Capitolo 13: Battaglia al Muro Settentrionale
L’alba illuminava la città di Accad. Era il secondo giorno che passavano in quel luogo e, mentre avanzava diretto verso Anduruna, quasi si stupì di essere ancora in vita dopo il primo. A quel pensiero un sussulto scosse il corpo della figura che avanzava, mentre una fitta di dolore fece in modo che questi portasse le braccia al tronco, per tamponare una grave ferita.
Quando l’energia degli attacchi dei sei cavalieri d’argento stava per scontarsi con quella prodotta dalla furia di Enlil, l’ultima cosa che era arrivata alle sue orecchie era l’avviso di Zong Wu, di fare attenzione, prepararsi per l’impatto e solo allora, quando ormai non serviva più dar forza all’unione dei sei colpi, lui, Leif di Cetus, aveva approntato una difesa.
Il cavaliere del Nord, infatti, aveva evocato gli anelli di Ghiaccio, il Kolito, creando una fitta barriera intorno a se, dalla quale aveva visto la figura del santo dell’Auriga lanciarsi verso quello dei Cani da Caccia, mentre già Husheif aveva sollevato la propria difesa, probabilmente con una finalità simile alla sua, cioè di crearsi una protezione contro la furia devastante di quella imminente esplosione.
Gli anelli di ghiaccio, quando tale esplosione avvenne, servirono di certo: la loro consistenza non era sufficiente ad impedire che l’onda d’urto li rendesse puro nevischio, ma furono sufficienti perché le vestigia della Balena reggessero l’impatto, senza andare in pezzi, permettendo al corpo del cavaliere di Atena di sopravvivere, malgrado la potenza dell’attacco lo lanciò a diversi chilometri di distanza.
Per tutta la notte Leif rimase privo di sensi, ritrovandosi, al primo chiarore dell’alba, stordito e sanguinante, in modo anche piuttosto grave, da quella stessa ferita che alcune ore prima gli aveva inferto Zisutra di Lamassi. Nonostante il dolore, però, il cavaliere non rimase immobile, anzi, cercando di contenere la perdita di sangue attraverso l’immissione del suo gelido cosmo sulla ferita, si alzò e faticosamente avanzò per le vie dell’Antica Capitale con un’unica meta: Anduruna.
Ora, durante il suo avanzare, il santo di Cetus aveva trovato dinanzi a se qualcosa di inatteso: Husheif, in una specie di cratere apertosi nel terreno, in una zona che sembrava più parte di un arido deserto, che non una strada di Accad, e, poco lontano, un cadavere carbonizzato, i cui lineamenti non erano distinguibili.
"Reticulum?", domandò semplicemente Leif, avvicinandosi al parigrado ed ascoltandone il battito cardiaco, "Sei vivo fortunatamente…", poté solo osservare il cavaliere, cercando poi di svegliare l’altro, mentre il dolore lo costringeva ancora a portare la mano alla ferita aperta sul ventre.
Alzando il capo verso il cielo, un altro pensiero, relativo a quel nuovo giorno, prese piede nella mente del cavaliere: i rinforzi, quelli che Abar aveva richiesto al Santuario, forse, date le loro condizioni attuali, attenderli, quando il santo di Perseo lo aveva suggerito, non sarebbe stato poi così sbagliato come piano.
Il sole delle prime ore dell’alba illuminava anche l’esterno dell’Antica Capitale e l’immenso deserto che la circondava; lì, fra le bianche dune, avanzavano silenziose tre figure, incappucciate e rapide nella loro corsa verso Accad. Silenti, quasi ombre, o miraggi del caldo sole mesopotamico, si muovevano invisibili ai più, finché, d’un tratto, una di quelle tre figure si fermò, non appena ebbe nella sua visuale le Mura settentrionali della città.
"Perché ti fermi, cavaliere?", chiese la più esile e bassa delle tre forze mandate in supporto da Atene, "Lo avvertite anche voi?", replicò titubante il primo, dalla maestosa stazza, "Questo cosmo è… immenso.", concluse sbalordito.
"Cosa ti aspettavi dal cosmo di una divinità, cavaliere? Sai bene che questi nemici che stiamo per combattere anelano a risvegliare un dio delle loro terre, riportandolo a questo mondo.", replicò l’esile figura.
"Una divinità, quale folle piano…", osservò allora il terzo, che chiudeva la fila, "però, devo ammettere che questa presenza, seppur siamo così lontani, già è così evidente, mi chiedo quale ne possa essere il limite massimo… supererà persino quello del mio maestro, Kalas.", aggiunse con un tono di voce fra lo stupefatto e l’incredulo.
"Il cosmo del tuo maestro?", ripeté stupito il più massiccio dei tre. "Di cosa vi meravigliate, cavalieri? Quella che avvertite è la presenza di una divinità, non di un uomo, quale Kalas è, per quanto uno dei più potenti guerrieri di Atena si parli.", osservò l’esile figura che sembrava guidare il gruppo.
"So bene che, ciò che avvertiamo è il cosmo di una divinità, ma mi chiedo: perché già tanto s’è espanso? Che fine hanno fatto i sei mandati prima di noi in questa missione? Sono forse già cadaveri, vittime incapaci di difendersi dinanzi ai nemici che si sono trovati dinanzi? Non saremo dunque il loro supporto, ma coloro che li dovranno vendicare?", domandò ancora l’allievo di Kalas.
"Non lo so, cavaliere, né potrei azzardare alcuna ipotesi, poiché se in sei non sono riusciti a fermarli, cosa potremo fare noi, che siamo la metà?", si chiese retorica l’esile figura, indicando poi agli altri due di riprendere il cammino e rapidi corsero verso le mura Nord della città.
L’avanzata dei tre nuovi giunti, però, fu ben presto interrotta dalle alte mura della città, che già li bloccavano.
