posizione, il cavaliere d’oro non ebbe molte possibilità di difendersi, se non portando il copribraccio destro a difesa del corpo, contenendo l’attacco.

"Preso!", sibilò gioioso l’Appalaku, "Posso dire lo stesso.", replicò sicuro il guerriero di Atene, quando già l’indice della mano sinistra diventava color sangue, allungandosi vistosamente.

"Cuspide Scarlatta!", urlò semplicemente il santo d’oro, prima che un sottile filo di rossa luce attraversasse le difese candide del traditore degli Ummanu, costringendolo ad indietreggiare.

Si toccò la zona ferita il guerriero, ma, con sua soddisfazione, non trovò niente più di una puntura di spillo, un piccolo foro, che ben leggero danno aveva portato alle vestigia del Trono, "Tutto qui, straniero? Sacrificare un braccio per cosa? Una leggera puntura?", domandò divertito l’Appalaku, prima che il sorriso gli morisse in volto nell’osservare l’armatura d’oro.

Il copribraccio destro era segnato da una lieve bruciatura, sì, ma non si era sciolto, come le vestigia d’argento di Reticulum, o quelle del Golem, no, aveva retto in parte al tocco della Nana Bianca, sostenendone il calore.

"Fra le più armature, quelle dei cavalieri d’oro di Atena sono le più virtuose, mi sorprende che tu disconosca questa verità. Credevo che voi foste già entrati in contatto con noi, cavalieri del Grande Tempio.", spiegò con tono calmo Ascanus di Scorpio.

"Di cosa parli, straniero? Nessuno di noi Ummanu aveva mai avuto a che fare prima con voi, solo pochi vi conoscevano, ma di pura fama.", s’intromise Marduk, "Non voi, Ummanu, ci avevate incontrato, bensì la gente come costui, i Ladri di Divinità. Dieci anni fa uno di loro interagì con un cavaliere di Atena, rivelando l’esistenza di questi individui, per quanto, in tutto questo tempo, non ci è mai stato possibile scoprire alcunché di preciso su di loro. Solo piccole tracce lasciano, tracce che scompaiono, perdendosi nelle sabbie del tempo.", rispose lesto il custode dell’Ottava casa.

"Nemmeno immaginavamo che uno di loro si celasse fra voi, guerrieri di Accad, ma ciò spiega come, fino ad ora, siano rimasti per lo più invisibili agli occhi del Santuario: sono un esercito che si insinua nelle schiere delle diverse divinità, per intrappolarle negli abissi di una prigione senza tempo dall’interno delle loro stesse truppe.", concluse il cavaliere.

"Hai già avuto modo di conoscere il potere che mi è stato donato da un uomo asceso al titolo di divinità prima di me? Questo mi sorprende, ma rende più facile per te capire chi combatti.", s’intromise, non poco sorpreso, l’Appalaku, "Io sono Baal del Trono, il Sole di Mesopotamia, uomo un tempo, Ummanu per un breve periodo, divinità adesso!", ruggì deciso, espandendo ancora una volta la calda ondata bianca dal proprio corpo.

"Come puoi pensare di intimorire uno scorpione del deserto con questo calore? A ben peggiori temperature è abituato!", lo avvisò sicuro il cavaliere d’oro, sollevando ancora una volta la propria mano contro il nemico.

"Cuspide Scarlatta!", sussurrò semplicemente e due nuovi strali di luce rossa attraversarono le difese di Baal, piantandosi nel suo corpo.

Per un attimo, l’Appalaku sussultò, poi, portate le mani alle zone colpite, si rese conto che, stavolta, gli attacchi avevano subito un qualche effetto, poiché avvertì una violenta sensazione di malessere piegarlo nello spirito, prima ancora che nel corpo.

"La Cuspide Scarlatta è una fine lenta e dolorosa, la peggiore fra quelle in possesso ai cavalieri d’oro di Atena, non per diletto la uso in battaglia, anzi, spesso preferisco farne a meno, combattendo con le sole virtù ottenute nel lungo addestramento con il mio defunto maestro, Sartaq di Gemini, ma tu, Baal del Trono, hai, prima di morire, se tale destino per te sceglierai, un ultimo compito cui adempiere: rivelarmi la natura del vostro esercito e come trovarvi ed impedire che nuovi atti di blasfemia si scatenino nel mondo.", spiegò Ascanus.

"Pazzia o morte, queste le opzioni che il veleno dello Scorpione ti lascia, opzioni che, credimi, non sono felice di offrirti, poiché ogni vita umana meriterebbe di perpetrarsi, per comprendere i propri errori e farne ammenda, ma se non mi lascerai altra scelta, non ti resterà che questo binomio fra cui scegliere.

