Capitolo 5: L’Incontro

La mattina successiva l’incontro con i mostri d’argilla, nella casa del cavaliere di Perseo, i tre cavalieri d’argento raccontarono di quel particolare scontro ai loro compagni di missione e ad Abar; l’intero gruppo, otto persone in tutto, era seduto attorno al semplice tavolo, nella sala principale, dove si trovava anche del pane e del latte, data l’ora, lì, il santo dei Cani Venatici, per lo più, raccontò della ronda notturna.

"Dei Golem…", furono le semplici parole del santo di Perseo, alla fine del racconto, "Golem? Ma sono solo un mito." , sbottò allora Dorida della Sagitta, "Sacerdotessa guerriero, tutto ciò che circonda la natura di noi, seguaci di Atena, come ciò che riguarda i soldati delle altre divinità, olimpiche, nordiche, o d’altre terre, è, in questo mondo sempre più tecnologico e basato sulla realtà e sulla conoscenza, puro mito." , ribatté secco il padrone di casa.

"Dunque, nobile Abar, credete che coloro che hanno incontrato fossero solo dei soldati? Mere squadriglie al servizio di una qualche divinità?", domandò allora Gwen, con tono titubante.

"Non penso fossero nemmeno dei soldati, al più potevano sembrare delle armi, quasi degli animali da guardia. Non avevano nemmeno il dono dell’intelletto, ci hanno semplicemente diviso ed attaccato, una logica semplicistica, niente di più…", osservò Zong Wu, intromettendosi a sua volta nel discorso.

"Ehi!", tuonò allora Wolfgang, "Definire quei pupazzi di pietra degli animali da guardia sarebbe come paragonarli ai miei cani, trovo ciò molto offensivo!", avvisò il santo d’argento, porgendo del pane ai propri levrieri.

"In effetti come termine è inesatto, non sembravano animali da guardia, anzi, non sembravano nemmeno degli esseri viventi, piuttosto delle armi che avevano il dono di muoversi ed agire con una semicoscienza." , concordò Leif di Cetus.

"Una volta, ai tempi del mio addestramento, sentii parlare di una tecnica del Cavaliere dello Scultore: creare dalla pietra dei guerrieri, una piccola milizia, che combatteva come supporto, o come avanguardia, per studiare al meglio le caratteristiche del nemico. È probabile che vi siate scontrate con le schiere di qualcuno con i medesimi poteri." , ricordò allora Abar; "Davvero, maestro?", domandò sorpresa Serima, "Non dovresti sorprenderti più di tanto, sacerdotessa della Lacerta, penso che ti sia stato spiegato, il cosmo agisce in molte forme in contatto con l’ambiente: alcuni cavalieri sono capaci di scatenare la forza degli elementi, come il gelo, il fuoco, il fulmine, altri, possono plasmare l’energia stessa, dandogli forma; quindi vi sono anche coloro che, mediante l’energia cosmica, sanno animare, in modo parziale, la materia inanimata, come la roccia, o la terra, seppur immagino ci vogliano degli allenamenti specifici per tali arti creatrici." , la canzonò con tono saccente Husheif.

"Ciò che dici è giusto, cavaliere di Reticulum, e la possibilità che qualcuno abbia usato una tecnica analoga a quella dei santi dello Scultore è alta, ma la vera domanda ora è quella posta dalla sacerdotessa di Corvus: che divinità servirà questo creatore di Golem?", esordì, dopo attimi di silenzio, il Silver saint dell’Auriga.

"Il Medio Oriente è, per sua natura, un punto d’incontro per moltissimi culti, monoteistici e politeistici, il che non ci aiuta a determinare quale sia la divinità che volevano proteggere, o che servivano, quei golem, seppur indirettamente." , osservò sconsolato Husheif stesso, mentre Dorida si alzava dalla propria sedia.

"Dove stai andando, sacerdotessa della Sagitta?", domandò allora Abar, "Tutte queste discussioni sono inutili, restare qui a riflettere su chi ha comandato questi pupazzi di pietra non ci darà la risposta. Io dico di andare in quei luoghi ed avanzare, troveremo di certo i nostri nemici ed in quel momento li combatteremo!", tuonò l’ispanica guerriera, stringendo i pugni.

"Come tattica è lineare e di certo sarà efficace per trovare delle risposte." , osservò ironico Wolfgang.

"Sì, peccato che nessuno di voi due è stato scelto per le sue decisioni tattiche." , ribatté con sarcasmo Husheif, mentre il cavaliere dei Cani Venatici si voltava verso di lui con sguardo serio, alzandosi in piedi.

