Capitolo 19: Le parole di Ea

"Sei stato sconfitto, guerriero di Accad.", quelle le parole di Bao Xe della Musca ad Ea di Usma, ora chino al suolo, tenendosi la ferita al petto.

"Avanti, finitemi…", fu l’unica cosa che l’anziano consigliere aggiunse, con le forze rimastegli, "Se proprio lo desideri, vedrò di accontentarti!", minacciò Damocle di Crux, sollevando un braccio verso il capo dell’Ummanu.

"Fermo!", esclamò allora Dorida della Sagitta, portandosi fra il nemico sconfitto e l’alleato, per bloccare il suo attacco.

"Non ucciderlo!", ordinò la sacerdotessa guerriero, "Perché non dovrei?", domandò allora l’italiano, "Perché non siamo qui al fine di uccidere i guerrieri di Accad, bensì per impedire l’arrivo di Shamash. Già stamani, dopo la battaglia con Ninkarakk, ho avuto modo di capire che anche i guerrieri di questo esercito non cercavano la guerra, semplicemente stanno seguendo il loro concetto di Giustizia. Dovremo solo comprenderci, impedire che agiscano per una Giustizia senza pietà.", spiegò Dorida.

"Dovremmo lasciarlo vivere solo per questo? Per discutere di Giustizia? Pensi che, piuttosto, lasciarlo vivere non sarebbe un pericolo? Conosce tutti i nostri attacchi, le abilità di cui siamo padroni, ci dividerà per darci in pasto ai suoi compagni!", ammonì il santo della Croce del Sud.

"Il pericolo di cui parla non è impossibile…", osservò diffidente Husheif, "Non per questo però dobbiamo reputarli dei nemici tutti ed in ugual modo.", lo interruppe, però, Zong Wu, "Siamo giunti noi nelle loro terre, per combatterli, perché, al contrario loro, noi crediamo nella libertà di sbagliare e correggersi insita negli uomini, anziché in una giustizia fredda e spietata verso tutti.

Massacrarli alla cieca, sarebbe andare contro agli insegnamenti di Atena. Non di Ares siamo seguaci, non della selvaggia battaglia ci dobbiamo saziare, bensì di Giustizia dobbiamo riempire ogni nostro gesto e per quella stessa dobbiamo combattere.", spiegò il cavaliere dell’Auriga.

Fu allora che Ea si alzò in piedi, circondato da tutti i santi di Atena, lasciando esplodere per un istante la propria energia cosmica, che subito portò tutti i guerrieri greci a portarsi in posizione di guardia, prima di rendersi conto che, quell’ultima esplosione del cosmo avverso, aveva allontanato dal corpo le vestigia di Usma, che avevano abbandonato il campo di battaglia.

"Avete vinto, stranieri. La forza e strategia che avete dimostrato in combattimento mi ha superato, inoltre la vostra giustizia ha surclassato quella di chi qui ci ha condotto.", furono le semplici parole dell’Anziano consigliere, "Non avete preso la mia vita, permettetemi allora di concedervi le mie abilità di fabbro.", concluse.

"Tu hai creato le vostre armature?", chiese sorpreso Wolfgang al vecchio che avanzava verso di loro poggiando le proprie stesse dita nella ferita che aveva sul petto, "No, straniero, non ho creato le sacre vestigia degli Ummanu, bensì le ho riparate, fu l’ancestrale dio delle Acque Dolci di cui porto il nome, il potente Ea, Signore dei Fiumi, a creare queste armature per tre divinità del nostro mondo: Shamash, il Giudice, Ishtar, Signora dell’Amore, ed Erekishgal, Regina degli Inferi.", iniziò a spiegare l’anziano consigliere.

"Fu il colore delle vestigia ed alcuni dei simboli utilizzati a distinguere le quindici armature nelle tre armate degli Anunnaki, nome che indica le divinità del cielo, consacrati al Grande Giudice, degli Annumaki, le divinità della terra, al seguito della Sovrana degli Inferi, e degli Appalaku, parola che nel mito indicava un gruppo di saggi, al servizio della dea dell’Amore.

"Se le vestigia sono quindici, restano solo quattro soldati del vostro esercito?", domandò allora Husheif, considerando i tre guerrieri dalle armature dorate, i cinque in vestigia rosse ed i tre in verde che sapeva sconfitti, o aveva visto perdere.

"No, straniero, le armature degli Ummanu in principio erano quindici, ma avvenimenti vecchi di millenni hanno portato al loro aumento a ventuno.", spiegò l’uomo.

