Capitolo 33: Amicizia

Fu il dolore a svegliarla, il dolore ed il rumore, ma non ebbe la forza di aprire gli occhi, anzi, come poté presto rendersi conto, non aveva la forza per muovere alcun muscolo, già respirare era per lei uno sforzo continuo e meno che mai piacevole; sentiva dei passi intorno a lei, passi che poteva riconoscere, senza sforzarsi di guardarli, tanto era la confusione nella sua testa, dai rossi capelli.

Così si sentiva Dorida della Sagitta, mentre cercava di riconoscere le due voci che iniziarono a parlare, all’interno della sala dove fino a poco prima aveva combattuto.

"Questo è ciò che resta di Nanaja, l’ultima degli Appalaku, se escludiamo Sire Baal…", osservò una voce maschile, mentre il rumore di alcuni passi sembrava provenire dall’ultimo luogo in cui, quando l’aveva trapassata con la Freccia Cadente, aveva visto riversarsi il corpo della nemica.

"Una fine più che degna per una traditrice quale lei era.", osservò, con finta durezza, una voce femminile, che, stranamente, alla sacerdotessa guerriero parve nota.

"Se non ti conoscessi, penserei quasi che il risentimento detta queste parole…", replicò ironico l’uomo, camminando ancora nella stanza.

"Questa guerriera, invece, non so chi sia, ma, a giudicare dalla maschera che indossa, credo sia un’altra degli stranieri che hanno invaso Accad.", suggerì il maschio, che di sicuro, immaginò Dorida, stava parlando della sua maestra, Bao Xe della Musca.

"Dovremmo finirle…", suggerì il misterioso individuo, "No.", affermò decisa la voce femminile, "Speri che ti rivelino qualcosa? Perché non correre allora alla fine di questi scalini? Non hai avvertito anche tu il cosmo del Principe Sin, intento in una battaglia con gli altri stranieri, almeno fino a qualche istante fa…ora pare che più nessuno combatta.", concluse l’altro.

"Speri che il Principe Sin ci dica la verità?", incalzò allora la ragazza, "Dubiti di lui?", domandò di rimando il maschio, prima che un sospiro di preoccupazione echeggiasse, proveniente dalla voce femminile e brevi passi incidessero verso la posizione del ragazzo.

"Non lo so, non so più di chi fidarmi; già scoprire che fra gli Ummanu si nascondevano dei traditori è stata una sorpresa troppo amara, una sorpresa con cui io stessa, come te, mi sono scottata. Nanaja, Mummu… e chissà chi altro… se i traditori fossero ancora vivi? Non abbiamo trovato tutti i corpi, solo alcuni; quelli di Beletseri, di Sire Enlil, di Nedu, di Girru e Kusag ed infine quello di Arazu.", enumerò, mentre la preoccupazione faceva posto alla disperazione, nella voce di lei.

"Sire Marduk sta tuttora combattendo, contro un cosmo incredibilmente potente, che potrebbe appartenere al divino Shamash, anche se non riesco a comprendere ciò possa essere possibile, come il Re Giusto possa aver ingaggiato battaglia con il Divino Giudice.", continuò la voce femminile, "Lo so bene, i fatti successi, e quelli ancora in corso, sono così assurdi che quasi non voglio credervi, ma le ferite che abbiamo riportati sono segni della realtà in cui siamo stati gettati, come granelli di sabbia nella tempesta.", cercò così di consolarla l’altro, "Se, però, ti fidi di quanto quella guerriera dai capelli rossi potrebbe mai dirti, allora lasciamo che parli, che ci riveli la verità, almeno quella che lei considera tale, poi decideremo il da farsi.", concordò con tono rassicurante.

Il rumore di passi tornò ad echeggiare nelle orecchie della sacerdotessa d’argento, passi che si avvicinavano a lei, incapace di muoversi, "Ho avuto modo di conoscere questa guerriera, so che è votata alla giustizia ed alla pace, in un modo forse diverso dal nostro, o sotto divinità differenti, ma di certo non sarebbe potuta essere alleata delle traditrici.", spiegò la voce della ragazza, ora sopra alla giovane spagnola, con la propria presenza.

Un cosmo, noto come la voce, si espanse allora intorno alla giovane allieva di Bao Xe, "Svegliati, Dorida della Sagitta, è tempo di ritornare dalle tenebre in cui eri precipitata dopo lo scontro con Nanaja, tempo di rivedermi e parlare con me, di svelarmi la verità degli avvenimenti di questi due giorni, e di quelli precedenti.", sussurrò la ragazza.

***

"Ciò che ti interessa ancora vedere so cos’è, guerriera, la morte di Adapa.", così aveva detto Sin di Kur, il Principe Rosso, colpevole di aver tradito gli Ummanu di cui egli stesso faceva parte, portando alla morte di molti di loro, fra cui proprio il giovane Appalaku di Oannes, il primo a cadere, il primo della cui sorte i cavalieri d’argento furono accusati.

E proprio dinanzi ad un cavaliere d’argento il figlio di Enlil parlava: Gwen del Corvo, la sacerdotessa capace di sondare i ricordi dei nemici mediante una delle sue tecniche segrete, il Volo Nero, che nei più profondi meandri della coscienza umana sapeva giungere, rivelando alla sacerdotessa di Atena i segreti di chi gli era innanzi.

Fu così che la scena mutò fra i due avversari, non più la tenda dorata di Baal, dove si era sancito il vile patto d’alleanza, bensì le vastità del deserto, solo roccia e pietra, a far da contorno alla corsa di una giovane figura dalle vestigia parzialmente distrutte, Adapa di Oannes.

