Capitolo 11: Anime Perdute
La strada che correva dal muro Orientale di Accad verso il palazzo di Anduruna era ormai ridotta ad un gigantesco cratere.
Macerie dei palazzi e della pavimentazione costellavano i bordi di un abisso di terra e pietra che s’espandeva a vista d’occhio, senza prove di vita alcuna al suo interno, se non per un singolo individuo che, a fatica, si sollevò in piedi, lasciando cadere i frammenti dell’armatura scarlatta che fino a poco prima lo proteggeva.
"Vivo…", fu l’unica parola che tossì insieme al sangue, mentre la luna, che ormai s’era alzata in cielo, illuminava la figura di Enlil dello Scettro, comandante degli Annumaki, "ancora vivo…", ripeté di nuovo, mentre, guardandosi intorno, non vide nemmeno l’ombra di uno dei sei nemici dalle vestigia d’argento che aveva affrontato poco prima.
Gli occhi del Sovrano Scarlatto, però, incontrarono qualcosa, mentre, barcollante, metteva a fuoco, un’ombra che silenziosa e leggera si era portata in quel gigantesco cratere.
"Tu perché sei qui?", domandò secco, mentre una fitta di dolore lo piegava sulle ginocchia.
Bastò quel singolo movimento, quel breve attimo di debolezza, perché l’ombra si spostasse, arrivando a troneggiare su Enlil, ormai in ginocchio, prima che una mano, secca, impietosa, assassina, penetrasse da parte a parte il petto del Sovrano Scarlatto, spaccandone in due il cuore.
Così spirò Enlil dello Scettro, ucciso non da chi pensava un nemico, ma con un sorriso dipinto sulle labbra macchiate di sangue.
Dopo quel freddo atto di violenza, l’ombra, lasciò esplodere un cosmo di fiamme attraverso quella ferita, ardendo il corpo dell’Annumaki, per poi lasciarlo lì, al suolo, in mezzo ad alte fiamme, mentre già si allontanava, sparendo nella notte, celata dalle tenebre e dal cosmo di Shamash, che tutto circondava e confondeva.
Solo delle drosere, a quel punto, rimasero, a quietare le fiamme, avvolgendo in un simulacro silenzioso il loro padrone.
Barcollava, le ferite subite in quella gigantesca esplosione d’energia lo avevano costretto a questo, ma più che il corpo, che era stato all’ultimo protetto da una delle sue tecniche, lo spirito sembrava ferito.
"Ho seguito ancora una volta il tuo dannato consiglio, eppure mi ritrovo solo, in territorio nemico, forse l’unico sopravvissuto della piccola squadra di sciocchi di cui facevo parte. Spiegami, perché? Perché Edward di Cefeo, ogni volta che sbaglio e tendo a credere alle tue parole, mi ritrovo sempre solo e ferito!", tuonò infuriato Husheif, sbattendo il pugno sinistro contro una parete di pietra cui si era poggiato.
Il cavaliere di Reticulum era confuso: parlava da solo, ma, al di là di questo, non capiva dove si trovasse, sapeva solo che stava continuando ad avanzare verso Anduruna.
Durante l’attacco contro il Sovrano Scarlatto, quando la furia dei sei colpi si era scontrata con quella della tecnica nemica, era stato abbastanza lesto da utilizzare la Gabbia di Fili, la stessa che aveva sfruttato in attacco, per difendersi, sollevandola dinanzi a se e lasciando che contenesse la Furia Devastante dell’Annumaki. Questo, però, non aveva impedito che la potente esplosione lo catapultasse in chissà quale punto di quella desolata città, ferito e solo, oltre che disperso.
L’unico punto di riferimento che restava al cavaliere di origini egizie era la comune meta che aveva con i compagni, era certo che, se qualcuno degli altri santi d’argento fosse sopravvissuto, si sarebbe diretto verso il palazzo centrale, al fine di fermare i loro nemici; così egli stesso si muoveva in quella direzione.
Non sapeva, però, se qualcuno dei suoi parigrado fosse ancora vivo; un’analisi della situazione lo portava a dubitare che guerrieri come Sagitta, o i Cani Venatici, potessero sopravvivere da soli ad uno scontro di forze del genere, ma aveva ben più speranze per quel che riguardava gli altri tre: l’astuto cinese, il silenzioso Leif e la sacerdotessa allieva di Cancer che, malgrado i modi incerti, si era dimostrata particolarmente potente in battaglia.
Oltre ciò, poi, vi era un gran mal di testa che lo torturava… era sempre così, ogni volta che Edward di Cefeo tornava alla sua mente, con le stesse parole di sempre, ripetendole di continuo, sentiva sempre un peso torturarlo, gli pareva quasi di essere il Tantalo del mito ellenico, condannato a ripetere ogni giorno la medesima fatica, sollevando un macigno lungo una ripida salita, per poi vederlo, al calar della sera, nuovamente a valle. Questa medesima frustrazione ammalava la mente di Husheif, ogni volta che ripensava al suo defunto maestro.
