Capitolo 3: In terre lontane

La piccola zona portuale dove i sei cavalieri giunsero non era niente di speciale. Il paese, giacché non si poteva parlare di una vera e propria città, era piuttosto piccolo e, come ogni luogo con un proprio porto, era caratterizzato dalla presenza di alcuni piccoli moli, niente di grandioso rispetto al Pireo, e da alcune bancarelle, nella zona mercantile, più vicina al porto.

Dopo poco meno di alcune decine di minuti, però, chiunque sarebbe uscito dalla zona del mercato, ritrovandosi nell’area residenziale, se tale poteva essere definito quell’accozzaglia di baracche e case di pietra.

Quello fu il percorso seguito dalle sei figure, due fanciulle, con il viso completamente coperto da dei lunghi veli bianchi, ed un gruppo di quattro giovani, di cui, uno, un ragazzo chiaramente nativo di quelle calde terre, con i capelli stranamente bianchi, era la guida.

Quel piccolo gruppo non saltava particolarmente all’occhio, nemmeno per la presenza di un orientale fra i suoi componenti, ma i sei grossi oggetti metallici legati ai tre cavalli che gli uomini del gruppo conducevano per il giogo, avanzando dinanzi a loro, risultavano, a chiunque li guardasse, strani e bizzarri.

"Dovevamo trovare un altro modo per portare fin qui le nostre armature, le loro custodie sono fin troppo vistose, anche se i simboli restano celati da lunghi mantelli.", obbiettò innervosita Dorida, mentre si guardava intorno, su uno dei tre cavalli, lo stesso che Leif stava tirando dietro di se.

"Non ci sarebbero stati molti altri modi, se non indossare le armature e, sotto abiti di queste terre, per quanto ampi potessero essere, sarebbero state notate. Non siamo di certo qui per essere facilmente individuati.", obbiettò con calma il cavaliere di Auriga, che conduceva il cavallo su cui si trovava Gwen.

"Io ho una domanda migliore: dove si trova questo cavaliere di Perseo? Sarà quasi un’ora che avanziamo per questa piccola città… spero almeno che questo guerriero ci dia delle informazioni utili." , osservò titubante Wolfgang, mentre i due levrieri camminavano al suo fianco.

"Se c’è qualcuno che può darci notizie, in questo luogo, è di certo il cavaliere di Perseo. Persino il mio maestro ne parlava con rispetto, lodandone le abilità e la sagacia. Qualunque cosa sia successa in queste terre, nessuno meglio di Abar di Perseo potrà darci informazioni sul nostro nemico e su dove poterlo uccidere!", concluse, con una certa soddisfazione nel pronunciare le ultime parole, Husheif di Reticulum, che conduceva il gruppo.

La Sacerdotessa di Corvus che, fino a quel momento, era rimasta in silenzio, quasi intimidita dall’eventualità d’esser messa in mezzo nella discussione, d’improvviso si scosse, come turbata da qualcosa, o, sarebbe stato più esatto dire, da qualcuno.

Un’ombra, come una fugace creatura poggiata contro un muro, apparve dietro un angolo, seguendo lungo il loro percorso i sei cavalieri, poi, così come era apparsa, la figura scomparve; ma bastarono pochi secondi perché ricomparisse a diversi metri di distanza, sul versante opposto della medesima strada.

"Guardate!", esordì d’improvviso Gwen, "Quella …", continuò, pronta ad indicare una figura che, prima ancora che la mano della sacerdotessa fosse puntata contro di lei, era già scomparsa.

"Sì, l’avevo notata anch’io. Chissà come mai ci segue…", osservò ironico Wolfgang, fermandosi ed abbassandosi verso i propri levrieri.

"Castor, Pollux, è tempo di giocare, ragazzi, seguitemi.", suggerì il Cavaliere dei Cani Venatici, "Voi, amici miei, attendete qui, vi riporterò ben presto la nostra misteriosa ombra.", concluse con un sorriso burlone il tedesco guerriero, allontanandosi assieme ai due cani.

La figura che seguiva i sei cavalieri, avvedutasi della divisione del gruppo, indietreggiò nell’ombra da cui era scaturita, ritornando sui propri passi e portandosi in un angolo celato alla vista dei cinque rimasti immobili.