Tre cuspidi già insinuano il veleno nel tuo corpo, tre sole, una minima parte rispetto a ciò che ti potrebbe spettare! Fa finire ora questo inutile martirio: parla.", suggerì con voce calma il cavaliere.

"La follia detta forse le tue di parole! Poiché solo un folle potrebbe parlare a me, che ho il potere di un dio, di arrendermi, solo un folle potrebbe pensare di aver già vinto, solo perché in netto vantaggio su una delle mie armi in battaglia.", lo ammonì di rimando l’Appalaku.

Dopo queste parole, la bianca emanazione cosmica scomparve, rilasciata da Baal stesso, il cui aspetto si rivelò finalmente ad Ascanus, rendendo noto anche dove le tre punture lo avevano raggiunto: cinta, ginocchio sinistro e spalliera destra.

I due guerrieri dalle dorate vestigia, allora, si osservarono per alcuni secondi, immobili l’uno dinanzi all’altro, "Parla, Baal del Trono, evita per te stesso dolori che non vorrei portarti. Dì la verità sul fine del vostro esercito, sul perché vi muovete in questo modo, derubando il mondo delle divinità che lo hanno visto crescere. Come vi riuscite?", chiese ancora il santo d’oro.

"Sia, questo te lo concederò: il come.", rispose con un sorriso beffardo l’Appalaku.

"Tu sai come le divinità giungono fra gli uomini, per guidare i loro eserciti nelle guerre sacre?", domandò subito dopo, lasciando perplessi tutti i presenti, "Vi sono tre modi possibili: con il proprio corpo, quello ancestrale, che possedevano dal tempo del Mito, un corpo cui, però, spesso sono affezionati per rischiarlo in battaglia; oppure, possono rinascere in spoglie mortali, seguendo il corso della vita umana, con il suo ciclo di nascita, crescita e morte; padroni di un cosmo divino di cui, lentamente, riprendono possesso.

Il terzo modo, però, è quello agli dei più congeniale: impossessarsi di un corpo umano, estirparne l’anima, o ghermirla in un angolo della coscienza di quella vittima, e poi usare a proprio piacimento quella nuova forma, attraverso cui lasciano fluire il loro cosmo.", spiegò Baal e quelle parole ricordarono ad Ascanus quanto aveva sentito dal Sommo Sacerdote sulla Guerra Sacra di cui questi era stato partecipe, con una giovane ragazza di nome Sasha, reincarnazione della dea Atena, ed un fanciullo, a questa legato, il cui nome era Aaron, del cui corpo si era impadronito l’ancestrale nemico della dea.

"Il rito che in questi giorni ho esercitato proprio in questa sala…", continuò Baal, richiamando l’attenzione del cavaliere d’oro, così come degli altri, "funzionava al pari di questo terzo metodo: in me stesso ho lasciato che il cosmo di Shamash affluisse, rinvigorendomi del suo potere, ma non ho fatto perdere la mia coscienza, bensì quella del Giudice Divino è andata disperdendosi, cadendo in un abisso di tenebre e nulla, lì dove, altrimenti, si sarebbe dovuta dirigere la mia.

L’unica differenza è che questo abisso ha più l’aspetto dell’Irkalla, dell’Oltretomba, che non di una zona d’ombra della coscienza umana.", concluse l’Appalaku soddisfatto.

"Hai condannato il divino Shamash agli abissi di Irkalla? Tu, maledetto…", ringhiò allora Aruru di Golem, di nuovo in piedi; bastò un gesto di Ascanus, però, perché l’Anunnaki si fermasse, "Lascia a me questa battaglia, nobile Ummanu, tu, come tutti i tuoi compagni ed i miei, sei già stanco, permettimi di finire ciò che voi avete iniziato.", chiese cordiale il cavaliere d’oro, riportandosi a pochi passi dal nemico.

"Fatti pure avanti, guerriero dorato, non ti temo.", lo sfidò Baal, espandendo il proprio cosmo e rilasciando la possente forza gravitazionale, che parve quasi spingere indietro il cavaliere di Scorpio, inizialmente sorpreso da quel potere tanto inatteso, "Sempre che tu riesca ad avanzare…", sibilò divertito.

Ascanus cercò di fare un passo avanti, ma la pressione sembrava tale da schiantarlo al suolo, una pressione senza pari, che lo immobilizzava sul posto, "Ebbene, nessuna frase, niente di niente dici più?", domandò ancora, con fare beffardo, l’Appalaku, rilasciando al qual tempo un’ondata di calda energia.