Anche il santo di Reticulum si alzò in piedi, portandosi davanti al parigrado, mentre già i due levrieri ringhiavano al suo indirizzo; fu Abar, ponendosi fra i cavalieri d’argento, a rilassare l’aria con la propria figura.

"Mi riesce difficile, cavaliere di Reticulum, credere che tu sia stato allievo del santo di Cefeus…", esordì l’uomo, ma Husheif non lo fece nemmeno finire di parlare, si voltò ed allontanò, andando in un’altra stanza della piccola casa.

"E tu, cavaliere dei Cani Venatici, dovresti sapere meglio di molti altri che in una squadra ciò che non serve è il litigare fra gli elementi della stessa." , lo ammonì secco, costringendolo, con lo sguardo, a sedersi.

"Giovani cavalieri, forse è inutile ripetervelo, poiché spero che già vi sia stato detto sia dai vostri maestri, sia dal Sommo Sacerdote quando vi ha inviato in missione, ma ricordatelo: la vostra squadra è composta da più elementi proprio perché ognuno di voi è fondamentale per l’esito del viaggio." , li ammonì ancora una volta Abar, tornando a sedersi egli stesso.

Calò il silenzio nella sala, solo Wolfgang accennò un gesto con il capo, come per scusarsi nei confronti del santo di Perseo, il quale poi, continuò a parlare, con tono più rilassato: "Dunque, giovani cavalieri, la tattica di Dorida è sì eccessiva, ma può essere presa come indicazione per cosa dovrete in effetti fare…", spiegò con calma l’uomo.

"Posso quindi andare ad attaccare questi pupazzi e trovare chi li guida?", domandò entusiasta la sacerdotessa della Sagitta, senza sedersi, "No, al contrario, tu, assieme a Corvus ed Auriga resterai qui, saranno Cetus, Cani Venatici e Reticulum che stanotte torneranno in quei territori, però dovranno agire in modo più circospetto." , spiegò semplicemente il cavaliere di Perseo.

"Sì, nobile Abar, ha ragione. In effetti con una formazione d’avanguardia potremmo avvicinarci a chi guida questi mostri di pietra senza problemi e magari catturarlo." , concordò anche Zong Wu, "Però, personalmente, penso che anche la presenza di Dorida sul luogo sarebbe più che utile", aggiunse, ricevendo la soddisfazione della sacerdotessa sotto forma di una risatina di assenso, "inoltre, qualora Husheif non fosse deciso a seguirci, prenderei io stesso il suo posto." , concluse il santo dell’Auriga.

"Non preoccuparti per il cavaliere di Reticulum, andrò io stesso a parlargli, intanto, allievo di Libra, esponi ai tuoi compagni il piano che hai pensato, vi dirò dopo ciò che ne penso, per quanto, dati gli ordini, sta a voi decidere come agire, io posso solo suggerirvi quello che la mia esperienza mi permette.", concluse Abar, congedandosi dal gruppo per dirigersi nella stanza accanto.

Husheif di Reticulum era seduto su una vecchia sedia di legno, o almeno quella doveva essere la sua intenzione, ma, nervosamente, il giovane guerriero continuava a cambiare posizione sulla stessa, sollevando prima una gamba, poi l’altra, appoggiando quindi la schiena, per poi irrigidirsi di nuovo, alzandosi subito dopo. Per diversi minuti il cavaliere d’argento continuò in quella nervosa sequela di movimenti, finché, in uno scatto d’ira, colpì con un violento calcio la sedia, lasciandola frantumarsi contro il muro.

Abar di Perseo entrò proprio in quel momento nella stanza e, senza alcun commento su ciò che aveva appena visto, l’anziano cavaliere parlò: "Non so molto sul modo in cui il mio amico, e cavaliere di Cefeus, ha abbandonato questo mondo, ma conosco bene come vi ha vissuto, mi sembra impossibile che egli non ti abbia trasmesso il valore della lealtà fra compagni e dell’unità con gli stessi.

Era famoso, per avere più allievi di me e Degos, proprio perché, fra tutti noi, era quello che considerava di più i suoi allievi dei figli, così come considerava noi, vecchi compagni d’addestramento, dei fratelli." , ricordò, con un tono che scivolava verso la tristezza, Abar.

"Sì, Edward di Cefeus, mio maestro, era un uomo dall’immensa bontà, lo so, ma si è mai chiesto cosa portasse questo suo affetto, questo desiderio di legare a se così tanto i propri allievi? No, lui dava e chiedeva, senza riflettere poi così tanto, proprio come quello sciocco di Juno, o Nirra… tutti burattini i cui fili erano le catene del maestro!" , ringhiò l’egiziano cavaliere, mentre il pugno sinistro brillava d’energia cosmica.

