Capitolo 25: Una notte di addii
Osservava il tramontare del Sole dalle mura esterne di Accad, ancora priva delle vestigia dorate, proprie di ogni Appalaku, Nanaja aveva fatto ritorno nel luogo dove tutti credevano lei si trovasse, tutti coloro che non sapevano delle azioni compiute dai cospiratori di cui faceva parte.
Un malefico sorriso si dipinse sul volto della traditrice, volgendosi di nuovo verso Anduruna, mentre la calda brezza del deserto accarezzava la sua pelle, un sorriso di muta soddisfazione per come i piani stessero andando al meglio: non poteva avvertire cosmi che non fossero quello di Shamash, ma non serviva altro che gli occhi per vedere l’esplodere delle battaglie.
Il versante del palazzo che si affacciava verso le mura che avrebbe dovuto proteggere era proprio quello dove si trovavano gli Anunnaki; già quando si trovava fra le vie dell’antica Capitale, correndo fra i palazzi meno distrutti, aveva avvertito i primi boati, esplosioni dovute di certo al confronto di possenti guerrieri, guerrieri che, di qualunque schieramento fossero, lei poteva considerare solo come propri nemici, poiché non facenti parte della loro piccola nicchia di cospiratori.
Un modo di pensare semplice, che perfettamente si adeguava alla visione che Nanaja aveva della vita: c’era ciò che le poteva servire, procurandole piacere, e ciò che non necessitava di esistere, poiché non le era d’alcuno aiuto.
Gli Anunnaki tutti avevano avuto per lei una sola funzione: vittime! Questo erano stati Ea e, prima di lui, Ninkarakk; anzi si dispiaceva di non poter dare lei il colpo di grazia ad uno dei tre guerrieri rimasti, o al prediletto Aruru, troppo potente per le sue capacità guerriere e sempre protetto da un’armatura all’apparenza invincibile, oltre che a Mummu, una mera pedina che Sin aveva saputo sfruttare a proprio vantaggio, piegando ai propri bisogni.
Medesima cosa, l’Annumaki aveva fatto con il suo stesso padre, Enlil, che per Nanaja era stato una fonte di piacere, quando aveva potuto strappare da lui la vita, o con gli Ummanu dell’Armata Scarlatta, sia quelli già caduti, sia i due che restavano, fedelissimi del Principe, oltre che feroci ed istintivi come bestie. Ancora su di loro, l’Appalaku, ben non sapeva se avrebbe provato più piacere nel saperli morti o vivi.
Una luce intensa e rossa come il fuoco esplose, d’improvviso da una delle stanze nell’ala degli Anunnaki, o comunque nelle sue vicinanze, richiamando l’attenzione della bellissima e perversa donna alla battaglia, mentre il vento che ancora la accarezza la pelle produceva su di lei un tale piacere da lasciarla abbandonare a quella sensazione, incurante di chiunque potesse muoversi all’interno di una città che ormai doveva essere, per tutti, deserta.
***
Immense fiamme circondavano ora le vestigia di Basmu, Girru, l’Anunnaki che le indossava, sembrava essere adesso un’unica, gigantesca, lingua di fuoco, immobile e pronta alla battaglia.
Dinanzi a lui, altrettanto fermo nella propria posizione, vi era ancora Menisteo di Eracles; solo i cosmi dei due guerrieri erano in movimento e le violente correnti che dal santo di Atena provenivano, creavano magnifici giochi di luce con il fuoco che dal suo avversario scaturiva.
"Prima dell’ultimo colpo, Ummanu, te ne prego, rispondi ad una domanda.", sussurrò con voce stanca, ma sempre decisa, il cavaliere di Atene, "Domanda? Cosa hai ancora da chiedermi, straniero?", chiese incuriosito l’altro, apparentemente stanco ed affaticato, e forse più, del suo avversario.
"Perché dici che Marduk ti fece grazia della vita? Ti ha forse sconfitto in battaglia?", chiese secco il cavaliere d’argento.
Un sorriso, a quelle parole, si dipinse sul viso di Girru, sincero e bonario come quelli che di norma il gigante soleva rivolgere a Nusku, "No, non mi ha sconfitto in battaglia, ma mi ha ridato la vita che stavo per perdere per le troppe vittorie ottenute.", raccontò l’Anunnaki.
"Devi sapere che non ho ricevuto un normale addestramento da guerriero, come altri Ummanu, che dal Saggio Ea, o da Enlil, per primi, impararono come utilizzare il cosmo, no, io nacqui come semplice uomo e mi addestrai nelle arti della lotta note agli comuni mortali: pugilato, lotta greco-romana.
Ero un campione in queste arti, un guerriero premiato e lodato da tutti, ma tanto abile da riuscire a bruciare il proprio microcosmo, come mi spiegò poi proprio il mio Re, inconsapevolmente, cosa che, alla fine, mi portò ad acquisire l’uso del cosmo senza alcun addestramento, ma così come un pittore che non ha mai studiato le basi dell’arte a cui si avvicina sarà sempre imperfetto in confronto a coloro che tutto sanno sul chiaroscuro ed altre tecniche dell’illustrazione, allo stesso modo, le mie abilità di autodidatta, che dalle prestazioni del mio corpo avevano origine, mi portarono presto vicino ad uno stato di malattia, per così dire.