Gwen non lo aveva mai visto, né aveva intravisto il cadavere giorni prima, nei ricordi di Aruru di Golem, ma mai aveva avuto modo di incontrarlo, solo i racconti dei compagni, specialmente di Wolfgang sul loro duello, gli avevano dato un’idea di quel giovane Ummanu che, adesso, ai suoi occhi più che un guerriero sembrava un fanciullo ferito e spaventato.

Non era però terrore quello che lesse negli occhi del ragazzo, quando si fermò, bensì senso di colpa, odio verso se stesso per l’impotenza con cui era stato prima sconfitto e poi surclassato, tanto da aver bisogno dell’aiuto di Sin per salvarsi dai misteriosi invasori. Proprio alla vista del Principe Rosso, il giovane Appalaku si fermò d’istinto, riprendendo fiato.

"Tutto bene, giovane Adapa?", chiese con voce ferma l’Annumaki, "Sì, Nobile Sin, tutto bene, ho giusto qualche ferita, ma niente di grave, la ringrazio…di tutto.", disse semplicemente l’altro, inchinandosi leggermente dinanzi al Principe.

"Non c’è bisogno di tante riverenze verso di me, ragazzo, non sono certo così attento all’etichetta come mio padre, o gli altri Sovrani.", aveva replicato con un sorriso l’Ummanu di Kur.

Accennò ancora una volta un inchino l’allievo di Ea, prima di rendersi conto di qualcosa che pareva essergli sfuggito, così, si guardò intorno, preoccupato.

"I nemici? Dove sono i cavalieri di Atena?", chiese preoccupato il giovane Adapa, "Ritirati. Avevano un ferito, inoltre, non hanno bisogno di inseguirci, sanno chi siamo e quale meta abbiamo.", spiegò con fare tranquillo l’Annumaki.

"Perché? Perché avete detto tutto a questi nemici, nobile Sin?", domandò all’istante l’Appalaku, che non comprendeva come mai il Principe avesse, apparentemente senza subire alcuna ferita, confessato notizie che lui aveva difeso a rischio della propria vita.

"Mi sembra ovvio… tu non gli hai detto niente, ho dovuto parlare io.", osservò con un sorriso tranquillo Sin, lasciando sbalordito Adapa, che indietreggiò di qualche passo.

"Cos’è quello sguardo? Non comprendi forse? È per questo che Baal ti ha scelto: eri il più debole da mandare a questo primo ingaggio, un piccolo e debole ragazzino, per di più così caro agli Anunnaki, lo stesso motivo per cui ti ha accettato fra le sue schiere, usarti come capro espiatorio, come mezzo di scambio.", continuò a raccontare il Principe, mentre ancora il ragazzino indietreggiava.

"Scambio…?", balbettò spaventato Adapa, trovandosi d’improvviso fermato da qualcosa di rigido.

"Scambio, piccolo, la tua vita per una guerra, contro qualsiasi nemico si fosse presentato a noi, nella fattispecie, i cavalieri di Atena, che, per quanto non mi sembrano poi così minacciosi, di certo saranno una sfida sufficiente per distrarre Marduk ed Enlil, mentre decimiamo le loro file.", rispose la voce di Sin, alle spalle dell’Appalaku.

Voltatosi, il giovane Ummanu di Oannes vide dinanzi a se la rossa sagoma delle vestigia di Kur, con il loro padrone all’interno, brillante d’energia cosmica, "La luna è alta in cielo, bianca e pronta per reclamare una vita.", sussurrò divertito il Principe.

"Perché, Nobile Sin?", balbettò l’Appalaku ancora, indietreggiando di nuovo, nel verso opposto, "Per creare un nuovo ordine! Sii felice, piccolo Adapa, la tua morte porterà ad una nuova rinascita, tu sarai il primo di tanti martiri, che cadranno per il bene degli Ummanu, ben presto Zisutra ed Etana, Ea e Marduk, mio padre, gli Anunnaki ed Annumaki tutti ti faranno compagnia.", assicurò il Principe Rosso.

A quelle parole, a quelle minacce sulle persone care e su tutti i suoi alleati, il guerriero di Oannes fu come scosso da nuova determinazione e scagliò un’ondata di correnti cosmiche, che sferzò l’immagine di Sin, fino a disperderla.

Non ci fu più niente poi, solo un leggero rumore, uno scricchiolio, Adapa chinò il capo, osservando il proprio petto dove ora era nato un foro, ancora fumante d’energia cosmica.

Cadde in ginocchio il ragazzo ed il sangue iniziò a sgorgare, mentre Sin si portava davanti a lui, sorridente, "Dirò loro che di certo non hai sofferto… che hai perso, sconfitto dalla tua incapacità prima che dal nemico, farò in modo che tutti si sentano colpevoli, che si gettino come falene sul fuoco, rischiando tutto e sacrificando se stessi contro dei nemici che nemmeno immaginano. Non i cavalieri saranno a loro avversi, bensì io, Arazu, Erra, Nanaja, Mummu e Baal, il tuo sovrano, che tanto amorevolmente ti ha sacrificato.", concluse il figlio di Enlil, appoggiando il dito nella ferita che aveva appena procurato all’Appalaku.

Ci fu un’ultima esplosione d’energia cosmica ed in un acuto urlo di dolore, Adapa spirò, con gli organi dilaniati dall’interno per l’espandersi del cosmo nemico.

A quel punto, l’immagine si fermò e l’eco di Adapa si perse nel nulla. "Un colpo di genio, devi ammetterlo! Colpire lì dove avevo già infierito, producendo una dolorosa, per quanto rapidissima, morte a quel piccolo ed insulso Appalaku, sacrificandolo per rendervi nemici agli occhi di tutti gli Ummanu.", si complimentò così, con se stesso, Sin, rivolgendosi a Gwen del Corvo.