"Ostacolo da poco ci si pone dinanzi per doverci fermare…", osservò indifferente colui che chiudeva la fila, facendosi avanti per primo, "Ostacolo da poco dici?", tuonò a quel punto una voce, mentre un bagliore di luce dorata si lanciava contro il guerriero di Atene, costringendolo a scartare di lato per non essere investito da ciò che era stato lanciato contro di lui.
Subito i tre alzarono le teste celate dai bianchi mantelli, osservando una figura che si stagliava sull’alto delle mura, mentre quest’ultima ritraeva verso di se l’oggetto lanciato sul cavaliere ateniese.
La luce del sole sorgente illuminò l’individuo posto di guardia a quelle mura, un giovane guerriero dai lunghi capelli castani, molto ben curati, i lineamenti eleganti del viso abbronzato, gli occhi azzurri e taglienti che scrutavano verso il basso, tutto indicava la magnificenza di quel misterioso individuo, abbinandosi alla perfezione con le vestigia dorate dello stesso.
L’armatura era caratterizzata da fantastiche ali, che costituivano le spalliere, scendendo poi, come ulteriore protezione, dinanzi alla parte dorsale delle vestigia stesse, quasi fossero un mantello che, rigido e splendente, si ergeva a difesa del suo padrone.
La copertura del pettorale sembrava costituita da squame, diverse squame tutte fra loro connesse, fino a formare un’intricata pelle di serpente, poiché tale risultavano, combinandosi anche con i gambali e la protezione per la cinta.
Intorno alle braccia, poi, quella che sembrava la pelle di un serpente diventava ora l’unione di molteplici ofidi, poiché altrettante catene, dondolavano, auree e minacciose, ad ogni movimento del misterioso nemico che ancora li osservava, con un elmo dalla forma di testa di serpente in mano.
"Mi chiedo chi voi siate, se, da ciò che ho potuto intuire, i nostri nemici avevano già superato il muro orientale della Sacra Accad. Vi siete forse divisi? Tre sono giunti ieri e tre oggi? Perché dalle notizie in mio possesso, gli invasori erano sei guerrieri.", esordì con voce incuriosita l’elegante nemico dorato.
"Sai dunque che dei nemici vi assalgono e resti lì, immobile sulle mura esterne? Sei dunque un mero guardiano?", incalzò allora uno dei tre individui celati da bianchi mantelli.
"Non un mero guardiano, bensì Etana di Nirah, uno degli Appalaku al servizio del Re Baal.", affermò, presentandosi con un inchino, "Ed ora, stranieri, poiché immagino che questo voi siate, abbiate l’accortezza di dire i vostri nomi, rivelare le identità che celate sotto quelle bianche vesti.", li esortò il guerriero mesopotamico.
I tre si guardarono fra loro per qualche attimo, prima che, di comune accorto, lanciassero via i mantelli, rivelando le vestigia argentee che li proteggevano.
"Damocle della Croce del Sud, seguace della dea Atena e nobile figlio delle italiche terre.", esordì colui che pochi giorni prima stava combattendo con Husheif presso il Grande Tempio.
"Alla stessa dea sono anch’io fedele, ma dal lontano Oriente provengo, per quanto abbia passato gli ultimi anni di vita come insegnante presso il Santuario di Atene. Bao Xe della Musca è il mio nome.", continuò la sacerdotessa guerriero maestra di Dorida.
"Di Atene sia per nascita, che come cavaliere, sono Menisteo di Eracle, allievo di Degos d’Orione.", concluse a quel punto il gigantesco guerriero greco.
"Cavalieri… di Atena?", ripeté incuriosito Etana, "Strano nome per dei guerrieri, per quanto ammetto di non conoscere la natura della divinità che seguite.", concluse con un sorriso annoiato.
"Atena è dea di pace e giustizia, protegge gli uomini e le terre di Grecia.", rispose a quel punto Bao Xe, portandosi dinanzi ai compagni di viaggio; "Siete ben lontani da quelle terre, donna, qui non so quanto possa esservi di protezione la vostra divinità. Tanto più che di certo non per pace e giustizia avanzate verso le mura della Sacra Accad.", osservò indifferente l’Ummanu.
"Al contrario, guerriero, proprio la volontà di pace e giustizia ci ha spinto a raggiungere i nostri compagni fin qui, per impedire che voi risvegliate una divinità che solo con la fredda ragione distinguerà gli innocenti dai colpevoli, uccidendo senza distinzione alcuna chiunque abbia commesso anche un passato sbaglio, poi redento.", replicò secca la sacerdotessa d’argento.
"Dunque siete fin qui giunti con l’intenzione di opporvi alle azioni degli dei! Voi ed i compagni che volete soccorrere, compagni che, temo, ormai saranno cadaveri lungo le strade dell’Antica Capitale.", li avvisò impassibile Etana.
"Cadaveri? Come puoi dire ciò? Hai forse visto le loro vite strappate dai corpi?", esclamò preoccupata la Sacerdotessa della Musca, "No, non ho mai abbandonato il mio posto qui, presso il Muro settentrionale, ma ieri, in tarda serata, ho visto gli effetti delle battaglie che si combattevano: un’esplosione dalla forza immensa, detonata lungo la strada che portava ad Anduruna, il Sacro Palazzo, una forza che solo il Sovrano Scarlatto Enlil potrebbe scatenare, una forza che di certo avrà mietuto vittime fra i suoi nemici. Poi, lungo la notte, una strana luce rossa a forma di ragno s’è alzata al cielo, suppongo segno di un’altra battaglia vinta da uno degli Annumaki.", spiegò con noncuranza l’altro.
A quelle parole sul ragno, però, Damocle e Menisteo si guardarono fra loro, "Forse no, guardiano, forse non era il segno di una vostra vittoria…", ribatté spavaldo il cavaliere della Croce del Sud.