Per alcuni attimi Abar ebbe il timore che il giovane interlocutore volesse attaccarlo, ma, dopo quelle parole cariche di rabbia, l’energia cosmica si disperse, così come la furia ed il nervosismo palpabili sul giovane, che, rilassatosi, si appoggiò al muro, passandosi una mano sul capo.

"Va dai tuoi compagni, Husheif, Auriga ha elaborato un piano che, probabilmente, potrà servirvi per scoprire chi sono questi misteriosi nemici che avete dinanzi." , spiegò laconico il santo di Perseo, osservando l’altro allontanarsi con la medesima freddezza che lo contraddistingueva.

Così, elaborando il loro piano, i sei cavalieri d’argento passarono la giornata. Scese poi la notte: era tempo di mettere in atto quanto congeniato, per ambo gli schieramenti.

Adapa correva lungo le vaste lande della sua terra natia, seguito da una dozzina di golem: alla fine, l’anziano Ea aveva insistito tanto, affinché un supporto fosse dato al giovane Appalaku, che lo stesso Baal aveva accettato la richiesta del vecchio consigliere, permettendogli di affiancare quello schieramento ridotto di statue animate al giovane guerriero.

E giovane, in effetti, Adapa era: le vestigia dorate, che lo ricoprivano quasi per intero, lo facevano somigliare più ad una buffa bambola di terracotta che ad un guerriero; l’armatura era composta da scaglie, che ricalcavano le squame dei pesci, nei gambali e per la parte inferiore della cinta e del pettorale, persino le coperture per le spalle erano di quella medesima fattura, solo la zona superiore del petto era coperta da piastre piane e prive d’ogni decorazione.

L’elmo, integrale, descriveva il viso di un pesce i cui lineamenti erano deformati per sembrare lievemente più umani di quanto non fossero, mentre una seconda faccia, completamente umana, era in rilievo sullo sterno, lì dove non si trovavano le squame; e le braccia erano completamente scoperte, una grossa pinna dorsale scintillava sullo schienale di quella strana corazza.

In retroguardia, ben lontano dal giovane Appalaku, si distingueva appena una sagoma celata da un mantello color rosso scarlatto.

Quel ristretto gruppo avanzò per diversi metri lungo un percorso rettilineo che portava direttamente verso l’accampamento, seppur questo fosse distante chilometri e chilometri, ormai in movimento verso la loro meta; l’avanzata di Adapa, però, si fermò quando, il sentiero, in evidente pendenza verso l’alto, gli permise di osservare tre figure a brevissima distanza, figure le cui vestigia brillavano di variopinti colori sotto la luce della luna.

Il giovane Appalaku era già pronto a correre contro di loro, quando una mano lo fermò, la mano di Sin.

"Guarda lì." , accennò appena il guerriero dai capelli magenta, indicando una quarta figura che, furtiva, si avvicinava da un altro percorso, ben più riparato, una figura appena visibile per l’occhio poco addestrato di Adapa.

"Tu, Appalaku di Oannes, occupati di quel nemico solitario, lascia ai golem quei tre: avrai più possibilità di averne ragione e catturarlo vivo." , spiegò l’uomo, "Non preoccuparti di niente, qualora lo scontro vada a suo vantaggio, interverrò ad aiutarti." , lo rassicurò con un sorriso Sin, lasciando poi andare il giovane compagno di viaggio.

Il piano progettato dai cavalieri d’Argento era incredibilmente semplice, persino sciocco a detta di Husheif, che comunque non aveva rifiutato di farne parte: il più del gruppo, cioè Dorida, Husheif stesso e Leif, avrebbe seguito il medesimo percorso del giorno precedente, mentre Wolfgang, le cui abilità nella caccia erano indiscusse, si sarebbe occupato di raggiungere chi guidava i mostri di pietra alle spalle. Semplice.

Questa era la conclusione a cui erano giunti i cavalieri, eccetto il santo di Reticulum, e con tale pensiero in mente, il trio di esche avanzava, finché, d’un tratto, un rumore attirò la loro attenzione tanto da fermarsi.

"Da dove arrivano questi?", esclamò la sacerdotessa di Sagitta, non appena i dodici mostri d’argilla li circondarono, bloccando loro ogni via d’uscita.

"Se, come me, nemmeno voi li avete visti arrivare dai lati, miei arguti compagni di squadra, l’unica possibilità è che provengano dall’alto, da quella sorta di promontorio. Gli stessi segni sul terreno, che indicano come il loro peso si schiantato sul suolo brullo, avallano la mia idea." , osservò con palese sarcasmo il cavaliere di Reticulum, per poi rivolgersi al parigrado di Cetus: "Sono loro i nemici che avete incontrato ieri?", domandò semplicemente.