"Quando, infatti, le vestigia furono create, ve ne erano tre che rappresentavano dei simboli di poteri, uno per ognuno dei tre eserciti: Scettro, Corona e Trono. Ognuna accompagnata da quattro armature al suo servizio, tutte rappresentante delle creature mitologiche in qualche modo legate ai miti delle diverse divinità.

Usma, una delle creature al servizio del Sommo Ea, era simbolo del legame fra lui e Shamash; eguale la motivazione per cui furono create le vestigia di Apsu, il fiume del Mondo; Khuluppu, l’Albero della Vita, poiché Shamash è dio del sole, che anima il mondo ed il Carro del Sole. Questi erano i quattro simboli originari degli Anunnaki.

Allo stesso modo, il Kur, drago degli Inferi, l’Etemmu, gli spiriti senza pace, lo Zu, il mostro alato che cercò di rubare le sacre tavole della Legge, ed il Magilium, la nave dei Morti, furono i primi simboli degli Annumaki, al servizio della Signora dell’Oltretomba.", raccontò il Consigliere.

"Ed il Golem, l’Incubo?", domandò incuriosito Zong Wu, "Come dissi poco prima, furono avvenimenti di millenni fa ad aumentare il numero degli Ummanu.", riprese Ea.

"Millenni fa, infatti, le nostre terre furono invase da un potente guerriero, Alessandro il Grande era chiamato, un uomo che stava avendo ragione del Re dei Persia, un uomo che si sentiva pari ad un dio per la grandezza del proprio impero, ma che non riusciva a piegare il sovrano di un regno piuttosto piccolo, una città in confronto alle vastità di colui che era stato sconfitto.

Gli Ummanu non potevano partecipare alle guerre fra gli uomini, essendo guerrieri divini, ma il Sovrano degli Appalaku non poteva sopportare quel dominio esterno, così, almeno da ciò che si narra, rifiutò di attendere in silenzio il proseguire degli avvenimenti mortali, e partì assieme ai suoi quattro guerrieri per invocare il diritto di agire alla divina Ishtar.

Non si seppe mai cosa successe loro, per secoli furono chiamati l’Armata dispersa, e per riequilibrare la perdita di guerrieri, Ea, la divinità, decise di creare altre tre armature per gli Annumaki e per gli Anunnaki, rendendoli due eserciti di otto elementi ognuno.", concluse il Consigliere.

"Ora, però, questa Armata dispersa è riapparsa…", osservò perplesso Menisteo, guardando con curiosità l’Anunnaki.

"Sì, hai ragione, straniero, e se vorrete vi racconterò anche del loro ritorno, ma prima, vi vorrei chiedere di togliervi l’armatura, così che possa ripagarvi della grazia concessami.", replicò con calma l’anziano.

"Toglierci le armature? Vorresti farci credere che ora ce le riparerai? Potremmo anche uccidere i tuoi compagni dopo e tu comunque faresti ciò per noi?", domandò diffidente Damocle. "Al contrario, non ve le renderò nuove, semplicemente riparerò le crepe più gravi, ne aumenterò in parte la resistenza, permettendovi di raggiungere il prossimo piano con una difesa maggiore, chiedendovi solo, in cambio, di esporre il vostro desiderio di giustizia, le parole con me scambiate, ed i vostri dubbi su dei traditori, dinanzi agli altri Anunnaki, che so essere ragionevoli.", rispose secco Ea, cogliendo il dubbio nelle parole dell’italiano.

Non vi furono parole dopo, solo Bao Xe che si portò dinanzi ai compagni, lasciando che le vestigia della Musca si sganciassero dal suo corpo, disponendosi al suolo fra lei e l’anziano, subito seguita dall’allieva, poi da Gwen, Zong Wu e Wolfgang. Menisteo di Eracle si guardò per qualche attimo intorno, prima di togliersi l’armatura, lasciando che si disponesse vicino alle altre.

Husheif e Damocle si guardarono con diffidenza, "Va bene, vecchio, faremo come vuoi, ma vedi di non provare ad ingannarci!", ammonì l’uomo di origini egizie, mentre anche le vestigia di Reticulum e Crux si posavano sul pavimento della sala.

***

Sin, Principe degli Annumaki era solo, seduto sulle scalinate che portavano alla sala dove i Sovrani portavano avanti il rituale, che avrebbe dovuto richiamare Shamash sulla terra.

In silenzio l’uomo dai capelli rossi si guardava intorno, prima che un rumore lo riportasse alla realtà: una figura apparve dinanzi a lui, una fanciulla dai lunghi capelli grigi, che scendevano come acqua fino alla cinta, gli occhi sottili ed azzurri che scrutavano con freddezza il figlio di Enlil.

"Dimmi, Mummu degli Anunnaki, cosa succede? Perché sei qui? Non hai saputo dell’ordine del tuo sovrano Marduk?", chiese, alzandosi in piedi, il Principe.