"Fosse anche uno di voi sopravvissuto, cosa potrebbe fare contro le armate degli Ummanu?", replicò con un sorriso sornione Etana, "Proprio per questo noi siamo qui, guardiano, per combattere al pari dei nostri compagni, quindi cedi il passo, o dovremo aprirci la strada con la forza.", avvisò sorridente il guerriero italico.
"Vuoi dunque batterti con me, invasore? Non cederò mai la strada, poiché andrebbe contro gli ordini datimi.", sentenziò deciso Etana, indossando l’elmo dorato.
"Io combattere con te? Contro un mero guardiano? Con chi credi di parlare? Io sono Damocle della Croce del Sud, non mi abbasso ad affrontare la plebaglia!", obbiettò, con uno sguardo disgustato, il cavaliere, indietreggiando di qualche passo, "Lascerò che sia Menisteo ad affrontarti.", concluse, mentre il santo di Eracle si faceva avanti, agendo rapido alle parole del parigrado.
"Poco m’importa chi cadrà per primo, poiché tutti sarete mie vittime!", tuonò secco l’Appalaku, scendendo rapido dalle alte mura e portandosi dinanzi ai cavalieri avversari.
"Questo sarà tutto da vedere.", replicò sorridendo il maestoso guerriero greco, espandendo il proprio cosmo che riempì l’aria circostante come un furente vento, che sembrava ruggire intorno a lui.
Con un secco movimento della mano sinistra, Etana lasciò scattare le lunghe catene connesse all’armatura, che subito si lanciarono con rapidità verso il gigantesco nemico: le lunghe catene dorate volarono verso il cavaliere d’argento, pronte ad investirlo frontalmente con la loro potenza offensiva, ma, poco prima di entrare a contatto con il corpo del guerriero, si fermarono. Fu come se una corrente d’aria le bloccasse, come se a trattenerle vi fosse un muro invalicabile, che niente lasciava passare, mentre sul viso di Menisteo già si mostrava un sorriso soddisfatto.
"Dermaton Liontarides.", affermò secco il cavaliere di Eracle, avanzando, mentre le catene indietreggiavano dinanzi alla difesa del guerriero, "La Pelle del Leone di Nemea, di cui il grande Ercole si rivestì, dopo averlo vinto alle fine di una delle sue Fatiche; in me quel potere è rinato attraverso la forza del cosmo! Non puoi vincermi, Etana di Nirah, almeno che tu non sia dotato della pelle del centauro Nesso, o un nume dell’Olimpo.", avvisò deciso il santo d’argento, lanciandosi in una carica frontale contro l’avversario.
L’appalaku fu colto alla sprovvista dalla rapida controffensiva del nemico, subendo in pieno un possente gancio sinistro allo stomaco, un colpo dalla forza straordinaria, che sollevò da terra il guerriero mesopotamico, scagliandolo violentemente contro le mura esterne della città.
L’impatto fu tale da incidere la sagoma di Etana sulle ruvide pareti di pietra, mentre anche le difese dell’armatura andavano leggermente incrinandosi a seguito della violenza dell’urto, prima che l’Ummanu cadesse al suolo, in ginocchio. "Cedi il passo, Etana di Nirah, non è mia intenzione toglierti la vita.", avvisò semplicemente Menisteo, avanzando verso il nemico, "Né è mia intenzione lasciarvi oltrepassare queste mura, il mio onore di Appalaku ne sarebbe indelebilmente segnato e mai più potrei anelare a ciò che più mi preme!", replicò secco l’altro, rimettendosi in piedi.
"Inoltre, cavaliere straniero, non sopravvalutare tanto le tue forze. Non sarò un nume, questo Nesso di cui vai parlando, ma di certo non hai di fronte l’ultimo dei derelitti al servizio del grande Baal, né uno sprovveduto che niente sa della vita!", lo ammonì ancora Etana, mentre di nuovo lanciava all’assalto le proprie catene.
Stavolta, però, i dorati serpenti che scaturivano dall’armatura di Nirah brillarono di energia cosmica, "Volo dei Serpenti!", esclamò, prima che le catene arrivassero in prossimità del loro bersaglio, "Dermaton Liontarides!", rispose con voce secca Menisteo, mentre ancora una volta la barriera di vento si sollevava a difesa del cavaliere d’argento; i sinuosi serpenti d’oro, però, non si fermarono, né permisero al santo di Atena d’avanzare, bensì, rimasero a mezz’aria, continuando a brillare con luce sempre più accecante.
Un sorriso si dipinse sul volto di Menisteo, sicuro delle proprie capacità, mentre ancora le catene continuavano a brillare, resistendo alla difesa che cercava di sbalzarle lontane, "Attento, cavaliere!", urlò a quel punto Bao Xe, quasi avesse intuito la vera finalità di quella prova di forze.
Menisteo, però, non ebbe nemmeno il tempo di comprendere cosa esattamente la sacerdotessa volesse dire, poiché l’energia cosmica accumulatasi attorno alle catene del braccio sinistro esplose in un bagliore di luce, sollevando una muraglia di sabbia fra il guerriero di Atene ed il suo nemico, muraglia che, rapidamente, entrando in contatto con la difesa del santo d’argento, creò attorno a lui un vortice di vento tale da impedirgli di distinguere persino il nemico che aveva dinanzi a se; tanto che il cavaliere di Eracle dovette interrompere la propria difesa per far sì che la sabbia si quietasse.
"Attento!", sentì appena urlare ancora alla sacerdotessa della Musca, il santo d’argento, prima di notare una sagoma dorata gettarsi contro di lui, con una rapidità incredibile, "Volo dei Serpenti!", urlò allora Etana, mentre con le catene del secondo braccio lanciava di nuovo il suo attacco, che, stavolta, andò pienamente a segno, detonando all’impatto con il corpo del nemico, che fu scagliato diversi metri indietro, ferito e con le vestigia danneggiate.