Delle sottili striature, ferite leggere, si aprirono sul volto del cavaliere d’oro per l’impatto con l’onda avversa, ma ciò non lo fece arrendere, anzi, in un’esplosione di energia dorata, il cosmo dello Scorpione albeggiò sopra tutti quanti, dandogli la forza di sollevare il proprio braccio destro. Ancora una volta la Cuspide Scarlatta partì, inattesa ed efficace, aprendo due nuovi fori sulla gamba destra del Traditore degli Ummanu, riducendone la concentrazione quel tanto che bastò al santo di Atena per lanciarsi alla carica, frontalmente.

Con un veloce calcio sinistro alle ginocchia, Ascanus sbilanciò Baal, per poi fare per fare perno proprio su quella gamba per roteare sul proprio asse e colpire lo stomaco avversario con un secco calcio destro a spazzare, che scagliò indietro di diversi passi il nemico.

In un grugnito di dolore, l’Appalaku, però, rilasciò un’ondata gravitazionale per schiantare al suolo il cavaliere, che, nell’atto di saltare, ne fu sbilanciato, rischiando di sbattere il viso a terra, ma portando rapido le mani alla roccia del pavimento, per sostenere il corpo, prima che, da quella posizione quasi ferina, simile forse ad uno scorpione, con la cuspide del diadema che volteggiava a mezz’aria, Ascanus si lanciò di nuovo in avanti, stavolta spostandosi sulla sinistra del nemico, scomparendo, data la velocità, alla sua vista per alcuni secondi.

Fu una nuova ondata gravitazionale, che s’espanse per l’intera spianata di Anduruna, scuotendone persino le fondamenta, e schiantando i cavalieri spettatori al suolo, che costrinse il santo di Atena a rallentare, poiché troppo veloce e potente per essere fermato.

Quel freno, però, permise a Baal di individuare l’avversario e scagliare contro di lui un’ondata di puro calore, che il custode dell’Ottava Casa parò sollevando i copribraccia e lasciando che fosse quello precedentemente danneggiato, il destro, a subire il danno maggiore di quel colpo.

Una risata, a quel punto, scaturì dalle labbra dell’Appalaku, che sorrise sicuro contro il nemico.

"Ora ho dunque compreso come vincerti, cavaliere d’oro, non con il calore che tutto scioglie della Nana Bianca, no, quello non basterebbe, nemmeno il mio colpo migliore servirà, per te basterà molto meno.", affermò, allargando le braccia dinanzi a se.

"Ciclo del Sole accelera il tuo corso! Che la dorata stella diventa color del sangue, che la sua stretta tutto divori! Rosse fiamme d’attacco e difesa si ergano contro lo Scorpione invasore! Gigante Rossa, espanditi!", ruggì Baal, utilizzando ancora una volta la vasta barriera scarlatta che inghiottì al proprio interno anche Ascanus, colto alla sprovvista da quella tecnica.

Fu una sensazione breve, quella della sorpresa, che lasciò presto posto all’opprimente percezione di essere bloccato, come se mille invisibili catene tenessero fermo il corpo del cavaliere, schiacciandolo con il peso di un macigno. Per qualche istante, quasi per darsi forza, il santo di Atena pensò che, probabilmente, non era molto dissimile dalla sorte che, ai tempi del mito, fu data ad Atlante, il Titano costretto a reggere il peso del mondo sulle proprie spalle.

In confronto alla forza che Baal poco prima gli aveva mostrato, questa pressione era decine di volte maggiore, sembrava che, in qualche modo, come la tecnica precedente incrementava il calore che riusciva ad emettere, così questa sembra decuplicarne la pressione ed il peso sui corpi circostanti.

Quasi avesse letto nella mente del nemico le riflessioni di questi, l’Appalaku parlò: "La Gigante Rossa è la fine lenta e dolorosa che ti riservo.", esordì, parafrasando le parole del cavaliere stesso, "Non fiamme che ti divorano, velocemente, né il calore incandescente che tutto scioglie, prerogative della Nana Bianca, di dimensioni ridotte, ma altresì dalla temperatura elevatissima, bensì una pressione che a poco a poco ti schiaccerà, rendendoti una poltiglia informe, assieme alle vestigia di cui ti bardi fiero. Dimensioni maggiori per un calore minore, questo lo scotto di usare tale tecnica, una sofferenza più lenta per chi vi entra in contatto, una sofferenza che lentamente frantuma le speranze di uscirne vivi, così come fa con le ossa e le difese di un uomo.", spiegò soddisfatto Baal.

