Capitolo 12: Notte

La cascata scivolava potente fra i picchi del monte Goro-Ho, il suono rimbombava forte nelle orecchie del ragazzo che, arrivato in quel luogo, s’inchinò osservando di sottecchi la strana figura che aveva davanti.

"Strana figura…", quello fu il suo primo pensiero di certo, subito sostituito da un "Buffa figura…", mentre i ricordi dei genitori e dei racconti sugli spiriti dell’Acqua, quelli che nel vicino Giappone erano chiamati Kappa, riaffioravano alla mente, portando il fanciullo a chiedersi se quella forma, e quello strano colore della pelle, fossero le effettive fattezze di quelle creature mitiche e se, in quel momento, lui ne stesse incontrando veramente uno.

Teoria, anche questa, che non era del tutto da escludere, in fondo, da quando i suoi genitori erano morti, nelle prime sommosse anti-occidentali, focolai di una guerra più grande, lui era rimasto solo, orfano, senza più nessuno che vi badasse, figlio di poveri contadini morti senza la consapevolezza di quale fosse la causa della loro fine. Ed in tutto questo, era stato avvicinato da uno strano uomo che, senza nemmeno rivolgergli la parola, lo aveva condotto fino a quella cascata, detta dei Cinque Picchi e lì lo aveva lasciato, ad un maestro che gli avrebbe indicato il suo futuro. O almeno questo gli aveva fatto capire quello strano uomo muto.

Ora era lì, inginocchiato dinanzi a quella buffa creatura che lo osservava da una sporgenza rocciosa, in silenzio, indeciso su cosa dire o fare, restava con il viso chino in avanti, finché, preso il coraggio con ambo le mani, si decise a presentarsi: "Salve, sono Zong Wu… della regione del Canton, mi è stato detto dal Signor Amara di venire qui…", riuscì a dire, indeciso su che senso dare alle proprie parole, preso in mezzo da qualcosa che persino lui, figlio di contadini senza alcuna istruzione, capiva essere più grande della sua attuale esistenza.

"So bene chi sei, ragazzo, come so chi è l’uomo che fin qui ti ha condotto, su richiesta del Grande Tempio di Atene.", esordì allora la figura dalla pelle avvizzita, parlando di un luogo, Atene, che il giovane Zong Wu non sapeva nemmeno dove si trovasse. "Ciò che, però, forse tu non sai, è il motivo per cui sei stato portato dinanzi a me: per essere addestrato a diventare un cavaliere della Giustizia, un cavaliere di Atena, dea olimpica della Guerra Giusta. A questo obbiettivo, la Giustizia, spero che tu possa consacrare la tua vita, così come feci io diverso tempo addietro, e come fecero molti altri prima di te, sia in questi luoghi, sia in altri.", spiegò l’anziano insegnante, confondendo ancora di più lo stupito ragazzo.

"Qui risveglierai in te il cosmo, apprenderai come usarlo, oltre che otterrai una cultura, seppur minima, ma sufficiente a fare di te un uomo, oltre che un guerriero. Infine, se Atena vorrà, otterrai l’investitura a quell’armatura che per te le stelle hanno scelto: l’Auriga d’Argento.", aggiunse, mentre quelle parole riempivano d’orgoglio il giovane, anche se egli stesso non sapeva bene tutti gli infiniti addestramenti cui lo avrebbero portato nel corso degli anni.

Quando Zong Wu poi alzò il volto verso l’anziano che gli stava parlando, questi continuò: "Alla fine, come molti miei allievi prima di te, mi deluderai e morirai fallendo!", tuonò una voce deformata ora dalla rabbia e dal rammarico, mentre quel rugoso viso mutava, diventando un ghigno, scarlatto come il fuoco, in una faccia ora adornata da due sottili corna ed affilati denti da squalo, mentre gli occhi brillavano del colore dell’oro.

Una mano artigliata, scarlatta anch’essa, si strinse sulla fronte del ragazzo, stringendo con le unghie affilate contro le tempie, mentre il sangue si confondeva alla pelle del giovane.

Il cavaliere dell’Auriga riaprì d’improvviso gli occhi; a fatica cercò di sollevarsi, per mettersi a sedere, ma la schiena gli doleva indescrivibilmente, a quel punto, portò la mano destra al viso, toccandosi le tempie, senza trovarvi ferita alcuna, solo il sudore scendeva sulla fronte, rendendola sempre più umida, niente di più.

Utilizzando ambo le mani per farsi forza, Zong Wu si sollevò a sedere, guardandosi intorno e tutto gli tornò alla mente: l’arrivo al Santuario, la missione affidatagli dal Sommo Sacerdote, il viaggio con i cinque compagni ed il successivo primo scontro con i Golem, l’arrivo ad Accad e le battaglie affrontate fino a quel momento.