D’improvviso, però, una risatina greve lo interruppe dai suoi pensieri, mentre una sottile scia di polvere e sabbia sembrava circondarlo.
Fu il solo istinto, quello stesso che lo rendeva agli occhi di molti uno spietato assassino, ma che, semplicemente aveva ereditato dai ragni che tanto osservava, fu la semplice percezione di un pericolo che lo spinse a scansarsi lateralmente, cercando intorno a se la fonte di quella minaccia.
L’unica cosa che, però, Husheif riuscì a percepire era ancora quella greve risata che sembrava circondarlo, così come la sabbia che s’era alzata, guidata dal vento, in quella immobile notte.
Finché non comprese, una verità che gelò la schiena del guerriero egizio: la risata, la minaccia, tutto ciò che aveva avvertito, proveniva dalla sabbia stessa che ancora si muoveva attorno a lui, quasi stesse danzando. O almeno, quella fu la prima impressione, prima che quella che prima era una sottile scia, prendesse una forma ben diversa, circondandolo.
Non ci vollero che pochi secondi perché Husheif riuscisse a distinguere la forma presa da quella sabbia: mani, braccia, tronchi… erano dei corpi umani! Corpi umani che, in un orrido e quasi disgustoso intreccio, scaturivano l’uno dal tronco dell’altro, in una serie di busti supplicanti, che si aggrappavano all’armatura di Reticulum, cercando di rallentare il cavaliere che la indossava.
"Lasciatemi!", ringhiò sorpreso ed intimorito il santo d’argento, mentre i fili d’energia cosmica attraversavano quelle orride creazioni di sabbia, senza recarvi alcun danno, poiché la loro consistenza era ben diversa da quella dei Golem di Aruru.
Fu solo allora, mentre cercava di liberarsi, che Husheif distinse i volti di quelle creature, ben diversi dagli impassibili golem d’argilla, questi busti di sabbia avevano orbite vuote e visi contratti in orridi ghigni di disperazione ed allora capì: non erano risatine quelle che aveva udito fino a quel momento, ma i lamenti di disperazione che provenivano da quei mostri.
"Lasciati andare, straniero…", sussurrò d’improvviso una voce lontana, mentre alcuni di quei busti sembravano perdersi nel terreno, attirando verso di se Husheif, che, come ben presto comprese, stava lentamente affondando nel terreno, quasi che quelle strane ed orride creature di sabbia lo stessero inghiottendo in mezzo a loro, attirandolo verso l’abisso di disperazione che gli era dimora.
"Non mi ha digerito una pianta, di certo non mi lascerò perdere nelle sabbie eterne…", replicò con tono determinato il cavaliere di Reticulum, a quella voce così lontana eppure presente, mentre il cosmo del santo d’argento s’espandeva intorno a lui.
"Asprò Diktuò!", urlò il guerriero di Atene, mentre la bianca rete scatenava la propria energia contro le figure in pietra, che scomparvero leste, disperdendosi con l’esplosione color della neve.
Solo allora, quando la scia di sabbia si disperse intorno a lui, solo in quel momento Husheif la vide, una figura, solitaria, più lontana delle altre, che però ricordava per aspetto quei busti che aveva appena spazzato via.
"Quale irruenza dinanzi ad un così gentile invito…", osservò divertita la figura, con la medesima voce che poco prima lo aveva invitato ad abbandonarsi alla sabbia, mentre il santo d’argento finalmente comprendeva chi aveva davanti: una guerriera dall’armatura scarlatta, una degli Annumaki al servizio di Enlil.
La nemica aveva un’armatura integrale che ricopriva la sua persona: gambali dalle forme ricurve che si aprivano in coni intorno alle ginocchia, una sottile gonnellina, che si concludeva in cunei all’attaccatura con le cosce, restando, però completamente connessa alla parte che proteggeva tronco e schiena, priva di decorazioni che non fossero una perfetta ricostruzione della fisionomia di chi la indossava. Le spalliere, altresì, avevano una forma di petalo, si allargavano verso il collo, chiudendolo in un collare di sangue, mentre due punte, anch’esse ricurve, si estendevano verso il vuoto; sulle braccia, coperture simili, per decorazioni, a quelle che coprivano le gambe.
A tutto ciò, si sommava una maschera, ben diversa da quelle delle sacerdotesse di Atene: questa, infatti, lasciava vedere gli occhi, grigi come la nebbia, della nemica, e si apriva in un ghigno, simile a quello delle creature di sabbia, mostrando le labbra dell’avversaria, i cui capelli, di un colore castano chiarissimo, incastonavano quella tetra visione di perfida disperazione.