Iniziai a bruciare il cosmo di cui ero dotato fino ai limiti consentitimi, sfruttandolo oltremodo, dilaniando avversari, ma, allo stesso tempo, anche me stesso, consumandomi in pochi attimi, provocandomi dei danni al fisico sempre più pesanti, tanto che, alla fine, dovetti ritirarmi dal mondo della lotta e cercare di allontanare gli uomini. Ero esiliato, in me stesso.
Le storie su di me, però, vagarono per gli immensi confini di queste terre fino a giungere presso il Re Marduk che, incuriosito, ancora giovane ed inesperto sul mondo, volle incontrarmi e, nella sua semplicità di adolescente, mi rivelò alcuni modi per contenere la forza del cosmo.
Furono le sue parole, assieme all’armatura di Basmu di cui mi fece padrone a salvarmi la vita, concedermi di vivere assieme agli Anunnaki, al suo servizio.", raccontò Girru.
"L’armatura ti salvò?", chiese ancora Menisteo, colpito dalla sua storia, "Sì, l’armatura. Devi sapere che, le sei vestigia di noi, che di Ea e Marduk eravamo i servitori, sono fra loro tutte duali, in qualche modo.
Basmu ha la virtù di sigillare il cosmo del proprio padrone, attraverso le fauci sempre chiuse, così come Labbu aumenta esponenzialmente il potere di chi la detiene, permettendo che il cosmo di costui aumenti costantemente di vastità senza che egli ne possa risentire.
Allo stesso modo, il Carro Solare ed il Golem sono duali, l’una leggera, più fragile, ma tale da permettere a chi la possiede movimenti comodi e velocissimi, l’altra pesante ed invincibile, utilizzabile solo da guerrieri che di superba forza, nel corpo e nel cosmo, sono padroni.
E così anche Khuluppu ed Apsu, la prima che cura chi la possiede, prendendo forza dal cosmo del proprio padrone per dare salute a lui, o a chi gli è vicino, l’altra che di quella stessa fonte cosmica fa uso per incrementare i danni da infliggere agli avversari.
Proprio per tale motivo mi furono date queste vestigia, che sigillano la forza interiore, che come la lava di un vulcano in eruzione da me si scatena sui nemici all’inizio di ogni battaglia, rischiando che mi spenga nel fuoco del mio stesso potere.", spiegò deciso Girru.
"Ma se questo è vero, aprendo anche l’ultima delle bocche tu hai messo ha rischio la tua vita!", esclamò sbalordito Menisteo, "Non è forse ciò che stiamo qui facendo fin dall’inizio? Ho solo riconosciuto la tua forza d’animo e la determinazione che ti guida in battaglia, che non potrò mai piegare senza dare tutto me stesso. Sia lode a te, straniero, che mi costringi a rischiare fino all’ultimo la vita, in una battaglia che potrebbe essere fra le ultime per me, poiché dopo di te, dovrò raggiungere in fretta anche i compagni che hai fatto fuggire ed eliminarli in tempo per dirigermi da Re Marduk, se veramente il Principe Scarlatto è per lui una minaccia.", rispose calmo l’altro.
"Non posso permetterti ciò, Ummanu, e, per quanto mi dispiaccia, dovrò batterti, guerriero.", replicò secco il santo di Atena.
"Ebbene, allora lasciamo che a parlare ora siano le nostre tecniche!", tuonò allora Girru, "Fauci di Basmu, spalancatevi, ecco il vostro pasto!", urlò ancora l’Anunnaki, prima che dalle cinque bocche incise sull’armatura non prorompessero altrettanti giganteschi serpenti di fuoco, diretti contro il comune bersaglio.
Feroci le serpi infuocate si gettarono sul cavaliere, investendolo in pieno, ma stavolta questi non ne fu travolto, bensì parve reggere il confronto, mantenendosi in piedi grazie al cosmo che vorticava intorno a lui, "Il mito racconta che Ercole, figlio di Zeus, vinse, durante le sue dodici fatiche, contro la venefica Idra, figlia di Echidna e Tifone, un mitologico serpente dalle molte teste, che, per quanto recise, ricrescevano continuamente. Solo colpendo il suo corpo, l’eroe del Mito riuscì ad averne ragione, così sarà anche per me, purtroppo! Non le serpi di fuoco dovrò colpire, ma te, Girru di Basmu! Usando l’arma più grande del figlio di Zeus, che andava oltre la pelle del Leone di Nemea e la clava invincibile: la forza di Ercole!", esclamò con estrema determinazione il cavaliere d’argento, lanciandosi in una corsa folle, attraverso i serpenti di fuoco, che già oltrepassavano il vorticare del cosmo del santo di Atena, danneggiandone le vestigia e ustionandone il corpo.
"Dunas Eraclides!", evocò Menisteo, prima che egli stesso diventasse parte di un gigantesco vortice di vento, che quasi tagliava orizzontalmente le serpi fiammeggianti, dirigendosi verso il proprio bersaglio, il corpo da cui provenivano.
L’impatto fra i due guerrieri produsse delle scosse che scuoterono fin dalle fondamenta l’intero palazzo di Anduruna, di certo sentite anche all’esterno dello stesso, mentre già, con le serpi di fuoco che da lui nascevano, Girru cercava di contenere la forza dell’avversario.
Era una lotta fra due volontà, entrambi combattevano per dovere verso i propri compagni, verso il proprio chi gli aveva permesso di ricevere l’armatura che indossavano e per la Giustizia in cui credevano, entrambi si fronteggiavano con lo stesso ardore, ma, ciò che li rendeva diversi era l’addestramento seguito: non ci volle molto perché, infatti, il corpo dell’Anunnaki iniziasse a risentire del prolungato utilizzo di un potere così vicino ai limiti concessi agli uomini da raggiungerli ora, devastante e prorompente.