Ricordò come le forze riunite dei loro sei attacchi si fossero scontrate con quella del colpo di Enlil, provocando un’onda d’urto dalla violenza indicibile, come lui avesse urlato, nel caos della detonazione, ai compagni di spostarsi, proteggendosi in qualche modo e, proprio all’ultimo secondo, si fosse gettato su Wolfgang dei Cani da Caccia, troppo ferito per riuscire da solo ad ottenere una qualsiasi difesa.

Si era lanciato, assieme al cavaliere suo pari, dentro un palazzo crollato precedentemente proprio per uno degli attacchi del Sovrano Scarlatto, la parete esterna era andata facilmente in pezzi, ma aveva contenuto l’ondata energetica, così da rendere la forza con cui i due santi d’argento erano stati investiti, ben meno devastante, seppur sufficiente per scaraventarli chissà dove nella zona periferica di Accad, feriti e con le vestigia danneggiate su più punti, anche gravemente.

Le condizioni del santo dei Cani Venatici, poi, erano altresì cagionevoli: la ferita prodottagli due giorni prima da Sin degli Annumaki si era riaperta, producendo una forte emorragia, che, unita a quelle prodottesi nello scontro con Enlil, aveva quasi dissanguato il cavaliere tedesco, che ora sostava, svenuto, accanto al suo parigrado cinese.

Quando poi Zong Wu s’era ripreso, trovando Wolfgang in un lago di sangue, era ormai sera tarda, così, il santo d’argento aveva fasciato il meglio possibile le ferite del parigrado, per poi caricarselo in spalla ed iniziare ad avanzare verso l’unico punto di riferimento che possedeva: Anduruna. Poi, a notte fonda, il corpo ferito del cavaliere dell’Auriga aveva chiesto un po’ di riposo, così, poggiando il compagno in una piccola galleria naturale che aveva trovato, il santo di Atena si era ripromesso di restare di guardia allo stesso il tempo necessario a riprendere le forze, ma, evidentemente, si era addormentato anche lui.

La cosa comunque più sorprendente, in quella situazione, era stata il sogno fatto dal guerriero di Atene: il giorno in cui aveva incontrato il suo maestro, Dauko di Libra. Aveva rivissuto con dovizia di particolari ciò che era passato nella sua mente, quando per la prima volta aveva parlato con l’uomo cui, a conti fatti, doveva tutto, dall’investitura a cavaliere, alla più semplice conoscenza della letteratura e della filosofia. Solo le ultime parole non rispettavano la verità dei fatti di quel giorno lontano, parole di critica e delusione, dette da un volto che non sembrava nemmeno quello del venerato insegnante, ma piuttosto quello di un mostro orrido e terribile, "Un mostro proprio degli incubi", si disse alla fine Zong Wu.

"Incubi?", ripeté una voce alla sua sinistra; il cavaliere, allora, si volse, lieto che il parigrado si fosse al fine ripreso, ma, con suo grande terrore, vide ancora una volta Wolfgang immerso in un mare di sangue; la pelle ormai cadaverica, con gli occhi vuoti spalancati verso il nulla.

"Cavaliere!", urlò il guerriero cinese, sporgendosi verso il compagno d’arme, ma, per quanto provasse a raggiungerlo, il mare scarlatto che li divideva sembrava farsi sempre più vasto, allontanandoli, facendo quasi annaspare il santo dell’Auriga che, d’improvviso, si trovò le mani bloccate da quel liquido rosso, mentre lo stesso prendeva le forme di due mani artigliate, che feroci stringevano sui polsi, frantumando le vestigia.

"Incubi?", ripeté ancora una volta una voce, mentre l’immenso mare scarlatto lasciava fuoriuscire una figura connessa a quelle due mani che bloccavano Zong Wu, una figura tozza e rossa, dalle sottili corna ed i denti di squalo, che lo scrutò con occhi dorati e malvagi, "Non sei poi così distante dalla realtà…", sussurrò quella figura, prima di gettarsi contro il viso del cavaliere di Atena, pronto a morderlo con famelica ferocia.

"Zom Pu, Zom Pu, sveglia!", sentì dire da una voce lui nota. Aprendo gli occhi, il cavaliere dell’Auriga vide vicino a se il santo dei Cani da Caccia, che lo guardava sorridente, "Il mio nome è Zong Wu…", fu la sua prima frase, ancora scosso per ciò che aveva visto poc’anzi.

"Finalmente ti sei ripreso!", esclamò in risposta il guerriero tedesco, dandogli una pacca sulla spalla.

Il cavaliere dell’Auriga, istintivamente, ritrasse il braccio, pronto ad avvertire il dolore delle ferite che sapeva di avere in corpo, ma non sentì alcuna sofferenza, anzi, con sua grande sorpresa, riuscì persino a rimettersi in piedi senza difficoltà: le vestigia erano sì danneggiate, ma per il resto il corpo era in perfetta forma, tanto che, portatosi le mani al viso, non trovò niente di più di qualche rivolo di sudore.