Appena però, questa misteriosa ombra voltò l’angolo, trovò dinanzi a se i due levrieri tedeschi, ringhianti, che le bloccavano la strada. Alcune sottili parole sibilarono dalla bocca, celata da un bianco velo femminile, che ne nascondeva le fattezze, prima che la misteriosa inseguitrice scattasse nella direzione opposta a quella in cui si trovavano i cani, subito inseguita dagli stessi.

La corsa fu frenetica: per diversi minuti l’inseguitrice divenne preda, scartando di volta in volta verso destra, o verso sinistra, secondo quello che pareva essere meglio, date le conoscenze che aveva di quei luoghi; evitando un vecchio seduto sul bordo della strada, o qualche fanciullo che la attraversava, ma senza mai fermarsi né rallentare. Alla fine, l’ombra si bloccò, impietrita da chi aveva davanti: Wolfgang che, per nulla sudato, pareva attenderla da interminabili minuti.

Il tedesco, però, non disse nulla, semplicemente indicò qualcosa alle spalle di quella giovane figura che, voltatasi, poté facilmente vedere i due cani, con la lingua penzolante, immobili a bloccarle la strada.

Tra la preda ed il cacciatore non vi furono però parole alcune, anzi la giovane figura dal viso celato si abbassò sulle ginocchia, quasi pareva pronta ad arrendersi agli occhi del tedesco cavaliere, ma, proprio quando questi stava per fare un passo in avanti, l’ombra spiccò un salto verso l’alto, colpendo Wolfgang con un calcio al viso e raggiungendo con l’agile balzo il tetto del palazzo più vicino.

"Mi piacciono le prede con inventiva!", esultò il guerriero germanico, facendo segno ai suoi due cani di stare fermi, mentre, con un balzo pari per agilità a quello della preda, anche il cacciatore raggiunse il tetto su cui questa s’era spostata.

Non ci volle molto a Wolfgang per individuare di nuovo chi stava inseguendo: per quanto fosse vestita con abiti chiari, come le genti del luogo, quella figura con il viso celato si muoveva con incredibile velocità, inoltre, di questo il tedesco ne era certo, aveva avvertito un cosmo in quel corpo esile, mentre compiva il salto e lo avvertiva tuttora, mentre questa cercava di allontanarsi.

Quello che però il cavaliere, né la sua preda, parvero avvertire da subito, fu un terzo cosmo, pari per intensità a quello del santo dei Cani Venatici, un cosmo che si parò dinanzi alla fuggitiva, rivelandosi come una gigantesca ragnatela d’energia, nella quale la figura andò a finire, immobilizzata.

Solo quando la preda era ormai intrappolata nella grossa tela, il predatore si rivelò, sbucando da sotto un muro un po’ più spesso: era Husheif, che, sorridente, s’avvicinò con passo tranquillo alla figura che fino a poco prima li inseguiva.

"Cavaliere di Reticulum! Avevo detto che me ne sarei occupato io!", tuonò infastidito Wolfgang, "Se vuoi, puoi sempre ucciderla tu, in fondo la libagione per un ragno, basta anche per due…", osservò con soddisfazione l’altro santo d’argento.

"Voi, stupidissimi cavalieri di Grecia!", ringhiò allora la figura, rivelando una voce di fanciulla, mentre il velo sul viso cadeva, mostrando una maschera da sacerdotessa, "Non appena il mio maestro saprà come avete fatto sfoggio delle vostre dote, nonché dei simulacri delle armature, in giro per il villaggio, vedrete come si infurierà!", tuonò ancora la fanciulla.

"Sei una sacerdotessa guerriero?", domandò stupito Wolfgang, "No, idiota, indosso la maschera per evitare le insolazioni!", obbiettò indispettita l’altra, mentre il cavaliere tedesco si voltava verso il parigrado egizio, "Direi che potresti anche liberarla, perché se fa parte del nostro ordine e parla di un maestro facile è che lei sia l’allieva di …", ma le parole del santo d’argento furono interrotte da una figura che apparve alle loro spalle.

"Esatto, cavalieri, è la mia allieva.", esordì il nuovo giunto, con indosso le vestigia di Perseo: Abar si era rivelato ai sei.

Non ci vollero che pochi minuti perché i sei inviati del Grande Tempio si riunissero nella piccola casa di Abar e della sua allieva, lì dove il cavaliere d’argento ripose le proprie vestigia, vicino a quelle che appartenevano alla discepola.