Una risata nacque, a quel punto dall’elmo a forma di serpente, "Ebbene? Siete bravi a parole, cavalieri, ma sembra che, al di là del vostro orgoglio, non abbiate armi molto potenti.", li ammonì Etana, "Mi è bastato osservare una volta quel suo colpo per capirne la natura, basata sulle correnti d’aria, e sfruttarla a mio vantaggio, costringendolo ad abbassare le difese.", osservò ancora l’Appalaku, "Se questo è il livello di tutti voi, stranieri, allora mi chiedo come abbiano fatto i miei due compagni a farsi sconfiggere dai vostri. Suppongo che, al di là dell’inesperienza di Adapa e dell’irruenza di Zisutra, io abbia anche trovato i più deboli fra tutti i nostri nemici.", li canzonò infine.
"Non osare dire una parola in più, guerriero, o dovrai affrontare me!", minacciò Bao Xe della Musca, portandosi avanti, già in posizione di guardia, "Non ti temo, donna, come non temo nemmeno quel tuo arrogante alleato. Attaccatemi insieme, se preferite!", tuonò di rimando l’Appalaku.
"Come ti ho già detto, non affronterò mai un misero guardiano.", lo ammonì di nuovo Damocle, facendosi avanti di qualche passo, mentre con la mano destra si sistemava un ciuffo di capelli, "Dubito poi che tu possa anche solo sfiorarmi con quei tuoi ridicoli attrezzi da insulso guerriero… mi basterà questa mano per recidere la vita da quel tuo corpo. Letteralmente.", avvisò ancora il santo della Croce del Sud, mentre con il braccio ancora alzato, sorrideva verso l’avversario.
"Fermo Damocle!", urlò d’improvviso una voce dietro di lui, mentre già un sorriso soddisfatto si faceva avanti sul viso dell’italiano, che, voltatosi, vide accanto a se il mastodontico cavaliere di Eracle, di nuovo in piedi.
Menisteo si portò al fianco della sacerdotessa, "Lascialo a me, te ne prego, in nome del mio onore di cavaliere e per quello del maestro Degos, che mi ha addestrato.", chiese semplicemente il santo alla parigrado, che con un gesto del capo acconsentì, indietreggiando di qualche passo.
Subito, allora, il cavaliere di Eracle si volse verso il nemico, osservandone la dorata maschera con occhi impassibili, "Ammetto il mio errore: troppo arrogante sono stato e questa è una pecca che sempre ho criticato ai giovani aspiranti allievi, ma per primo vi sono caduto e di questo, Etana di Nirah, con te mi scuso; ora avrai modo di vedermi combattere al meglio delle mie virtù.", esordì semplicemente, chinando appena il capo, in segno di rispetto.
"Sia dunque, guerriero greco, sono lieto di sapere che fra voi c’è qualcuno più assennato.", replicò l’Appalaku, mentre già il suo cosmo animava le sinuose catene sugli avambracci, che sembravano agitarsi come decine di serpenti.
Rapidi i due guerrieri scattarono, spostandosi in corsa verso sinistra, allontanandosi da Damocle e Bao Xe, quasi non volessero più nessuna interruzione al loro scontro.
Altrettanto rapide scattarono tre serpi dell’armatura dorata, lanciandosi contro il cavaliere di Atena, cercando di colpirlo frontalmente, ma Menisteo non si fece prendere di sorpresa, evitando, con un balzo laterale, i tre assalti, piantando secco i piedi al suolo, alla fine del salto, e caricando il ventoso cosmo nel pugno destro, che lesto fu scagliato con violenza verso l’Appalaku.
Un secco movimento della mano sinistra su l’unica difesa sfruttata da Etana, mentre dieci catene dorate si sollevavano dalla stessa, portandosi a difesa dell’Ummanu, interrompendo la corsa dell’energia avversaria, che, al pari di un violento tornado che scuote un palazzo, fece tremare la portentosa protezione del guerriero di Nirah.
La difesa, però, non fu fine a se stessa, quando la furia della corrente di vento si fermò, lasciando delle catene ormai ridotte ai minimi termini, danneggiate in più punti, a quel punto, altre sei serpi dorate volarono in avanti, aprendosi, inattese, la strada attraverso i resti dei loro simili, lanciandosi feroci verso il cavaliere di Eracle.
Menisteo, preso in contropiede da quel nuovo assalto, poté solo sollevare le braccia, rilasciando ancora una volta attorno a se la portentosa difesa del Dermaton Liontarides, che bloccò la furia offensiva dei serpenti dorati, costringendo Etana a richiamare a se le proprie armi.
"Volo dei Serpenti!", tuonò a quel punto l’Appalaku, lanciando di nuovo all’assalto le catene ricolme d’energia cosmica, per cercare ancora di spezzare la difesa avversaria.
"Mi dispiace, ma due volte la stessa tattica non funzionerà con me!", avvisò in tutta risposta il santo di Eracle, interrompendo immediatamente la corrente d’aria intorno a se, per piegarsi sulle proprie ginocchia e lanciarsi frontalmente verso le tre serpi d’energia che lo assalivano.
"Sei forse diventato pazzo, cavaliere straniero?", domandò, da sotto la maschera di serpente, Etana, osservando l’altro scartare lateralmente all’ultimo, "Tutto inutile, queste armi colme del mio cosmo, che del serpente messaggero Nirah, riprendono la forma, inseguiranno fin ai confini ultimi di queste lande il loro bersaglio, te!", avvisò ancora l’Appalaku, mentre anche le catene curvavano leste, per inseguire Menisteo.
Il cavaliere d’argento, però, non parve preoccupato, anzi continuò la sua corsa, alla velocità del suono, avanzando con movimenti quasi disordinati, mentre curvava prima verso destra, poi verso sinistra ed ancora verso sinistra, quasi fosse impazzito, o incapace di fermarsi, solo all’ultimo Etana si rese conto di cosa l’altro stesse facendo, quando vide chiaramente la forma disegnata dalle sue catene: un trapezio.