"Ma… che cosa…", riuscì appena a balbettare il santo di Atene, "Non ricordi?", chiese il santo dei Cani da Caccia, "Ti capisco, anch’io quando mi sono ripreso ero confuso.", aggiunse sorridendo, "Però quando vedrai ciò che sono riusciti a fare i cavalieri d’oro, resterai come me ancora più sbalordito!", concluse il tedesco, con un occhiolino al parigrado.

"Cavalieri d’oro?", ripeté sbalordito Zong Wu, "Sì, i rinforzi richiesti da Abar di Perseo erano i cavalieri d’oro. Sono arrivati tutti e dodici, non puoi nemmeno immaginare cosa sono riusciti a fare!", esclamò esaltato Wolfgang, tirando l’altro per la mano e portandolo fuori della piccola galleria dove si trovavano.

Il cavaliere dell’Auriga rimase senza parole: Anduruna era ormai in polvere, dell’alto palazzo niente era rimasto, né meglio si poteva dire dell’intera Accad; pietre, macerie e cadaveri, decine di cadaveri dalle vestigia scarlatte, verdi e dorate, sparsi al suolo, senza vita alcuna, il cui sangue rendeva le strade, o almeno ciò che ne restava in mezzo ai pavimenti divelti, dei lunghi fiumi rossi.

Al centro di quella che un tempo era una città, vi erano loro: dodici figure vestite di armature così splendenti, che quasi lo abbagliavano, impedendone di distinguere le forme delle vestigia, o dei visi, tutti così simili ed anonimi agli occhi del santo d’argento, che li vide avanzare.

Fra tutti, fu una figura ben più bassa, tozza e quasi buffa, se non fosse stato per il sangue che lo circondava, a parlargli, la figura del suo maestro: "Siete stati un fallimento. L’errore di dare a te il ruolo di stratega ha pesato sulla vita di tutti loro.", osservò deluso, rivelando, dietro i dodici guerrieri dorati, altri cinque cadaveri, quelli di Gwen, Dorida, Leif, Husheif e Wolfgang.

"Cosa si poteva attendere, d’altronde, dal figlio di un contadino? Un altro allievo incapace ed inutile…", ripeté ancora una voce alle sue spalle e, girandosi, il cavaliere dell’Auriga non trovò il suo parigrado dei Cani da Caccia, ma la tozza figura rossa, che sembrava prendere vita dai fiumi di sangue, in cui ora anche lui stava affondando, una figura che gli serrò la mano destra sulla bocca, affondando nel viso gli artigli feroci, mentre già la sinistra si preparava ad affogare le dita negli occhi del cavaliere, incapace di difendersi.

"Zong Wu, Zong Wu, uffa! Svegliati!", esclamò d’un tratto una voce, mentre due mani affusolate scuotevano il busto del giovane cinese, "Zong Wu, dai, alzati! Il maestro Dauko ha detto che è il momento!", continuò la voce, con un tono sempre più indispettito, per quanto scherzoso ed emozionato.

Quando il ragazzo aprì gli occhi si vide davanti una maschera di bronzo dalle verdi decorazioni intorno alla zona delle guance, mentre ancora le mani lo scuotevano al torace, "Dai, alzati. È il momento!", esclamò la voce della fanciulla.

"Xi Yan?", balbettò stupito Zong Wu, osservando l’esile figura della sua compagnia d’addestramenti, illuminata dalle prime luci dell’alba che baciavano i Cinque Picchi, "Perché? Chi ti credevi che fosse, cavaliere?", obbiettò, con tono più serio la sacerdotessa, sollevandosi da sopra lo sterno dell’altro e voltandogli le spalle.

Indossava il tipico corpetto da battaglia, con la lunga casacca di pelle che utilizzavano negli addestramenti, i capelli, lunghi e verdi, legati in una treccia, che scivolava fino a metà schiena, mentre lei si allontanava verso l’uscio della piccola capanna, per poi voltarsi: "Dai, sbrigati, il maestro ci attende! Ti ho detto che è il gran giorno!", replicò, di nuovo con quel tono di voce più da ragazzina che da donna guerriera, il tono di voce che, negli anni, Zong Wu aveva imparato ad apprezzare e che spesso lo faceva sorridere.

"Il grande giorno?", ripeté fra se, confuso, il cavaliere dell’Auriga, mentre il suo sguardo vagava nella stanza, osservando la custodia dell’armatura posta in un angolo, vicino al letto. E fu lì che capì cosa intendeva dire Xi Yan.

La sua giovane compagnia di addestramento era arrivata a Goro-Ho due anni dopo di lui: non aveva mai saputo esattamente da che regione della Cina provenisse, ma era abbastanza evidente che, anche lei, era un’orfana di quel periodo di caos e disordini, di odio per gli stranieri e di violenze e soprusi sui più poveri e deboli.