"Resa o morte, cavaliere d’oro, la scelta che volevi lasciare a me, ora te la giro: a te decidere, se inginocchiarti, seguendo la forza di gravità, accettando di asservirti alla volontà del Sole di Mesopotamia, uccidendo gli stessi compagni che volevi salvare; allora ti grazierò, altrimenti, l’unico destino che ti spetta è restare schiacciato dal mio potere rifulgente.", concluse l’Appalaku.

"Uccidere i cavalieri d’argento?", domandò a fatica Ascanus, "E gli Anunnaki assieme a loro. Voglio una prova della tua fedeltà, oltre che della potenza del cosmo che possiede, che ho già potuto saggiare su me stesso, scoprendone virtù tali da ferire me, un uomo asceso al titolo di divinità!", confermò l’altro.

"Mai!", ruggì secco il Custode dell’Ottava Casa. "Cosa? Come osi obbiettare al volere di un dio!", ringhiò di rimando Baal.

"Ancor prima che un cavaliere, sono un uomo. Ancor prima che la devozione alla dea, ho dei principi cui sono da sempre legato, la volontà di difendere la giustizia, il primo fra loro, la pace ed i diritti di ogni uomo, dal più nobile al più debole, dal forte conquistatore al debole che non può nemmeno proteggere i suoi cari; tutte le loro vite hanno valore per me, egualmente.

Non ucciderei mai per il mio bene personale, né per salvarmi la vita, ancor meno sarei motivato un simile atto dal desiderio asservirmi a chi degli dei fa propri schiavi, asservendone i poteri per dominare le genti.

Un tiranno, questo vuoi essere? Speri che io diventi l’arma con cui piegherai le genti?", domandò ancora il cavaliere.

"Non un tiranno, bensì un dio! E come tale avrò i miei seguaci! Dunque unisciti a me, se vuoi salva la vita! Rinnega Atena, così come Sin e Nanaja avevano rinnegato Shamash! Io deciderò quale sarà la giustizia d’ora innanzi.", continuò a dire l’altro.

"Non di giustizia parli, ma di tirannide! Puoi celarla con profondi pensieri, dipingendoti come un dio, ma tu, Baal del Trono, non sei niente di più che un uomo che ha osato superare i limiti concessigli, non per il bene del prossimo, ma solo per la propria sete di potere.", spiegò con voce decisa Ascanus.

Il cosmo dorato del cavaliere si espanse intorno a lui, prendendo una forma piuttosto particolare, quasi fosse un immenso scudo, o, più correttamente, una corazza; "Carapace di Scorpio! Sollevati in mia difesa!", invocò il Custode dell’Ottava Casa.

L’Appalaku ebbe difficoltà a credere in ciò che vedeva: il suo avversario stava avanzando stentatamente, ma sembrava quasi che quella barriera dorata, simile all’esoscheletro di uno scorpione fosse capace di diminuire la pressione su chi questa difendeva.

L’avanzata, però, non era priva di difficoltà per Ascanus: aveva sì allontanato da se stesso parte della pressione della Gigante Rossa, ma nemmeno la tecnica difensiva di cui era padrone, unica nel suo genere, riusciva a contrastare del tutto il potere del nemico. Crepe su crepe si aprirono attraverso il carapace, così come si erano aperte, leggere ma presenti, sulle vestigia d’oro dello Scorpione.

Non era la resistenza della carapace energetica che lo preoccupava, quanto la possibilità che la tattica che stava utilizzando potesse non andare a segno: tentare più volte lo stesso stratagemma sarebbe risultato fallimentare, quindi aveva una, forse due, possibilità non di più.

La prima possibilità si aprì ai suoi occhi nel momento stesso in cui la difesa dello Scorpione andò in frantumi: Baal era lì, palesemente innervosito da quella sorpresa, privo di alcuna difesa, lui doveva solo sollevare il braccio, malgrado la pressione di quella immensa area scarlatta, ma, prima ancora che potesse fare ciò, l’Appalaku gli fu addosso, colpendolo con un duro pugno allo stomaco, prima, e con un violento diretto al volto, dopo.

Stava per cadere al suolo Ascanus e dovette fare leva su tutte le forze rimastegli per non finire a terra, poiché, se ne rendeva conto, quella sarebbe stata la fine per lui, schiacciato da una pressione troppo grande per essere distribuita su tutto il corpo.

Con una spinta data dalla schiena si sbilanciò in avanti, ridandosi equilibrio, "Carapace di Scorpio! Risollevati!", invocò ancora una volta, ricreando dinanzi a se la propria difesa dorata.