"In vero, ho saputo da Girru e Nusku che il Re di Smeraldo ha richiesto al suo esercito di attendere presso le nostre stanze, mentre Ea il Saggio combatteva contro gli invasori, ma io non ero presente al momento dell’ordine, inoltre, ciò che ho visto mi ha convinto a muovermi fin qui.", spiegò la donna, con voce impassibile.

"Cosa hai visto?", domandò incuriosito Sin, "Le vestigia di Usma, sono tornate al loro posto, fra le armature degli Anunnaki, con dei seri danni, non vi è, però, segno alcuno di Ea.", rispose secca.

Il Principe rimase sorpreso da quelle parole, "Com’è possibile ciò? Anche nell’assurdo caso che lo avessero eliminato, sarebbe illogico che l’armatura di Usma ritorni da se…", ipotizzò perplesso l’Annumaki, "Solo il Saggio Ea può averlo fatto, volontariamente, o involontariamente… magari lo hanno costretto.", suggerì l’Anunnaki.

"Costringere Ea? Dopo aver sconfitto mio padre Enlil, sarebbe di certo un’azione non di poco valore da parte di questi misteriosi stranieri… azione che li renderebbe un pericolo per la conclusione del Rituale che il nobile Marduk ed il grande Baal stanno portando avanti.", osservò preoccupato l’uomo.

"Dovremmo andare a controllare, credo di sapere in che sala il Saggio Ea possa aver dato battaglia ai nemici, la più adatta per utilizzare i suoi poteri legati agli elementi della natura.", aggiunse allora la guerriera, facendosi di qualche passo avanti e cercando lo sguardo pensieroso dell’altro.

"Sia. Indossa le vestigia di cui sei padrone, Anunnaki, andremo noi due in persona a cercare notizie di Ea il Saggio, non voglio che altre preoccupazioni annebbino la mente del tuo sovrano in questo momento.", concluse allora Sin, alzandosi a sua volta per lasciare, come la sua interlocutrice, la sala.

***

I nove cavalieri d’argento osservavano in silenzio l’uomo poggiare con calma la propria mano sulla ferita che aveva subito al petto, prendendone del sangue, per poi versarlo sulle loro armature.

"Quale maleficio è mai questo? Cosa stai facendo, vecchio?", tuonò Damocle, non appena il rosso liquido toccò le sue vestigia, "Forse non lo sai, giovane straniero, ma solo il sangue può dare nuova vita e forza ad un’armatura. Certo, quelle poche gocce che ora sto lasciando sulle vostre vestigia non porteranno questo risultato, ma di sicuro le rianimeranno; al contrario, se voi stessi vi dissanguaste, potreste far risorgere del tutto le armature che indossate. Servirebbero ben 2/3 del vostro sangue per farlo, però.", spiegò Ea, senza alzare lo sguardo dal proprio lavoro.

"Dunque, ciò che puoi fare ora è solo sporcarle un po’ di sangue perché diventino più resistenti?", domandò perplesso Husheif, "Il sangue da solo farebbe ben poco, userò però anche la polvere delle stelle, frammenti di antichi meteoriti caduti in queste terre in tempi antichi, per ottenere i risultati che vi ho promesso, straniero.", concluse l’anziano consigliere.

"Te ne prego…", si intromise allora Bao Xe, "spiegaci del ritorno della vostra Armata dispersa, com’è avvenuto? Forse volere delle vostre divinità, per permettervi di iniziare questa missione, di richiamare Shamash?", chiese la sacerdotessa guerriera.

"Non esattamente, ma, di certo, se non fosse apparso Baal, il Sovrano Dorato, non saremmo ritornati ad Accad, dopo la guerra con Tiamat.", rispose subito l’Anunnaki.

"Tutto iniziò alcuni anni fa; Marduk era ormai il nostro Sovrano riconosciuto da tutti, aveva persino concluso l’addestramento sotto la mia supervisione, ottenendo le vestigia che già erano state di suo padre. Alto era il suo nome fra le nostre genti e tutti lo seguivano con amore e rispetto, poiché ci aveva ridato quello splendore e quella speranza che dalla sconfitta di Tiamat l’Esiliato erano andate perse, sopraffatte dalla morte e la disperazione che una guerra lascia sempre dietro di se.

Avevamo anche ricreato l’armata degli Anunnaki, più per dimostrare che la nostra tribù era ritornata a pieno al suo splendore, per questo erano stati scelti Girru, Nusku, Kusag, Mummu, Aruru e Ninkarakk, tutti giovani cresciuti fra le nostre genti, anche se qualcuno di loro non vi era nato.