Fin da subito, quella strana maschera gli era sembrata al quanto curiosa come usanza, ma quando il maestro gli aveva spiegato le origini di tale costume e gli effetti che la perdita della stessa producevano, Zong Wu iniziò a guardare con maggior rispetto quella guerriera, che aveva accettato di rinunciare alla sua femminilità per diventare seguace di Atena. E di certo, Xi Yan metteva tutta se stessa negli addestramenti, tanto da riuscire, in meno di un anno e mezzo, ad ottenere degli ottimi risultati nell’addestramento fisico, così da raggiungere degli ottimi livelli di uso e conoscenza delle arti marziali.

I ricordi del tempo passato assieme, di come, in fondo, malgrado l’esperienza battagliera, fosse comunque una ragazzina con tutti i suoi modi buffi ed impacciati di fare, volarono nella mente di Zong Wu, mentre, ormai preparatosi, uscì dalla capanna, investito dalla luce del sole di Cina.

A passi tranquilli il cavaliere d’argento arrivò dinanzi alla cascata, dove, su uno spunto di roccia, Xi Yan attendeva, in piedi, con la maschera rivolta verso il maestro, che, poco più in alto, restava in silenzio, finché anche l’altro discepolo non si posizionò alla dovuta distanza, rivolgendo un saluto a Dauko.

"E’ giunto il momento, Xi Yan, dimostrati degna dell’addestramento portato avanti, rivela le tue abilità ed ottieni l’armatura che ti spetta.", esclamò deciso il santo della Bilancia, che osservava in silenzio.

La giovane allieva fece un cenno con il capo, poi, piegò le ginocchia, portandosi in una posizione quasi felina, con le braccia in avanti, dinanzi al petto, le mani quasi ad imitare degli affilati artigli, mentre il cosmo verde smeraldo circondava la sacerdotessa, che subito lanciò un urlo, scattando verso la cascata Goro-Ho.

Fu lì, in quel preciso momento, che Zong Wu ebbe una sensazione strana, come se qualcosa, intorno a lui, non andasse, come se ci fosse uno sbaglio in quel che vedeva, mentre il calcio di Xi Yan investiva la corrente della cascata, dandole la forma di un immenso drago che si rialzava verso il cielo, scena che, alla mente del cavaliere d’argento, riportò il ricordo del momento in cui anche lui aveva ottenuto il medesimo risultato, mutando lo scorrere in un auriga che s’alzava verso le stelle della Cina.

Un’armatura color smeraldo, dalle fattezze di una bestia del mito, apparve al di là delle acque, "Le vestigia del Dragone, gloria dei cavalieri di Bronzo, hanno trovato una degna padrona.", osservò in quello stesso momento Dauko.

Zong Wu era orgoglioso della compagnia d’addestramento, sentiva sempre qualcosa di strano nell’aria attorno a lui, ma la gioia per l’amica era più grande, mentre proprio Xi Yan avanzava verso di lui, con indosso l’armatura di bronzo.

"Complimenti…", ebbe appena il tempo di dire, prima che un pugno dell’altra lo piegasse in due, colpendolo alla bocca dello stomaco.

Il cavaliere dell’Auriga sputò sangue sullo scudo invincibile tanto decantato dal suo maestro, e quella macchia parve invadere l’armatura stessa, mutandone il colore verso il rosso scarlatto, "Non me ne faccio niente dei complimenti di un fallito. Lo stolto figlio di un contadino, che non è nemmeno riuscito a salvare i suoi compagni! Ecco cosa sei!", ringhiò una voce che non era della sua compagnia d’addestramenti, mentre una mano lo sollevava per i capelli, portandolo ad osservare quella che ora non appariva più nemmeno simile ad una sacra armatura.

"Vuoi osservare il mio viso, Zong Wu? Credo che lo riconoscerai…", sibilò la voce, togliendo la maschera con la mano libera.

Non vi erano lineamenti umani, solo un ghigno scarlatto, con sottili corna e denti affilati, mentre due occhi dorati lo guardavano malefici, "Ho una gran voglia di strapparti il naso…", sentenziò la creatura, prima di gettarsi in un feroce morso contro il volto del cavaliere d’argento.

"Vi porgo i miei più sinceri complimenti, sembra che, con questo attacco, siate riusciti in sei a raggiungere le qualità di uno dei Sovrani! Questo mi riempie di gioia, sapere che, ormai, morirò per vostra mano, ma sappiate che, malgrado questo, non vi lascerò facile vittoria! Che io debba cadere, è notizia a me lieta, ma lasciarvi vincitori macchia il mio onore. Quindi preparatevi a seguirmi nel regno degli Inferi!", affermò una voce tonante, "Furia devastante!", urlò alla fine Enlil dello Scettro.

Zong Wu si riebbe sentendo quelle parole, vedendo la potenza offensiva del loro nemico scatenarsi in un terribile attacco che di certo li avrebbe travolti ed uccisi tutti, e fu allora che aprì la bocca per avvisare i propri compagni, ma una mano gliela tappò, una mano rossa ed artigliata.