Il dolore, però, non impedì a Girru di continuare in quel confronto di forze, mentre già le stelle di Eracle s’illuminavano nel cielo, poiché a tutta l’energia del proprio cosmo stava dando fondo Menisteo, in uno scontro che sembrava continuare per un eterno equilibrio, finché non accadde l’imprevedibile: le armature caddero entrambe in frantumi sotto il peso di quelle potenze tanto grandi.
Il corpo di Girru, ormai privo di ogni controllo, non oppose più resistenza all’avanzata di Menisteo, che in pieno travolse l’avversario, le cui energie ormai oltrepassavano i limiti concessi agli uomini, esplodendo in un’immensa fiammata, che niente lasciò dell’Anunnaki, ma che, nella sua corsa folle, travolse anche il cavaliere di Atena suo avversario, sollevandolo e gettandolo di nuovo verso le pareti di pietra della stanza, che crollarono in frantumi attorno a lui, sotterrandolo all’interno della stanza.
***
Seduto sul trono dorato, Baal continuava a concentrare il proprio cosmo in funzione dell’unica cosa che gli premesse: la conclusione del rituale. Egli era stata scelto per qualcosa di più grande della vita mortale, era stato scelto per fare in modo che Shamash accogliesse quelle parole, dall’Appalaku stesso decantate alcuni giorni prima, parole che lo avevano reso il primo fautore del rituale, quello su cui l’attenzione del Grande Giudice si sarebbe rivolta fino alla fine del rito.
Non semplici uomini aveva scelto per lui quel destino, ma ben più alte potenze lo avevano voluto lì, in quei giorni e per Baal solo questo era importante: Appalaku, Anunnaki, Annumaki, non avevano alcun valore per lui, se non quello di aiutarlo nel compito impostogli.
Della morte di Adapa, non aveva pianto, della consapevolezza d’essere sotto attacco non s’era preoccupato, della sorte toccata a Zisutra, che lui stesso aveva salvato da morte certa anni prima, non s’era curato, così come di quella di Etana; né di Enlil, o Ea, che aveva imparato a conoscere, s’era interessato, o li aveva pianti, allo stesso modo in cui non s’era nemmeno curato delle fini di quasi tutti gli Ummanu al servizio di quei due eserciti.
E come delle morti dei guerrieri mesopotamici non aveva avuto di che piangersi, così, Baal non trovava motivo per temere i cavalieri stranieri che avevano invaso Accad prima e dopo Anduruna, pronti ad impedire che quel rituale giungesse a conclusione. Un rituale di cui, certamente, non sapevano niente più di quello che gli Ummanu stessi avevano detto loro, di cui non capivano la grandezza, la potenza, l’impegno; sciocchi e miseri uomini legati ad una divinità greca.
Quei pensieri animavano da giorni la mente del Re Dorato, assieme alle sue considerazioni sui due sovrani: se non fosse stato per quella coppia di sciocchi il rito ormai sarebbe concluso, ma, purtroppo, Enlil e Marduk non avevano compreso la grandezza di ciò che stavano facendo, non avevano visto la magnificenza che, Baal ben sapeva, attendeva chi i prescelti alla fine di tutto.
La guerra cercava il Sovrano Scarlatto, arma per perdere quella sofferenza che da sempre lo appesantiva, arma che lo rendeva semplicemente uno strumento per proteggere Accad, oltre che per offrire quel cosmo necessario ad iniziare tutto. Solo per quello, in effetti, era stato veramente utile Enlil, che poco tempo aveva passato nella grande sala sulla vetta di Anduruna, prima di andare a morir in battaglia.
Le preoccupazioni per gli altri, invece, distraevano Marduk, la sorte dei suoi guerrieri, di quelli degli altri due sovrani, dell’intera Antica Capitale, tutto questo sembrava distrarlo, come se la sorte delle formiche valesse in confronto a quella delle divinità! Anche in quel momento il Sovrano di Smeraldo scrutava con la mente le battaglie che scuotevano il palazzo, battaglie che egli stesso aveva scatenato contro gli invasori per gli ultimi suoi più fedeli guerrieri.
Tutto questo, però, non preoccupava Baal, ciò che lui interessava era solo il rituale, che entro il giorno successivo sarebbe stato concluso.
***
"Menti, straniero! Come potrebbe il Sommo Ea avervi riparato le vestigia? Forse sotto tortura! Sì, solo se costretto avrebbe fatto ciò!", ammonì con determinazione Nusku del Carro Solare, rivolgendo le accuse ed il pugno chiuso in direzione del cavaliere nemico, Wolfgang dei Cani Venatici.
"Conoscevi quel saggio meglio di me, di certo, Ummanu, quindi saprai bene che queste tue parole sono menzognere, un mero modo in cui cerchi di negarti la verità dei fatti: non noi siamo colpevoli della sua morte, come non lo siamo di quelle di Adapa, o dei Anunnaki che tu vorresti vendicare.
Non ti ripeterò ancora quanto già detto, rifletti da te su quale possa essere la verità e cedi il passo se è vera devozione quella che ti lega al tuo sovrano.", spiegò con voce spezzata dalla stanchezza il santo di Atena.