"Non ti aggradava il luogo in cui gli Etemmu ti volevano portare?", domandò ancora la figura nemica, "Etemmu?", ripeté perplesso il cavaliere di Atena, "Sì, gli Etemmu, gli spiriti senza pace, le anime perdute, che non rivedranno mai il sole, né vi aspirano, poiché fra le sabbie del deserto, dove il caldo del cielo è insopportabile il giorno, quando il freddo durante la notte.", rispose cordiale e beffarda l’avversaria, "E degli Etemmu del deserto mi ritengo la sovrana, io, Beletseri di Etemmu.", concluse la ragazza, accennando un inchino derisorio.
"Ti ritieni sovrana di un mucchio di anime disperse in mezzo alla sabbia? Ben misere sono le tue aspirazioni, Annumaki.", la derise prontamente il cavaliere d’argento, mentre espandeva il proprio cosmo, pronto a lanciarsi all’attacco dell’avversaria.
A quelle parole, però, lo sguardo dell’altra si fece ben più freddo ed ostico, "Non sollevare insulti vuoti e sciocchi contro ciò che non conosci, straniero, poiché immenso è il potere dell’eterno deserto e molte sono le anime che in mare senza fine non hanno riposo!", avvisò con tono minaccioso Beletseri, mentre l’energia che la circondava sembrava vorticare, come un vento capace di comandare sulla sabbia e la polvere che la copriva.
Le mani della guerriera si alzarono verso il cielo, "L’eterno deserto tutto inghiotte, tutti stringe al proprio ventre e lì essi restano, perduti nelle sabbie bianche che non hanno fine e tempo. Delle anime disperse sono regina, proprio perché del Deserto riconosco il potere, un potere di cui posso far uso!", tuonò esaltata la ragazza, mentre ancora una volta la sabbia prendeva l’aspetto degli Etemmu, "Anime del Deserto!", sussurrò alla fine Beletseri, lanciandoli di nuovo all’assalto di Husheif.
Il cavaliere di Reticulum fu lesto stavolta a spostarsi con un balzo, evitando l’abbraccio delle creature di sabbia che si stavano ricreando, però, nel momento stesso in cui rimise i piedi al suolo, gli Etemmu apparvero intorno a lui, cercando di bloccare braccia e gambe, mentre già il cosmo del cavaliere prendeva la forma dei fili d’energia, che inutilmente provarono a divergere i busti mostruosi.
Un unico sibilo di rabbia proruppe allora dalla bocca del santo d’argento, mentre la tela bianca si espandeva ai suoi piedi, "Asprò Diktuò!", urlò il cavaliere egizio, rilasciando la potente e candida energia, che travolse gli Etemmu, disperdendoli nell’aria.
"Pensi davvero che lo stesso trucco funzioni due volte, straniero?", domandò allora Beletseri, quando già le creature di sabbia riprendevano forma, a pochi metri di distanza dal punto in cui l’attacco di Husheif li aveva precedentemente disperse.
"No, non lo avevo pensato minimamente.", commentò ironico il cavaliere di Atena, spiccando un agile salto verso uno dei resti di un palazzo che era stato poco prima travolto dallo scontro con Enlil, su quella parete il santo d’argento fece leva con i piedi, dandosi lo slancio necessario per alzarsi di qualche altro metro da terra, verso un muro poco distante, così continuò a saltare per diversi metri, fino a fermarsi a mezz’aria, immobile e beffardo, osservando dall’alto l’avversaria.
"Dunque questo sapete fare voi stranieri? Banali azioni che, però, risultano esaltate dalle apparenze?", domandò impassibile l’Annumaki, "Credi forse che la luce della luna non mi mostri i riflessi su quella tu strana tela d’energia che hai connesso fra i due palazzi?", incalzò ancora, "Ma ciò che più mi stupisce è come tu possa credere che questo fermi l’immenso potere delle sabbie!", ringhiò alla fine, in un crescendo di determinazione, mentre le Anime del Deserto già volgevano la loro attenzione verso i due palazzi.
Husheif osservò immobile, sospeso su uno dei sottili fili della sua tela d’energia cosmica, la corsa degli Etemmu di sabbia che si gettarono contro i resti dei due palazzi, scomparendo nelle fondamenta degli stessi.
"Ricorda, straniero, qualsiasi palazzo si erge sul terreno, qualsiasi cosa ha bisogno del suolo sotto di se. E finché c’è della terra, posso piegarla al volere della Sabbia sempiterna!", minacciò secca Beletseri, proprio nel momento in cui i due palazzi iniziavano a tremare.
Come due giganti le cui gambe erano divorate da ratti feroci, così quelle costruzioni, già danneggiate dall’esplosione d’energia di Enlil, iniziarono a scuotersi, mentre i primi frammenti già cadevano al suolo, segno della sempre minore stabilità di quei palazzi.