L’avanzata dell’esoscheletro di puro cosmo fu stavolta offensiva, scagliandosi contro Baal, così vicino a lui, Ascanus lo fece barcollare, prima che l’Appalaku tempestasse di pugno la protezione del cavaliere nemico, una, due, tre volte, finché questa non crollò in pezzi, nuovamente, sotto quella doppia pressione. Proprio ciò che il cavaliere d’oro voleva.

"Cuspide Scarlatta! Colpisci!", furono le prime parole che il nemico distinse, dopo aver inquadrato nel proprio campo visivo l’altro, immobile, a stento in piedi, ma con la mano destra pronta a colpire. Cinque nuovi fori si aprirono sul corpo dell’Appalaku, schiantandolo indietro, al suolo e lasciando sciogliersi la Gigante Rossa che li circondava.

Gli altri cavalieri, che fino a quel momento avevano osservato la cremisi barriera senza vedervi attraverso, furono rasserenati dalla ricomparsa del santo di Scorpio, vicino al nemico al suolo.

"Resa o morte, per chi di noi due, non so dirtelo, Baal del Trono, ma sappi che da me non riceverai mai nessun giuramento di lealtà, poiché ad Atena ed alla Giustizia sono legato, ed al Sommo Sacerdote di Atene, che della dea è la voce in terra.", furono le parole con cui Ascanus si rivolse al nemico, che già si rialzava, visibilmente sofferente e sanguinante dal corpo.

"Dieci punture, poche ancora per varcare la soglia di Ade, Baal del Trono, poche punture che ti dividono dalla morte, molte meno, temo, dalla pazzia che il veleno ti provocherà. Cedi ora, rivelami la verità che voglio conoscere ed arrenditi, solo così avrai salva la vita.", propose di nuovo il custode dell’Ottava Casa, osservando il nemico.

"Vuoi la verità, straniero? Ebbene, ti accontenterò, ma non per arrendermi poi a voi, bensì perché ben presto finirete tutti nelle tenebre di Kurnugia. Sarà la conoscenza la prima fonte di luce per voi nell’eterna oscurità.", replicò deciso Baal, volgendo il proprio sguardo verso Marduk, poco dietro.

"Sovrano di Smeraldo, ricordi la storia che ti raccontai, quando mi presentai al vostro accampamento? In parte era vera, ma in parte no.", furono quelle le parole con cui iniziò il suo racconto.

"Sono effettivamente nato e cresciuto in una piccola cittadina dell’Iraq, e nelle montagne circostanti ho trovato davvero una grotta al cui interno vi erano le cinque armature degli Appalaku, ma per il resto tutto è diverso.

Le parole incise sulle mura interne della grotta non erano del passato Sovrano Dorato, bensì della guerriera Eresh di Oannes, ultima degli Appalaku e per nulla connessa con le genti del mio paese natio. Non vi è in me sangue Ummanu, nemmeno in minima parte.

Le parole di Eresh, però, narravano effettivamente di come gli dei punirono i cinque guerrieri per aver tentato di raggiungere la loro divina sede, al fine di poter combattere Alessandro il Macedone.

Furono realmente condannati all’esilio eterno, costretti a vagare al di fuori dei villaggi per diversi anni, facendo solo incontri casuali, che permisero loro di apprendere la lingua, ma mai di trovare riposo.

Le parole della donna erano ricolme di blasfemo odio per le divinità sorde alle necessità umane, quelle divinità che fecero morire di stenti l’Appalaku di Lamassi e fecero impazzire il Sovrano Dorato ed il suo primo guerriero, quello di Anzu, facendoli uccidere fra loro, in una disputa.

Alla fine, il viaggio dei cinque si concluse quando anche l’ultimo compagno di Eresh si tolse la vita, uccidendosi proprio all’esterno di quella grotta.

Da allora, per quasi venti anni, la donna rimase solo, nell’esilio di quella cavità di pietra, con le vestigia degli Appalaku come unica compagnia e le memorie del passato da tramandare, assieme al suo odio per le divinità.

Il racconto che lessi andava a ritroso: dal giorno dell’arrivo alla grotta enumerava quanto successo prima, non fermandosi al solo esilio, ma narrando degli anni fra gli Ummanu, della vita da guerriera e da giovane donna di Eresh, fin quanto lei avesse memoria.

Proprio da quei testi scoprì dell’esistenza del cosmo e da solo, effettivamente, appresi come svilupparlo, seppur non a livelli simili a quelli che ho attualmente.

Ciò che non ti ho mai minimamente accennato, Marduk, fu il mio incontro con un dio della Guerra, che tu ben conoscevi.", raccontò Baal, con un sorriso malvagio sul volto, permettendosi una pausa, per contenere una fuoriuscita di sangue dal proprio corpo.