Per alcuni secondi, Nusku barcollò nella propria posizione, indietreggiando dinanzi alle parole del nemico, mentre il seme del dubbio diventava sempre più forte a seguito di quella verità. Non era la prima volta che si muoveva nella sua mente, il dubbio, già nel vedere quel guerriero rialzarsi, dopo ogni colpo, dopo ogni ferita, dimostrando determinazione e coraggio che non avrebbe mai lui creduto possibili in un invasore, già allora la certezza di essere nel giusto iniziò a vacillare. Le parole del nemico, poi, fecero il resto, insinuando la preoccupazione che Re Marduk fosse manovrato per un progetto ben diverso da risvegliare il divino Giudice, per qualcosa di diverso, di terribile, come la distruzione degli Ummanu per mano di chi consideravano loro amici e compagni. Questi dubbi si annidavano in quei momenti nella mente dell’Anunnaki, che desiderava correre a chiedere consiglio ad Aruru, o a Ninkarakk, poiché il primo era saggio e forte, mentre la seconda dolce e calma nel riflettere, entrambi gli erano sempre stati vicini, fin da piccoli, dandogli modo di sbagliare meno di quanto lui, testa calda quale era, avrebbe di certo fatto nella sua vita.
Ora, però, Golem e Khuluppu erano caduti, se per mano di quel gruppo di invasori non era dato saperlo, da solo doveva fare le sue scelte, doveva agire per il bene del proprio Re, prima che per se stesso!
"Fossi anche nel vero, straniero, non è in mio diritto mettere in dubbio la volontà di Sire Marduk: egli reclama la vostra morte, per vendicare la perdita di Ea il Saggio. Forse non siete voi i colpevoli di tale disgrazia, come di quelle capitate a Ninkarakk, o Aruru, ma devo obbedienza al mio sovrano, credo che questo tu lo possa capire…", esordì a quel punto Nusku, ricevendo un gesto di triste assenso dall’avversario, "Dunque solleva le tue migliori difese, poiché stavolta il Carro del Sole trancerà la vita che ti rimane, se non saprai difenderti!", avvisò deciso l’Anunnaki.
"Sarà fermato prima di potermi raggiungere, per tua disgrazia, poiché come un cinghiale attacchi, caricando frontalmente, con innegabile potenza, ma, al pari dei facoceri, questa non basta dinanzi al cacciatore esperto.", replicò sibilino Wolfgang, espandendo il proprio cosmo, al pari del nemico.
"Sia quel che sia, straniero, non posso rifiutarmi di combatterti, i doveri di Ummanu mi spingono alla lotta! Mostrami come vorresti fermare il Carro del Sole paragonandolo ad un cinghiale ed io ti rivelerò come tale similitudine sia semplice follia!", lo sfidò ancora il guerriero mesopotamico.
"Grande Carro di Luce! Travolgi chi ti si pone dinanzi!", urlò Nusku; "Trupper der Jäger!", tuonò di rimando il santo dei Cani da Caccia.
La corsa del carro di Luce divenne una gigantesca sfera luminescente, diretta inesorabile verso il cavaliere d’argento, i cui pugni, portati indietro contemporaneamente, si mosse verso avanti, liberando decine di segugi di energia elettrica che, da tutte le direzioni, eccetto che frontalmente, puntarono il comune bersaglio: l’Anunnaki.
Bao Xe della Musca dovette sollevare le braccia a difesa del proprio corpo, quando le due energie cosmiche si investirono vicendevolmente, producendo lampi e bagliori tali da accecarla per alcuni secondi, poi, al di là del rombo dei colpi, del rumore di vestigia in frantumi, delle urla soffocate dei due combattenti, giunse il silenzio, che solo inghiottì la scena, quando la sacerdotessa di nuovo riuscì a mettere a fuoco attorno a se.
La giovane guerriera vide Wolfgang in ginocchio, le vestigia che proteggevano l’avambraccio destro, così come la mano ed il pettorale, erano ormai in frantumi, disperse sul terreno intorno al cavaliere stesso, che, lentamente, quanto faticosamente, volse il proprio capo in direzione dell’avversario, mentre già il sangue colava dalla sua bocca.
Nusku del Carro Solare era ancora in piedi, ma niente più era rimasto delle sue vestigia, andate in pezzi nello scontro fra le due forze d’attacco, per un attimo, l’Anunnaki ricambiò lo sguardo dell’avversario, concedendogli un sorriso, poi sputò del sangue dalla bocca, prima che da un’immane ferita che s’aprì sulla spalla sinistra, strappando parte della pelle, come se un possente morso vi fosse stato impresso.
Così cadde al suolo l’Ummanu dalle verdi vestigia, scivolando sulla propria schiena, prima che una pozza rossa segnasse l’inizio della sua fine.
"Sconfitto, caduto per mano di un nemico più forte… che altra fine potevo aspettare per me senza i consigli degli amici cari? Gettarmi alla cieca in questa battaglia, l’ultima di tante follie.", sussurrò a se stesso, l’Anunnaki, prima di muovere convulsamente il volto, in cerca del nemico; "Straniero!", urlò con tutta la forza che ancora gli rimaneva in corpo.
A fatica Wolfgang si rialzò, avanzando verso l’avversario sconfitto, "Sei dunque tu, il più forte.", si congratulò con voce stentata Nusku, "Forte? Forse…avvezzo alla caccia, mi definirei, non di certo il più veloce però.", ammise il cavaliere d’argento, portandosi la mano sinistra alla spalla sanguinante.
"Vincitore sei comunque…", replicò l’Anunnaki, "ed ora ti prego, dimmi: vere sono le parole che finora mi avevi rivolto? Sul serio dei nemici si nascondono fra gli Ummanu che credevamo amici?", chiese con voce strozzata dal dubbio.