"Ora, però, ragazza, è tempo di concludere questo viaggio, nel viale dei ricordi, è tempo di tornare alla battaglia!", urlò, lasciando esplodere il proprio cosmo.

La sacerdotessa di Atene era troppo debole per il susseguirsi degli scontri, solo mantenere la concentrazione, in quel frangente, era per lei incredibilmente difficile, ancor di più se l’altro si opponeva alla sua presa psichica, fu così che il Volo Nero si perse, riportando i due avversari sulle scalinate di Anduruna.

Fu il Principe Rosso il più lesto, prendendo per il collo la sacerdotessa e scagliandola con violenza contro un impreparato Wolfgang dei Cani Venatici, schiantandoli entrambi al suolo, privi di sensi ormai, per la fatica degli attacchi.

Ora, dinanzi all’Annumaki, si trovavano solo quattro nemici, giacché anche Husheif era ancora al suolo ferito: Damocle di Crux, Leif di Cetus, Zong Wu dell’Auriga e Menisteo di Eracles.

La battaglia finale stava per iniziare.

***

Erano diversi minuti, forse quasi un’ora, che era immobile, schiacciato da una forza che nemmeno il suo cosmo riusciva a vincere, una forza che stava cercando di contrastare da quando si era trovato catapultato in quella sala. Eppure niente sembrava aver ragione di quel potere, niente sembrava aiutare Marduk della Corona nel vincere contro Baal, il Sovrano Dorato.

Ci erano voluti diversi minuti per capirlo, ma ormai ne era certo, il Re degli Anunnaki, la presa del traditore non era di natura psichica, anzi, non poteva nemmeno definirsi una presa, era qualcosa di differente, era una spinta, un peso.

Non se ne era reso conto, quando lo aveva attirato a se, riportando anche le due ante della sala a chiudersi, ma ormai, dopo una così lunga pressione distribuita sul suo corpo, intenta quasi a schiacciarlo contro un muro, lo aveva capito: quello che il fautore di quei tradimenti esercitava su di lui era pura e semplice forza di gravità.

Sembrava assurdo, se ne rendeva conto Marduk stesso, eppure Baal, seduto di nuovo sul suo trono dorato, che lo osservava così come un uomo osserverebbe una formica, stava esercitando contro di lui semplice forza di gravità, schiacciandolo contro una parete, crepando la superficie stessa del muro, tanta intensa era quella pressione, tale da spezzargli il fiato costantemente. In lontananza, aveva avvertito il cosmo di Nanaja e di alcuni degli stranieri esplodere, per poi fermarsi all’improvviso, anche lo scontro di Sin con gli altri guerrieri ellenici sembrava essere in stallo.

Improvvisamente, se ne accorse: due nuove presenze, qualcosa di famigliare, che tardò a riconoscere, ma che, appena riuscì ad identificare, lo fecero sorridere, "Sono vivi…", balbettò, con lacrime che uscirono spontanee dai suoi occhi.

"Il tuo difetto più grande è sempre stato questo, Sovrano di Smeraldo.", esordì allora Baal, alzandosi in piedi, mentre la pressione sull’Anunnaki iniziava a diventare ancora maggiore.

"Sei così legato ai tuoi seguaci, agli Ummanu tutti, così debole per questa unione, che ti rende ossessionato, preoccupato, distratto!", lo accusò ancora il Sovrano Dorato.

"Come puoi definire il legame fra un Re ed i suoi seguaci una distrazione? Una debolezza?", domandò offeso Marduk, faticando anche solo nel parlare.

"Ha altro nome questo legame? Se tu non fossi stato accecato dalla preoccupazione per i tuoi guerrieri che combattevano lungo le strade di Accad, avresti potuto comprendere, e loro prima di te, che non era stata una mano straniera ad uccidere Adapa, bensì quella di Sin.

Se non fossi stato reso distratto dalle morti di Mummu ed Ea, avresti compreso come ciò che ti veniva mostrato del secondo era strano: come poteva essere morto dopo aver lui stesso abbandonato le vestigia, per di più sotto torture? Hai sottovalutato le capacità di giudizio del tuo maestro, perché eri distratto.", sottolineò divertito Baal, compiendo qualche altro passo in avanti.

"Distratto? Il dolore per le perdite è forse una distrazione? È umano soffrire quando amici e compagni vengono a mancare, quando sei solo, privo di ogni persona fedele, o anche dell’ultimo degli alleati!", ammise infuriato Marduk, ringhiando a denti stretti il proprio disprezzo per la logica dell’avversario.

"Eppure, guardami. Io non soffro, ma ho appena perso la mia celebrante, colei che sapeva tutto dei miei piani, che avevo reso parte di me, con estremo piacere di entrambi, e su cui affidavo molte speranze, per portare a termine questo progetto. Ora Nanaja è cenere, lei che tanti nemici aveva spazzato via in mio nome, è caduta, ma questo non mi disturba, non mi dà problema alcuno, poiché ho il potere per riunirmi alle divinità mie simili!", spiegò con calma Baal, "Non mi distraggo, non sono cieco alla battaglia di Sin, alla tua volontà di rivolta, alle nuove presenze che si sono fatte largo in questo piano di Anduruna, nuove presenze che schiaccerò come tutte le altre.", concluse sicuro l’Appalaku.

"Non te lo permetterò, non potrai!", ringhiò di rimando Marduk, colpito stavolta dalle minacce, da quella decisione di sradicare anche ciò che aveva ritrovato, una decisione che vedeva limpida ed incontrollabile nelle parole, e nello sguardo gelido, del nemico.