"Osserva la tua inettitudine.", sussurrò una voce maligna all’orecchio del cavaliere, che si trovò impossibilitato ad ogni movimento, mentre una violenta esplosione travolgeva lui ed i suoi compagni.

L’esplosione fu accecante: per un tempo infinito, Zong Wu sembrò non vedere più niente, poi, d’improvviso, tutto si palesò ai suoi occhi. I cinque, cavalieri a lui parigrado, erano al suolo, i corpi sventrati, circondati dal sangue che s’era sparso ogni dove.

La sacerdotessa della Sagitta aveva il ventre divelto, le ossa dello sterno ne fuoriuscivano, tetre fauci di una morte che le aveva strappato la vita; poco distante si trovava il corpo di Leif di Cetus, o, più esattamente, le due parti in cui era stato diviso dalla violenta esplosione, una, quella dallo stomaco in su, era alla destra della sacerdotessa, l’altra, alla sua sinistra.

Ben più lontano, il corpo di Gwen del Corvo, integro, ma privo del viso, che, assieme alla maschera, era stato arso, lasciando solo la nuca bruciacchiata ad indicare l’identità della defunta sacerdotessa.

Sorte diversa, per quanto duale, quella di Wolfgang, di cui era visibile solo la testa, poggiata al suolo, con occhi vitrei che si volgevano proprio verso il santo dell’Auriga.

Ben più distante, il corpo di Husheif, dilaniato, con la pelle strappata in più punti e l’addome perforato da parte a parte, mentre anche da quel corpo la vita fuggiva via.

Infine, lo stesso Zong Wu, si vide, al suolo, privo delle gambe, del busto e di un braccio, arrancante, inutilmente, verso i compagni persi, prima che la mano scarlatta lo afferrasse ancora per il volto, mentre gli occhi dorati lo scrutavano serafici e le sottili corna si avvicinavano, assieme agli affilati denti, al suo viso.

"Osserva il tuo fallimento: non solo la morte ha strappato loro da questa esistenza, ma adesso i cadaveri saranno deturpati ed oltraggiati.", minacciò quella malefica voce, mentre dall’immensità di quel sangue, altre cinque figure prendevano forma.

Fra i corpi senza vita di Dorida e Leif apparvero due creature scarlatte, la prima, gigantesca, con braccia deformi, che sembravano più due gigantesche asce, che non vere e proprie mani, mentre la seconda, di dimensioni più minute, ingobbita, aveva due grandi lame, a forma di semilune, che fuoriuscivano dalla zona delle spalle, quasi fossero una prosecuzione della muscolatura stessa.

Vicino alla Sacerdotessa di Corvus, invece, prese forma un grosso mostro scarlatto, dall’aspetto quasi canino per le feroci fauci che ringhiavano contro la carcassa sfigurata.

Un ben più silenzioso, ma altresì maestoso, essere rosso, nacque da quel fiume di sangue vicino a Wolfgang, un essere che sembrava non avere dei lineamenti precisi, ma che trasmetteva un bagliore scuro quanto la notte stessa dal proprio corpo scarlatto.

E, infine, una figura dal triste sorriso si generò vicino a Husheif, una figura che sembrava perdere, intorno a se qualcosa di simile a piccoli sassi scarlatti quanto lei.

"Morti e deturpati, questo è il destino a cui hai condotto i tuoi compagni, tu, insulso figlio di un contadino!", lo accusò ancora quella voce malefica. Lacrime, a quelle parole, segnarono il viso del santo di Atena, mentre gli artigli del mostro scarlatto affondavano nella pelle, ma fu allora che avvenne l’inatteso: incapace di accettare quella sorte, di osservare, impossibilitato ad alcunché, la morte dei compagni, Zong Wu lasciò fluire la propria rabbia, facendo così esplodere il proprio cosmo, con la forza della pura e semplice disperazione, e persino gli occhi dorati dell’essere dalle sottili corna, si aprirono per lo stupore.

Un’ondata di luce argentea riempì quei fiumi di sangue, sciogliendoli, assieme all’intero campo di battaglia; tutto scomparve, come anche i corpi dei compagni caduti e le orride che creature che volevano mutilarli ancora, lì rimasero solo il cavaliere dell’Auriga e lo strano essere che ne aveva artigliato il viso.

"Cosa credi di poter fare con questi gesti disperati, sciocco?", ringhiò la voce, mentre la figura zampettava dinanzi al santo di Atena, ingobbita ed osservatrice, "Ti scaccerò dalla mia mente, mostro, ecco cosa farò, e ritroverò i compagni feriti!", replicò deciso il cavaliere.