"Sì, guerriero, sul mio onore di cavaliere di Atena te lo confermo.", rispose deciso Wolfgang.
"Allora, cavaliere di Atena, ti chiedo un favore per me, che sono ormai morente: vendica i compagni che ho perso per mano di questo inganno e proteggi, per quanto ti sarà possibile, la vita di chi mi è Sovrano.", sussurrò il guerriero del carro Solare.
"Lo farò, Anunnaki, per te e per chi altro è stato ingannato in questi giorni di dura battaglia, svelerò gli inganni ed impedirò che il tuo Re ne sia vittima.", rassicurò il santo dei Cani da Caccia, stringendo la mano dell’avversario che, con un mesto sorriso sul volto, rispose per alcuni attimi alla presa, prima che la vita lo abbandonasse del tutto.
Bao Xe aiutò allora il cavaliere d’argento suo pari a rialzarsi, sostenendone il peso, prima di iniziare a camminare verso il percorso preso, prima dello scoppiare di quella lunga e dolorosa battaglia, da Leif di Cetus, ma fu proprio l’apparire del santo proveniente dal Nord a fermare i due.
"Eccovi dunque!", esclamò il guerriero di origini nordiche, "Avevo intrapreso un percorso che forse all’uscita poteva condurci, ma l’esplodere di una luce fin troppo inquietante mi ha spinto a tornare indietro, dovevo sapere dell’esito di questa battaglia.", confessò Leif, rivolgendo uno sguardo al cavaliere dei Cani Venatici.
"Lo so, ad ogni scontro mi riduco sempre peggio…", brontolò Wolfgang, dinanzi agli occhi indagatori del parigrado, "ma anche tu non brilli certo per scaltrezza, Cetus, perdere la strada che c’avrebbe condotto all’uscita!", lo ammonì poco dopo.
Con un sorriso accennato sul viso, però, Leif si fece di lato, mostrando come il terreno dietro di lui fosse coperto da leggera brina, "Ho lasciato una scia che mi riconducesse lì dove ero arrivato, fin dall’inizio l’avevo deposta sul terreno, per indicarvi il percorso.", spiegò con calma l’altro, "Ed ora, andiamo, Cani Venatici.", concluse, sostenendo anch’egli il compagno ferito, dal lato in cui era stato maggiormente colpito.
Un ultimo sguardo, prima di allontanarsi, Wolfgang dei Cani da Caccia rivolse al corpo privo di vita di Nusku, memore della promessa che a questi aveva rivolto.
***
Il boato dei colpi che provenivano dalla zona degli Anunnaki, una luce rossa che dalla stessa ala di Anduruna s’era elevata nel cielo a disegnare un ragno, i bagliori accecanti, assieme a ben meno potenti esplosioni di energia cosmica, i cui boati erano comunque avvertibili nelle stanze degli Annumaki; tutto questo era ciò che stava seguendo con i loro sensi i due sopravvissuti dell’esercito di Enlil dello Scettro.
"Sembra che ci sia una festa da queste parti…", esclamò d’un tratto Erra, "Sì, peccato che nessuno ci abbia ancora invitato a parteciparvi.", replicò Arazu, che scrutava con avidità le sue vestigia, disposte alla sinistra di quelle di Sin, mentre alla destra vi erano quelle del compagno d’arme.
"So, però, aspettare, mio buon Erra! Si dice che la calma sia la virtù dei forti, ma, in vero, preferisco dire che questa è la calma che farà da preambolo alla tempesta!", esclamò, volgendosi verso il compagno, il primo guerriero di Sin.
"Se questa è la calma, mi chiedo come sarà la tempesta.", replicò Erra, con un sorriso divertito sul volto, "Sarà terribile ed incontrollabile, un banchetto di sangue e morte, in cui noi sguazzeremo, cibandosi di chiunque sopravvivrà a queste battaglie. L’alba indicherà, in un modo, o in un altro, la nostra entrata in scena!", spiegò gioioso Arazu.
"Che il nostro buon Sovrano giunga qui, chiedendoci di vendicare gli Anunnaki sconfitti, o che silenziosi come sciacalli ci sia detto di finire ciò che gli stranieri non hanno saputo portare a termine, poco cambia! Fra poche ore avremo dei guerrieri da uccidere!", concluse deciso il primo degli Annumaki.
"Ma ricorda…", si intromise allora Erra, "le due fanciulle con la maschera sono premi ambiti per il nostro sovrano! L’una cura le ferite, l’altra rivela ricordi che debbono restare celati; nessuna di loro dovrà raggiungere Marduk, o l’istante di distrazione tanto atteso potrebbe più non giungere per Sin!", spiegò.
"Questo lo so molto bene, proprio a tal motivo ci divideremo: a te, Pestilenza fra gli uomini, spetterà di trovare i sopravvissuti nel labirinto che qui accanto a noi si erge, a me, al contrario, sarà data la gioia di divorare quanti più corpi troverò nelle stanze degli Anunnaki.", ordinò secco Arazu.
"Perché, Mastino degli Inferi, a te spetta il luogo con più possibili vittime?", domandò indispettito l’altro, "Perché troppo grande è la curiosità di vedere chi mai potrebbe aver vinto Girru e Kusag, che a Nusku erano di certo superiori!", concluse con una malefica risata l’Annumaki, risata a cui presto si unì anche il suo parigrado.