"Sì, sono loro." , replicò con calma Leif, mentre acuiva la vista per cercare di identificare la figura che si stagliava ancora sul percorso rialzato.

"Muy Bueno!", esclamò d’un tratto Dorida.

Una fiammata fu tutto ciò che i due compagni poterono osservare, mentre la guerriera ispanica si lanciava su due di quei dodici guerrieri, perforandone i corpi con i pugni roventi e lasciandoli schiantare contro il suolo.

Altri due golem si mossero velocemente verso la guerriera, ma questa fu ben più veloce di loro: spostando l’intero corpo verso il suolo, Dorida colpì con il tallone sinistro il primo dei due nemici, che barcollò indietro fino a cadere al suolo, quindi, con altrettanta prontezza, si rimise in piedi, affondando il pugno sinistro nello stomaco di pietra dell’altro golem e lasciando che il suo cosmo invadesse il corpo nemico, fino a scioglierlo. Non era la velocità, però, a sorprendere di quella guerriera, bensì l’euforia con cui esultava, in spagnolo, ad ogni nuovo colpo portato a segno.

Un nuovo calcio a spazzare con la gamba sinistra ed un altro golem volò al suolo, mentre la guerriera di Atene si rimetteva in precario equilibrio sulle mani, colpendo con ambo i piedi un nuovo avversario, alle sue spalle.

La mano di Dorida, ricolma d’energia cosmica, corse poi verso un quinto essere di pietra, perforandone la testa, per poi lasciare ancora una volta esplodere una devastante fiammata, che sciolse per intero la creatura.

Dei sei golem attaccati, però, con uno stupore che solo le parole tradirono, data la maschera argentea, la guerriera ispanica vide ben quattro di loro rialzarsi, quelli che non i suoi attacchi non avevano del tutto distrutto.

"Kolito!", esclamò d’un tratto la voce di Leif, mentre i gelidi anelli di ghiaccio bloccavano due dei mostri di pietra, azzerandone i movimenti e congelandone le figure, fino a ridurli a meri frammenti bianchi e scomposti.

"Non basta la semplice forza fisica per abbatterli: queste creature non sono umane, o mortali, il dolore non le fermerà di certo." , avvisò il nordico guerriero, mentre un’altra voce si sovrapponeva alla sua.

"Asprò Diktuò!", esclamò la voce di Husheif, mentre il suo cosmo s’espandeva attorno al cavaliere di Reticulum, prendendo la forma di una vasta tela dal colore bianco, una rete che rinchiudeva fra le proprie maglie ben tre golem, che, in pochi attimi, furono vittime di una devastante scarica d’energia, tale da distruggere la dura roccia di cui erano composti.

Un sorriso beffardo si dipinse allora sul viso del guerriero dell’Isola di Andromeda, mentre si voltava verso gli altri mostri di pietra, ormai rimasti in cinque, dopo gli attacchi perpetrati dai tre cavalieri.

Prima che l’egizio cavaliere potesse fare alcunché, però, fu di nuovo la voce della sacerdotessa spagnola ad echeggiare sul campo di battaglia: "Flechas ardientes!", esclamò Dorida, mentre decine di dardi infuocati, creati dal cosmo della guerriera stessa, si manifestavano, oltrepassando il cavaliere di Reticulum e perforando altri due golem, tanto da distruggerli per il numero di colpi riportati.

"Demasiado fácil!", osservò allora la guerriera, il cui tono di voce trasmetteva, più delle sue stesse parole, il disappunto con cui quei mostri cadevano sotto i loro attacchi.

"Speriamo che anche Wolfgang abbia vita altrettanto facile contro il suo nemico…", osservò il guerriero di Cetus, pronto a confrontarsi con gli ultimi tre golem rimasti ancora integri.

Il cavaliere dei Cani Venatici correva rapido in mezzo alla scarsa vegetazione, diretto verso quello che, indubbiamente, aveva riconosciuto come suo bersaglio: la figura che si stagliava al di sopra dei compagni, la stessa che aveva fatto cenno ai golem di lanciarsi di sotto, all’attacco dei tre santi d’argento.

