Capitolo 30: La Fine degli Inganni
Era corso via in pochi attimi Marduk, il Sovrano di Smeraldo, non si era più curato dei cavalieri d’argento, lasciati alla base di quella lunga scalinata, immobili, quasi sorpresi da quei pochi secondi di silenzio del loro avversario che, ripresosi dalla tecnica di Gwen del Corvo, sembrava aver finalmente scoperto la verità ed essersi lanciato alla ricerca della propria vendetta.
"Almeno ora si combatteranno fra loro, noi potremo portare a termine la missione…", osservò con voce pacata Damocle di Crux, il primo a parlare fra i santi di Atena, ancora abbastanza confusi, invero, per la rapidità di reazione del Re degli Anunnaki.
"Hai ragione, stranamente; però dobbiamo muoverci, la missione ancora è lungi dall’essere conclusa.", concordò Husheif di Reticulum, rialzandosi ferito dopo lo scontro fra la sua difesa e l’attacco del Serpente Mitologico.
Fu allora che una risata acuta quanto compiaciuta interruppe le riflessioni dei cavalieri di Atena, una risata femminile.
"Globo delle Passioni!", sentirono semplicemente urlare pochi istanti dopo, alle loro spalle, da una voce proveniente dalla stanza antistante, prima che una gigantesca sfera di fuoco sfondasse la porta e travolgesse in pieno il gruppo di cavalieri di Atena, con le proprie calde fiamme.
Il loro percorso non era ancora vuoto di pericoli.
***
Correva lungo la scalinata, Marduk della Corona, correva non preoccupandosi dei nove stranieri che aveva lasciato dietro di se, concentrato sull’unico vero nemico che, da sempre, gli sembrava lo avesse voluto veramente uccidere, l’unica vera minaccia per Accad, Anduruna e gli Ummanu.
Proprio gli Ummanu da quella minaccia erano stati decimati!
Adapa di Oannes era stato il primo a cadere, non per mano di uno degli stranieri, come il loro nemico gli aveva fatto credere, no, per mano di qualcuno degli stessi traditori. E dopo il giovane Appalaku, anche i suoi due compagni avevano fatto la medesima fine, uccisi, messi in mezzo in una guerra che voleva decimare il loro sacro e millenario esercito.
Zisutra di Lamassi aveva accolto con odio gli stranieri alle porte di Accad e da uno di loro era stato vinto con fredda furbizia e grandi abilità; alla pari di lui, anche Etana di Nirah doveva aver trovato la morte in uno scontro leale, data la natura degli stranieri che aveva incontrato, e con cui aveva combattuto, fino a poco prima.
E non solo l’armata dorata era stata massacrata, ma anche quelle degli Annumaki e degli Anunnaki.
Dell’esercito Scarlatto, proprio il loro Sovrano era caduto per primo, spinto dinanzi a degli avversari degni di lode per le loro capacità, avversari che erano riusciti a sconfiggerlo, ma non lo avevano finito, no, uno dei traditori aveva pensato a questo, a colpire alla sprovvista chi in loro aveva fiducia, strappandone via la vita.
E dopo il Re dello Scettro, anche il suo esercito era caduto: per primi Beletseri di Etemmu e Zakar dell’Incubo, in due distinti scontri contro quei cavalieri di Atena, che si erano di certo dimostrati coraggiosi e capaci nel vincere la furia del Deserto dell’una e superare gli inganni mentali dell’altro.
Anche Enki di Zu e Nedu di Magilium contro quei guerrieri avevano trovato la morte, spinti ad affrontarli dagli stessi traditori che consideravano compagni fra gli Annumaki, dei traditori che forse non avrebbero immaginato di essere proprio loro, Erra di Pazuzu ed Arazu di Alu, vittime del medesimo destino cui avevano costretto i parigrado, poiché anche loro erano morti per mano dei cavalieri di Atena.
E come gli Annumaki e gli Appalaku, anche gli Anunnaki erano stati sterminati da quei medesimi inganni e raggiri.
Per primo Aruru di Golem, che si sentiva in colpa per la fine di Adapa, aveva combattuto e perso contro gli stranieri, venendo, però, travolto dalla forza di Enlil dello Scettro, ignaro complice di chi sarebbe stato il suo carnefice.
Poi Ninkarakk di Khuluppu, preoccupata per l’amico d’infanzia, aveva affrontato e perso contro una delle guerriere europee, donandole una cura per le ferite sue e dei compagni, tanto ne aveva rispettato le virtù, per essere, una volta sola, uccisa alle spalle da un attacco di chi credeva amico.
Era stato quindi il turno di Ea di Usma, il suo consigliere, maestro e più caro amico, di affrontare quei nove guerrieri: perse contro di loro, ma ne comprese le giuste azioni ed iniziò a capire la verità dei fatti, prima che il nemico lo raggiungesse ed uccidesse, dopo atroci torture.
Nel frattempo, mentre l’uomo a lui più caro moriva, anche la donna che aveva amato, Mummu di Apsu, perdeva la vita, dopo essersi rivelata lei stessa una traditrice, anche se, ne era convinto Marduk, per quanto lo avesse potuto tradire come Re degli Anunnaki, non aveva mai mentito sui sentimenti provati.