Trapezio che, con la corsa del santo di Eracle, si sarebbe chiuso sul suo nemico, costringendolo a fermarsi contro gli anelli centrali delle tre armi, ma, proprio quando l’ostacolo si stava ormai parando inesorabile dinanzi all’avanzante cavaliere, questi, facendo leva sulle proprie gambe, spiccò un salto in avanti, poggiando le mani al suolo e compiendo così un’abile, quanto inattesa, capriola a mezz’aria, che gli permise, all’ultimo, di evitare gli anelli delle catene nemiche, che, invece, si scontrarono violenti con le punte ricolme d’energia cosmica, detonando in un’esplosione che investì sia Menisteo, sia Etana, scagliandoli indietro di diversi passi.
Ci furono lunghi secondi di silenzio, in cui persino Damocle osservò con preoccupazione verso il luogo dello scontro, senza però avanzare di un passo, poiché, come la Sacerdotessa della Musca, ben sapeva che interrompere quello scontro, andando in soccorso del loro compagno, sarebbe stato quanto meno disonorevole, per Menisteo stesso; inoltre, il cavaliere della Croce del Sud, ben conosceva le virtù guerriere dell’altro, che reputava inferiori alle sue, ma comunque degne di nota e virtuose.
Alla fine del lungo silenzio, però, ambo i combattenti si rialzarono; le vestigia di entrambi erano danneggiate in più punti, parte della copertura di Eracle era in pezzi, così molto delle maestose ali dorate di Nirah, che, all’ultimo, Etana aveva sollevato a protezione del proprio viso, quasi desse più valore alla maschera che non al resto dell’armatura.
"Ti faccio i miei complimenti, straniero, hai dimostrato un’agilità e furbizia che mai avrei creduto proprie di un gigantesco individuo quale tu appari.", esordì secco l’Appalaku, espandendo di nuovo il proprio cosmo, che animò le restanti catene, ora orfane di tre loro simili.
"Non dovresti fermarti alle apparenze, guerriero; in me vi è molto di più: il mio maestro, Degos di Orione, mi ha addestrato, oltre che nell’uso del cosmo, anche nella perfezione del fisico e della mente, come si compete ad un ginnasta olimpico. Tale addestramento mi permette di vincere, superando le prime impressioni che i nemici si fanno su di me; mentre la mia cultura mi ha permesso di sfruttare una storia sul divino Ercole ad ispirazione per questa tattica.", affermò, con un sorriso soddisfatto, il cavaliere di Atena.
"Una storia?", ripeté incuriosito Etana, "Sì. Ercole, figlio di Zeus, fra le sue innumerevoli fatiche dovette vincere contro il Leone di Nemea e, una volta sconfitto l’invincibile figlio di Tifone, ne volle prendere la pelle per farne la sua difesa invincibile, ricordi, te ne avevo già parlato? Ebbene, per ottenere quella reliquia divina, il sommo Ercole usò un artiglio della fiera stessa per scuoiarlo; allo stesso modo, io ho usato le tue stesse catene contro di te.", spiegò con tono soddisfatto Menisteo.
Per alcuni secondi, a quelle parole, Etana rimase in silenzio, probabilmente sbalordito, poi si aprì in un convinto applauso, "I miei complimenti, guerriero greco, per aver saputo sfruttare il mito a tuo vantaggio contro di me, ma mi chiedo quanto ancora potrai far uso di tali conoscenze per vincermi; se avrai abbastanza leggende da sfruttare in tuo vantaggio.", replicò con tono lieto l’Appalaku.
"Il grande Ercole ha compiuto dodici fatiche nella sua gloriosa vita.", ribatté sorridendo beffardo il cavaliere d’argento, mentre l’altro lasciava scappare una sottile risata da sotto la maschera dorata.
"Non spendere il tuo tempo pensando a tutti i miti della divinità di cui indossi le vestigia, per ora preoccupati di reggere al mio prossimo assalto, l’ultimo!", minacciò a quel punto Etana, lasciando esplodere il proprio cosmo, che animò almeno una dozzina di catene sui due copribraccia, "Nido delle Biscie!", tuonò l’Appalaku.
Rapide le catene si mossero, come altrettanti serpenti, lanciandosi, chi a mezz’aria, chi rasoterra, verso il loro comune bersaglio, illuminate dall’energia cosmica dell’Ummanu.
"E’ tutto inutile, nemmeno stavolta potrai sfondare la mia difesa.", avvisò, però, Menisteo, mentre ancora una volta sollevava la possente corrente del Nematon Liontarides, contro cui, però, le serpi non si scontrarono, poiché, leste, si mossero ai suoi lati, gettandosi, in un accecante bagliore di luce, verso il suolo e nascondendosi sottoterra.
Per interminabili istanti tutti rimasero sorpresi: i due cavalieri che osservavano la lotta ed il santo di Eracle, che vi partecipava, finché, inattese, due catene apparvero dal suolo sotto i suoi piedi, investendolo, una alla bocca dello stomaco e l’altra in piena fronte, proprio sopra l’occhio destro, danneggiando la corona che indossava e lasciando cadere del sangue sull’occhio.
Fu forse il sangue sull’occhio, forse l’impatto dei colpi subiti, ma per un attimo Menisteo rimase scosso, mentre altre cinque catene si alzavano dal terreno, e gli parve che quelle armi prendessero la forma di altrettanti serpenti, dalle minacciose bocche, serpenti che famelici si gettarono contro le gambe del mastodontico cavaliere, mordendo le caviglie e le ginocchia.
Le urla del cavaliere di Atena si unirono al sordo rumore delle ossa che s’incrinavano sotto la pressione di quella presa, mentre altri tre catene apparivano, investendolo con violenza allo stomaco, piegando il massiccio corpo, prima di legarsi alle braccia, cercando di bloccarle.
"Cavaliere!", esclamò Bao Xe della Musca, avvicinandosi ai due combattenti assieme a Damocle.