"Vi chiedo scusa per i modi di Serima, ma le avevo semplicemente detto di individuarvi e condurvi fin qui, non pensavo che avrebbe iniziato a seguirvi, per noia, o chissà quale altro motivo." , affermò con tono rasserenante il santo d’argento.

Abar era di alcuni anni più vecchio dei sei guerrieri, probabilmente aveva un’età analoga a quelle di Bao Ye e di Degos, indossava semplici vesti color avano ed i capelli di un verde smeraldo molto acceso, risaltavano, al pari degli occhi viola, sulla pelle abbronzata dal sole caldo di quelle terre.

I lineamenti dell’uomo ne indicavano la nobiltà, così come i modi di fare e la cortesia con la quale aveva invitato i sei nella sua casa, offrendogli anche del cibo.

L’allieva, Serima, al contrario, aveva modi meno gentili con il gruppo di ospiti, sembrava quasi indispettita per la loro presenza. Dall’aspetto sembrava avere la stessa età dei cavalieri, approssimativamente, i capelli erano corti e neri, coprivano appena il collo e la maschera, adornata di un forte color verde, dava un forte contrasto, piuttosto tetro, con i capelli e la pelle di carnagione altrettanto scura.

"Immaginavo che il Santuario avrebbe inviato qualcuno, non appena le informazioni su questo misterioso espandersi di cosmi minacciosi sarebbero arrivate fino ad Atene, ma certo immaginavo qualcuno di … più vecchio.", osservò con tono cortese Abar, che, notando gli sguardi di Wolfgang e Husheif, fra i primi, non tardò ad aggiungere: "Non che dubiti di voi, cavalieri d’argento, ma, da ciò che posso vedere, siete tutti freschi d’investitura, o comunque non saranno passati pochi anni da quando avete ricevuto le vostre armature, proprio come la mia allieva, che da meno di un anno è custode delle vestigia della Lucertola." , concluse, indicando il simulacro vicino a quello di Perseo.

"Nobile Abar, dovrebbe saperlo anche lei: dei diversi cavalieri d’argento, solo tre in quest’era non sono stati investiti tali, quelli della Gru, dell’Ofiuco e del Pavone; mentre, fra tutti i nostri pari, quelli della sua generazione erano solo cinque, considerando anche lei, cioè Musca, Orione, Triangolo e Cefeo.

Due di questi sono tuttora maestri per i nostri parigrado al Santuario, mentre lei ed il cavaliere del Triangolo risiedete in terre straniere ed il santo di Cefeo è venuto a mancare circa un anno fa.

Probabilmente proprio a causa di tutto ciò, il Sommo Sacerdote ha scelto noi, sei cavalieri d’argento più giovani, per questa missione." , suppose Zong Wu, rivolgendosi per primo al padrone di casa.

"Anche questo è vero, cavaliere dell’Auriga. Poi, non posso negare che dagli allievi di cavalieri d’oro quali sono i maestri di molti di voi, di certo non mi aspetto niente di meno di quanto avremmo fatto io, o Edward di Cefeo, che mi fu compagno d’addestramento presso il cavaliere del Toro; ma non di me parliamo, piuttosto di ciò che vi attende, una minaccia che da diverso tempo, come un’ombra malefica, si sta facendo strada dall’entroterra della regione dell’antica Mesopotamia." , tagliò corto Abar di Perseo.

"In effetti siamo qui da lei proprio per prendere notizie a riguardo,", osservò prontamente Wolfgang, "sappiamo che qualcuno, probabilmente dei cavalieri di chissà quale divinità, sta attaccando le diverse spedizioni scientifiche che si inoltrano in quelle terre in cerca d’antiche rovine. Almeno, questo è il poco che ho potuto capire prima della mia partenza dal Santuario…", osservò il santo di Cani Venatici.

"La cosa è ben più complessa, mio giovane amico", lo corresse Abar, "non solo chi si inoltra in cerca di antiche rovine, ma anche mercanti, o semplici viaggiatori che cercano di seguire il corso del Tigri e dell’Eufrate per passare da uno stato all’altro, spesso, scompaiono. Io stesso ho avvertito, qualche notte fa, un cosmo, maestoso, per quanto privo di minacciose presenze, aleggiare intorno a questo piccolo paese. Il mio timore è che, chiunque sia il colpevole della scomparsa di tutti quei viaggiatori stia avanzando, in cerca di un nuovo territorio di conquista.", affermò con tono preoccupato il padrone di casa.