Furono proprio quelle due morti a portare il Sovrano di Smeraldo alla decisione che, inconsapevolmente, maggiormente favoriva i traditori, cosa di cui solo ora si rese conto, maledicendo se stesso!
Nusku del Carro Solare, Girru di Basmu e Kusag di Labbu, gli ultimi residui del suo esercito, tutti caduti, sconfitti dai cavalieri di Atena, le cui doti guerriere erano, ormai, indubbie agli occhi di quello che era un Re senza più un popolo.
Solo la fede negli dei restava a Marduk ed il desiderio di giustizia che si mischiava con la voglia di vendetta, che ben presto avrebbe scatenato sul traditore, sul nemico, su Sin! Niente gli interessava più degli invasori, o di Nanaja, lei sarebbe stata punita da Baal, o addirittura dal divino Shamash stesso, se il rituale fosse stato portato a termine con successo dal Sovrano degli Appalaku.
Solo questi pensieri il figlio di Annu rivolse agli altri Ummanu rimasti in vita, prima che la sua corsa s’interrompesse, poiché aveva ormai dinanzi a se la figura di Sin, immobile, sulle scalinate, a pochi passi dall’ingresso alla sala dove aveva avuto inizio il rituale di Richiamo.
"Che succede, fratello?", domandò, con viso perplesso, chi si trovava dinanzi al Sovrano di Smeraldo, il quale, a quelle semplici parole, nemmeno replicò, si lanciò direttamente all’attacco, con il pugno ricolmo d’energia psichica.
"Maledetto!", urlò semplicemente Marduk, sferrando quel pugno; un pugno che si perse nell’aere, oltrepassando il corpo vacuo che aveva dinanzi a se.
La sorpresa si mischiò alla rabbia, impedendo al Sovrano di Smeraldo di avvertire dei passi alle sue spalle, solo il dolore avvertì: due dolori lancinanti che lo raggiunsero ai quadricipiti femorali, lì dove le vestigia non coprivano i muscoli; due dolori precisi come dei colpi di lancia, ma prodotti da energia cosmica, prodotti da due sottili fasci di luce cinerea nati dall’indice sinistro di Sin, il Principe Rosso.
Quando Marduk cadde in ginocchio, per il dolore delle ferite, l’Annumaki gli fu subito addosso, colpendolo con violenza con un calcio alla schiena, facendogli schiantare il viso contro uno scalino, fratturandogli la mascella, rompendo qualche dente e lasciando che il sangue macchiasse il suo volto.
"Eccoti finalmente nella giusta condizione per rivolgerti a me, fratello!", ringhiò Sin, rivelando, per la prima volta, un immenso disprezzo nel pronunciare l’ultima parola, "Eccoti finalmente comprendere che, solo prostrandoti, saresti degno di presentarti al mio cospetto.", concluse.
Furono quelle poche parole solo un anticipo di tutto l’odio che il giovane principe teneva in se serbato, un odio che scaturì in una serie di violenti calci, portati con furia cieca, calci pieni di rabbia, ricolmi delle urla di giubilo del guerriero, calci che fecero più volte spezzare il respiro di Marduk.
Con uno sforzo di concentrazione oltre ogni limite, il Re degli Anunnaki riuscì a scatenare la potenza degli Smeraldi della Corona, che produssero diverse fenditure nell’ambiente circostante, trapassando il corpo di Sin, che, una volta voltatosi, Marduk vide sparire, come una mera immagine residua, al pari del precedente.
"Che patetico tentativo, figlio di Annu.", lo ammonì con voce divertita una figura alla sua sinistra, prima che un nuovo, singolo, strale luminoso, partisse verso il volto del Re di Smeraldo, stavolta pronto all’attacco, tanto da bloccarlo con la propria barriera difensiva.
Fu allora che Marduk si voltò per osservare chi lo attaccava in modo tanto sleale, il traditore che tutto quel male aveva provocato: Sin, in piedi, a qualche scalino di distanza da lui, illeso, con indosso le rosse e squadrate vestigia che gli appartenevano.
"L’armatura di Kur…", osservò il Sovrano di Smeraldo, guardando il nemico, un tempo fra i più cari amici.
"Kur…", ripeté Marduk, pensieroso, "Il drago degli Inferi, ma, allo stesso tempo, diminuitivo di Kurnugia, il Mondo del Non ritorno, il Regno degli Inferi, sinonimo stesso di Irkalla. Gli abissi dell’Oltretomba, ecco cosa ti riveste! Il luogo in cui ti rigetterò!", minacciò alla fine, lasciando esplodere ancora una volta il proprio cosmo.
"Smeraldi della Corona! Che la vostra luce gli sia da guida, sprofondandolo negli abissi di Kurnugia!", ringhiò ancora il Sovrano, lasciando esplodere il proprio cosmo.
I fasci di luce esplosero da ogni direzione, lanciandosi con rabbia verso il nemico e verso le pareti circostanti, pronti a travolgere tutto ciò che si fosse trovato sul percorso di Marduk.
Lo sgomento, però, si dipinse sugli occhi del Sovrano di Smeraldo, mentre anche quel Sin veniva attraversato dai fasci di luce ed una voce, su un lato della scalinata, sibilava poche parole: "Falci di Luna!"