"Scacciarmi? Ritrovare i compagni? Vaneggiamenti di un debole! Cosa puoi fare tu, insulso individuo? Nessuno ti apprezza, a troppi hai dato false speranze a cui avvinghiarsi, speranze che poi sono scomparse come neve al sole, lasciando tutti privi di ancora di salvataggio.", lo accusò la voce dell’essere scarlatto, "Il tuo maestro contava in un abile allievo, qualcuno di cui potesse tessere le lodi, come il suo primo ed ormai defunto discepolo. Gli altri santi d’argento ti avevano preso come silenziosa guida, non un capo, poiché non hai le qualità per esserlo, bensì un saggio parigrado che gli suggerisse la via meno rischiosa. E la tua compagnia d’arme ti aveva preso a modello, sperando un giorno di ricevere l’investitura e camminare a testa alta accanto a te.", contò con le dita artigliate la creatura, continuando a parlare, "Tutti loro hai deluso, tu, piccolo figlio di un contadino! Non sei stato degno delle lezioni del tuo insegnante, né di proteggere quei compagni che in te contavano… e Xi Yan, lei rimpiangerà il modello che seguiva, finché non ne scoprirà l’ineluttabile debolezza e le grandi mancanze. Sei un fallimento per tutti!", lo accusò ancora l’essere, prima di lanciarsi su Zong Wu, affondando ambo le mani nelle guance del cavaliere.

"Tutto ciò che dici è menzogna!", ringhiò allora Zong Wu, prendendo le mani dell’essere scarlatto per i polsi.

"Rivela il tuo aspetto, mostro, poiché per troppo tempo ti sei celato dietro falsità e timori. Meschino devi essere se fai leva sulle mie paure più recondite e deformi i ricordi più cari!", continuò deciso il cavaliere d’argento, mentre già le unghie affilate abbandonavano la carne del viso, senza che stavolta sangue alcuno ne uscisse.

"Se però la mia paura più grande: il fallimento agli occhi dei compagni e delle persone che mi sono più care, hai saputo ben usare; altrettanto non si può dire per i ricordi. Un azzardo è stato manipolarli, un rischio che ti ha portato a rivelarti, permettendomi di comprendere che, in effetti, la mia guardia era stata fallimentare, ma solo adesso, che un nemico mi attaccava, fra i sogni ed i ricordi.", aggiunse il santo di Atena, poggiando un ginocchio al suolo, pronto a rimettersi in piedi.

"E fra i sogni ed i ricordi, ho rimembrato le parole del mio maestro: non tirandosi indietro durante la battaglia, non rinunciando allo scontro perché vi è timore nel morire, si è degni cavalieri di Atena, come non v’è dignità nel massacro incondizionato. Ho sempre seguito le lezioni date dal mio maestro, con la speranza di diventare come lui, che mi è modello, oltre che insegnante, di rettitudine, forza e saggezza.", affermò ancora, spingendo sempre più lontane da se le mani della creatura.

"Posso essere il debole figlio di un contadino, ma mai ciò mi getterà nello sconforto. Tu mi accusi di non aver dato ai compagni che con me hanno intrapreso questa missione le giuste indicazioni su cosa fare, ma tutti e sei ben sappiamo, poiché nessuno sono convinto sia morto, che ciò che ci aspettava non era facile da prevedere, che molti sarebbero stati i nemici e diverse le situazioni in cui ci trovavamo. Mai crederò che uno di loro mi accusi di ciò che è successo contro Enlil! Mai mi accuserò io stesso, poiché mio dovere non è piangere sulle battaglie passate, ma apprendere per meglio agire in quelle future!", continuò, ormai in piedi, guardando con assoluta determinazione gli occhi dorati.

"Il fallimento per un cavaliere di Atena è il fallimento della Giustizia; la sconfitta risiede nel piegarsi dinanzi alle azioni dei malvagi e, per quanto possibile, non fallirò, mai mi farò sconfiggere, specialmente da un essere meschino come te, mostro!", urlò infine Zong Wu, lasciando esplodere il proprio cosmo argenteo, che inondò l’intero ambiente, inghiottendo al suo interno la creatura scarlatta, che in un urlo di dolore, scomparve nel nulla.

L’urlo, però, rimase nelle orecchie del cavaliere quando questi aprì gli occhi, vedendo un nemico indietreggiare dinanzi a se.

Toccandosi il viso Zong Wu si vide il sangue delle molteplici ferite prodotte dal quel mostro scarlatto, mentre il viso vagava veloce, osservando Wolfgang, svenuto e ferito, alla sua sinistra, ed un’ombra rossa che fuggiva al di fuori del piccolo nascondiglio che il cavaliere dell’Auriga aveva precedentemente trovato per se ed il parigrado.

"Non mi sfuggirai!", ringhiò a quel punto il santo di origini cinesi, inseguendo il nemico ed impugnando rapido i dischi argentei, che lanciò contro l’ombra in fuga, mancandolo, ma colpendo una parete di pietra alla sua sinistra, che, subitaneamente, cadde proprio dinanzi a quel misterioso individuo, costringendolo a fermarsi.