"Forse un popolo di guerrieri consacrati a qualche antica divinità nomade di queste terre…", suppose allora Leif, intromettendosi nel discorso.

"Possibile, cavaliere di Cetus, possibile, ma non certo. Può anche essere qualche antico esercito che, al seguito di divinità babilonesi, è ormai pronto ad assalire queste terre, per espandere un impero che millenni fa Alessandro Magno e molti dopo di lui, arginarono." , replicò con tono diffidente Abar.

"Se dunque è una divinità a guidarli… questa sarà una Guerra Sacra, come quella a cui, si dice, partecipò il Sommo Sacerdote negli anni della giovinezza. Avremo modo di affrontare potenti nemici!", esclamò lieta Dorida, che fino a quel momento aveva osservato la discussione in silenzio.

"Non è detto, sacerdotessa della Sagitta, non per forza una divinità deve guidarli, possono semplicemente essere devoti a qualche dio di questi luoghi, come noi lo siamo ad Atena senza averla mai vista…", affermò, intimorita, Gwen del Corvo, per calmare l’esuberanza della compagnia d’arme.

Una semplice smorfia del capo fu la risposta dell’ispanica alle parole della parigrado, prima che Abar riprendesse la parola: "Non è detto che li guidi una divinità, esatto, ma, cosa più importante, i cavalieri di Atena si stanno preparando per una ben diversa Guerra Sacra. Ogni generazione, da quando è salito al trono l’attuale Sommo Sacerdote, sa che prima o poi i nemici di allora torneranno, quei nemici a cui solo due cavalieri d’oro sopravvissero, e non da queste terre provengono; seppur è possibile che anche il pericolo che qui si trova sia un pericolo consistente." , confermò infine il santo di Perseo.

"Ad ogni modo, credo che, in questo frangente, la cosa più saggia sia mandare qualcuno in avanscoperta: alcuni di voi, magari due, o tre al massimo, andrete verso le zone in cui sono scomparsi più e più uomini nelle settimane passate e lì avrete modo di ottenere ben più informazioni di quante ne possiamo ipotizzare qui." , concluse allora il cavaliere d’argento, mentre i sei, con un gesto del capo, si trovavano d’accordo su questo piano.

"Andrò io!", esclamò euforica Dorida della Sagitta, "No." , fu la secca replica di Leif di Cetus, "Tu, sacerdotessa, sei fin troppo esuberante, inadatta ad una missione che, più che un vero assalto, risulta essere un’infiltrazione nel territorio nemico.", spiegò il nordico guerriero, "Suggerirei che fossero i Cani Venatici, abile nell’inseguire senza essere notato, Reticulum ed uno, fra me e l’Auriga, ad andare in quei luoghi.", aggiunse l’allievo dell’Acquario.

"Credo che, data la natura della missione, come dici tu, cavaliere di Cetus, siate voi tre: Cetus, Cani Venatici ed Auriga, i più adatti. Se non posso uccidere qualcuno… io non mi diverto.", obbiettò allora Husheif, sorprendendo i propri compagni.

"Direi allora che è deciso: io, con Zong Tu e Leif, andrò a vedere cosa succede in quelle terre!", esordì, dopo una breve pausa, Wolfgang, alzandosi in piedi.

"Zong Wu…", lo corresse, con una certa dissuasione, il cavaliere dell’Auriga, mentre il tedesco, sorridendogli, gli dava una pacca sulla spalla.

 

Quella sera stessa, tre figure, bardate con le loro vestigia d’argento, lasciavano la piccola casa di Abar, movendosi alla velocità del suono per raggiungere le zone dove, dalle notizie ricevute dal cavaliere di Perseo, avrebbero dovuto trovare il loro misterioso nemico.

La zona in cui i tre andarono a trovarsi, sembrava un bosco d’alberi dal tronco non particolarmente alto, in cui i tre guerrieri camminavano senza nessuna difficoltà.

"Chissà come si chiamano questi alberi… in Germania solo le querce più giovani della Foresta Nera sono così piccole." , osservò con noia Wolfgang, che guidava il gruppo nelle splendenti vestigia dei Cani da Caccia.