Avvenne però, un giorno, che mentre risiedevano nei pressi di un’oasi, giunse nelle vicinanze dei nostri confini uno strano gruppo di individui: erano quattro, nemmeno tanti, ma portavano con loro un carro il cui contenuto era celato agli occhi dei curiosi.

Furono Girru e Nusku a fermarli all’esterno dell’oasi, chiedendogli chi essi fossero e perché ci avessero raggiunto; non seppi mai cosa gli disse di preciso il comandante di quel quartetto, ma di certo gli rivelò un potentissimo cosmo, un’emanazione di energia tale che persino io, il Re Marduk e gli altri ci dirigemmo subito incontro a questi misteriosi nuovi giunti.

Quando li osservai, vidi dinanzi a me un gruppo di disperati: uno di loro aveva il viso dilaniato da punizioni che solo ai criminali peggiori si infliggono; un altro era perso nello sguardo della fanciulla, di certo bellissima, ma lasciva nelle movenze, che seguiva il loro signore, l’uomo che aveva emesso un portentoso cosmo.

Fu proprio quell’uomo a presentarsi per primo come Baal, signore degli Appalaku, dispersi, ma mai dimentichi di dove provenissero.

Solo io e Marduk sapevamo di cosa stesse farneticando quel vagabondo e nessuno di noi due volle credergli inizialmente, ma quando rivelò le vestigia di Oannes, Lamassi, Nirah, oltre a quelle che spettavano al comandante degli Appalaku e quelle di Anzu, allora non vi fu modo di negare l’evidenza: quelli che avevamo dinanzi erano effettivamente i membri dell’Armata dispersa, o almeno i loro discendenti.

Scoprimmo poi, quel giorno stesso, ospitando presso le nostre tende quei quattro individui, che solo Baal era diretto discendente degli Appalaku dispersi; al contrario, Nanaja ed Etana avevano volontariamente deciso di seguirlo, dopo averlo incontrato in un villaggio lungo il suo percorso, mentre Zisutra era stata da lui riscattato dei crimini commessi ed ora lo seguiva come il più fedele dei servitori.

Il mio signore Marduk assicurò loro un luogo in cui riposare, una tribù a cui unirsi se avessero voluto, ma fu allora che Baal espose i veri motivi per cui ci aveva cercato, ciò che anelava di fare.

Il Sovrano Dorato narrò della sua infanzia, in un paese delle lontane terre medio orientali, lì dove gli Appalaku millenni prima erano andati in cerca della divina Ishtar, o del potente Shamash, al fine di ottenere da loro il diritto di combattere contro l’invasore macedone, ma, come ci spiegò, non raggiunsero mai gli dei, anzi da loro furono puniti per tale blasfemia, quale voler obbiettare alla volontà divina, ribattendovi con le proprie richieste mortali. La punizione fu l’esilio di un viaggio senza fine e la morte, per buona parte di loro, solo due sopravvissero, raggiungendo un piccolo villaggio della zona e vivendoci, così come la loro discendenza per le ere a seguire.

Baal ci raccontò di aver scoperto quasi per caso il luogo in cui le armature erano state nascoste per millenni, una grotta naturale fra le immense montagne dell’Iraq, trovandovi le ultime parole del passato sovrano degli Appalaku, che aveva visto morire i propri seguaci, per ultima la sua sposa, guerriera di Oannes, ed ora, vecchio e solo in un paese che gli era estraneo, lasciava quelle parole come ultima memoria di se, affinché qualcuno lo ricordasse.

Il Sovrano dorato fece sue le ultime volontà di quell’estraneo, lui, unico nel suo paese, ad aver sviluppato una certa padronanza del cosmo, padronanza che con il tempo ed il lungo viaggio raggiunse livelli a dir poco incredibili per un autodidatta.

E proprio quelle ultime volontà ci espose, quando il mio Re gli propose di riunirsi al nostro popolo: il defunto Re degli Appalaku desiderava che Shamash giudicasse anche gli altri uomini, come aveva fatto con la sua gente. Si chiedeva come un dio a cui erano asserviti potesse aver giudicato loro dei blasfemi arroganti, mentre i conquistatori come Alessandro il Grande era ben accetti, anzi, persino cari agli dei.

L’unica soluzione a cui l’anziano Re era giunto era che, probabilmente, se non direttamente richiamate, le divinità non osservavano se non per caso le azioni degli uomini, non comprendendo la gravità dell’agire mortale e gli errori insiti in molte delle azioni commesse da questi.

Lo scomparso Appalaku, quindi, aveva scoperto un rituale, o per meglio dire elaborato, un rito che permettesse al divino Shamash di giungere sulla terra dei mortali nel suo massimo splendore, così che il Sommo Giudice potesse scrutare con il proprio sguardo gli errori degli uomini e li giudicasse.