In uno scatto di disperazione, dando fondo a tutta la volontà che restava al suo corpo, al cosmo che fino ad ora aveva cercato di dirigere verso quella pressione per scacciarla, il Sovrano di Smeraldo si lasciò andare ad un urlo che ben poco aveva di nobile, ma trasmetteva tutto l’affetto che al giovane Re era stato in quei giorni rubato, affetto che più non si sarebbe fatto strappare di mano senza combattere. Al pari dei cavalieri stranieri, che sentiva di nuovo accendere i loro cosmi, già da qualche minuto, all’esterno della sala.

La luce delle vestigia verdi sembrò accecante, "Smeraldi della Corona! Brillate di Speranza!", urlò pieno di forze, che credeva ormai perse, il Sovrano, lasciando esplodere il proprio attacco.

Da ogni dove quei fasci di luce proruppero, senza riuscire a deviare la pressione dettata da Baal sul corpo del Re, ma distruggendo la parete alle spalle dell’Anunnaki, che, d’improvviso, si ritrovò accarezzato dalla calda brezza del mezzogiorno, in piedi sulla terrazza più alta di Anduruna, con il proprio nemico che lo guardava, non privo di sorpresa.

"Dunque avevi ancora fuoco sulla tua tenue candela, Re di uomini? Ebbene, vedrò di estirparlo, sciogliendo rapida come cera la tua vita dinanzi allo splendore del caldo Sole di Accad, dinanzi al mio splendore!", urlò l’Appalaku, lasciando esplodere il proprio cosmo, che lo circondò, affogando nella luce l’interno della sala.

"Dimmi, Marduk, sai quale origine ha il nome di cui mi fregio? Sai chi era il dio Baal nelle culture antiche? Signore di diversi regni, dalla Siria ad Oriente, fino a Cartagine in Occidente, lungo tutte le coste dell’Asia Minore e dell’Africa si è sviluppato il nome di questo dio, spesso ricondotto alle forze della natura, in taluni culti, al Sole, che io ora governo! Sovrano di ogni pantheon in cui era venerato, Baal, come effige dell’Astro più lucente aveva un Trono, il Trono dorato su cui sedeva, il Sole stesso.

Ebbene, come la divinità di cui ho scelto d’avere il nome, anch’io, come Sovrano degli Appalaku prima, ed ora come Uomo che è divenuto essere celeste, possiede un simbolo simile! Il mio Trono, le mie vestigia!", concluse, in un crescendo sonoro, la voce del traditore degli Ummanu. Solo allora la luce si affievolì.

Non vi era più il trono dorato su cui, per tre giorni, e prima ancora per molti altri, era stato seduto il Re degli Appalaku, ora vi era solo la figura maestosa di Baal nelle sue vestigia color dell’oro.

Le spalliere erano tondeggianti e calzavano perfettamente a protezione delle spalle, fino a celare il collo, in una forma a cono, egualmente, era una completa difesa il pettorale, su cui era stilizzata l’immagine di un sole, i cui astri si dirigevano verso spalle, cinta e lungo il costato, dove parevano aprirsi, disegnando la sagoma dell’apparato scheletrico.

Le coperture per le braccia avevano un aspetto vagamente simile a due otri, la cui bocca ricopriva i gomiti, decorandoli con immagini di stelle più piccole e lunghe striature, da queste nascenti, che giungevano fino ai polsi.

Medesima fantasia arricchiva i gambali, risalendo dalla caviglia fino alla coscia, dove un gonnellino, costituente la cinta di quelle dorate vestigia, completava l’armatura, adornata, in vita, dai pomelli del trono, che ora costituivano quasi due soli fra loro vicini.

Una corona, infine, arricchiva il capo di Baal, una corona con il medesimo simbolo del sole stilizzato sopra di se.

Ancora una volta, però, il Sovrano Dorato non fece niente di più che espandere il proprio cosmo, aumentando la forza gravitazionale e spingendo verso di se il Re di Smeraldo, che iniziò a sentire calde fiamme che avvampavano dal nemico, pronte a divorarlo.

Subito l’Anunnaki richiamò intorno a se l’ancestrale difesa: il Mitologico Drago brillò di nuova forza coprendo il proprio padrone in un globo verde, contro cui le fiamme di luce dorata andarono schiantandosi. Per interminabili secondi parve a Marduk che il sole stesso fosse sceso su di lui ed ora lo avvolgesse fra le sue calde lingue incandescenti.

"Cerchi forse salvezza in quella tua tecnica, Sovrano di Smeraldo? Speri che quella mitica serpe ti salvi dallo scottarti alla luce del Sole? Ah, folli speranze le tue!", lo ammonì alla fine l’Appalaku, "Certo, Re degli Anunnaki, quello che ti accompagni è un essere d’indubbio valore, dal mito proviene il suo, e quindi anche il tuo, potere, ma cosa può una bestia che agli dei è asservita, contro chi le divinità le rende proprie vittime, schiacciandole sotto il giogo del suo potere? Cosa puoi tu, misero mortale, contro di me, che di questa terra sono l’Unico Sole?", incalzò ancora Baal, espandendo la propria energia.

"La tua è follia!", lo accusò di rimando il giovane Re, "Una follia cui si deve dar termine! È giunto il tempo che tu cada e con te finisca anche il folle proseguir di inganni che avete architettato tu, Sin e gli altri che a voi si sono uniti! Pagherai per gli Ummanu che hai fatto morire in nome di un falso ideale! Pagherai per la blasfemia compiuta nei confronti di Shamash il Grande! Un alto debito hai da saldare, Baal, in questa vita e poi nell’altra!", minacciò Marduk, ora non più sulla difensiva, bensì pronto all’attacco.

"Spire del Mito, aprite i cancelli, che la creatura guardiana sia libera, che possa di nuovo attaccare, aprendo le fauci sull’impuro traditore! Mušuššu! Attacca!", invocò il Sovrano di Smeraldo, liberando il mitologico serpente dalla testa bovina, che con furia si lanciò contro il nemico dorato.