Un sordo rumore echeggiò poi per le scalinate, fiotti di sangue si fecero strada dalla schiena del Re degli Anunnaki con due profondi tagli apertisi sulla stessa, tagli il cui danno era stato contenuto solo dalla presenza delle vestigia della Corona.
Ricadde al suolo il Sovrano di Smeraldo, scivolando per qualche gradino, cercando con lo sguardo Sin, che ancora lo osservava, soddisfatto, dall’alto in basso.
"Come hai fatto?", riuscì appena a chiedere il Re degli Anunnaki, ricevendo l’ennesimo sorriso beffardo.
"Mio caro Marduk, potrai aver vinto gli stranieri con quel tuo attacco, potrai averli feriti, per poi essere in qualche modo vinto e messo a corrente della verità, ma con me quella sfavillante armonia di luci che utilizzi come attacco è un’inerzia, un trucco che chi ti conosce bene sa come evitare: per quanto tu possa ritenerti capace, i tuoi attacchi partono dagli smeraldi delle vestigia e sapendone le traiettorie quel fitto reticolo diventa niente più che un percorso irto d’erbacce da evitare.", lo derise Sin, avanzando di qualche passo.
"Perché lo hai fatto? Perché ci hai traditi tutti?", domandò ancora il Sovrano di Smeraldo, ricevendo, come prima risposta, uno sguardo d’odio da parte del Principe Rosso.
"E dimmi, amico fraterno, chi è che ho tradito? Il padre che mi portava con se come se fossi un peso, cercando nella guerra e nella distruzione quella fine che lo avrebbe riavvicinato alla sposa persa per salvarmi la vita? Gli Annumaki che seguivano mio padre per i motivi più disparati, ma che mi consideravano al più un loro pari? Solo per alcuni di loro mi sono dispiaciuto, non di certo per Enlil.", affermò deciso il guerriero di Kur, "O forse ho tradito gli Ummanu tutti, che in noi avevano fiducia? Perché credo che non in me credessero gli Appalaku, o i tuoi Anunnaki!", lo ammonì alla fine.
"Hai tradito me, che ti ero amico!", lo accusò allora il Sovrano di Smeraldo, con le lacrime agli occhi, "Mi hai strappato tutti gli affetti, tutti i compagni d’arme e di una vita!", continuò.
"Tradirti? Strapparti tutto? Ebbene, sbagli in entrambi i casi. Chi è il traditore? Chi non ha mai ricevuto gli onori del suo stato di Principe, vivendo come un guerriero fra gli assassini, fra gli stenti e le compagnie solo di folli, sfortunati ed ossessionati? Oppure chi, con i medesimi diritti dello sfortunato Principe, assurge al trono di un Re, ottenendo tutto ciò che entrambi dovevano avere, mangiando uno dal piatto della nobiltà che dovevano condividere? No, Marduk non ti ho tradito, semplicemente riprendo quello che è mio, mangiando anche della tua mensa e di quella di tutti gli altri Ummanu!", concluse deciso Sin.
"Ed ora, dì pure addio alla vita, vecchio amico, poiché rotolerà via da te, assieme alla tua testa!", minacciò ancora, quando la luce dell’energia cosmica brillava di nuovo sulle sue dita, "Falci di Luna!", invocò, sferrando due fendenti luminosi, dalla forma di falci ricurve, verso il collo del Sovrano di Smeraldo.
***
I cavalieri d’argento si rialzarono: erano stati colpiti tutti assieme e, probabilmente, proprio quello li aveva salvati dal perdere la vita, giacché un singolo attacco era stato distribuito su un più ampio raggio per colpire nove bersagli, anziché uno solo, malgrado ciò, però, erano tutti parzialmente feriti.
"Ecco dunque i famosi stranieri, che tante vite hanno strappato fra Appalaku, Annumaki ed Anunnaki. Ero proprio curiosa di conoscervi.", esordì allora una voce femminile, prima che una figura si rivelasse, apparendo dalla stanza antistante.
Era una donna di indubbia bellezza, ma era una bellezza deturpata da una perversa luce che brillava negli occhi e nel sorriso di quella fanciulla dalle vestigia dorate.
L’armatura aveva la forma di un volatile, si capiva facilmente per le vaste piume dorate che costituivano la copertura per il tronco, o più correttamente per il petto e la base dell’addome, e per la cinta, piume che si piegavano tutte contemporaneamente verso l’inguine, disegnando una gigantesca V dorata, che dalle spalle scivolava fino alle gambe.
Proprio gli arti inferiori erano coperti da gambali dorati a forma di zampe artigliate, al contrario dei superiori, dove bracciali composti di altre piume d’oro ricoprivano la zona dal polso fino al gomito, rivelando delle mani adornate da degli anelli della medesima fattura.
Il ricco decolté che l’armatura lasciava in vista era solo parzialmente celato da una spalliera, l’unica, a forma di volto di un volatile, qualcosa di molto simile ad un falco, ma ben più ancestrale come predatore volante.
Un secondo volto simile era adesso nella mano sinistra della guerriera, l’elmo dell’armatura, che presto la giovane nemica riportò a celare il proprio volto, come maschera integrale che ne rendeva indistinguibili i lineamenti e scendeva celando la pelle scoperta fino al petto.