Husheif, però, rimaneva immobile, con il ghigno soddisfatto dipinto sul volto; il cavaliere di Reticulum attendeva, fermo in un equilibrio sempre più instabile ad ogni nuova scossa che permeava i due palazzi. E così rimasero, per alcuni interminabili minuti: il santo di Atena fermo, di quando in quando barcollante, sul filo d’energia cosmica da lui creato, mentre l’Annumaki di Etemmu osservava dal basso le creature di sabbia che divoravano nella loro furia la costruzione, riducendone lestamente la stabilità, inghiottendo fra loro la pietra, finché non si perdeva.
Nel silenzio degli sguardi di sfida i due combattenti sembravano entrambi attendere qualcosa, finché complice il lungo lavoro delle Anime del Deserto, uno dei due palazzi collassò del tutto al suolo, tendendo oltremodo i fili della tela d’energia cosmica creata da Husheif. Fu proprio in quel momento, mentre nuovi Etemmu fuoriuscivano dalle macerie a terra, iniziando ad arrampicarsi sulla tela, che pareva fosse anch’essa quasi inghiottita nella sabbia, che il cavaliere d’argento si piegò sulle proprie ginocchia, poggiando anche le mani sul bianco filo, "Asprò Diktuò!", urlò ancora una volta il guerriero di Reticulum, mentre l’ondata di energia s’espandeva devastante, riempiendo di una luce mattutina l’intera zona, dall’aria che s’estendeva sotto di lui fino all’interno dei due palazzi ed al suolo stesso, tutto fu illuminato da quel potere e travolto dallo stesso, prima di finire in una miriade di polveri e macerie, che si dispersero, lasciando la zona ombra sgombra da qualsiasi granello di sabbia.
Con un’agile capriola, Husheif fu di nuovo al suolo, osservando sprezzante l’avversaria, visibilmente spiazzata da quella contromossa, "Dunque, cosa dicevi sulla tua sempiterna sabbia?", domandò beffardo il santo d’argento, mentre l’altra stringeva i pugni in segno di disappunto.
"Come osi tu, insulso mortale, indegno straniero, criticare la gloria dell’immenso deserto?", ringhiò, scattando in avanti, pronta ad assalire il nemico.
Il cavaliere di Reticulum, però, fu ben più lesto nell’aprire le proprie mani da cui fuoriuscirono altri fili d’energia cosmica che, rapidi, si avvolsero con un suo semplice movimento intorno al corpo dell’Annumaki, costringendola a bloccarsi.
A nulla valsero i tentativi di Beletseri, che espanse il proprio cosmo per cercare di spezzare quei sottili fili che la intrappolavano, niente sembrava capace di spezzare quella presa, mentre il suo avversario sorrideva soddisfatto: "Pensi forse che siano sottili e delicati come dei fili di seta? Sei tu quella che sbaglia nel sottovalutare il proprio nemico, ragazza. Reticulum è l’unica armatura fra quelle che risiedono presso l’Isola di Andromeda a non possedere delle catene, corde, o fruste, ma non per mancanza di mezzi rispetto alle altre vestigia, bensì per un’arma che la rende diversa da tutte le altre, la tela d’energia cosmica che cattura qualunque nemico io desideri, uno strumento perfetto tanto per colpire quanto per difendere.", avvisò soddisfatto il cavaliere.
"Proprio questa arma mi ha permesso di abbattere quelle tue creature di sabbia, che inghiottivano dentro di loro qualsiasi cosa, persino i miei fili, che li hanno distrutti dall’interno!", concluse sorridente Husheif.
"Insulso blasfemo… credi forse che le tue sciocche azioni e vanaglorie possano fermare l’eterna potenza della Sabbia?", ribatté irritata Beletseri, "E tu pensi forse che le tue vuote parole possano permetterti di fuggire dalla mia tela?", replicò divertito Husheif.
"Io credo nella Sabbia, il luogo in cui sono nata, sono cresciuta e che mi ha donato la forza di diventare una guerriera degli Ummanu Scarlatti.", rispose decisa l’Annumaki.
"La Sabbia mi ha scelto!", tuonò ancora la guerriera, mentre, inaspettatamente, dei sottili granelli iniziarono a disperdersi fra le fitte maglie della rete bianca, scivolandovi fino a giungere al suolo; troppo tardi il cavaliere di Reticulum se ne accorse, già quella sabbia stava, nuovamente, prendendo la forma di uno degli Etemmu, stavolta, però, non con il fine di circondare e catturare il guerriero nemico, bensì quella piccola quantità sembrava volersi avvinghiare proprio alla sua stessa padrona.