Baal aveva fatto suo questo progetto, vedendo come ancora nel mondo le guerre, dettate dalla tirannide degli uomini, fossero sempre tante e, con l’evolversi della tecnologia, sempre più mortali e distruttrici anche verso gli innocenti, che nulla c’entravano con lo scorrere degli eventi dettati dai potenti.", concluse di narrare l’anziano consigliere.

"E voi avete accettato di seguire un perfetto sconosciuto, di cui avevate potuto solo vedere parte della potenza e le vestigia che recava con se, in quello che era un piano a dir poco folle?", domandò sbalordito Wolfgang, "Il piano ipotizzato da un uomo che era rimasto solo e disperato, ricco di rancore, probabilmente, verso uomini e dei tutti? Non sapete nemmeno se, quando apparirà sulla terra, questo vostro Giudice, non ucciderà proprio voi per primi.", analizzò il cavaliere di origini tedesche.

"Il pericolo è grande in questo senso, lo sapevamo, straniero, ma gli avvenimenti degli ultimi anni convinsero il mio sovrano Marduk ad accettare… la guerra con Tiamat aveva incrinato le speranze di molti e, per quanto avessimo ridato splendore alle nostre genti, ciò non bastava, serviva qualcosa di più forte per dargli la certezza di vivere sicuri, in un mondo di pace.", rispose dissuaso Ea.

"Tiamat, non è la prima volta che lo sento nominare, già prima dello scontro con te, Anunnaki, avevo sentito questo nome, chi è costui?", chiese allora Leif, incuriosito da quella misteriosa entità che sembrava aleggiare intorno a tutti gli avvenimenti.

Le mani dell’Anunnaki di Usma si sollevarono verso il soffitto della sala, prima che il suo cosmo si liberasse verso le armature dei nove santi di Atena, iniziando un lavoro di riparazione che, probabilmente, avrebbe richiesto diversi minuti.

"Tiamat era un sovrano esiliato. Diversi anni fa, quasi trenta ormai, egli si propose come signore del terzo esercito degli Ummanu, esprimendo dinanzi ad Enlil ed Annu, i due Sovrani degli Annumaki e degli Anunnaki, il proprio diritto di sedere al loro fianco, come pari fra i pari.

Osò addirittura sfidare il Re Scarlatto in duello, ma ne fu sconfitto amaramente. A nulla valsero, però, quella sconfitta, o le parole delle nostre due regine: Nenlil e Damnika, due sagge donne, che cercarono di spiegare come un terzo Re avrebbe fatturato l’equilibrio mantenutosi nei secoli e, soprattutto, come Tiamat, senza armature ed un esercito, non avrebbe potuto ottenere quel ruolo.

Per diverso tempo le azioni dell’Esiliato furono ritenute solo atti di un uomo pieno di se, che poco arrischiava alla vita dei sovrani, finché, venticinque anni fa, non accadde qualcosa di inatteso: Tiamat cercò di uccidere Annu.

Dovete sapere che, al contrario del Re Scarlatto, il mio precedente signore non era il più potente dei guerrieri, ma, piuttosto il più saggio e giusto degli uomini, alcuni lo consideravano la reincarnazione di Shamash in terra, corretto verso tutti, sempre pronto a sciogliere un diverbio, risolvere i dibattiti fra uomini e concedere a tutti quanto gli era dovuto, o punire i criminali, se necessario.

L’Esiliato tentò di colpirlo quando era solo con la sua sposa, privo della difesa dei compagni e degli amici più fidati, ma Annu non fu così distratto da fallire nel difendersi, anzi, riuscì a sconfiggerlo, ma, durante la battaglia, la bellissima Damnika, che era in attesa del loro primogenito, rimase ferita gravemente. Furono proprio le ferite riportate quel giorno a causa la morte della Regina degli Anunnaki, quando nacque Marduk, il mio attuale Re.

Tiamat era stato imprigionato dopo il fallito colpo di stato, ma, dopo la morte di Damnika, Annu, accecato dalla disperazione, lo esiliò, lasciando privo di cibo e vesti nel deserto infinito. Inutile dire che l’Esiliato giurò vendetta, parole a cui allora nessuno volle dar credito.

Per quasi dieci anni nessuno sentì più parlare di Tiamat ed il suo nome fu quasi bandito dalle discussioni, finché, un gruppo di guerrieri dalle nere armature attaccò le tribù degli Anunnaki e degli Annumaki.