"Mi ricordo di te.", esordì pochi istanti dopo l’Appalaku, indicando Dorida della Sagitta, "Ed anche di te.", continuò, rivolta a Gwen del Corvo, "Siete le due che ho visto allontanarsi da Ninkarakk, prima che la riducessi ad un tronco in cenere!", rise divertita la nuova nemica, le cui parole risultarono ancora più cupe ed orridamente perfide per mezzo della maschera.
"Ad ogni modo, come galateo impone, permettetemi di presentarmi: sono Nanaja di Anzu.", concluse con un leggero inchino, prima di riprendere a ridere.
"Tu hai ucciso Ninkarakk?", domandò rabbiosa Dorida, "Sì, ragazza, io ho ridotto quella corteccia di buoni propositi a ceneri di perdute speranze.", rispose soddisfatta l’Appalaku, "Ma non ho fatto solo questo: ho anche perforato le carni di Enlil, scatenandovi dentro un fuoco che, forse, neppure la sua defunta moglie aveva in lui mai insinuato; il medesimo fuoco che ha scaldato le viscere e le labbra di Ea, bruciandone il corpo, prima che i seguaci di Sin lo pestassero ben bene, lasciando al loro Principe l’onore di finirlo.", ammise, piena di una gioia quasi estatica, che giungeva, distorta, dalla voce emessa sotto l’elmo.
"Un’altra dei traditori al seguito di Sin, proprio come lo stesso saggio Ea sospettava, fin dall’inizio.", osservò disgustato Wolfgang dei Cani Venatici.
"Un’altra dei traditori al seguito di Sin?", ripeté, chiaramente indispettita, l’Appalaku, "Attento a chi ti rivolgi, straniero. Io non sono una traditrice al servizio di Sin, io con il Principe Rosso ho suggellato un patto d’alleanza reciproca! Se non fosse stato per la presenza dell’armata d’Oro, lui ed i suoi predoni non avrebbero mai dato inizio al loro piano, né quella ragazzetta sfrontata di Mummu avrebbe potuto reclamare la vendetta per il padre, un fallito come pochi!", li ammonì Nanaja.
"Io non servo il Principe Rosso…", volle subito puntualizzare la guerriera di Anzu, "né mai lo servirò, al più, una volta che egli sarà Imperatore degli Ummanu, ascenderò al titolo di Celebrante divina, dividendomi fra celesti ed imperiali piaceri, prendendo per me l’Ordine degli Appalaku, di cui sarò l’unica e splendente Regina, che renderò portatore di un nuovo credo, fatto di piaceri e godimenti che ogni mio servitore potrà prendersi sul suo prossimo, se ne avrà la forza!", esclamò soddisfatta la donna.
"Il tuo Imperatore, Appalaku, sta per essere sconfitto dall’uomo che ha tradito.", la avvisò allora Menisteo di Eracle, "Marduk, il Sovrano di Smeraldo è già corso a prendere la propria vendetta su colui che ha causato la morte di tutto l’ordine degli Ummanu, ben presto non avrai più alleati su cui far affidamento.", continuò subito dopo Zong Wu dell’Auriga.
Una risata fu però la risposta di Nanaja, "Se davvero credete che Sin sia sconfitto, allora, stranieri, avrete ben presto di che sorprendervi!", esclamò di rimando l’Appalaku; "Che intendi dire?", chiese Leif di Cetus, "Intendo dire che, anche se il Sovrano degli Anunnaki fosse più potente del Principe degli Annumaki, il mio Rosso alleato ha ancora un asso nella manica, anzi, una mano che potrà ben presto essere di supporto, come incandescente e grandioso pugno, una mano divina!", concluse la guerriera, divertita.
***
"Falci di Luna!", aveva appena invocato Sin di Kur, scatenando il proprio attacco contro Marduk, ancora al suolo, ma, stavolta, il Principe Rosso ebbe un’amara sorpresa, scoprendo che il proprio assalto andò a cozzare contro qualcosa, un globo di energia verde, che contenne la furia delle due lame, impedendogli di decapitare il Sovrano di Smeraldo.
"Che cosa?", balbettò stupito Sin stesso, indietreggiando inconsciamente di un passo per la sorpresa.
"Cosa mi chiedi, traditore? Un’arma che non conoscevi, qualcosa di ben diverso dagli Smeraldi della Corona, che sembri aver studiato, per superarne le virtù belliche, qualcosa di più antico e potente, che di te non avrà alcuna pietà!", ammonì subito Marduk, rialzandosi in piedi, seppur a fatica.
La mano destra del Sovrano si aprì, rivolta verso l’Annumaki, "Se non la luce regale hai scelto come tua guida negli Inferi, ebbene, a casa ti riporterà una creatura ancestrale, una belva che di te non avrà la medesima pietà! Spire del Mito, scioglietevi, liberate il Celeste Guardiano! Mušḫuššu, colpisci!", urlò l’Anunnaki.
Il gigantesco serpente dal volto bovino si rivelò nel cosmo del Re di Smeraldo, scatenandosi in una carica frontale contro il guerriero dalle vestigia scarlatte, una carica che portò la creatura mitica ad arrotolarsi sulla preda, stringendola fra spire di pura energia cosmica, spire che, però, si piegarono su di loro, affondando nell’aria, quando il nemico catturato si rivelò essere una nuova figura fatua.