Per un attimo parve quasi, al santo di Atena, che l’Annumaki stesse sorridendo beffarda, sotto quel ghigno tetro della maschera, poi, finalmente, anche lui capì cosa l’avversaria stava facendo e cercò d’impedirlo, con un secco strattone dei fili di energia cosmica, ma ciò fu inutile: Beletseri era già scomparsa, inghiottita dalle creature che lei stessa aveva creato, lasciando solo pochi granelli nella rete del nemico.
Per alcuni interminabili secondi, Husheif si guardò intorno, chiedendosi da dove quella sabbia fosse giunta, come la sua avversaria avesse potuto richiamarla malgrado tanto s’era impegnato lui nel allontanarla, ma, soprattutto, dove quella stessa nemica ora si trovasse.
"Sei uno sciocco, straniero.", sussurrò d’un tratto una voce alla destra del cavaliere, mentre una mano si conficcava con violenza fra le crepe dell’armatura, vistose e gravi dopo l’esplosione dei cosmi che si erano fronteggiati con quello di Enlil.
"La tua stupidità sarà però punita dalla più terribile delle mie tecniche: la Stretta del Deserto!", minacciò ancora Beletseri, ora che il suo fiato era così vicino da riempire tutta l’aria che Husheif poteva respirare, mentre la mano stretta fra le carni del cavaliere produceva un dolore indicibile e, soprattutto innaturale.
"Che cosa?", ebbe appena il tempo di balbettare il santo di Reticulum, mentre lo stordimento lo colpiva, indebolendone il corpo già sfinito per lo scontro precedente, "Ti senti spossato? Ti sembra quasi che un caldo indicibile inebetisca i tuoi sensi? Avverti in bocca il secco sapore della sabbia? La pelle suda più del normale? Questa è la Stretta del Deserto, una forza dinanzi a cui pochi possono sopravvivere, una forza che ho ottenuto affrontandola in prima persona!", minacciò l’Annumaki di Etemmu, mentre la presa fra le carni di Husheif costringeva il guerriero a barcollare, spossato. "Che cosa?", riuscì appena a balbettare di nuovo il cavaliere.
"Sì, come ti ho già detto, sono stata scelta dal Deserto, la Sabbia sempiterna mi ha benedetta, graziandomi e donandomi la forza di usarla… ma questa è una storia molto antica, di diversi anni fa, che, data la tua prossima morte, per mano di quella stessa forza che mi è cara, ti narrerò.", espresse quasi con un sibilo Beletseri, ghignando da sotto la maschera scarlatta.
"Nacqui in una tribù nomade delle zone desertiche dell’Arabia, lì crebbi, insieme alla mia famiglia ed alle genti che componevano il nostro popolo.
Passai gli anni della fanciullezza viaggiando, da un’oasi all’altra, da un piccolo villaggio ad una grande città, senza capacitarmi di come la gente preferisse vivere in grossi ammassi di pietra, chiusa fra pareti che ne imprigionavano la libertà; solo con il passare del tempo compresi: quelle pareti implicavano una difesa che la mia tribù non ebbe quando dei predoni ci assalirono, in un’oasi, uccidendo chiunque trovassero sul loro cammino.
Scappai quella notte, sola e debole, probabilmente i predoni non mi ritennero nemmeno una minaccia, decisero di lasciarmi al deserto, che fosse quel luogo la mia tomba, che mi strappasse alla vita con il caldo soffocante, o il freddo gelido, che la Sabbia immutabile mi seppellisse. E molte volte pensai che quello sarebbe stato il mio destino; ma, per quanto le vesti che mi coprivano andassero in pezzi, per quanto la fame e la sete fossero saziate con le bestie più schifose che si potevano trovare in quelle vaste terre, non mi lasciai andare; il Deserto non lo permise, concedendomi ogni giorno di andare avanti.
Non so nemmeno io per quanto viaggiai sola e dispersa, mesi credo, finché non raggiunsi un villaggio, un luogo che credevo potesse darmi quella sicurezza che ormai avevo perso, ma, ironia della sorte, quando arrivai nello stesso mi accorsi che era stato distrutto e depredato già da qualcuno e quel qualcuno era ancora lì: quattro figure, in armature scarlatte.
Un uomo, immenso nel suo potere, che troneggiava su tutti con uno scettro, agitandolo in aria e lamentandosi di come anche quei nemici non fossero stati poi così temibili; un ragazzo mio coetaneo, che lo seguiva con fare accorto, studiando tutto ciò che gli stava intorno; e, dietro di loro, due guerrieri dagli sguardi feroci, di qualche anno più grandi che li seguivano ridacchiando.
Quando quella strana e terribile quaterna di individui mi notò, fui presa dal terrore, mentre già i due che stavano dietro agli altri, mi corsero incontro, pregustando una nuova preda da uccidere; gli occhi folli e marci del primo dei due non erano da meno di quelli terribili e neri del secondo, che sembravano già annunciarmi eterni tormenti nella prossima vita.