Ci erano superiori in numero e possedevano anche loro la padronanza del cosmo, ma non era questo che ci preoccupava, bensì il fatto che, per quanti ne vincessimo, altri ne apparivano, tutti seguaci di un Re Nero.

Fu per questa misteriosa minaccia che gli eserciti di cui eravamo a capo si riunirono; le armate verdi e rosse fianco a fianco contro uno schieramento scuro come la notte, di cui solo numerose battaglie, dove molti dei nostri caddero, potemmo conoscere il viso: era Tiamat.

Indossava un’armatura dalla forma di Coccodrillo e comandava quell’armata, con cui invase il campo dove i pochi nostri sopravvissuti si trovavano; ci fu una grande battaglia, ma sperare nella lealtà del nostro nemico era troppo: Tiamat, infatti, assieme a due guerrieri a lui più fedeli, rappresentanti un Leone ed un Serpente Nero, catturavano i figli dei miei due sovrani.

Per salvare il piccolo Sin, la nobile Nenlil sacrificò la propria vita, morendo fra le braccia dello sposo, che, accecato dal dolore, scatenò il potere distruttivo che immagino abbiate conosciuto su voi stessi, un potere con cui spazzò via l’esercito nero, gli Annumaki e gli Anunnaki lì presenti.

Solo Tiamat, io, i due Sovrani ed i loro figli rimasero, assieme a qualche ferito, che si trovava fin troppo lontano dal campo di battaglia, principalmente donne e bambini.

Fu allora che scoppiò un duro duello fra Annu, il mio sovrano, e l’Esiliato, uno scontro in cui, con mio grande stupore, fu proprio il re degli Anunnaki ad uscire sconfitto, quando l’altro gli strappò la testa dal collo con un’esplosione d’energia cosmica inattesa, che scaturì come le possenti mascelle del coccodrillo, frantumando le difese del mio Sovrano.

Corsi in soccorso del Re che seguivo da sempre, ma fu troppo tardi: Tiamat mi sbalzò indietro, assieme ad Enlil, ancora confuso dalla perdita subita; credevo che per nessuno di noi vi fosse più speranza, mentre l’Esiliato si avvicinava ai due bambini, per eliminarli per primi, ma fu proprio allora che accadde l’imprevisto, almeno per il nostro nemico.

Marduk, il giovane principe di appena dieci anni, lasciò esplodere il proprio cosmo, per vendicare il padre, o per difendere il piccolo amico Sin, o magari solo per se stesso, nessuno lo capì allora, l’unica certezza fu che la sorpresa di quell’unica esplosione d’energia, assieme alle ferite riportate contro Annu, decretarono la fine di Tiamat l’Esiliato, il cui ventre fu trapassato dall’attacco del piccolo eroe di quel giorno.

Le ultime parole del nemico furono minacce di morte contro di noi, ci assicurò che avremmo subito la sua furia per mano di chi meno ci aspettavamo, un giorno o l’altro, che il cucciolo di coccodrillo già cresceva fra le nostre tane, pronto a divorarci.", concluse di raccontare il Consigliere.

Ea sollevò quindi il capo, osservando i vari cavalieri che lo avevano ascoltato, trovando, fra i diversi volti interessati, quello intimorito e stupefatto di Husheif, oltre alle immutate maschere delle sacerdotesse guerriero.

"Guerrieri in nero hai detto? Avevano una qualche insegna che li distingueva? Un rettile ed un leone neri…", ripeté con voce sconvolta il santo di Reticulum, "Sì.", confermò l’Anunnaki, "Dalle parole di alcuni di loro scoprimmo che provenivano dalle vastità dell’Africa, non sappiamo come Tiamat ebbe modo di incontrarli e sottometterli al suo volere, ma erano guerrieri dalle armature nere che rappresentavano le belve di quei luoghi.", spiegò l’uomo.

"Non può essere, non è possibile! Il Leone nero era l’invasore del villaggio in cui…", balbettò confuso, gettandosi addosso all’Ummanu; solo l’intervento di Zong Wu e Wolfgang impedirono che gli arrivasse contro.

"Calmo, Reticulum, che ti succede?", chiese perplesso il santo di origini tedesche, osservando l’alleato, che lentamente si calmò. "Ti sbagli, vecchio, non poteva essere un Leone Nero…", ribatté allora, con voce più pacata, Husheif.

"Invece sì, ti dico, un ragazzo di forse nemmeno quindici anni, dagli elevati poteri, feroce come un vero leone, capace di spazzare decine di uomini innocenti con fiamme e pietra, che scuoteva ad ogni manata.", raccontò, riportando lo sguardo di terrore nel giovane santo d’argento.