Una nuova risata echeggiò nella sala, prima che Sin riapparisse alla sinistra del Sovrano di Smeraldo, colpendolo con un violento calcio al viso e schiantandolo contro la parete opposta.
"Eppure, fratello, credevo che dopo il primo inganno tu lo avessi capito. Il mito legato alla divinità di cui porto il nome, mi appartiene!", esclamò soddisfatto il Principe Rosso.
"Sin, il dio della Luna…", ricordò Marduk, "la sua divina madre visse i nove mesi della gestazione presso Kurnugia, dove il suo sposo era stato esiliato. Gli altri dei, però, non volevano che la divinità della Luna nascesse negli Inferi, così fecero dono alla madre di un potere divino che le permise, al momento del parto, di sostituire se stessa, il proprio sposo ed il nascituro che tre figure fatue, che rimasero nelle tetre lande di Irkalla, ingannando persino Nergal ed Ereshkgal, i sovrani dell’Oltretomba.", rammentò il Sovrano di Smeraldo.
"Esatto, mio caro amico, proprio di un potere simile sono padrone, come la divinità della Luna, che fu salvata dalle ombre eterne per mezzo di queste tre figure fatue, così anch’io evito di essere gettato a marcire negli Inferi per mezzo del medesimo inganno, che mi salva da qualsiasi attacco nemico.", esultò il Principe Rosso.
"Non ancora per molto questo inganno ti salverà, assassino e traditore.", lo minacciò Marduk, espandendo il proprio cosmo, che già riprendeva la forma del serpente, la cui testa bovina riappariva nella mano sollevata del Sovrano di Smeraldo.
"Raggiungilo, mio fedele compagno, vai oltre gli inganni che costui può usare, sorpassali, vincitore con le forze del mito che ti sono proprie, rivela dove si trova la tua preda e sprofondala nell’abisso di tenebre e punizioni che l’Oltretomba per lui reclama! Vai Mušḫuššu!", invocò ancora una volta il Re degli Anunnaki, scatenando il proprio attacco.
La testa cornuta travolse il Sin che aveva dinanzi a se, trapassandolo con violenza, rivelando la natura puramente illusoria di quel corpo, travolgendo parte della parete alle spalle dello stesso, prima di tornare a roteare intorno a Marduk, che subito spostò la mano, al primo sentore di un rumore, sul proprio lato destro, lasciando che la belva mitologica si avvinghiasse alla nuova comparsa del Principe Rosso.
Un sorriso si dipinse allora sul viso del Sovrano di Smeraldo, un sorriso che morì nel momento stesso in cui cinque fitte di dolore lo oltrepassavano alla schiena, perforando l’armatura nel punto in cui si trovavano alcune delle gemme e trapassandone le carni, pochi attimi prima che anche quel Sin scomparisse fra le spire ingannate del Serpente del Mito.
"Sperare di schiacciarmi fra le spire di una serpe bovina? Io che del Drago Infernale possiedo le insigne? Sai perché Kur è il doppio nome degli Inferi e della creatura che rappresento? Perché il Dragone di Kurnugia è più feroce di Alu, il Mastino Infernale, più terribile di Pazuzu, la Portatrice di Pestilenze, più implacabile di un Incubo, capace di divorare anche gli Etemmu, le anime Perdute, colpevole di crimini maggiori dello Zu, il ladro delle Leggi, e, ben più del Magilium, indica le pene eterne che i dannati soffriranno! Io sono più potente di tutti gli altri Annumaki e dei simboli che li rappresentano! Sono capace di ingannare, tessere trame di morte e distruzione, portare alla morte uno dei tre Sovrani e l’intero esercito degli Ummanu senza riportare nemmeno un graffio! E tu speravi di vincermi con un Serpente?", domandò ancora Sin, dopo un crescendo di orgogliose parole, "Hai sfidato troppo la sorte ed ora essa richiederà lo scotto! Io riprenderò ciò che mi spetta! Ma tu non vivrai abbastanza per vedermi diventare Imperatore degli Ummanu!", concluse il Principe Rosso, segnando l’aria circostante con le dita.
"Falci di Luna! Mietete!", ordinò secco il figlio di Enlil, rilasciando due nuove lame energetiche, che dilaniarono le vestigia ormai incrinate della Corona, affondando nella carne del Sovrano di Smeraldo.
In quel momento, un sordo grido si spense fra i denti serrati di Marduk, prima che questi cadesse in profondo sonno, svenendo per il dolore.
Fu nel vuoto dei sensi, privo dei limiti del corpo, che il figlio di Annu si sentì chiamare; non era come nel momento in cui la guerriera con la maschera lo aveva riportato a ricordi passati, propri, o non suoi, no, questo era un contatto meno reale, ma, non per questo, più freddo e distante, qualcosa che non si fondava sui ricordi lontani e vicini, ma su presenze vive, per quanto irrealmente.
Fu proprio una di queste presenze che Marduk riconobbe, con un velo di tristezza sugli occhi, se veramente lo stava osservando con gli occhi, quando vide di nuovo dinanzi a se Ea il Saggio.