"Ciclo del Sole accelera il tuo corso! Che la dorata stella diventa color del sangue, che la dorata stella diventi più grande! Che le sue rosse fiamme mi proteggano nell’attaccare! Gigante Rossa, rivelati!", ordinò di rimando il Sovrano Dorato, prima che le calde fiamme intorno a lui mutassero.

La luce accecante che lo circondava, aumentò d’intensità, mutando verso il rosso colore del sangue, espandendo il cosmo dell’Appalaku, che cozzò feroce contro l’avanzata del mitologico serpente.

Così rimasero i due guerrieri, intenti in un confronto fra quanto di più antico e celeste vi fosse in cielo.

***

Avevano davanti un nemico comune i quattro cavalieri d’Atena ancora in piedi: Sin di Kur.

Il primo di loro ad attaccarli fu il santo di origini cinesi: quando, infatti, Gwen e Wolfgang caddero al suolo, la prima schiantata contro il secondo, subito due dischi d’argento volarono verso l’Annumaki, oltrepassandone il vacuo corpo; di nuovo l’Illusione del Novilunio aveva rivelato il proprio uso difensivo.

Non vi fu sorpresa per i santi di Atena, solo dubbio su dove il nemico sarebbe riapparso, non si fecero però cogliere impreparati, poiché nel breve tempo in cui le memorie del Principe Rosso e della sacerdotessa del Corvo erano state condivise, avevano potuto elaborare un piano, un’idea, forse, ma sufficiente per tentare.

Si mossero, infatti, all’unisono i quattro cavalieri, portandosi spalla contro spalla nel medesimo punto in cui già Sin era scomparso.

"Mugen Gin!", urlò per primo Zong Wu, lanciando diversi dischi argentei contro la scalinata che li avvicinava alla porta, dove già il cosmo di Marduk si avvertiva più combattivo.

"Diamond Dust!", fece subito eco Leif di Cetus, scatenando la Polvere di Diamanti verso la parete sulla sinistra del piccolo quadrangolo di guerrieri.

"Lux Crucis!", invocò subito dopo Damocle, lanciandosi verso la parete opposta, la stessa vicino cui si trovavano i corpi feriti dei compagni per ora privi di sensi.

Con un urlo eguale, invocando la Sfurì Dunames, anche Menisteo di Eracles si gettò in avanti, scatenando il proprio attacco verso le scalinate che si dirigevano verso il luogo dello scontro con Nanaja, dove due nuove entità cosmiche si erano presente, a lui entrambe sconosciute.

I colpi, però, andarono tutti a vuoto, prima che una risata echeggiasse sopra le loro teste.

Fu veloce Sin nell’apparire sopra il gruppo di guerrieri e colpire con un secco calcio al viso il santo della Balena, scagliandolo contro la parete che lui stesso aveva congelato, stordito, ma ben più rapido fu Zong Wu nel voltarsi, deviando le dita intrise d’energia cosmica del nemico con il piatto di uno dei suoi dischi argentei.

I cosmi dei due guerrieri, allora, brillarono di accecante energia, che si confrontò a mezz’aria, prima di concentrarsi nella mano libera che ognuno di loro ancora aveva, "Falci di Luna! Dilaniate la preda!", urlò rabbioso il Principe Rosso, "Gin Zan!", fu la secca risposta del cavaliere d’argento.

Lampi di luce argentea e cinerea si scontrarono ancor prima delle lame energetiche, lame che si ridussero vicendevolmente di potenza, prima di cozzare ognuna contro la propria preda: un’ampia ferita si aprì sul corpo del cavaliere dell’Auriga, che volava qualche passo indietro sugli scalini, stremato e sanguinante, ed un altrettanto visibile taglio danneggiò le vestigia del Drago Infernale di Kurnugia.

Sin si ritenne però vincitore da quello scontro di attacchi, data la sorte toccata allo straniero, ma troppo tardi si rese conto che l’assalto avversario non era finito: "Sfurì Dunames!", sentì infatti urlare sotto di se, dalla posizione dove stava cadendo.

Un vortice di aria, mossa dall’energia cosmica, sollevò il Principe Rosso, roteandolo per diverse volte lontano dal suolo, stridendo contro le rosse vestigia, "Crux Argentii!", aggiunse poi una seconda voce, nel momento stesso in cui la furia del vento andava scemando, preannunciando un attacco che aprì un immane varco nelle vestigia di Kur, risollevando in aria il corpo del figlio di Enlil. Corpo che non ricadde a terra, scomparendo nel nulla!

Il cavaliere di Crux era certo di aver raggiunto il bersaglio, il sangue sulle sue braccia ne era traccia tangibile, ma lo stesso questi aveva avuto la prontezza di usare la propria tecnica illusoria, scomparendo alla vista dei nemici.

Per interminabili secondi, Menisteo e Damocle si guardarono l’uno con l’altro, prima che un rumore li attirò ad osservare verso il basso, lì dove Sin era riapparso. "Mi avete stancato! A lungo vi ho combattuto, ma sembra che, per quante volte vi abbatta, voi vi rialzate di continuo!", ruggì infuriato il figlio di Enlil, "Ebbene, che la luce della Luna illumini per l’ultima volta i vostri lividi corpi! Avete concluso il vostro ruolo in questa rinascita, lasciate spazio a chi darà un nuovo inizio agli Ummanu!", ordinò secco l’Annumaki di Kur, disegnando un cerchio dinanzi a se.

"Cerchio Bianco della Luna! Impera!", urlò secco il guerriero scarlatto, prima che l’immensa ondata di luce cinerea invadesse l’ambiente dinanzi a lui, lanciandosi come una furia sui sette cavalieri d’argento, senza distinzione alcuna per chi fosse ancora in piedi e chi già svenuto.