"Il serpente Nero era una donna?", domandò allora titubante Husheif, "No, un guerriero alto e massiccio, un uomo dagli immensi poteri venefici, ricordo.", rispose secco l’altro, mentre il viso del cavaliere di Atena si rilassava, pensando forse ad una coincidenza.

"Parlando di Tiamat, Anunnaki, questi ha detto che avreste cresciuto un coccodrillo fra voi, ma di chi parlava? Forse, proprio questa misteriosa creatura è la causa delle morti di cui ci accusate in molti.", suggerì allora il santo dell’Auriga, intromettendosi nel discorso.

Le nove armature d’argento brillavano ora di una luce abbagliante, quasi avessero finalmente incontrato il sole dopo una lunga notte senza stelle. Ea osservava con soddisfazione quanto da lui fatto, prima di volgersi, rabbuiato da quelle parole, verso i cavalieri di Atena.

"Devi sapere, straniero, che molti sono gli Ummanu non originari delle tribù fondatrici, ormai, ma non per questo sono meno fedeli ai loro Sovrani.", ribatté secco l’uomo.

"Ma chi era ben distante dalla tua attenzione, Anunnaki, mentre noi combattevamo il ragazzo dall’armatura dorata, o quando ieri notte è stato finito Enlil, o stamattina, dopo che ho lasciato Ninkarakk sconfitta, ma non ferita?", chiese allora Dorida, entrando nel discorso.

"Durante il viaggio verso Accad, le tre tribù viaggiavano ognuna fra i propri membri, solo Adapa e Sin mancavano fra noi, ma, personalmente, potevo vedere vicino a me ed a Re Marduk unicamente i suoi seguaci.

Al contrario, ieri notte, io e Sin eravamo di guardia dinanzi alla sala dove si trovavano gli altri due Sovrani, mentre stamani siamo stati raggiunti da ben quattro guerrieri, due Anunnaki e due Annumaki, quando la vita di Ninkarakk non è stata più avvertita.", riepilogò Ea.

"Quindi dell’esercito dorato non avevate mai nessuno sotto il vostro controllo?", chiese titubante Gwen, lasciando sbigottito l’anziano consigliere, "Re Baal non può aver lasciato la sala, lui crede fermamente in tutto ciò, lui ha chiesto questo, quindi non può averlo fatto, inoltre, lo avrei visto se si fosse mosso. Etana e Zisutra, invece, non avevano motivi per uccidere Adapa ed ora, comunque, sono morti.", tagliò corto l’uomo.

"Sono cinque, però, i membri di questo gruppo, vero?", incalzò ancora Leif, "Sì, resterebbe… Nanaja, la prima comandante di Baal.", rispose diffidente l’anziano.

"Può essere lei la traditrice? La causa di tutte queste morti?", domandò ancora Wolfgang, "Perché dovrebbe? Proprio lei, la più vicina alleata di Baal, seguace del Sovrano Dorato, tanto da accettare in silenzio ogni suo ordine. Una donna di quel genere non fare niente per opporsi al volere del suo padrone.", spiegò perplesso il Consigliere, "Quello che tu descrivi sembra più un cane fedele, che non una seguace.", osservò con disappunto Menisteo di Eracle, che ricordava il nome di quella guerriera, lo stesso detto da Etana.

"In fondo, il vostro Coccodrillo avrebbe potuto anche colpirvi in un modo diverso per distruggere i due eserciti degli Anunnaki e degli Annumaki, non gli serviva attendere il ritorno di questi Appalaku, contro cui non poteva avere alcunché.", concluse allora Zong Wu.

"In verità, straniero, fino all’arrivo di Baal, Enlil era rimasto in un silenzioso e volontario esilio, creandosi il proprio esercito e rendendosi, praticamente, irreperibile, finché non fui io stesso a cercarlo, per riunire i tre Sovrani.

Il Re degli Appalaku, infatti, aveva solo il rito, ma non possedeva né la locazione precisa della città di Accad, che solo io conoscevo, oltre al defunto padre di Marduk, né aveva l’energia cosmica necessaria per richiamare Shamash in questo mondo da solo.

E’ stato solo grazie all’arrivo di Baal, se i tre eserciti si sono riuniti, le vestigia dorate, quelle scarlatte e quelle verdi riparate, oltre ad aver io personalmente potenziato le armature degli Anunnaki. Se non fosse stato per questo viaggio, qualsiasi vendetta Tiamat avesse predetto contro di noi, non si sarebbe potuta avverare.", ammise l’anziano consigliere.

"Se incontriamo questa Nanaja, dobbiamo quindi stare attenti…", ironizzò Wolfgang, "anche se non capisco come una donna sola possa credere di poter uccidere due interi eserciti.", continuò.