Era privo delle ferite infertegli da Sin, privo di vestigia, con un abito più consono al suo grado di Primo Consigliere, e sorrideva triste al proprio allievo, come un maestro che, bonariamente, vuole rimproverare il discepolo.
"E dunque così che vuoi morire, figliolo?", furono le prime parole dell’anziano, "Per mano di un traditore che tutto ha spazzato via per cosa? Mero egoismo? Insoddisfazione di fanciullo cresciuta fino alla follia ed all’avidità?", chiese con voce gentile l’uomo.
"Non desidero che Sin abbia vittoria facile, maestro mio, ma cosa posso fare? Ormai sono solo contro costui, se anche lo vincessi, cosa mi resterebbe? Non ho la forza per andare avanti in questa battaglia.", ammise con voce triste Marduk, il cui odio e desiderio di vendetta era, alla fine, scemato in disperazione, forse in un modo che nemmeno il Re degli Anunnaki, prima di allora, aveva compreso, lasciando al posto dell’odio per Sin solo la consapevolezza di essere davvero solo.
"Voi non siete solo, maestà", esordì una voce al fianco destro del Sovrano e questi, voltandosi, vide Girru, Nusku e Kusag, tutti e tre, l’uno di fianco all’altro, che sorridevano pacati al loro Re, "In nessun momento lo siete stato, per quanto vi credevate solo e per quanto forse anche ora temiate che la stirpe degli Ummanu possa essere distrutta e dispersa.", spiegò per primo il guerriero di Labbu.
"Non temete che il nostro sacro popolo cada quest’oggi, poiché non è nelle intenzioni di nessun altro che non sia un traditore e saranno proprio i traditori a dover cadere! Rialzatevi, mio Re, combattete ancora per chi in voi a fiducia, combattete a fianco degli alleati che nemmeno immaginate di avere.", proruppe l’Anunnaki di Basmu, "Non fatevi una colpa delle nostre morti, poiché noi tutti ci siamo sacrificati con gioia per voi, in cui abbiamo riposto molto più che la nostra sola fede e lealtà, ma tutte le speranze per il futuro di questo popolo, siamo certi che voi, in un modo, o in un altro, farete il bene degli Ummanu in questa battaglia, che oggi vedrà il suo termine.", concluse sicuro il guerriero dai capelli rossi.
"Girru, Kusag…", li riconobbe il Sovrano, "gli alleati che mi indicate sono dunque gli stranieri contro cui, nella mia stoltezza, io stesso vi ho mandato?", chiese, accusandosi apertamente.
"Stranieri contro cui abbiamo combattuto per dovere, non è una vostra colpa, maestà se siamo stati sconfitti, se alcuni di noi sono caduti, se gli inganni intessuti da Sin e chi gli è vicino ci hanno investito, spingendoci contro a chi non si muove per sete di potere, ma per volontà di giustizia.", affermò sereno Nusku, facendosi avanti, "Quei cavalieri, e non solo loro, vi saranno compagni in questa battaglia, siatene certo.", lo rassicurò ancora.
"Non solo loro?", domandò perplesso Marduk, "Triste è il destino che ci ha investito in questi giorni, rendendo nemici gli amici, ingannevoli le verità che ci apparivano chiare e lampanti, e confondendo terribilmente anche le certezze più indistruttibili.", affermò allora una voce di donna, che come poche, in tutta la sua vita, aveva toccato il cuore del Sovrano di Smeraldo che, voltatosi, vide dinanzi a se Mummu, in piedi, priva dell’armatura, ma solo con una veste tipica degli Anunnaki.
Niente si dissero oltre i due, solo sguardi che vicendevolmente chiedevano perdono, ricambiandosi anche l’inutilità di tale richiesta, poiché solo con se stessi si sentivano colpevoli, già perdonatisi l’uno con l’altra, solo le parole di un’altra voce, richiamarono Marduk, strappandolo da quello sguardo con cui, oltre la comune richiesta, vi era anche una sottile, e reciproca, promessa.
"Ora va, figliolo.", gli disse Ea, "Non è tempo che tu indugi ancora in questi luoghi, non è tempo che tu ti perda fra noi, ancora battaglie ti attendono per oggi.
Sai bene cosa fare contro Sin, sai quale arma ti resta, a te che fra i Sovrani sei detto il Giusto; rendimi ancora una volta orgoglioso di te, usa con saggezza le tue abilità di guerriero, discerni finalmente tutto ciò che finora non avevi compreso, accecato da inganni e dolore; poiché vinta la battaglia con il traditore degli Ummanu, ancora una minaccia resterà, quella che nessuno di noi aveva mai nemmeno sospettato esistesse, quella che gli stranieri, inconsapevolmente forse, sono venuti ad impedire, ma ormai potranno solo combattere.", spiegò con parole sibilline l’anziano.
Le ultime parole che da lui, quel giorno, Marduk sentì.
Fu un dolore lancinante a riportare il Sovrano di Smeraldo alla realtà, il dolore di una pressione costante ed equiparata sulla zona ferita del suo corpo, il dolore del piede di Sin che pigiava sul profondo taglio che l’ultimo attacco aveva aperto sulla schiena dell’Anunnaki.