Un’esplosione d’energia fu la prima risposta a quel immane attacco, un tornado di pura potenza, "Dermaton Liontarides!", le uniche parole che Menisteo riuscì a dire, dando fondo a tutte le forze che restavano nel suo corpo, contenendo con quella gigantesca ondata di potenza difensiva l’attacco nemico.

Alla fine di quello scontro, che ebbe dell’incredibile, poiché sbalzò di diversi gradi i contendenti di tutti e due gli schieramenti, solo stupore restava sul viso di tutte le persone ancora sveglie: Sin, Damocle e Zong Wu, oltre alla stanchezza ed il sudore, che rigavano lo sguardo del cavaliere di origini greche.

Il sorriso del guerriero di origini italiane fu la prima cosa che il massiccio ellenico vide, "Hai dato fondo alle ultime scorte di forza, le tenevi ben nascosto…", si complimentò, con un fare complice che raramente Damocle rivolgeva a qualcuno, cosa che riempì di orgoglio l’altro, che accennò di sì con il capo, prima di poggiare la schiena al suolo.

"Dannati…", ringhiò a quel punto il Principe Rosso, osservando Zong Wu che si rifaceva accanto al compagno italico, oltrepassando Menisteo, cui rivolse un cenno del capo, per ringraziarlo, ed un sorriso amichevole.

Ora solo due cavalieri d’argento erano in piedi dinanzi al nemico, eppure il figlio di Sin non vide mai così lontana la vittoria ed il proprio trionfo come in quel momento: li aveva colpiti, più e più volte, sanguinavano copiosamente dai loro corpi, erano privi ormai di armature, ma ancora resistevano, ancora, ad ondate, si rialzavano, gli uni dopo gli altri, rivelando forze che mai, dinanzi a corpi così mal ridotti, lui avrebbe creduto fossero presenti.

"Cosa vi fa ancora combattere? Che cosa vi spinge a rischiare le vite fino a questo punto?", domandò rabbioso, ma, altresì, perplesso da tali virtù guerriere.

"Giustizia e Pace muovono i nostri passi ed i nostri pugni, la volontà di impedire che ancora il mondo sia segnato da guerre, come quelle che per ora lo dilaniano.", affermò Zong Wu, la cui mente corse rapida alla sua terra natia, la Cina, segnata da quella che, la storia, avrebbe ricordato come la Rivolta dei Boxer.

"Ed oltre ciò, una silente promessa di lealtà verso i compagni che con noi rischiano la vita e chi ci hanno affidato la loro fiducia, di non sprecare il loro sacrificio, di fare in modo che le ferite che li dilaniano non siano state futili.", concluse poco dopo, ripensando alle battaglie vissute in quei giorni.

"Tutte cose che tu, progenie regale, non conosci e mai conoscerai!", lo accusò subito dopo Damocle, "Tu, che hai sacrificato tuo padre, la tua stessa gente, l’amor di patria per cosa? Per ottenere un potere che avresti ereditato comunque! Non ho mai disprezzato chi di regali origini poteva far vanto, ma, nel tuo caso, definirti più che un vile traditore, sarebbe come coprire con un mantello rosso ed oro una palude!", lo apostrofò con uno sguardo di superiorità nei confronti di quello che si vantava d’essere un Principe, oltre che la genesi di un nuovo ordine per quelle terre.

"Pace? Giustizia? Lealtà per i compagni? Parlate di cose futili! Placebo con cui si ingannano le menti deboli, poiché, alla fine, ciò che realmente serve ha un solo nome, ciò su cui si fondano questi vostri principi non ha valore senza quello che io possiedo: il potere!", ruggì di rimando Sin, "Cosa me ne faccio di un padre, se questi non mi ha mai concesso il minimo rispetto, non mi ha dato ciò che mi spettava! Un regno su cui dominare! No, di sabbie e villaggi distrutti lui era il Sovrano e quella sarebbe stata la mia eredità, quello il regno che avrei stretto nel pugno, vedendolo scivolare via! No, non ho bisogno di amici e compagni. La pace e la giustizia, poi, sancirò io quali saranno, non altri oltre me potranno dire cosa è bene e cosa male! Io deciderò chi vive e chi muore!", esclamò, in preda alla rabbia, espandendo subito dopo il proprio cosmo, pronto alla battaglia.

I due cavalieri non furono da meno, espandendo allo stremo i loro stanchi cosmi e lanciandosi alla carica del comune nemico.

Rapido partì un taglio a croce dalle braccia del cavaliere di Crux, segnando l’aria, poiché già il nemico s’era spostato, sfruttando l’Illusione del Novilunio, ma altresì furono lesti i due guerrieri a poggiarsi spalla contro spalla, facendo un fronte unito sui lati.

Zong Wu, allora, prese in mano due dischi argentei, "Maestro, spero che i vostri insegnamenti quest’oggi diano i frutti desiderati…", pregò fra se il cavaliere, lanciando le due armi taglienti verso i fianchi opposti della sala, lungo la scalinata che saliva verso la porta, subito seguiti da altri due, lanciati verso le scale che scendevano in basso, ed altri, diretti verso il soffitto.

Damocle non osservò l’azione, osservando stupefatto i dischi, che sembravano comandati dalla volontà stessa del compagno d’arme, evitando gli altri parigrado, per quanto rapidi e veloci si spostassero lungo le vastità di quel corridoio di scale, volgendosi dall’una e poi dall’altra parte, spazzando l’aere immenso.

Sordo fu poi il suono di uno dei dischi, che andò a cozzare contro qualcosa, lì dove vi era il nulla, suono che fu rivelatore della presenza di Sin, riapparso, sorpreso ma illeso, qualche scalino più in basso rispetto ai due cavalieri.