"Non ha fatto tutto da sola, cavaliere, molto lo abbiamo fatto noi con il nostro arrivo.", sottolineò colpita Bao Xe, "Che intende dire, maestra?", domandò perplessa Dorida.

"Rifletti, allieva mia, quanti Ummanu finora sono caduti? Dieci, da ciò che so. Di questi, ben tre non sono stati uccisi da nessuno di noi, ma resi comunque deboli ed inoffensivi, per poi essere finiti da questa traditrice, o presunta tale, segno che sta sfruttando il nostro arrivo per far massacrare a noi i nemici che doveva eliminare.", spiegò preoccupata la sacerdotessa guerriero.

"Ciò che dite è follia, stranieri!", esclamò allora Ea di Usma, "Pensare che qualcuno voglia tradirci, che abbia atteso l’arrivo degli Appalaku, un’eventualità imprevedibile, dinanzi cui tutti siamo rimasti sbalorditi, vi si sia poi unito per distruggerci, tutto ciò è senza senso.", obbiettò ancora.

"Ebbene, dicci chi altro è rimasto del vostro esercito, quali possibili traditori ancora resterebbero. Siete rimasti in dieci, d’altronde.", sbottò allora Damocle, avvicinandosi alla propria armatura, ormai completamente riparata.

"Sono rimasti Girru, Nusku, Kusag e Mummu, tutti degli Anunnaki dall’indubbia fedeltà verso Marduk, il mio sovrano; due di loro erano persino presenti quando stamani Ninkarakk ci ha lasciato.

Vi sono poi Arazu ed Erra, gli ultimi, e più sanguinari, servitori di Enlil, ma anch’essi erano presenti stamani.

Sin ed i due Sovrani, poi, non mi hanno mai lasciato, inoltre sarebbe assurdo che proprio loro tentassero di decimare il nostro comune esercito.", concluse il Consigliere.

"Non ci sono quindi traditori in questo vostro schieramento? Eppure ben tre di voi sono morti senza un’apparente ragione, o comunque senza che alcuno di noi li avesse finiti. Non credi anche tu che questo sia, quanto meno, inverosimile, vecchio?", incalzò ancora Husheif, ripresosi dopo lo stupore del racconto sui seguaci di Tiamat.

"Dovete capire che, per me, fidarmi più dei compagni con cui ho condiviso il viaggio della vita è di certo più facile, rispetto a fidarmi di chi finora ha sconfitto molti di questi stessi compagni.", obbiettò Ea. "Eppure hai avuto tanta fiducia in noi da concederci queste spiegazioni, da riparare le vestigia che indossiamo.", osservò con voce cordiale Bao Xe, intromettendosi di nuovo nel dialogo.

"Ciò che ho fatto è stato ringraziarvi per la grazia concessami ed ammettere che, la giustizia che vuole condurre in questo mondo Baal non è compassionevole, un’idea che già turbava la mia mente fin da quando ci propose questo piano, ma mai potrei andare contro gli ordini del mio Signore Marduk; per questo spero che, se parlerete con lui, dopo che vi avrò lì portato, riusciate a convincere sia il mio Re, sia il Sovrano Dorato.", spiegò con calma l’anziano.

"Cosa, invece, ti porta a credere che, anche se convincessimo il tuo sovrano, l’altro non ci ammazzasse? O non scatenasse una battaglia contro il tuo Re di Smeraldo?", obbiettò ancora una volta Damocle.

"Baal sa che un massacro con Marduk sarebbe inutile, specie considerando che al suo servizio ha ormai solo Nanaja: poiché mai Sin si metterebbe contro chi per lui è quasi un fratello, né gli Annumaki si opporrebbero alla volontà del loro Principe, mentre la fedeltà degli Anunnaki al Re di Smeraldo è assoluta.", concluse l’Ummanu.

"Il Principe degli Annumaki?", ripeté Wolfgang, "Sì, quello che ti ha ferito ben bene, Cani Venatici… lo ricordi?", lo sbeffeggiò Husheif in tutta risposta, "So bene chi è, ma non pensavo fosse addirittura il figlio di Enlil dello Scettro. Un guerriero portentoso deve essere, ben oltre ciò che immaginavo.", suppose allora il santo di origini tedesche.

"Sin…", disse semplicemente Ea di Usma, alzando lo sguardo oltre i cavalieri d’argento.

"Sì, vecchio, abbiamo capito il suo nom…", ma le parole morirono in bocca a Damocle, notando i compagni voltarsi e girandosi a sua volta: nella sala erano entrate due figure, una dall’armatura verde smeraldo, l’altra con vestigia scarlatte.

Questo secondo individuo fu subito riconosciuto da alcuni dei presenti come Sin, il Principe degli Annumaki.