"Sei dunque di nuovo fra noi, fratello?", lo derise divertito il Principe Rosso, osservandone gli occhi, ora sgranati dalla sofferenza infertagli, "Non farmi più uno scherzo del genere, non accetterei di vederti spirare per così poco!", lo ammonì divertito il nemico, espandendo il proprio cosmo, per poi infonderlo in un nuovo strale di luce che, dall’indice dell’Annumaki, colpì la mano sinistra del Re, perforandola.
"Anelo a portarti tanto di quel dolore, a dilaniare così a lungo le tue carni, che, una volta arrivato fra le valli di Kurnugia, l’allegra combriccola di sciocchi che ti serviva, e che di certo per ora ti starà aspettando, non abbia modo di riconoscerti, se non per mezzo di un’attenta analisi di ciò che lascerò in poco, che sarà ben poco!", lo minacciò il Principe, espandendo il proprio cosmo.
Proprio in quel momento, però, a rimanere sbalordito fu, stavolta, Sin stesso, quando una violenta corrente d’aria scaturì dal corpo ferito e sofferente del Sovrano di Smeraldo, sollevandolo per aria e scagliandolo a diversi metri di distanza, facendolo cadere giù per alcuni scalini.
"I miei compagni mi attendono in un luogo ben diverso dall’Oscura Kurnugia! Lì forse si trovano Erra ed Arazu, che attendono il tuo arrivo, Sin! Non senti le loro voci? O forse le urla di dolore che stanno subendo, per il male perpetrato in vita, gli impediscono di chiamarti? Ma non temere oltre, avrai modo di raggiungerli presto!", minacciò di rimando il Re degli Anunnaki, rialzandosi.
"Parole grosse le tue, amico mio, specie considerando il numero di ferite che ti segnano, da quando abbiamo iniziato a combattere!", lo derise subito il Principe Rosso.
"Non è il numero di ferite inferte a segnare il vincitore, o lo sconfitto, ma la qualità dei colpi portati e la purezza del cuore che li sferra! Speravo che questo lo avessi appreso negli anni vissuti con tuo padre.", lo ammonì subito il Sovrano di Smeraldo.
"Non immagini nemmeno, fratello, quante cose abbia appreso negli anni, ma niente di simile a ciò di cui tu blateri.", replicò il più giovane dei due.
"Allora preparati, traditore del tuo popolo, poiché ora scoprirai quale potenza possa essere usata da chi ha la Giustizia a guidare il proprio pugno e riscaldare il cuore! Subirai la medesima sorte di un antico invasore di queste terre sacre!", minacciò Marduk, espandendo il proprio cosmo, che non si rivelò attraverso il rifulgere degli smeraldi, né nelle mitologiche forme del serpente divino, bensì si mosse come una brezza pronta a diventare un tornado, attorno al corpo del Re stesso.
"Il colpo di Ea? La stessa tecnica che aveva trasmesso al piccolo Adapa?", domandò divertito Sin, "Conosco fin troppo bene l’Arma del Saggio e se con quella vuoi attaccarmi, sappi che non avrai buona sorte nel farlo!", minacciò, incredibilmente sicuro di se; ma la sicurezza sfiorì nello sguardo soddisfatto di Marduk.
"Non un saggio hai davanti a te, Traditore, ma qualcuno che viene chiamato il Re Giusto, appellativo donatomi dall’uomo più sapiente che io conoscessi, un uomo che tu stesso hai ucciso! Ebbene, non l’Arma di un Saggio affronterai, ma l’Arma del Giusto!", tuonò con voce decisa il Sovrano, scatenando il proprio cosmo.
La corrente di vento che dal Re degli Anunnaki scaturì non si mutò in un tornado, bensì si tramutò in una serie di abbaglianti fendenti d’aria, che volarono in ogni direzione, contemporaneamente ed ad incredibile velocità, distruggendo prima il Sin che avevano dinanzi a se, una vuota immagine, poi un secondo, alla sinistra del Sovrano che li aveva generati e quindi un altro, a pochi passi dal primo, per poi investire, con violenza inaudita, l’ultimo, quello vero, alle spalle di Marduk stesso, sollevandolo da terra e dilaniandone in più punti le vestigia con profondi tagli di energia, prima di schiantarlo di nuovo al suolo, in mezzo al proprio sangue.
Il principe Rosso arrancò sui gomiti, allontanandosi dal nemico che ora gli era sempre più vicino, "Cosa? Come?", balbettò appena, "Dovresti conoscere questa tecnica, come ben sapevi come evitare anche le altre, in fondo fu il primo colpo che mai riuscii a portare, Traditore, il colpo con cui vinsi Tiamat! Allora tutti, me compreso, credemmo che lo avessi battuto con la Luce degli Smeraldi, ma, come te, anche il Coccodrillo maligno sapeva ben evitare quella tecnica, tanto che aveva saputo usare tale conoscenza contro mio padre Annu stesso, vincendolo.", gli spiegò con voce calma il Sovrano degli Anunnaki.
"Sii lieto, Sin, patricida ed assassino del tuo popolo, ti riserverò la morte di un Re, la morte che era già toccata a Tiamat!", concluse con voce decisa Marduk.
Proprio quando l’ultimo colpo stava per essere vibrato, mentre i due guerrieri un tempo amici si osservavano con reciproco disprezzo, avvenne: il cosmo di Shamash, che fino a quel momento aveva aleggiato sull’intera Accad, si schiantò in una sola ondata su Anduruna.