"Crux Caelium!", esclamò di scatto Damocle, lanciandosi in un rapidissimo attacco, tanto che, nel bagliore di quel movimento, l’Annumaki non riuscì ad utilizzare la propria difesa, fu anzi oltrepassato dall’attacco, che ne dilaniò le vestigia ormai danneggiate, ferendolo gravemente al petto.

Concluso l’attacco, però, la stanchezza vinse anche il cavaliere d’argento, che cadde al suolo, barcollante, mentre il nemico indietreggiava, tenendosi il petto con una mano e, stretti i denti per non urlare di dolore, concentrava il proprio cosmo nella mano sinistra, "Falci di Luna, segnate il suo destino!", ringhiò in un soffio. Solo la buona sorte, e le ferite riportate da Sin, impedirono che i due fendenti, colpissero a morte il santo d’argento, infierendo sulla schiena di lui, ma senza affondare nelle carni tanto da procurargli la morte.

Si volse, Sin, verso l’unico nemico ancora in piedi: Zong Wu, che stremato si reggeva appena sulle gambe, tanto lunga e dura era stata per lui la battaglia, anzi, le battaglie di quei giorni. Questa consapevolezza, sapersi più fresco del nemico, per quanto egli fosse motivato, dava ancora sicurezza al Principe Rosso, che espanse nuovamente il proprio cosmo, lasciandolo scivolare sulle lunghe ed ormai sporche dita.

L’esplosione di due cosmi maestosi, giunti a livelli d’intensità incredibile, rapì per qualche attimo l’attenzione del figlio di Enlil, come anche quella del suo avversario: erano i cosmi di Marduk e Baal, nella stanza antistante, mai avrebbe creduto che un tale potere risiedesse in quei due uomini, eppure ora lo avvertiva e ne era terrorizzato ed elettrizzato assieme.

Terrorizzato dal potere del Sovrano di Smeraldo, che poco prima lui stesso aveva provato su di se, ma elettrizzato dalla potenza di colui che s’atteggiava ad un dio e che, in fondo, ne aveva anche il diritto date le sue virtù guerriere.

Altre presenze, però, furono allora note all’attenzione del Principe Rosso, troppo intento nello scontro fino a quella breve pausa, presenza che provenivano dalla sala sottostante, dove più non sentiva Nanaja, bensì dei cosmi che faticò a riconoscere, ma subito produssero in lui una preoccupazione calcante.

"Sembra che nuovi nemici presto si faranno avanti nel mio percorso per la vittoria; pecche in un piano che credevo perfetto, almeno fino a stamattina.", osservò Sin, più con se stesso, in una nota di disappunto, prima di volgersi verso il cavaliere dell’Auriga, "Questo mi spinge a chiudere ancora più velocemente la battaglia con voi, straniero.", sentenziò con voce decisa, espandendo il suo cosmo, nel disegnare la figura della luna piena.

"Cerchio Bianco della Luna! Compi il tuo dovere!", urlò deciso il Principe Rosso, scatenando l’attacco.

Zong Wu nemmeno vi pensò, non ne aveva il tempo, inoltre sapeva bene di non possedere alcuna tecnica difensiva degna di tal nome, no, l’unica cosa che poteva fare era lanciarsi in avanti, lì dove il raggio d’azione dell’attacco nemico era più ridotto, lì dove un confronto fra i loro colpi avrebbe danneggiato solo lui e l’Annumaki, così avrebbe salvato di certo i compagni e lasciato il resto a loro.

"Rozan Ginniryuha!", sembrò quasi supplicare nell’attaccare con i due draghi d’argento, una silenziosa preghiera fatta ad Atena, che lo aiutasse a vincere con le ultime forze che aveva in corpo l’avversario, che gli permettesse di salvare gli altri, prima che se stesso.

Lo scontro fra le due energie fu eccezionale, così come quello che poco prima aveva avuto l’attacco di Sin contro le difese di Menisteo, ancora una volta la forza di volontà e l’unione che in quei pochi giorni si era formata fra un gruppo di guerrieri stava, assieme alla sete di giustizia, dando fondo a capacità che sembravano non esistere, ma che, in realtà, si trovavano nel profondo di quel gruppo di eroi.

Zong Wu, in quello scontro di forze, già si sentiva le carni dilaniate, la vita pronta ad essere recisa, quando, inaspettatamente, due voci echeggiarono intorno a lui.

"Klubi Nematon!", disse la prima, ed una rete d’energia cosmica circondò il cavaliere cinese, che vide accanto a se il guerriero di Reticulum e, con lui, un’altra figura poco più lontana, che puntava le mani verso Sin.

Fu proprio il Principe Rosso il primo a sentire le altre parole, "Kolito!", un ordine che bastò a rinchiuderlo, per alcuni secondi, con degli anelli di ghiaccio, impedendogli di fare ulteriore forza sul proprio attacco, lasciando che esplodesse contro i draghi argentei, travolgendo tutti i presenti.

Gli anelli di ghiaccio andarono in pezzi sotto la furia dei due draghi argentei, danneggiando ancora di più le vestigia del Drago Infernale, ma, dopo essere caduto per diversi scalini, sentendo una voce femminile che raccontava verità, che mai avrebbe immaginato potessero giungere alle orecchie delle sue vittime, Sin si rialzò.

Una volta in piedi, il Principe Rosso vide, con sua estrema gioia, che i tre che lo aveva attaccato, Zong Wu, Husheif e Leif, erano al suolo, nuove ferite, per quanto più sottili grazie alle difese di Reticulum, si erano aperte sui loro corpi, pesi troppo gravi perché quelle membra stanche potessero ancora contenerli.

"Vittoria! Alla fine sono tutti al suolo! Il canto del cigno è stato per loro eseguito! È tempo che cali la notte e con essa la Luna!", ruggì soddisfatto, pronto a colpire di nuovo, certo che nessuno stavolta lo avrebbe fermato.