***
"Visione del Nulla!", "Pagida Aracné", queste le ultime parole che Kusag di Labbu e Husheif di Reticulum si erano rivolti nella loro battaglia, che sembrava ormai giunta alle battute conclusive.
La marea di luce s’era aperta, lasciando che l’attacco dell’Anunnaki si dirigesse inesorabile contro il cavaliere suo avversario, allo stesso tempo la portentosa ragnatela della Tarantola aveva liberato, nel caldo colore rosso della sua forma ultima, l’estrema energia incandescente che dalla Nebulosa omonima provenivano.
Violento l’attacco di Kusag investì l’immobile cavaliere d’argento, danneggiandone considerevolmente le vestigia, prima di schiantarlo contro una parete, ormai ridotta a morbida argilla dal calore della ragnatela; mentre il calore della tela di Husheif liquefaceva le vestigia di Labbu, ustionando il corpo del suo padrone.
Per alcuni interminabili secondi, l’Ummanu rivide i giorni della giovinezza, con il padre ed i suoi lunghi viaggi, prima, poi solo ad addestrarsi, leggendo dai libri quanto già non sapeva; rivide l’asceta che gli aveva indicato quale strada seguire, anziché quella del semplice potere fine a se stesso e rivide Ea, il Saggio, che lo trovava in mezzo al deserto, parlandogli dei progetti di pace che erano stati di Annu prima che di Marduk e che l’allora giovane Sovrano di Smeraldo aveva fatto propri. Vide infine quello stesso sovrano proporre loro, qualche mese addietro, di seguirli fino a raggiungere l’Antica Capitale Accad, dove avrebbero richiamato in questo mondo il divino Shamash, il Grande Giudice.
Ricordò il dubbio che lo aveva assalito riguardo alla giustizia divina a confronto con quella mortale, ma niente, allora, aveva detto, poiché grande era la speranza di pace che quel progetto aveva portato nei cuori di Marduk, Girru, Nusku, Aruru e Ninkarakk, una pace che sempre avevano difeso, temendo il giorno in cui sarebbe arrivata la battaglia. E la battaglia, alla fine, era arrivata, sotto forma di alcuni giovani di Grecia, cavalieri di Atena come lui stesso avrebbe voluto essere, cavalieri che avevano trucidato Adapa di Oannes, per primo, e poi gli altri Appalaku, oltre che gli Annumaki e gli Anunnaki; ora, se anche i compagni erano stati sconfitti, solo guerrieri degli altri eserciti erano rimasti e chi più avrebbe difeso Marduk, suo Sovrano? Con quella domanda nel cuore, Kusag abbandonò la vita, sperando che la conoscenza che aveva tanto cercato in questa esistenza potesse finalmente rivelarsi a lui dopo la morte, ma pregando al qual tempo per la sorte dei compagni, degli amici, e del Re, che nel palazzo di Anduruna lasciava.
Di quei pensieri, Husheif niente poté sapere o intuire: svenuto per l’attacco avversario che lo aveva travolto, il cavaliere di Reticulum ora vagava nei ricordi della sua infanzia di guerriero, fra gli addestramenti con Edward di Cefeo, cui, per la prima volta dopo molto tempo, si sentiva più vicino, il che dava, al suo viso ferito e sanguinante, quasi una nota di gioia.
Era però inconsapevole, il cavaliere egizio, che l’esplodere dei due attacchi aveva involontariamente coinvolto anche Dorida della Sagitta che, ancora svenuta, era crollata, assieme al suolo su cui era stata depositata, proprio sul campo di battaglia, una volta conclusosi lo scontro fra i due, restando a sua volta sepolta parzialmente dall’argilla fusa che ora costituiva quella stanza, intrappolata e priva di sensi all’interno della sala, come il parigrado di Reticulum.
***
Correvano da diversi minuti, avvertendo l’esplodere di molte battaglie intorno a loro, per via di come tremava il terreno, sicuri che anche qualcun altro dei compagni, oltre a chi avevano lasciato dietro, stesse duellando in quelle stesse sale.
In silenzio avanzavano Zong Wu dell’Auriga e Gwen del Corvo, finché, improvvisamente, una nuova violenta esplosione d’energia sembrò investire l’intera costruzione; non ci volle molto perché alcuni frammenti della parete sulla loro sinistra iniziassero a crollare, come se non vi fosse più solida roccia a reggerli, ma ben più delicata argilla, che andò sbriciolandosi sotto il peso dei mattoni più pesanti, che iniziarono a piovere sui due santi di Atena.
Solo l’agilità di movimenti d’entrambi servì per salvarli da quelle macerie che, però, frantumarono la dura scalinata, ostacolando loro il cammino.
"Che fare adesso?", domandò subito la sacerdotessa di Corvus, "Distruggerli è da escludere…", osservò di rimando il santo di origini cinesi, "guarda il modo in cui è crollato il soffitto, rischieremmo che ci frani tutto addosso, provocandoci ferite che risulterebbero un duro fardello, se dovessimo portare avanti qualche altra battaglia.", spiegò il cavaliere di Auriga.
"Dovremo arrampicarci sulla frana e togliere solo i macigni più in alto, per non destabilizzarli, così da uscire nella sala sovrastante, o corridoio che sia.", suppose allora l’altra, trovando il parigrado concorde.
Così i due iniziarono la scalata di una parete che era franata, celando loro ancora diversi scalini, scalata che avrebbe consumato almeno una, o due, ore del loro incedere.