Entrambi però furono fermati da un ordine secco, quello dell’uomo con lo scettro.
Sire Enlil mi si avvicinò, incuriosito dal mio cagionevole aspetto, mi chiese chi fossi e cosa facessi in quel villaggio, così, intimorita più che nelle vastità delle Sabbie, raccontai tutto a quello che mi appariva come un gigante capace di ammansire a se delle bestie dalla forma di uomini.
Quando il Re Scarlatto seppe gli avvenimenti che fin lì mi avevano condotto, si congratulò per come ero sopravvissuta al deserto, mi disse che ero stata scelta dalle vastità della Sabbia, che le avrei potute asservire alla mia volontà, se me ne fossi dimostrata degna. Forse fu un capriccio, forse vero rispetto per ciò che avevo subito, ma Enlil mi prese nel suo esercito, rivelandomi i segreti del cosmo, rendendomi, dopo Sin, Arazu ed Erra, uno dei nuovi elementi del suo esercito.
Mi diede le vestigia di Etemmu perché per sempre ricordassi la sorte toccata alla mia gente e potessi condannare alla sventura, che io avevo dovuto subire, tutti i nemici che si fossero posti dinanzi a me.".
Così concluse di raccontare Beletseri, mentre Husheif, ormai quasi chino sull’avversaria, riprendeva a balbettare: "Sei divenu…ta…", "Cosa? La sovrana delle Anime Perdute? Colei che usa a suo piacimento le immortali sabbie? Sì, esatto.", rispose soddisfatta l’altra, "Come loro… predona…", furono invece le parole che riuscì a dire, dalle labbra ormai screpolata, per l’innaturale sudorazione, il cavaliere di Reticulum.
A quelle parole, la mano libera dell’Annumaki sollevò il nemico per i bianchi capelli, "Io non sono una predona! Servo il mio Signore, il Deserto immenso, Egli mi ha scelto come suo vessillo, dandomi poteri che altri mai avranno e permettendomi di incontrare Re Enlil.
Non uccido per bisogno, né per la Giustizia, o la fede in chissà quale divinità, io combatto perché ne ho modo, non rubo niente alle mie vittime, se non la vita, ma scelgo sempre come ed a chi strapparla, non sono una bestia al pari di Arazu, Erra, o gli altri!", ringhiò Beletseri prima di rendersi conto di due cose che la sconvolsero: la prima era la presenza di sottili fili d’energia cosmica che si erano attaccati alla sua pelle ed all’armatura in più punti, scaturendo dal corpo del cavaliere d’argento, la seconda era che proprio il nemico, in quel momento, sorrideva.
"Asprò Diktuò…", riuscì appena a sussurrare Husheif, prima che l’ondata d’energia esplodesse, travolgendo indietro la guerriera mesopotamica e lasciando cadere al suolo il santo di Atena, stremato e ferito.
"Stupida e ciarliera…", tossì con un ghigno soddisfatto il cavaliere, mentre rialzava il capo, osservando la nemica, già in piedi.
Le vestigia di Etemmu erano ora danneggiate in più punti: decorazioni del pettorale, così come le strane forme dei gambali e copribraccia erano divelte, in modo inaspettatamente grave, la maschera in parte distrutta, lasciando vedere la guancia sinistra e le labbra, ora sanguinanti per le ferite riportate.
Solo allora, osservandola meglio, il cavaliere di Reticulum si accorse di una cosa sorprendente: l’armatura dell’Annumaki era cava all’interno e perdeva sabbia! Sabbia che ora si muoveva rapida a circondare proprio il santo di Atena.
Husheif, però, non aveva più le forze per sfuggire a quel nuovo attacco: troppo il suo corpo aveva dovuto subire dalla Stretta del Deserto, ancora i muscoli erano storditi, privi di volontà alcuna.
"Sei stato astuto nel colpirmi mentre eri intrappolato dalla mia tecnica, ma questo non ti salverà.", esordì allora Beletseri, "Come puoi ben vedere, le vestigia di Etemmu sono cave all’interno, vuote come le anime che rappresento, piene solo della loro effimera disperazione. In passato, da ciò che mi ha rivelato Re Enlil, c’era chi vi inseriva veleni, sostanze per renderla più pesante, così da potersi muovere al meglio quando se ne privava, ma io, che del Deserto sono la prescelta, dell’immortale sabbia l’ho riempita, così da avere sempre con me quella preziosa essenza che mi dà appoggio in battaglia, la stessa che ora decreterà la tua morte, straniero.", concluse decisa l’Annumaki.