La figura, ora immobile, dava le spalle al santo di Atena, mentre la luce della luna, ormai alta nella notte inoltrata, ne mostrava le vestigia scarlatte, prima che questo misterioso guerriero scoppiasse in una malefica risata, volgendosi rapido verso il cavaliere.

Zong Wu ebbe un sussulto nel vedere l’armatura nemica: rossa come il sangue, aveva delle decorazioni, a forma di visi ghignanti, che adornava spalliere, cinta, gambali ed il pettorale stesso, rendendolo una cacofonia di volti mostruosi. Solo le braccia, scoperte fino al gomito, per poi finire in dei blocchi scarlatti adornati da unghie affilate, ne erano prive.

Il viso del nemico, poi, era celato da una maschera che copriva fronte, occhi e naso, fino al labbro superiore; una maschera adornata da sottili corna scarlatte e denti stilizzati ed acuminati. Gli occhi dell’uomo erano dorati e malefici, mentre una coda di neri capelli si muovevano sulla nuca ed alte echeggiavano le folli risa del nemico.

"Ti faccio i miei complimenti, cavaliere di Atena, non è da tutti svegliarsi dal Sogno di Sventura, prima che le forze ti siano del tutto risucchiate, assieme alla vita stessa. Ora hai la fortuna di vedere l’aspetto del tuo carnefice: Zakar dell’Incubo, l’Annumaki che più si deve temere nelle notti di veglia piacevole.", concluse l’Ummanu, con un inchino accennato, mentre sorrideva perfido all’altro.

"Non sperare, però, che l’esserti svegliato ti salverà, non vi è modo per te di sopravvivere, nemmeno nella fuga.", aggiunse in un sibilo Zakar, mentre alzava lo sguardo sul nemico.

"Mai ho pensato alla fuga, ma piuttosto allo sconfiggerti!", tuonò in tutta risposta Zong Wu, mentre già il cosmo argenteo lo circondava, "Gin Zan!", urlò il cavaliere allora, scatenando la gigantesca lama argentea, che rapida volò, pronta a colpire con estrema violenza il nemico.

Una risata, però, fu l’unica risposta dell’Annumaki, mentre, con un agile salto, si spostava lateralmente e già un tetro cosmo rosso, simile quasi ad una sottile nebbia, s’espandeva dal suo corpo, "I fumi del sonno presto ti cattureranno di nuovo nella loro rete, insulso cavaliere, a niente varrà agitare quelle tue lame contro di me, poiché non potrai mai prendermi.", minacciò con tono divertito Zakar, "Miraggio della Sonnolenza…", sibilò poi.

La rossa nebbia prese allora forma, circondando il cavaliere dell’Auriga con decine di immagini del suo nemico, che, nelle posizioni più derisorie, comode, o minacciose, lo osservavano assieme, ridendo di lui.

Con rabbia e determinazione, Zong Wu continuò a scagliare i suoi dischi d’argento, elaborando traiettorie sempre più complesse nel deviarlo da un’immagine alla successiva dell’Annumaki, ma, per ogni attacco, solo la nebbia ne veniva danneggiata, creando poi nuove illusioni intorno al santo di Atena, sempre più scoordinato nelle proprie azioni d’attacco.

"Ti vedo stanco, figlio di contadini, è forse la stanchezza ad indebolire le tue membra? Non stupirti di ciò, questo è, d’altronde, il fine del Miraggio di Sonnolenza: una nebbia che ti intrappola, impedendoti di trovarmi, costringendoti a consumare le forze e, allo stesso tempo, derubandoti dell’attenzione, per spingerti verso un sonno profondo e decisamente non ristoratore.", rise divertito Zakar.

"Maledetto vigliacco, affrontami da uomo, non continuare ad attaccare con questi inganni meschini!", lo sfidò Zong Wu, ricevendo in risposta solo risate derisorie.

"Io sono Zakar dell’Incubo, mi nutro delle paure dei miei nemici. Ciò che ti spingeva a tenere la luce accesa la notte, poiché temi che fra le ombre del tuo letto si celi un pericolo, sono io.

Quella sensazione che ti porta a non dormire in luoghi ignoti, che ti spinge a vincere la stanchezza, poiché un brivido di paura percorre le tue membra assonnate, da me è causata.

Io vivo nell’ombra della tua coscienza, addomestico i mostri che popolano la tua mente, divoro le sofferenze che scuotono la tua anima, io sono il più terribile degli assassini, poiché mai ti colpirò di fronte, mai mostrerò me stesso, ma piuttosto ti farò vedere, fino all’ultimo sofferto attimo della tua esistenza, le paure più grandi che ti riempiono l’animo.", decantarono all’unisono le diverse immagini, per poi scoppiare in una nuova risata corale.

"Mostro, ecco cosa sei…", ebbe il tempo di dire il cavaliere dell’Auriga, mentre cadeva in ginocchio, "Forse sarò un mostro, ma avremo tempo di riparlarne, nei tuoi sogni agitati. Buonanotte, cavaliere, ed addio per sempre.", esordì allora la voce originale dell’Annumaki, mentre la nebbia spariva e le mani del guerriero mesopotamico si univano dinanzi al suo vero corpo, illuminandosi di una tetra luce.