Quando, però, già il simbolo del Plenilunio si stava tingendo nell’aere, pronto ad infierire sui nemici stremati, un urlo animalesco, interruppe Sin, che fu subito travolto da una gigantesca, quanto disperata figura: Menisteo di Eracles.

Per alcuni secondi i due combattenti rotolarono sulle scalinate, prima che il Principe Rosso colpisse in volto il nemico con la corona di zanne, ferendolo agli occhi, annebbiandogli così la vista, poi bastò un violento calcio per rigettarlo indietro, scagliandolo in un’alta parabola, che finì fra i compagni cavalieri stremati.

"Dannato gigante, cosa speravi di fare?", ruggì, rimettendosi in piedi, l’Annumaki.

"Avere ragione di te…", sussurrò il cavaliere d’argento, rialzandosi, espandendo ancora il proprio cosmo, "Dunas Eraclides!", urlò subito dopo, prima che dei vortici d’energia ne circondassero gli arti feriti.

Con un balzo inumano, Menisteo si gettò contro il nemico, scatenando la violenza della corrente di vento dal proprio corpo, che prese alla sprovvista Sin, incapace di sollevare la propria illusoria difesa.

La furia del santo di Atena, però, fu anche favorevole all’Annumaki, che lesto allungò la mano destra nella zona ferita precedentemente della spalla, lasciando esplodere il proprio cosmo all’interno della stessa, mentre già delle ferite lo segnavano, nel confronto con la possente determinazione del cavaliere di Eracle.

Non vi fu, però, per nessuno dei due il tempo di urlare: spinto dalla forza della disperazione, Menisteo mosse il braccio ancora sano contro l’avversario, scatenando per intero la potenza del proprio attacco, trovando il cosmo nemico a difesa dello stesso, difesa inutile, come lo furono le vestigia di Kur, che andarono perdendosi in piccoli frammenti dinanzi alla potenza di Ercole.

Se avesse avuto la forza di parlare, di certo il cavaliere avrebbe citato il duello fra l’Idra di Lerna, o quello presso il giardino delle Esperidi, ma la voce gli fu stroncata dalla fatica e dalla controffensiva nemica: Sin, infatti, non rimase immobile a subire il colpo, bensì lesto disegnò due semilune dinanzi a se, scatenando le Falci di Luna, che volarono, in cinerei bagliori, contro la testa del nemico, recidendo la carotide e strappando per intero muscoli e ossa delle braccia, che, ormai prive di sostegno, caddero come carne decrepita ai fianchi del corpo del cavaliere.

"Ed ora, addio!", ruggì il Principe Rosso, ma, prima che potesse finire l’avversario, questi lasciò esplodere per l’ultima volta il proprio cosmo in una devastante deflagrazione, un’ondata d’energia senza pari, che simile ad un ciclone furibondo, attirò a se persino le pareti del corridoio, facendole in parte crollare, mentre i santi d’argento svenuti si risvegliavano.

"Menisteo!", urlò per primo Damocle, riconoscendo il compagno d’arme ed allenamenti in quel vortice impenetrabile, "Cavaliere di Eracle!", esclamò Wolfgang per primo, subito seguito dagli altri.

"Lasciami dannato!", ruggiva intanto il Principe Rosso, ma nessuno aveva orecchie per le sue suppliche, mentre la voce, ormai stremata del santo d’argento, s’espandeva attraverso il cosmo che tutto attorno a lui ed il nemico vorticava, comunicando ai compagni i suoi pensieri.

"Damocle, Husheif, per me siete stati dei veri amici, tanto quanto il giovane Vincent, con cui mi addestrai sotto le direttive del buon Degos di Orione.

Ve ne prego, raccontate al mio maestro che sono morto combattendo per Atena, per la giustizia e per i compagni ed amici che avevo vicini a me.", furono le prime parole, che giunsero ai cavalieri di Crux e Reticulum.

"Cavaliere, potrai dirglielo tu stesso! Arresta il tuo cosmo, fermati, lo vinceremo, tutti assieme!", supplicò allora Gwen, facendosi avanti di qualche passo avanti, fermata da un gesto di Husheif stesso, che in silenzio osservava, come i compagni, quel momento di commiato.

"Già ve lo dissi contro Girru, mio compito è supportarvi, farvi concludere la vostra missione; non solo questo però mi guida, il desiderio di giustizia, di certo, ma anche il rispetto che ho sviluppato per voi, che non conoscevo, così come per le due sacerdotesse che sono rimaste indietro e per i miei amici cari, tutti voi, ormai, siete egualmente compagni degni d’essere salvati con il mio sacrificio e per questo lo farò.

Per Wolfgang dall’abile fiuto, per il gelido Leif, per il saggio ed abile Zong Wu, per l’acido Husheif, per il possente Damocle e per te, gentile sacerdotessa, che tutti voi possiate sopravvivere a questa missione ed alle prossime che seguiranno!", spiegò la voce del santo d’argento.

"Degos, mio maestro, a voi il mio ultimo pensiero, che questo indegno allievo possa avere il vostro rispetto anche dopo aver perso la vita, per vincere un nemico tanto potente.", queste le ultime parole che echeggiarono nell’aria, prima che in un’esplosione di vento, che scagliò indietro gli altri sei cavalieri, Menisteo e Sin si perdessero nel cielo di Accad, sparendo, come una stella d’argento nel cielo, lasciando dietro di loro solo un caldo vento, carico di sentimenti contrastanti, come erano contrastanti i caratteri dei due nel momento del massimo sacrificio, per l’uno, e della più sonora ed assurda sconfitta, per l’altro.

Così perse la vita Menisteo di Eracle, cavaliere d’argento di Atene.