La Sabbia, intanto, aveva circondato il corpo di Husheif ed ora lo stava sollevando, avvinghiandosi alle braccia ed alle gambe, "Non ti perderai fra la sabbia immensa, non vi sarai inghiottito, né subirai l’essiccante calore del Deserto, bensì proverai una nuova forma di morte, quella più violenta possibile!", tuonò decisa, mentre i granuli sotto il cavaliere d’argento, unendosi fra loro, si lanciarono contro la schiena del santo di Atene, lanciandolo in cielo con un forte urlo, mentre le vestigia già si frantumavano ed il sangue colava dalla bocca dello stesso.
"Tempesta del Deserto!", urlò allora l’Annumaki, mentre la sabbia, quasi richiamata dal suo ordine, ritornava a posarsi al suolo, assumendo un colore ancora più brillante, frutto del cosmo della guerriera, prima di lanciarsi in una pioggia ascendente, contro il cavaliere che cadeva, a peso morto, verso la stessa.
"Rialzati, Husheif!", fu quella la voce che, mentre già i primi granuli di sabbia laceravano la pelle, strappandone dei pezzi, il cavaliere di Reticulum sentì sopra di se, la voce che già poco prima lo aveva richiamato alla realtà, quella di Edward di Cefeo.
Quando aprì gli occhi, il santo egizio non si vide in caduta libera verso il suolo di Accad, bensì già a terra, in un luogo molto distante, fra le immense foreste dell’Africa, sanguinante e ferito, con le vestigia danneggiate.
"I tuoi compagni sono feriti, Husheif, alzati e soccorrili, presto!", ordinò secca la voce che apparve al santo di Cefeo, mentre gli occhi del cavaliere di Reticulum si voltavano prima a destra e poi a sinistra, vedendo dapprima una giovane figura femminile a terra, ferita e sanguinante, con le vestigia del Camaleonte di Bronzo a coprirla, apparentemente priva di sensi, per poi osservare un altro santo di Atena, con indosso l’armatura di Cerbero, che tentava a fatica di rialzarsi.
"Maestro, Juno aiuterà Nirra a rialzarsi, io posso restare qui con lei, saprò combattere questo nemico.", affermò con tono pacato il cavaliere di Reticulum, scrutando i lunghi e spettinati capelli neri, mentre una figura ancora più oscura appena si delineava oltre il santo di Cefeo.
"No.", fu la secca risposta dell’uomo di spalle, "Non resterai qui a combattere con me, troppo forte è costui per te e troppo grande è il pericolo. Riprenditi e vai in soccorso dei tuoi compagni, questo è l’ordine che ti do, Husheif, niente di più.", sentenziò secco l’uomo dai capelli neri.
Allora, il cavaliere di Reticulum sentì una mano poggiarsi su una delle sue ferite, o almeno questo gli parve, mentre quello che sembrava il tocco del santo di Cerbero si rivelava, agli occhi di Husheif, come una nuova ferita prodotta dalla tempesta di sabbia che Beletseri aveva provocato.
"Non è ancora giunto il momento di morire… non per mano di semplice sabbia!", ringhiò il santo di Atena, riprendendosi del tutto, mentre dei fili sottili si formavano intorno alle mani, per poi aprirsi intorno a lui, "Klubi Nematon!", tuonò allora il cavaliere, mentre una rete d’energia cosmica lo circondava, deviando la tempesta intorno a lui e lasciandolo cadere violentemente contro il suolo.
L’Annumaki osservò stupita la scena, mentre avanzava verso il piccolo cratere creatosi dopo la caduta del nemico, "Ebbene, hai preferito frantumare le poche ossa rimasteti al suolo, anziché lasciarti dilaniare dalla Tempesta? Forse una fine meno dolorosa, ma mi chiedo se tu sia effettivamente morto.", osservò laconica l’Ummanu di Etemmu, avvicinandosi al nemico, per poi fermarsi di colpo.
Non vi era il corpo di Husheif al suolo, bensì una fitta rete, che lo copriva come un bozzolo d’energia cosmica, "Ma che cosa…", ebbe appena il tempo di chiedersi Beletseri, prima che quella ragnatela si disfacesse, distrutta dall’interno da qualcosa di molto simile a degli strali dai molteplici colori che, per alcuni secondi, accecarono la stessa Annumaki.
Quando finalmente le fu di nuovo possibile vedere, la guerriera scoprì, con suo enorme terrore, che le braccia, le gambe e l’intero corpo, come anche quasi tutto l’ambiente intorno a quel cratere, erano intrappolato in una gigantesca ragnatela dai colori molteplici e sgargianti.
"Te ne do atto, donna del Deserto, sei degna di lode! Da tempo nessuno mi feriva in questo modo, né mi costringeva ad usare la mia ultima arma, ma ora che è stata liberata, per te non vi è speranza alcuna.", esclamò la voce di Husheif, mentre il cavaliere spuntava dal cratere, ferito e con le vestigia visibilmente in pezzi.