Etana volse allora il proprio elmo integrale proprio verso quei due nemici, "Fareste meglio ad aiutarlo, stranieri, poiché contro le Bisce dal Collare ben poco resta più da fare al vostro compagno.", avvisò laconico l’Appalaku.
"Bisce dal Collare?", ripeté incuriosito il cavaliere di Crux, "Sì, animali molto comuni nel piccolo villaggio lacustre della Turchia dove sono nato e cresciuto; non sono serpenti velenosi, però sanno come procurarsi cibo e sopravvivere; proprio da quella razza di ofidi ho preso ispirazione.", affermò tronfio il guerriero, "Come loro nuotano nelle zone acquitrinose, così le catene rapide scivolano nel mare prodotto dal mio cosmo; come quelle bisce fingono attacchi con i denti, per poi invece percuotere con il capo, al fine di scuotere il proprio bersaglio, così alcune delle catene puntano più ad intorpidire all’impatto, per poi bloccare; come, infine, questi serpenti possiedono denti aglifi, privi di veleno, quindi pieni all’interno, per meglio mordere e rompere, mentre inghiottono la preda intera, così le fauci che genero puntano a distruggere le ossa ed articolazioni, producendo gravi fuoriuscite di sangue, per un fatale salasso.", concluse Etana.
"So cosa sono le bisce dal Collare, ve ne sono anche in Italia… anzi, questo mi fa tornare alla mente come ero solito eliminarle da dinanzi alla mia vista, affinché niente insozzasse nemmeno i luoghi dove ponevo gli occhi.", replicò stizzito Damocle, sollevando dinanzi al petto il braccio destro, con il palmo aperto.
"No, Crux, ti prego, lasciami concludere a mio modo questa battaglia, che non si dica mai che Menisteo di Eracle è stato battuto da dei piccoli serpenti, giacché del giustiziere dell’Idra di Lerna indosso le vestigia.", replicò con tono deciso il santo d’argento ferito, il cui cosmo iniziò a soffiare rabbioso intorno a lui, sul suo braccio destro.
Con indicibile violenza le catene che bloccavano proprio l’arto destro andarono in pezzi, sbalordendo i due presenti con le maschere sul viso, giacché entrambi indietreggiarono di qualche passo, mentre solo Damocle sorrideva soddisfatto.
"Ancora hai la forza di combattere?", chiese allora l’Appalaku, "A me, che del dio della Forza indosso le insegne, chiedi se possiedono ancora forza? Etana di Nirah, mi sbagliavo, hai continuato a sottovalutarmi. Sappi, però, che ora vedrai una seconda reliquia dell’antica divinità del Mito, che il mio cosmo fa rivivere, l’arma che Ercole solo impugnava con orgoglio e fermezza, la Clava!", esclamò allora Menisteo, sollevando deciso il braccio, intorno cui sembrava essersi generato un tornado in miniatura.
"Sfurì Dunames!", urlò il cavaliere d’argento, calando con determinazione il braccio dinanzi a se, mentre già Damocle si faceva qualche passo indietro, invitando con un gesto anche Bao Xe a fare altrettanto.
L’effetto di quel colpo fu incredibile: quel piccolo tornado che si agitava intorno al braccio di Menisteo, infatti, calò con indicibile furia dinanzi a lui, creando una corrente d’aria che, investendo con il suolo, detonò in ogni direzione, aprendosi a ventaglio dinanzi al cavaliere d’argento. Le catene che ancora lo legavano, come quelle che penetravano profonde nelle carni andarono spezzandosi, riducendosi in fini anelli, che volarono ogni dove, prima che la furia di quel potente assalto corresse rapida verso Etana, il quale mosse le ampie ali dell’armatura a coprirlo, subendo sulle stesse la potenza devastante dell’attacco, potenza che le distrusse, scagliando in aria l’Appalaku stesso, che, di lì a pochi attimi, ricadde al suolo, in una pozza di sangue.
"Bene, la plebaglia è eliminata…", osservò soddisfatto Damocle, quando la furia prodotta dalla Clava della Forza, si fu quietata, avanzando di qualche passo, prima che la mano sollevata del cavaliere di Eracles lo fermasse. "No, amico mio, non è ancora sconfitto.", osservò Menisteo, caduto sulle proprie ginocchia, a causa delle ferite alle gambe.
A dimostrazione di quelle semplici parole, con estrema fatica, anche Etana di Nirah, si rimise in piedi, sanguinante, con le ali ormai in pezzi e buona parte dell’armatura squamata anche danneggiata e sporca del suo vermiglio liquido vitale.
"Ti faccio i miei complimenti, cavaliere straniero, non mi sarei mai aspettato un attacco tanto potente, pensavo che fossi vanaglorioso come quel tuo compagno, elucubrando sulla divinità cui sono dedicate quelle vestigia che indossi, ma, invero, ti dimostri degno di questo vostro dio della Forza.", esordì l’Appalaku, il cui sangue grondava anche dall’elmo danneggiato, mentre ancora il cosmo s’espandeva intorno a lui minaccioso.
"Anch’io rivolgo te i miei complimenti, Etana di Nirah, mai nessuno aveva resistito alla Clava di Forza e dimostrato ancora tanta volontà di combattere.", replicò Menisteo, che, facendo leva sulla gamba destra, si rimise in piedi, seppur in una posizione precaria, pronto ad attaccare di nuovo.
I due erano apparentemente pronti a colpirsi di nuovo, in quello che sarebbe stato, probabilmente, un assalto mortale per entrambi.
"Fermi!!!", urlò a quel punto una voce di donna, quando già Bao Xe si pose fra i due, "Questa battaglia non ha più senso.", li ammonì secca la sacerdotessa.
"Guardiano delle Mura, le tue vestigia sono ormai ridotte in condizioni pietose, non potrebbero reggere un nuovo confronto; inoltre, qualora vincessi sul mio compagno d’arme, avresti poi da affrontare me e Damocle, che di certo avremmo facile ragione sulle ferite che già ti appesantiscono il corpo, abbassa le armi, cedi il passo e la vita, che debole ancora ti riempie, non sarà recisa dal suo stelo.", avvisò semplicemente la guerriera di Musca, volgendosi verso Etana.