"Lo ignoro, in Siberia è difficile vedere una così ricca vegetazione, almeno non ve ne sono nelle fredde lande dove il mio maestro mi addestrava." , aggiunse Leif, che camminava proprio dietro il cavaliere tedesco, mentre, silenzioso, Zong Wu chiudeva la piccola fila.

Per diversi minuti i tre camminarono, con circospezione, in quel folto bosco, finché, d’improvviso, il tedesco che li guidava non fece segno ai due compagni di restare immobili e, indicando le proprie orecchie, puntò poi il dito verso la destra della fila: qualcuno, o qualcosa, stava producendo dei rumori, in quella direzione.

Non ci vollero che pochi attimi prima che, quei rumori, diventassero, da sottili e lontani, a fragori violenti che, d’improvviso, si palesarono in nove strane figure che, incuranti degli alberi, si catapultavano verso i tre cavalieri d’argento.

Il primo gesto che i tre fecero fu di disimpegnarsi su angoli diversi: Zong Wu ritornò indietro di almeno cinque passi, Leif compì un ampio balzo verso la zona alla loro sinistra, mentre Wolfgang avanzava di almeno una decina di metri; ora ogni cavaliere era abbastanza lontano dai compagni per non coinvolgerli nella propria battaglia.

Tutti, però, furono sorpresi da cosa li aveva attaccati: non erano uomini, bensì delle strane creature, mostri di pietra con solo tre dita per mani, il viso deformato in maschere d’argilla prive di naso e pupille, con due cavità per occhi e delle profonde fessure per bocche; bocche da cui non usciva altro che rantoli minacciosi.

"Dubito che siano i veri fautori del cosmo che Abar avvertiva, poiché non sento energia alcuna provenire da loro, però, è un fatto che sono a noi avversi." , osservò Leif di Cetus che, espandendo la propria forza cosmica, lasciò prorompere un freddo gelo dalle vestigia della Balena.

Con uno scatto rapidissimo, il cavaliere del Nord si gettò sul primo di quei mostruosi avversari, investendolo con un potente diretto allo stomaco, un colpo ricolmo d’energia cosmica, che, al momento dell’impatto, forò il corpo della creatura, congelandone l’intera stazza e rendendolo niente di più che una statua di ghiaccio.

Il secondo mostro si gettò su Leif, tentando di colpirlo con una manata, ma il cavaliere fu più lesto e, abbassandosi prontamente, evitò l’attacco, che s’infranse contro la statua di ghiaccio, distruggendola.

Il cavaliere di Cetus, allora, portatosi alle spalle del suo secondo nemico, s’abbassò prontamente, bloccandone le gambe con le candide mani e lasciando che il cosmo fluisse dalle stesse; anche il secondo mostro di pietra si ridusse ad una tetra statua ghiaccio, immobilizzata dalla forza degli elementi di cui Leif era padrone.

Il santo della Balena, però, non ebbe tempo di gioire: l’ultimo dei tre mostri direttisi contro di lui lo bloccò in una stretta mortale, una presa che pareva voler frantumare ogni osso del corpo di Leif, "Questi esseri sembrano tanto forti, ma la stretta di un orso siberiano è ben più ardua sfida che le frastagliate mani di pietra di questi …cosi….", osservò il cavaliere di Atena, espandendo il proprio cosmo, "Kolito!", tuonò allora Leif, mentre dei cerchi di ghiaccio circondavano lui ed il suo nemico, congelando la pelle di quest’ultimo e rendendolo una misera statua, simile alle altre due, ma ben più infausta nella sua sorte, poiché, liberandosi con abilità, il guerriero del Nord non si fece scrupoli di distruggerla.

Zong Wu dell’Auriga, una volta notati i tre nemici che lo avevano seguito, si portò al centro fra di loro, bilanciando il peso fra le gambe divaricandole in una posizione di guardia alta con le braccia, intento a scrutare tutto ciò che avveniva intorno a lui e lasciando che i palmi delle mani, aperti, si spostassero prima ancora della testa, in una direzione, anziché in un’altra.

Il cavaliere cinese si lanciò quindi all’assalto, colpendo con un violento calcio lo sterno del mostro a lui più vicino, lasciando poi apparire sulle mani, quasi magicamente, due affilati dischi rotondi che, abilmente impugnati dal santo d’argento, gli permisero di effettuare un doppio fendente ad incrociare sul collo del primo essere di pietra che, in pochi attimi, si ritrovò decapitato ed inutile.