Questa certezza, però, fu prontamente interrotta dai sensi del giovane tedesco: l’olfatto avvertì qualcosa di estraneo dall’odore della corteccia degli alberi, un misto di metallo ed erbe, quella stessa sensazione che gli davano molti cavalieri dell’Oriente, fra cui il santo dell’Auriga, quando la loro pelle profumata indossava le loro vestigia. L’udito avvertì, seppur fievolmente, come se celato da una maschera, un respiro agitato, quasi emozionato. Il tatto lo portò ad avere brividi lungo le braccia, quasi complice con un sesto senso animalesco che lo avvertiva di stare attento. La vista, infine, lo scorse: un’ombra inizialmente, poi una figura nitida, che avanzava titubante nella sua direzione, ma apparentemente non sembrava conoscere la posizione esatta dove Wolfgang si trovasse.

Fu allora che il cavaliere d’argento volle scoprire se l’altro veramente non conosceva la sua posizione, o stava cercando di fargli fare una mossa avventata e decise che, il modo migliore per capire ciò, fosse proprio compiere una mossa avventata, così si diresse, con un rapido spostamento laterale, verso l’altro, pronto a spuntargli su un fianco.

Adapa si muoveva con diffidenza in mezzo agli alberi: il giovane guerriero era, adesso per la prima volta, veramente da solo.

In quei pochi minuti di corsa frenetica, il ragazzo dovette fare affidamento a tutta la sua forza d’animo per non terrorizzarsi al più sottile rumore e non tornare indietro da Sin. Sapeva che il comandante in seconda degli Annumaki gli aveva assicurato il proprio supporto in caso di necessità, che avrebbe osservato e ponderato se intervenire, qualora necessario, senza problemi, ma non poteva chiedere immediatamente aiuto, per di più senza aver ancora incontrato un nemico.

Ed in effetti, Adapa, nella sua breve vita, non ne aveva mai incontrato uno; mentre questa verità arrivava alla mente dell’Appalaku, la raggiunsero alcuni ricordi della sua infanzia: i giorni vissuti in nella carovana nomade della propria tribù, l’incontro che questa ebbe con la tribù nomade di Enlil e Marduk; la scelta dei genitori di lasciarlo all’addestramento del vecchio Ea, che in quel bambino, poiché tale era allora, aveva visto un gran potenziale; gli anni dell’addestramento, l’apparizione di Baal, che gli assegnò le vestigia di Oannes e lo presentò ai suoi tre compagni Appalaku. Tutto questo tornava alla mente del giovane Adapa, mentre si rendeva conto che, supplicando l’aiuto di Sin, non avrebbe fatto altro che portare disonore al suo maestro, Ea il saggio, ed alle schiere di Baal; così, con la determinazione nel cuore, il giovane guerriero avanzava, osservando il mondo dalla propria maschera dorata a forma di pesce, prima che un rumore assordante, come di un urlo, seppur le parole non gli furono del tutto chiare, lo investisse da sinistra, prima di voltarsi e trovarsi, davanti a se, un cavaliere, chiaramente non nativo di quelle terre, con indosso vestigia color avorio, recanti simboli a lui ignoti.

"Dunque tu sei il mio avversario, cavaliere dorato? Tu comandi queste schiere di mostri di pietra? O forse è il tuo compagno, l’esca che doveva lasciarmi tua preda?", domandò con voce sonante il nuovo giunto, mentre sollevava le braccia, portandosi in posizione lievemente china in avanti, quasi fosse pronto ad assalire l’Appalaku su quattro zampe.

"Sappi che io sono Wolfgang dei Cani Venatici, cavaliere d’Argento al servizio della dea Atena." , si presentò il guerriero straniero, mentre ancora la mente di Adapa doveva ricollegare tutte quelle notizie per lui nuove e sorprendenti, come il nome di quella divinità d’oltremare, di cui sapeva ben poco.

Il nemico, però, non attaccò il giovane Appalaku, che rimaneva immobile, come in attesa di qualcosa, al pari del guerriero tedesco. Poi, d’un tratto, come un fulmine a ciel sereno, un’ipotesi balenò nella mente del giovane combattente mesopotamico: il suo avversario stava aspettando che anche lui si presentasse; era una delle poche lezioni, relative allo scontro ed esterne alla tattica, che gli erano state date dal saggio Ea, presentarsi era segno di rispetto fra guerrieri di egual grado ed abilità.

"Il mio nome è Adapa di Oannes, Appalaku al servizio del potente Baal." , si presentò il giovane, abbassando la guardia, con una disattenzione tanto palese che Wolfgang la prese per sicurezza dei propri mezzi.

"Appalaku? Questo è il nome del vostro ordine di guerrieri?", chiese allora il santo d’argento, prima che un gesto della mano lasciasse intuire come quell’ultima domanda era sorta più per curiosità, che per necessità.

Non vi furono altre parole fra i due, solo i loro cosmi s’espansero: ora erano pronti per la battaglia.