"Giunsero in una tiepida giornata d’autunno, sette anni fa: sembravano pochi all’inizio, tetre ombre che giungevano dall’oscurità della terra, ma che si rivelarono in un numero così elevato da radere al suolo la nostra intera città prima che qualcuno potesse rendersene conto.

Pochi riuscirono a salvarsi e furono tutti torturati, poiché quelle creature nere cercavano qualcosa: le armature degli Appalaku!

Ammetto che il mio primo sentimento fu la paura più assoluta, una paura che mi portò a fuggire proprio verso le montagne, in cerca di una protezione in quel luogo che le parole di Eresh definivano estraneo agli dei. Pensai che vi fosse lì un modo per tenere lontani quelli che mi sembravano tutto tranne che uomini, con vestigia simili a bestie, persino ignote.

Immenso fu il mio sgomento, quando cinque di loro arrivarono in quella grotta.

In tre mi trattennero, promettendomi immense sofferenze, mentre altri due si muovevano dinanzi a loro, una donna dalle vestigia simili ad un serpente, ed un vigoroso guerriero dal viso segnato da battaglie, il loro signore, il dio della guerra, il Leone Nero.", a quelle parole, Marduk fu scosso dai ricordi della sua infanzia, dai due guerrieri che trattenevano lui e Sin, mentre Tiamat minacciava di ucciderli dinanzi ai loro padri.

"Poi avvenne qualcosa di inatteso, quel potente essere mi parlò, chiedendomi se avessi già letto le scritte su quelle mura; voleva che gli narrassi cosa era inciso, le memorie di Eresh ed io, nella speranza di allungare leggermente la mia vita, lo feci.

Alla fine, l’uomo mi chiese un parere, su ciò che avevo letto e, comprendendo a pieno i sentimenti della defunta Appalaku, gli dissi cose molto simili a quelle scritte, poiché già allora avevo capito quanto ingiusti fossero gli dei e, tanto meno, temevo che quella divinità mi potesse uccidere per tale motivo, certo com’ero che comunque avrebbe preso la mia vita.

Egli non volle la mia vita, anzi mi propose di collaborare con lui e gli esseri che gli erano simili: uomini capaci di prendere il potere degli dei.

Mi addestrarono, per un anno, seguendo l’avanzata in Oriente dell’esercito nero, ed il Leone Nero mi raccontò delle terre di Africa, da cui loro provenivano, di come avesse mosso guerra da quei luoghi, circa otto anni prima agli Ummanu, al seguito di un uomo di nome Tiamat.", furono quelle nuove parole a far urlare Marduk, "Tu menti!".

"Non mento, Sovrano degli Uomini, la divinità che mi addestrò era lo stesso giovane ragazzino, di poco più grande di te, che quel giorno lontano ti teneva bloccato, assieme al suo fido luogotenente, che morì allora.

Il Leone Nero, però, si salvò, assieme ai resti del proprio esercito, ritornò in terra d’Africa e lì rese più potente il suo dominio, tanto potente che altri esseri capaci di ghermire gli dei lo scelsero come loro compagno, dandogli il potere di fare suoi i cosmi divini.

Un potere che condivise con me, dandomi un ordine: distruggere dall’interno gli Ummanu che avevano disonorato il suo esercito.

Fu con questi ordini che partii, iniziando ad elaborare un piano. Cambiai il mio nome, in Baal, e quando incontrai Nanaja, capace di leggere i sentimenti degli uomini e, con il proprio corpo, piegarli a se, il mio piano divenne finalmente più chiaro e realizzabile.

Usai le sue virtù, l’ossessione di Etana, la devozione assoluta di Zisutra, ma più di tutto usai Adapa e la sua innocenza, un perfetto capro espiatorio per farvi odiare i nemici che di certo i golem avrebbero richiamato.

Una volta che questa parte del piano fosse stata attuata, dovevo solo ricorrere al rituale per attrarre a me il potere di Shamash e per quello mi serviva tempo, tempo che mi diede Sin con le macchinazioni che seppe orchestrare, distruggendo dall’interno gli Ummanu, aiutato, inconsapevolmente proprio dai cavalieri che fin qui erano giunti, portatori di Giustizia.", concluse gioioso Baal.

"Questo è tutto ciò che puoi dirci sugli altri che traggono forza rubandola agli dei?", domandò allora Ascanus, interrompendo la soddisfazione personale che già brillava nel viso del nemico.

"Niente altro vi serve sapere, la prima delle due luci che avevo da porgervi è stata concessa, la seconda, la più accecante, segnerà la fine del vostro cammino su questa terra e la vittoria dello splendente Sole di Accad!", concluse in un ruggito di soddisfazione Baal, sollevando il pugno chiuso dinanzi a se.