***
La notte era infine calata, a concludere il secondo giorno di battaglie che avevano investito Accad, l’Antica Capitale.
Incurante delle rimostranze di Baal, ora Marduk, il Sovrano di Smeraldo, non era al suo posto, all’interno della grande sala dove il rituale stava continuando, no, egli era fuori, in uno dei balconi esterni all’ultimo piano di Anduruna, chino dinanzi ad una pira che lui stesso aveva, in pochi minuti, lestamente costruito e dove, all’ultimo, aveva appoggiato un corpo, quello dell’uomo che era stato suo maestro, mentore, padre per un certo periodo, ed amico sopra ogni cosa, il Consigliere degli Anunnaki: Ea, il Saggio.
Ne aveva curato in parte le ferite, pulito il corpo dai graffi e poi rivestito d’un abito lui più degno, verde e splendente, con ricamate magnifiche immagini di pesci d’acqua dolce, i pochi che quelle terre popolavano. Così lo aveva deposto sulla pira, piangendo di non poter fare altrettanto per Mummu, Ninkarakk, Aruru e per gli altri suoi Anunnaki che ormai sapeva sconfitti.
Aveva avvertito Girru consumare fino all’ultimo il proprio cosmo incontrollabile per finirsi con uno dei nemici; Nusku cercare di vincere un avversario che a stento gli era sopravvissuto e Kusag finire sconfitto, persino lui, contro un altro guerriero altrettanto potente, che probabilmente s’era dato la morte nell’eliminare l’Ummanu di Labbu.
Ora non avvertiva che due forze vitali avanzare in modo confuso nell’area dell’esercito verde ed altre tre che confusamente cercavano la fuga dal labirinto nei territori degli Annumaki, non d’altri nemici sentiva la presenza muoversi all’interno del palazzo, ma che fossero morti, o moribondi, non gli era dato saperlo.
In quel momento, poi, a Marduk non interessava che i nemici fossero vivi o morti, poiché altre vite s’erano spente fra quelle a lui più care e ciò ne dilaniava il cuore come un coltello acuminato, più di un colpo mortale portato a suo danno, molto di più ora soffriva.
In silenzio il Sovrano di Smeraldo sollevò la fiamma che teneva nella mano destra, poi si avvicinò alla pira e le diede fuoco.
"Addio, Saggio Ea, che tanto a lungo di me ti prendesti cura; possano gli dei tutti accoglierti al loro simposio, ti venga incontro la dolce Ishtar, dea dell’amore, per donarti quella pace che nel mondo degli uomini non potesti che assaporare per breve tempo, negli anni in cui mi crescesti, prendendo il posto del padre che avevo perso per mano nemica e d’invasore.
Una mano simile ora ti ha portato via da me, strappandomi parte del cuore al qual tempo, non una, ma sette parti, per ognuno degli Anunnaki caduti.", aggiunse, prima che le lacrime rigassero un triste sorriso che si formava sul suo viso.
"Ti chiedo scusa, maestro, se non solo a te dedicherò le mie parole, ma sono certo che dall’alto dei Cieli ormai ti avranno già raggiunto i compagni di tante avventure, amici che con noi avevano condiviso tutto, quindi anche loro voglio adesso salutare.
Aruru, nobile di cuore e forte di pugno, invincibile si diceva egli fosse, per le vestigia che indossava, ma un destino ironico ha voluto che fosse proprio il potere di un amico, Enlil, a travolgerlo, salvando dalla sua devastante potenza i nemici invasori che lo avevano incontrato sul loro percorso. Lui saluto con affetto.
Ninkarakk, buona di cuore e nei suoi pensieri, desiderosa di soccorrere tutti gli amici che trovava attorno a se feriti. Persino lei è morta a causa di questi invasori, con l’unico desiderio di trovare e soccorrere il fraterno compagno di giochi, poi diventato pari nei campi di battaglia. Lei, che come albero in fiore aveva dentro noi lasciato radici di pace, ora è stata sradicata da questo mondo con estrema violenza. Anche a lei è rivolto il mio ultimo saluto.
Mummu, dolce nei momenti di solitudine che condividevamo, ma fredda con gli altri, impassibile in battaglia, ma non priva di sorrisi, quando era possibile. Con lei mi è stata strappata una parte ben più grande del mio cuore, un affetto che non credevo possibile negli anni in cui nacque, un affetto che è alla fine andato perduto per mano d’invasori ingiusti. A lei il mio saluto più dolce.
Girru, abile guerriero di indubbia virtù, che un giorno mi dedicò la sua vita, in pagamento al debito che diceva di avere, un debito che mai chiesi di pagare, poiché fu semplice bontà ad animare il mio gesto. Ora egli non v’è più, sacrificatosi in nome dell’onore che lo contraddistingueva. Lui saluto con rispetto.
Nusku, veloce e coraggioso, sempre pronto ad andare in battaglia per gli amici che considerava come unica sua famiglia. Rapido nell’affrontare i nemici, impavido dinanzi agli attacchi avversari, buono per chi gli era caro e si dimostrava degno del suo rispetto. Solo per mio ordine è andato in battaglia, al pari degli amici caduti assieme e prima di lui, e ha compiuto la sua ultima corsa. Lui saluto con il rammarico di non saperlo più qui a sorridere.