"Perché mi dici queste parole, donna?", chiese in tutta risposta l’Appalaku, "Credi forse che aneli alla vostra misericordia?", concluse, con tono offeso.
"Non misericordia muove le mie parole, ma sete di Giustizia. Atena è una dea buona, non chiede vite sacrificate inutilmente in suo nome, né quelle di chi per lei combatte, né di chi gli è nemico. Nessuna gioia ricaverebbe la nostra dea dalla tua morte, né ne ricaveremmo noi. Da ciò che ho potuto sapere, prima della partenza, voi servite Shamash, il dio Giudice dell’Antica Accad, un dio che predica la Giustizia al pari della nostra Atena, un dio che, di certo, non reclamerebbe una vita di chi gli è fedele; malgrado il suo modo solo logico, privo di cuore, con cui soppesa il bene ed il male nelle persone.", spiegò con voce calma la Sacerdotessa.
"Parole più che corrette le tue, donna", affermò allora Etana, "probabilmente se solo Shamash dettasse le mie azioni, ti darei ascolto, ma il mio cosmo non è mosso dalla devozione al Grande Giudice, né dal dovere verso il Sovrano Dorato, bensì da una fonte più dolce e deliziosa: la promessa di adempiere agli ordini ricevuti che feci, anni fa, alla magnifica Nanaja, seconda in comando presso noi Appalaku.", rispose secco l’Ummanu di Nirah.
"Per la tua donna combatti?", chiese sorpreso Damocle, che s’era avvicinato, appena viste le azioni di Bao Xe.
"Non per la mia donna, orgoglioso uomo, bensì per la più bella creatura che gli dei manifestarono sulla terra.", sentenziò secco Etana, "Una creatura che un tempo fu mia, per quanto, ad essere onesti, fui piuttosto io ad essere suo, completamente, assolutamente, come ancora lo sono.", ammise.
"Siamo cresciuti assieme, in un piccolo villaggio turco, amici fin dalla più tenera infanzia, vedemmo quel semplice affetto maturare, come un frutto, che, una volta matura, ci permise di assaggiarne il dolce sapore, inebriandoci vicendevolmente.
Per anni mi sentii l’uomo più fortunato della terra, a poter stringere meco una tale bellezza, una simile perfezione femminile. Il suo respiro, il profumo dei capelli, la profondità degli occhi, la morbidezza della pelle, tutto di lei mi era noto e caro, più della mia stessa vita, che nelle sue labbra aveva inizio e fine, ogni volta che la vedevo sorridere, o rattristarsi.
Fui l’essere più felice del creato, finché un giorno non giunse nel nostro villaggio un viandante che narrò per lunghe serate nella locanda delle sue ricerche di una città fantastica, dove millenni prima i suoi antenati, provenienti dalla grande Babilonia, lasciarono delle sacre reliquie, armature dai magici poteri, come spiegava, affascinando tutti, persino Nanaja.
Quelle storie ci allontanarono, attirando la curiosità della più bella donna del mondo, che abbandonò il mio abbraccio, facendosi promettere che avrei dato aiuto a lei ed a quel viaggiatore, che già chiamava suo sovrano, nella ricerca di quelle armature, per ottenere un futuro migliore, mediante l’aiuto di una divinità.
In questo modo divenni il terzo degli Appalaku, seguendo la donna che amo, la mia vice comandante, ed il nostro sovrano, allora senza regno e senza trono, Baal. Con loro viaggiai fino ad un luogo disperso del Medio Oriente, dove trovammo le cinque armature dorate della più piccola delle Armate Ummanu; con loro, in seguito, cercai i sovrani degli Annumaki e degli Anunnaki, incontrando un criminale, scacciato dalla sua stessa tribù, che subito si prostrò ai piedi del Re d’oro, accettando di seguirlo, anelando nel pieno perdono per i suoi crimini, diventando l’Appalaku di Lamassi.
In quattro, poi, raggiungemmo l’accampamento di Marduk e del saggio Ea, signori degli Anunnaki, incontrando poi anche il Sovrano Scarlatto, Enlil, e le sue schiere di predoni, oltre al giovane Adapa, che divenne l’ultimo di noi guerrieri dorati.
In tutto questo tempo, ogni notte, ascoltavo come Nanaja mi si allontanava, stringendosi sempre di più al nostro Sovrano, e capivo che, per sperare ancora di incontrare i suoi sorrisi, potevo solo continuare a rispettare la promessa fattale: servire Baal, qualsiasi cosa mi avesse chiesto.", concluse Etana, interrompendo il proprio racconto per un leggero suono proveniva da Damocle: il cavaliere d’argento stava ridacchiando.
"Avevo torto su di te, guerriero, non sei un plebeo, sei semplicemente un idiota…", sentenziò secco l’italiano; "Cosa?", ringhiò offeso l’altro, volgendosi verso l’interlocutore.
"La donna che ami ti vuole lasciare per seguire un esaltato che narra di divinità che porteranno la Giustizia nel mondo, chiedendoti addirittura di aiutarla in questo progetto e tu accetti, anziché costringerla alla ragione, fosse anche a suon di ceffoni? Sei un idiota, guerriero, niente di più.", ripeté Damocle.
"Come ti permetti?", ringhiò ancora Etana, espandendo il proprio cosmo contro il cavaliere di Crux, "Dalle tue parole si evince come non provi alcun rispetto, o fedeltà, verso questo sovrano dorato, inoltre non ha interesse alcuno verso Shamash e la Giustizia che porterà nel mondo; solo per un amore scomparso segui i tuoi compagni, per non perdere del tutto la donna che desideri alla follia, o forse, e questo sarebbe ancora più patetico, per riuscire a riprenderla, guadagnando gloria con le tue azioni. Sei un idiota… è semplice.", ripeté per la terza volta il cavaliere d’argento, sorridendo beffardo all’altro.