"Ciclo del Sole concludi il tuo cammino! La dorata stella giunga al suo crepuscolo, in un’esplosione di luce abbagliante! Che l’accecante luce di un giorno senza ombre oscuri le vite di chi mi si oppone! Supernova, esplodi!", urlò l’Appalaku.

L’energia confluita nella mano del nemico era immensa ed accecante, tanto grande da sembrare quasi che l’intero cosmo rubato a Shamash si fosse riversato fra le dita di Baal, il quale, aprendo il proprio pugno, le lasciò fluire contro i propri nemici.

A nulla valsero il Carapace dello Scorpione d’Oro, o la difesa del Mitologico Serpente, o il Terremoto Creatore del Golem, niente di tutto ciò, per quanto i diversi guerrieri fossero stati veloci nel sollevare le proprie difese, fu sufficiente, niente di tutto ciò poté trattenere quella potenza di pura luce ed energia.

Le vestigia degli Anunnaki furono ancora di più danneggiate, riversando ferite nuove sui loro padroni; i corpi dei cavalieri d’argento, privi di feriti, furono segnati da nuove ustioni e perdite di sangue; persino la dorata armatura di Scorpio fu segnata da crepe più profonde, da cui nuovo sangue partì attraverso il corpo del custode dell’Ottava Casa.

Solo la virtù delle sacre armature di Atena permise ad Ascanus di rialzarsi ancora, anziché restare al suolo con tutti gli altri nemici di Baal.

"Ti ergi ancora contro di me, mortale? Sono stanco di questa battaglia, ormai mi siete giunti a noi, persino tu.", lo ammonì con voce annoiata l’Appalaku, "Non sarà, piuttosto, che l’uso di questa ultima arma potrebbe rendere più debole anche te?", domandò di rimando il cavaliere d’oro.

"In fondo, il tuo potere prende forma dal Sole, che è una stella, e del ciclo delle stelle ti servi per i tuoi attacchi… la Supernova è l’ultimo stadio, prima che un astro si perda, diventando un buco nero, od un quasar… temi forse questi due destini? Non è delle divinità la paura della morte.", lo schernì il custode dell’Ottava Casa, risollevandosi in piedi.

"Non temo niente di tutto ciò, anzi, di nuovo su di te farò risplendere l’esplosione ultima di luce, che tu possa perderti nel suo mare! Solleva le tue difese, cavaliere di Grecia, così da vedere come cadranno dinanzi al Sole di Accad!", lo sfidò di rimando questi.

"No, non solleverò alcuna difesa, bensì passerò all’attacco, che la Cuspide Scarlatta decida il mio destino!", affermò deciso Ascanus, lanciandosi contro il nemico.

"Folle! Tentare di usare il veleno dello scorpione contro l’immensa potenza del Sole, per questa pecca d’orgoglio, cadrai!", furono le ultime parole di Baal, prima di scatenare la Supernova.

Il bagliore che proruppe da quello scontro di poteri richiamò i sensi di tutti i cavalieri al suolo, che videro, pochi istanti dopo, in una pioggia di sangue, volare fra loro il corpo martoriato di Ascanus, segnato adesso da decine di ustioni.

Un sordo rumore, però, richiamò tutti i cavalieri a guardare verso il nemico: l’Appalaku del Trono era anch’egli al suolo, in un lago di sangue.

"Maestro!", esclamò a quel punto Bao Xe, avvicinandosi al suo passato insegnante; "Ha rischiato la vita costui, ma è riuscito a vincere colui che tutti noi non avevamo sconfitto.", lo lodò allora il Sovrano di Smeraldo, prima che una risata lo interrompesse.

"Vincermi? Credete forse che sia così facile avere ragione di un dio? No, Baal, il Sole di Accad non è ancora sconfitto!", li ammonì l’avversario, rialzandosi, e tutti videro che sul corpo di questi vi erano ora un totale di quattordici punture.

"Non sarà forse facile, ma nemmeno impossibile.", lo ammonì di rimando Ascanus, di nuovo in piedi.

I due guerrieri si trovavano ancora una volta l’uno dinanzi all’altro e, forse per la prima volta, il cavaliere di Scorpio, al di là del disprezzo per ciò che l’Appalaku aveva fatto, disonorando il proprio legame con gli dei, provò verso un così determinato guerriero, del rispetto.

"Ancora vuoi combattere, straniero? Intendi davvero perderti nella luce del mio cosmo?", domandò con sorpresa Baal.