Kusag, il più saggio e potente, colui che meglio controllava il cosmo, a discapito della forza fisica, sapiente eremita che proprio tu, Saggio Ea, portasti fra noi, dandogli modo di usare per qualcosa di più grande l’immenso potere che aveva imparato a dominare, estraniandosi dai desideri di dominio. Lui che aveva un cuore puro e luminoso come il cosmo che manipolava è ora perso, assieme agli altri. Con immenso orgoglio lo saluto, sapendo che fino all’ultimo ha seguito le mie richieste.
Da solo, tutti voi saluto, rigando il mio viso di lacrime, ricordando ogni bel momento con voi passato e promettendovi giustizia contro gli invasori privi di pietà che di voi hanno fatto strage.
Sempre resterete nella mia mente, poiché, in questo triste giorno, tutto ho perso, perdendo fino all’ultimo dei miei compagni e trovandomi solo…", affermò triste il Re di Smeraldo, prima che un rumore di passi lo interrompesse.
"Non solo, amico mio, né nell’intento di giustizia, né in questo triste momento, in entrambi ti sono accanto.", esordì la voce di Sin, che al sovrano degli Anunnaki si presentò con il volto chino e segnato dal dolore, avvicinandosi a lui ed osservando, con occhi che a Marduk apparvero tristi quanto i suoi, la pira che brillava nella notte.
"Anch’io rimpiango il padre ed i compagni persi…", continuò l’Annumaki e, ripetendo i nomi di ognuno degli elementi del proprio esercito, nella sua mente vagavano pensieri diversi da quelli che l’aspetto trasmetteva.
Gioia irrorava la mente di Sin nel ripensare a com’era morto Enlil suo padre, che tanto a lungo aveva cercato la fine, ricevendola per mezzo di un complesso piano che proprio alla distruzione degli Ummanu puntava, un piano che avrebbe sterminato tutti, indistintamente, ma che nel Re Scarlatto aveva il suo primo bersaglio d’alto lignaggio.
Pensava a Beletseri, l’unica morte per cui, forse, un po’ era dispiaciuto; in fondo, anche se tempo addietro, proprio la guerriera di Etemmu era stata l’unica fonte di calore in quel triste abisso d’oscurità che lo divorava viaggiando fra le schiere paterne.
Zakar, al contrario, ricevette giusto un pensiero di derisione da parte di Sin, tanto era debole l’Annumaki dell’Incubo, incapace di niente più che ingannare e colpire alle spalle l’avversario, quando era stordito e stanco.
La morte di Nedu era stata invece una variabile inattesa: non credeva che qualcuno avrebbe vinto sul guerriero di Magilium, la cui forza sarebbe stata utile, ma difficilmente controllabile; proprio per questo, comunque, non ne rimpianse la caduta.
Enki, al contrario, era già scelto che morisse, al pari di Enlil, poiché pieno della sua sciocca sete di giustizia, del contorto senso di lealtà a Shamash che lo rendeva un ostacolo al fine di eliminare l’ordine costituito e crearne uno nuovo.
Questo il Principe Scarlatto pensava dei compagni caduti, ma non questo disse a Marduk, che piuttosto cercò di consolare, attendendo il momento adatto per ucciderlo, assicurandogli che sarebbero stati Arazu ed Erra ad eliminare gli invasori; loro, gli unici guerrieri di cui realmente poteva fidarsi, poiché assetati di distruzione e disperazione.
***
Lo aveva visto sull’Altura delle Stelle, lì si era ritirato, dopo un giorno dalla partenza del secondo gruppo di cavalieri d’argento, e lì aveva visto ciò che il cosmo di Shamash non avrebbe dovuto permettere di vedere, qualcosa che si stagliava oltre, all’orizzonte, una presenza ben più pericolosa, che forse nulla aveva a che fare con ciò che stava accadendo nell’Antica Capitale mesopotamica, ma che preannunciava nubi di guerra in terre distanti, nubi che somigliavano alle stesse già incontrate da alcuni cavalieri d’argento anni addietro.
Il dubbio che il nemico fosse lo stesso, che proprio quello si trovasse dietro la misteriosa minaccia di cui da tempo cercava notizie, tanto da mandare il più forte dei suoi cavalieri, il Triangolo, in Asia; chi da lui aveva ricevuto l’addestramento dall’altra parte del mondo ed Abar di Perseo nel Medio Oriente, dopo che la morte di Edward di Cefeo aveva impedito nuove ricerche in terra d’Africa.
"Chi saranno questi nemici?", si chiese l’Oracolo di Atena, volgendo il capo verso il cielo, verso Oriente, "Tu, amico mio, sapresti darmi risposta? Tu che per primo potesti avvisarmi di questa minaccia.", continuò, indirizzando le proprie parole verso colui che da quasi duecento anni non vedeva.
La meditazione presso l’Altura delle Stelle, però, doveva ora giungere a termine: da qualche ora aveva richiesto l’arrivo ad Atene dei guerrieri sacri della Dea. Dopo quasi duecento anni, il rischio di una nuova guerra lo aveva costretto a mandare altri rinforzi in soccorso dei santi d’argento, oltre che preparare nuovi gruppi di cavalieri da inviare lì dove le nubi di guerre sembravano più dense, al fine di trovare una luce, al di là di quelle tenebre.
Con il dolore nel cuore, Sion, il Sommo Oracolo di Atena, aveva accettato di rischiare la vita di molti altri cavalieri, mentre già il Santuario si preparava alla battaglia, così come avevano fatto il suo maestro ed il fratello di lui quasi due secoli prima. Il nemico era di certo un altro, ma la consapevolezza ed il dolore di perdere dei guerrieri devoti alla Giustizia erano le stesse.