"Maledetto!", ringhiò l’Appalaku, pronto a colpire l’italiano. "Non osare, Etana di Nirah!", lo ammonì allora Menisteo, costringendo l’altro a voltarsi, "Sono ancora io il tuo avversario.", lo avvisò, facendo qualche passo avanti. "Non giudico ciò che ti spinge a combattere, seppur non è la fedeltà ad una divinità, come può essere per me ed i miei compagni, ma, proprio perché rispetto il tuo modo di pensare, guerriero mesopotamico, ti chiedo di concludere prima il nostro scontro, poi, se potrai, soddisfare il tuo desiderio di colpire Damocle.", lo sfidò deciso il cavaliere d’argento.
"Sacerdotessa della Musca, ora ti prego, per rispetto mio e del nostro nemico, spostati, egli non cederà il passo con facilità, né io ho bisogno del vostro intervento, quindi, lascia che siano i nostri colpi a concludere questo duello.", affermò poi, con tono quieto, il santo di Eracles verso Bao Xe, che, chinando il capo, rinunciò a far ragionare i due, indietreggiando fino ad avvicinarsi di nuovo a Damocle.
"Sia dunque, cavaliere greco, concludiamo ora il nostro scontro, così che poi possa aver ragione del tuo compagno sbruffone e della fanciulla, o morire nel tentativo di riuscirci.", concluse Etana, espandendo ancora il proprio cosmo, mentre le ultime nove catene si avvicinavano fra loro, guidate dalla volontà del loro padrone.
"Semmai riuscirai ad affrontarli, poiché non sarò nemico facile da sconfiggere io!", tuonò in tutta risposta Menisteo, sollevando di nuovo il braccio destro sopra il proprio capo.
"Natrix Gigante!", esclamò l’Appalaku di Etana, "Colpisci il mio nemico, strappando la vita dal suo corpo, assieme alle carni!", urlò.
"Sfurì Dunames!", invocò il saint di Eracle, "In nome di Atena, che la forza del figlio di Zeus ricada sul mio avversario!", pregò l’altro.
Le catene residue si unirono, formando un unico gigantesco serpente, che con feroce precisione si lanciò contro il santo d’argento, pronto a travolgerlo con la devastante potenza cosmica di cui erano portatrici, andando incontro alla violenta corrente d’aria che detonò dall’avambraccio del cavaliere, investendo l’integrità delle serpi, riunite in un’unica creatura.
La clava di vento, però, al pari dell’arma del mitico figlio di Zeus, che la vita aveva strappato a serpenti ben più pericolosi del Messaggero accadico, o delle bisce dal collare, ebbe facile ragione delle vestigia nemiche, distruggendone l’assalto, prima che questo entrasse in contatto con il cavaliere, raggiunto solo dalla forza cosmica che teneva unite le diverse catene, mentre già, la furia devastante dell’assalto greco raggiungeva con impietosa violenza l’Appalaku, distruggendone le vestigia e strappando via, con quelle, anche la vita di Etana, che volò via spargendosi assieme alla sabbia che s’era mossa per l’onda d’urto. Le stesse mura furono investite dalla violenza del colpo, crepandosi leggermente.
"Così finisce la vita di un amante lasciato, che mai aveva voluto lasciare l’amore della sua esistenza…", sussurrò a fatica Menisteo, che aveva subito altre ferite dall’emanazione cosmica avversaria.
"Io continuo a ritenerlo un idiota.", osservò Damocle, avvicinandosi con i compagni al cadavere, e ricevendo uno sguardo di disappunto dal parigrado di Eracle, "Va bene, un ottimo guerriero, pieno d’amore per la donna della sua vita, ma privo della risoluzione per strapparla da un folle sogno che non sarebbe dovuto essere il loro.", si corresse, con una nota di noia nella voce, il santo della Croce del Sud.
Con facilità, sconfitto Etana, i tre superarono le mura esterne dell’area Nord di Accad, ritrovandosi dentro l’antica Capitale.
"Ora?", domandò lo stanco e ferito santo di Eracle, "Ora, cavaliere, tu ti riposerai qui, al sicuro, lì dove nessuno potrebbe volerti cercare, noi, andremo in avanscoperta.", ordinò secca Bao Xe, "Se è vero ciò che il nostro nemico ha detto: i compagni che cerchiamo potrebbero essere morti, o feriti e divisi, servirà loro il più rapido supporto possibile. Se, come penso, hanno posto il loro compito di cavalieri prima della vita stessa, i sopravvissuti si staranno dirigendo verso quel palazzo che s’alza al centro di tutto, e lì anche noi andremo, per vie diverse, cercando di raggiungerli e trovarli.", spiegò la sacerdotessa della Mosca.
"Potremmo non ritrovarci nemmeno noi…", osservò Menisteo, "Non è poi così difficile trovarmi: basta seguire i cadaveri dei miei nemici che lascerò lungo l’avanzata.", tagliò corto Damocle, sorridendo soddisfatto all’altro, prima di scattare avanti, scomparendo rapido fra i corridoi dell’Antica Capitale.
Bao Xe, vedendo l’altro allontanarsi, si passò una mano fra i capelli, scuotendo il capo, prima di volgersi verso il compagno ferito: "Riposati, cavaliere di Eracle, così ridotto non saresti di aiuto a nessuno. Aspetta prima di dirigerti verso quel palazzo, sono certa che, se Atena vorrà, ci ritroveremo.", concluse la Sacerdotessa, prima di correre anche lei in direzione di Anduruna.
Il santo di Eracles, al contrario, si poggiò alle pareti esterne delle Mura, portandosi in una zona d’ombra, dove sarebbe stato difficile individuarlo, e lì rimase a riposare, consapevole che ben presto nuove battaglie lo avrebbero atteso.