"Davvero lo credi?", ringhiò Beletseri, mentre il suo cosmo richiamava la Sabbia intorno a lei, solo per scoprire che non ve ne era più: fino all’ultimo granello era stato tramutato in vetro! Grande fu lo stupore dell’Annumaki nel comprenderlo, proprio mentre osservava il terreno stesso segnarsi, lì dove si trovavano i fili della ragnatela e la sua armatura sciogliersi nei punti in cui era avviluppata.
"Questi fili di energia cosmica sono ben diversi dai precedenti, non potrai fuggire dalla presa che la Nebulosa della Tarantola mi concede!", minacciò ancora Husheif, osservando con determinazione l’avversaria.
"Nebulosa della Tarantola?", ripeté la guerriera di Etemmu, "Sì, le stelle di Reticulum che mi proteggono, si trovano nell’emisfero Australe, al pari di questa Nebulosa, dalla cui lucentezza ho preso ispirazione per apprendere questa tecnica che il mio maestro mi trasmise.", affermò in risposta il santo di Atena, chinando il viso verso il basso, mentre la rete immensa che tutto circondava stava prendendo un colore uniforme, blu.
"Il mio maestro, Edward di Cefeo, l’uomo che mi strappò dal povero orfanotrofio di Giza in cui ero cresciuto, prendendomi come suo discepolo, assieme ad altri due orfani trovati in altri luoghi.
Per anni mi allevò, dicendomi di considerarlo un padre ed un fratello, oltre che un insegnante, trasmettendomi i suoi valori di fede e lealtà nel prossimo, cercando di spiegarmi come la difesa della giustizia fosse più rilevante del dimostrarsi il più forte!", esclamò il santo di Atena, alzando il capo triste, mentre la rete energetica mutava verso un colore verdastro.
"Mi permise di ottenere l’investitura, così come lo permise a Juno e Nirra, poi continuò a tenerci al suo fianco, per supportarlo in nuove missioni, fino a quel giorno, dinanzi ad uno strano nemico dall’armatura nera.", continuò ancora, mentre ora la rete diveniva gialla.
"Nessuno di noi poté niente con quel nemico; a nulla valsero catene, fruste e fili d’energia… allora egli mi ordinò di allontanarmi con i miei compagni, per proteggerli! Mi ordinò di pensare a due giovani che altro non erano se non incapaci, anziché restare in battaglia con lui, per aiutarlo come dovevo!", aggiunse, mentre la rete mutava in un viola acceso.
"Quando tornò dallo scontro non era più lo stesso uomo: un male sinistro ed incurabile lo aveva preso e lo divorò in poche settimane, ma lui mai si pentì dell’errore commesso, nemmeno lo vide!", ringhiò infine Husheif, mentre la rete diventava scarlatta come le vestigia di Beletseri, che si sciolsero all’istante, come neve al sole.
"Ora, Annumaki, è tempo di dirsi addio. La rete della Tarantola ha concluso il suo percorso, ormai il mio cosmo è pronto ad essere scatenato e nessuno, a parte me si salverà da questo attacco.", sentenziò secco il cavaliere.
"Pagida Aracne!", disse con voce fredda, mentre un’ondata d’energia esplodeva dal suolo, disegnando nel cielo un ragno di luce scarlatto e bruciando viva l’Annumaki.
In quei pochi istanti, il combattimento si concluse: il corpo senza vita di Beletseri, arso fino alle ossa, cadde al suolo, mentre Husheif scivolava sulle propria ginocchia.
Il cavaliere sapeva bene che era quello il più grave dei difetti della sua arma migliore, ma non l’unico.
Quando aveva appreso come usare la Trappola del Ragno, infatti, il santo di Reticulum si era anche reso conto di tutte le sue debolezze: la prima, e più evidente, era la lentezza con cui si portava a compimento; al contrario della Tela Bianca e della Gabbia di Fili, infatti, non bastava che il cosmo del cavaliere si liberasse per dare l’effetto desiderato, qui serviva una lunga concentrazione, si doveva permettere che l’intera ragnatela fosse riempita d’energia, il cui completamento era indicato dal mutare del colore.
Oltre il tempo, poi, anche l’impossibilità di sfuggirvi poteva essere un difetto, poiché la Trappola del Ragno non faceva distinzione fra compagni e nemici, né se ne potevano controllare a pieno le dimensioni massime, quindi era difficile che un alleato potesse salvarsi.
Il più grande dei difetti, però, era che quella tecnica segreta strappava via tutte le forze dal corpo di Husheif, che, già stremato per gli scontri con Enlil e le tecniche di Beletseri, era ormai così debole da non permettergli nemmeno di muoversi.
Gli occhi del cavaliere di Reticulum allora si chiusero, mentre queste consapevolezze si confondevano con la certezza che il terreno desolato che il suo attacco aveva prodotto sarebbe di certo piaciuto alla nemica appena uccisa.