"Assopimento Oscuro!", sibilò Zakar, mentre l’energia accumulata fra le mani si scagliava contro il nemico in ginocchio; fu allora che accadde: con inattesa reattività, infatti, Zong Wu si lanciò sulla propria destra, mettendo mano ai dischi argentei e lanciandoli contro l’Ummanu, ferendolo agli avambracci e costringendolo ad allontanarsi.

"Che cosa?", esclamò stupefatto Zakar, indietreggiando, mentre portava le mani alle zone scoperte, ed ora sanguinanti, disgustato da ciò che osservava.

"Dunque d’essere ferito hai paura, mostro? Ebbene, vedrò di donarti l’incubo che tanto ti attanaglia!", incalzò il santo di Atena, mentre il cosmo argenteo vibrava con tale potenza da sollevarne i capelli verso il cielo.

"Pensi forse di avere ragione di me tanto facilmente? Hai provato ad ingannarmi, te ne do atto, è stata un’azione furba, ma non basterà!", ringhiò l’Annumaki, come un animale ferito, mentre di nuovo la nube del Miraggio della Sonnolenza avvolgeva la zona.

"Continuerò a tenerti prigioniero tra le spire di questa nebbia, finché la veglia sarà sostituita dall’incoscienza!", minacciò Zakar.

"No, troppo tardi è perché tu possa ancora contare sul mio sonno. Ora vedrai le armi di Zong Wu dell’Auriga, apprese dal venerando maestro, la cui immagine hai voluto storpiare; scoprirai le armi che furono date a me, mentre mi allenavo con Xi Yan, la cui investitura hai falsificato, sia nell’armatura da lei ricevuta, sia nei fatti stessi su come avvennero. Osserva, mostro degli Incubi, poiché saranno le ultime cose che vedrai!", tagliò corto il cavaliere d’argento.

"Mugen Gin!", tuonò poi il santo d’Atene, mentre centinaia di dischi argentei, di pura energia cosmica, scaturivano dal suo corpo, lanciandosi all’unisono in ogni direzione, pronti ad attaccare con medesima determinazione le diverse immagini di Zakar, investendole con violenza fino a farle scomparire tutte assieme e lì, per un attimo, Zong Wu vide, al di là delle illusioni, il suo nemico.

Subito, il cavaliere di Atena, individuato l’Annumaki, portò la mano ad uno dei propri dischi e lo lanciò contro l’avversario, colpendolo in pieno viso, spezzandone la maschera, segnandone il volto e sciogliendo l’illusione.

"Tu… maledetto…", riuscì appena a balbettare Zakar, "E’ finito il tempo delle parole, delle minacce, degli inganni e degli insulti. Ti dico addio, Annumaki, che la forza della mia tecnica più potente ti riporti alle tenebre a cui dici di appartenere.", sentenziò allora il santo d’argento, mentre l’energia cosmica ne avvolgeva il braccio destro.

"Rozan Ginniryuha!", tuonò Zong Wu, mentre una coppia di draghi argentei prendeva forma dal cosmo del cavaliere, investendo con indicibile violenza l’avversario, distruggendone l’armatura e spezzandone il fiato, assieme alla vita, che lesta abbandonò quel corpo mortale.

Lo scontro era finito, il nemico era al suolo, morto, ed il cavaliere dell’Auriga si mosse, stanco, lento, verso il punto in cui aveva lasciato Wolfgang. Gli attacchi di Zakar non avevano ferito il suo corpo, le vestigia e la pelle erano lacerati, ma non per questo scontro, bensì per quello contro Enlil, da questa seconda battaglia, il cavaliere aveva subito dei graffi al viso, ma era stato derubato di molte energie e di concentrazione. Stremato, Zong Wu si andò ad appoggiare alla parete dove prima si era assopito.

"Auriga?", si sentì d’un tratto chiamare e, voltandosi, vide il cavaliere dei Cani da Caccia che lo guardava, con gli occhi appannati dal sonno, "Mi hai svegliato mentre riposavo… cos’era tutto quel rumore, Ton Zu?", chiese il guerriero tedesco, stringendo i denti per il dolore che ne lacerava il corpo.

Il santo di origini cinesi non poté trattenere un sorriso divertito, "Non ti preoccupare, piuttosto riposa, amico mio; fai sonni tranquilli, all’alba, malgrado le ferite, ci aspetteranno di certo nuove battaglie, quindi, Wolfgang, riposa, non credo che altri incubi ci visiteranno per stanotte.", concluse, poggiando la testa alla parete e lasciandosi andare, seduto, al suolo.

La notte sarebbe passata tranquilla, ne era certo, altrettanto non avrebbe potuto dire per il giorno a seguire.