L’attacco dell’Auriga, però, non era finito: con una rapida rotazione, mentre ancora quasi tutto il corpo era chino al suolo, Zong Wu si rialzò di scatto, la zona piatta del disco sinistro parallela al palmo della mano, sfruttata per effettuare un potente colpo ascendente a palmo aperto contro lo stomaco della seconda creatura di pietra che, subito quel primo attacco, non era di certo pronto a cosa avvenne poi, un’ondata d’energia cosmica che, dalla mano del cavaliere d’argento, proruppe contro l’avversario, distruggendone il corpo roccioso.

L’ultimo mostro cercò quindi di colpire il cavaliere con una violenta mazzata alle spalle, ma questi, senza nemmeno voltarsi, si chinò sulle ginocchia, compiendo un piccolo balzo per distanziarsi e, subito dopo, con una veloce rotazione sul proprio asse verticale, il santo dell’Auriga si gettò in una vorticante sequela di fendenti, con ambo i dischi taglienti, contro il corpo nemico, che ne uscì martoriato e mutilato, prima di cadere in pezzi al suolo.

Wolfgang dei Cani da Caccia, al contrario dei compagni, preferì evitare scontri diretti con quelle strane creature, evitandone gli assalti con veloci salti laterali, quasi intento in qualche strana danza, per come, ogni suo movimento, sembrava correlato con i precedenti ed i successivi.

Alla fine, dopo diversi minuti, il cavaliere tedesco alzò la mano, invitando i tre mostri a fermarsi, e parlò: "Non so cosa siate, né se qualcuno vi comanda, ma devo ammettere che con voi non mi sarei sentito un cacciatore che affronta una preda, dato che, di norma, una preda deve essere viva e pronta a combattere per restarlo, voi sembrate più dei grossi stupidi esseri di pietra lanciati alla rinfusa contro dei nemici da poco.

Ebbene, se chi vi guida ci sta osservando, ho deciso che deve capire con chi ha a che fare, di certo non con cavalieri da poco, per questo mi sono mosso per farvi mettere in fila, uno dietro l’altro." , concluse, osservando i tre nemici quasi perfettamente allineati.

Una brillante energia cosmica, una luce azzurra dai riflessi elettrici, circondò allora le mani del cavaliere d’argento, "Preparatevi, statue di pietra, perché state per affrontare uno degli attacchi base dei Cani da Caccia!", avvisò il tedesco, "Angriff der Jäger!", tuonò il santo di Atena.

Dai pugni di Wolfgang scaturirono decine di sfere d’energia luminosa che, simili ad un branco di cani da caccia, si diressero ringhianti contro le tre prede, distruggendone, senza fermarsi, i corpi, e lasciando solo lapilli dopo il loro passaggio.

Quando tutti e nove i nemici furono abbattuti, il cavaliere tedesco si voltò verso i suoi compagni, "Fortuna che doveva essere una missione senza assalti frontali, vero Leif?", domandò ironico Wolfgang al compagno, che, da parte sua, non rispose alla battuta del parigrado.

"Temo che, dopo questa nostra dimostrazione di forza, chiunque guidasse quelle creature, non ci attaccherà di nuovo, almeno che non abbia delle truppe ben più potenti da schierarci conto. Forse, per questa notte, potremmo anche ritirarci…", osservò con disappunto Zong Wu, interrompendo il tedesco, mentre riponeva i due dischi apparsi nelle sue mani.

"Probabilmente hai ragione, Auriga, ma, per esserne certi, sarebbe meglio avanzare per un’altra parte di questo nostro percorso, prima di tornare dagli altri." , suggerì allora il cavaliere di Cetus; parole a cui ambo i compagni furono concordi, continuando quindi il loro giro perlustrativi.

Ciò che i tre cavalieri d’argento non immaginavano, era la presenza di una coppia d’occhi che li osservavano, occhi appartenenti ad un uomo in un’armatura smeraldo, un uomo che, dopo averne visto le abilità, scelse di non contrastarli ancora, lasciando che concludessero la loro perlustrazione, poiché anche lui aveva delle notizie da riportare a chi lo comandava.