"Resa o morte, te lo dissi all’inizio della battaglia ed anche tu lo ripetesti verso di me, ebbene, penso che ormai ad entrambi resti solo una di queste opzioni, o almeno una sola ne vedo io dinanzi a me, se non vincerò.", rispose secco il santo di Atena, sollevando ancora una volta il braccio e l’indice.

"Conosco bene il tuo veleno, straniero, non lo temo! La tua scelta è fatta dunque: morte!", ruggì di rimando l’altro, espandendo il proprio cosmo incandescente ed accecante.

"Al contrario, non sai cosa ti attende: quindici sono le punture dello scorpione, come le stelle della costellazione che illumina il cielo! Quindici punture perché la stretta dello Scorpione si chiuda sul nemico e l’ultima è la più potente! Antares, l’ago della cuspide, il cui nome è sulle bocche dei nemici sinonimo di morte, fin dai tempi del Mito. Antares è ciò che ti spetta ormai, triste sorte la mia che dovrò usarlo, infine, come la tua, che dovrai subirlo.", spiegò con rammarico Ascanus.

"Belle parole le tue, uomo, ma come puoi sperare con il corpo distrutto ed il cosmo di un semplice mortale, di aver ragione di me, che di una divinità ho l’essenza?", domandò ancora Baal, prima di rendersi conto che la luminescenza dorata dell’altro ora aveva preso nuovi risvolti di colore, molteplici.

"Non è solo il cavaliere di Scorpio, bensì aiutato da dieci compagni!", disse sereno il santo d’oro.

"Noi, che fin qui siamo giunti in cerca di Giustizia, non ci tireremo indietro all’ultima battaglia.", affermò deciso Leif.

"Per i compagni caduti nelle passate battaglie, non ci arrenderemo!", continuò Zong Wu; "Per gli Ummanu che soltanto volevano difendere il proprio Re ed abbiamo dovuto sconfiggere, affronteremo il comune nemico", aggiunse Wolfgang.

"Contro gli inganni che avete tessuto e che tanta disperazione hanno portato.", esordì Gwen, "Per la speranza e la giustizia, che avete tentato di recidere da queste terre!", continuò Dorida.

"Perché, oltre ad essere un dovere verso la nostra, lo è verso gli uomini tutti, combattere i tiranni!", sottolineò Bao Xe, "Per tutto questo e molto altro ancora combattiamo, unendo i nostri cosmi al cavaliere d’oro!", concluse Damocle.

Proprio in quel momento, altri tre cosmi, verdi e luminosi, si unirono ai loro, "Per gli Appalaku e gli Annumaki che hai usato a tuo piacimento contro i loro stessi compagni e contro nemici che non esistevano, dovrai pagare!", lo accusò Aruru di Golem; "Per tutti gli amici che ci hai tolto, strappandoli alla vita, mediante l’inganno di falsi nemici da combattere, non ci tireremo indietro!", aggiunse sicura Ninkarakk di Khuluppu, "Per Ea, Mummu, Enlil, il giovane Adapa e persino per Sin, sulla cui solitudine ed avidità hai fatto leva, ti combatterò, supportando questo straniero!", concluse allora Marduk, il Sovrano di Smeraldo.

Per alcuni secondi, Baal rimase incerto, poi, però, la determinazione tornò sul suo volto, "Sia, fatevi pure avanti tutti assieme, sarete spazzati via dalla mia Supernova!", ruggì, rilasciando l’accecante attacco.

"Antares, trova il tuo bersaglio! Finisci il nemico!", ordinò di rimando Ascanus.

I cosmi degli undici cavalieri sembrarono unirsi in una gigantesca freccia, che passò attraverso l’immensa esplosione di luce, perdendo lentamente strato su strato, diventando da un’ampia freccia di roccia, luce e foglie, lentamente un’unione di ben più distinti poteri, che, come foglie di un albero, parvero disperdersi lentamente, ogni nuovo passo compiuto verso il bersaglio, finché, alla fine, non rimase solo la rossa scia della cuspide.

Non ebbe tempo Baal di rendersi conto di come i dieci cosmi dei compagni stremati avessero avuto l’utilità di disperdere il potere della Supernova e proteggere l’avanzata della cuspide, troppo velocemente l’ago di Scorpio oltrepassò il petto dell’uomo che si era cibato del potere di Shamash.

Un ultimo sussulto, solo quello rimase al Sovrano Dorato, prima di cadere sulle proprie ginocchia e spirare, abbandonando il proprio corpo al pari del sangue, che, senza più freni, sfuggì dall’uomo, invadendo lo spiazzo di Anduruna.

Le forze, però, abbandonarono anche i cavalieri lì presentì, che caddero al suolo.