Fu come se il sole stesso avesse travolto il palazzo, riscaldando, per un istante, tutti i corpi fino allo svenimento, stordendoli per un attimo interminabile, poi, più nulla, non vi fu più traccia della presenza del divino Giudice, tanto che Marduk stesso poté avvertire tutti gli altri cosmi presenti nel palazzo, con sua sorpresa, ed altri, in luoghi lontani da quelle terre calde.
Fu un istante, poi, in un’esplosione di luce ed energia, le due gigantesche ante del portone, che conduceva alla sala del rituale, furono scardinate e si schiantarono rispettivamente sul Re e sul Principe, gettandoli in due direzioni diverse dell’ampia scalinata, lasciandoli scivolare per qualche scalino, prima che entrambi si fermassero.
Dinanzi a loro, un’entità, qualcosa dalla fisionomia forse umana, ma circondata da un cosmo così accecante, che era impossibile sostarvi con lo sguardo.
Subito, dinanzi a quella strana quanto inattesa apparizione, i due si inchinarono, senza dire niente inizialmente, come l’entità stessa, che sembrava osservare e valutare la situazione.
"Lode a voi, divino Shamash.", si permise di dire Marduk, per primo.
"Shamash?", ripeté una voce acuta e profonda, ma che, con propria meraviglia, il Sovrano di Smeraldo riconobbe. "Quella insulsa divinità è ormai storia passata, perso fra gli abissi di tenebre.", spiegò la voce, sempre più nota al Re degli Anunnaki.
"Che cosa?", balbettò Marduk, "Non avevo più di lui bisogno, il suo tempo era giunto al termine ed il mio destino compiuto, quindi ho lasciato che il rito facesse il proprio decorso, abbandonando l’essenza del Giudice lì dove doveva essere precipitata, nelle fauci di un abisso senza tempo.", rispose la voce, prima che l’intensità della luce calasse, rivelando chi aveva fino a quel momento parlato: Baal, il Re degli Appalaku.
Sgomento lo osservava il Sovrano di Smeraldo, mentre un accennato sorriso si dipingeva sul viso del Principe Rosso.
"Baal, di cosa vai parlando? Sei forse dominato da un demone? Il divino Shamash gettato in un abisso senza tempo? Come? Perché?", domandò in un unico respiro il Re degli Anunnaki.
"Dominato da un demone? Io che sono fra gli uomini un dio! Io che il Sole stesso raffiguro, che l’energia dell’Astro celeste ho, ora più che mai, nel mio semplice pugno!", declamò, stringendo il pugno, ricolmo di un’accecante energia.
"Ma come? Perché? Dove si trova il divino Shamash?", incalzò ancora Marduk, le cui parole sembravano quasi non arrivare alle orecchie dell’altro.
"Come? Con il rituale che tu e quel burbero di Enlil mi avete aiutato ad iniziare! Avevo bisogno di cosmi altrettanto potenti per portarlo a termine ed ottenere il potere di Shamash e voi mi avete concesso quei cosmi, mentre la mia cara Celebrante ed altri fidati guerrieri mi donavano il tempo, assieme agli sciocchi invasori che fin qui stanno per arrivare!", spiegò con voce tranquilla Baal.
Solo a quelle parole, Marduk si volse verso Sin, vedendolo sorridere e cercare di rialzarsi.
"Tu, maledetto! Anche tu hai tradito gli Ummanu?", accusò allora verso il Re degli Appalaku, "Io tradire gli Ummanu?", ripeté questi di rimando, "Può una divinità tradire degli uomini che nemmeno lo onorano con sacrifici e templi? No, non può, quindi, tutto ciò che con voi ho fatto è stato rientrava semplicemente nel mio diritto celeste!", spiegò soddisfatto Baal, prima di volgersi verso Sin e, con un semplice gesto della mano, piegarne il corpo ancora prostrato.
"In ginocchio, uomo! Anche se mi sei fedele, questo non implica che tu possa ergerti come mio pari!", lo ammonì deciso, prima di volgere verso le scalinate il suo sguardo.
"Blasfemi ed infedeli si approssimano a questo luogo, qui dove il mio celeste bagliore li attira!", osservò con disinteresse l’uomo dal cosmo simile al Sole, "Sin, Re Rosso e futuro Imperatore degli Ummanu, a te l’onere di eliminarli, spazza via quelle sette vite che stanno correndo verso una giusta punizione! Le altre, indietro rimaste, saranno sacrifici che la mia Celebrante ergerà in nome dell’unica divinità che venera: me!", esclamò sicuro, prima di voltarsi e rientrare verso la sala alla fine della scalinate.
"Per quel che riguarda te, Marduk, che eri un re fra gli uomini, ti concederò di restare schiacciato dal mio celeste potere e spegnerti dinanzi allo splendore della mia presenza.", disse con sufficienza Baal.
Pochi attimi ed una forza incredibile sollevò da terra il Sovrano di Smeraldo, spingendolo all’interno della sala e proiettando indietro le stesse porte che poco prima erano state travolte, chiudendole e lasciando da solo Sin, pronto a combattere i cavalieri d’argento, così come già stava facendo, poco distante, Nanaja.