Capitolo 1: La richiesta

La calda estate del 1900 era, in quel mese di Giugno, particolarmente afosa ad Atene: questo potevano notare tutti coloro che si trovavano nell’Acropoli, così come quelli che avevano modo di rinfrescarsi nelle vicinanze del Pireo.

Che fossero mercanti, viaggiatori, lavoratori, o militari, tutti parevano subire quel caldo; l’estate, però, con il suo caldo, aveva portato anche un afflusso di turisti in quella città tanto antica, proprio per questo, l’apparizione di due viandanti chiaramente inglesi, che si addentravano fra le numerose rovine di un qualche antico tempio, poco al di fuori della città, non sbalordì più di tanto coloro che gli si trovavano dinanzi, era facile che qualche curioso, turista, o aspirante scopritore di rarità che fosse, si addentrasse senza una guida nelle zone meno abitate, era, però, altrettanto facile che lì fosse derubato.

I due parevano incuranti di tali considerazioni, qualora qualcuno ne facesse partecipi, forse addirittura incapaci di comprendere la lingua greca, continuavano lungo il loro percorso, seguendo una via scoscesa fino a scomparire dalla vista di tutti, fra le montagne esterne alla città, lì dove nessuno, da millenni, si avventurava, memore di antiche storie su forze pagane che vi risiedevano.

Il viaggio dei due si concluse proprio in mezzo a quelle montagne, dove raggiunsero un tempio, o almeno tale gli pareva, creazione di antichi architetti del periodo dorico, forse precedenti addirittura, una costruzione la cui origine era persa nel mito.

"Perché siamo venuti fin qui, Lord Greenway? Perché siamo stati mandati in questa terra pagana?", esordì d’un tratto uno dei due, rivelando i giovanili lineamenti inglesi ed il viso sottile e tagliato, oltre a delle maniere tanto eleganti da far trasudare la sua natura nobiliare.

"Vi sono informazioni relative a questo luogo negli annali più antichi del nostro regno, Lord Pinwey, pare che, oltre a combattere per le loro antiche divinità, coloro che stiamo per incontrare abbiano preso qualche elemento per le loro schiere, non solo in Grecia, ma anche in luoghi a noi più vicini e persino più lontani.

Proprio per questo, chi ci ha inviato qui afferma che solo presso di loro troveremo chi ci aiuterà con quel misterioso pericolo che s’affaccia dai boschi dell’antica Babilonia; non abbiamo modo, né tempo, per occuparci di queste cose.", spiegò il secondo, un ben più anziano uomo sassone dai lunghi capelli castani.

"Quindi lasciamo che siano i cani pagani ad uccidersi fra loro?", osservò ironico il primo, mostrando un sorriso tra il dissuaso ed il divertito.

"Certo che, definendoci cani pagani, non date degli incentivi a soccorrervi, nobili ospiti!", avvisò d’improvviso una voce, mentre una figura appariva dalle ombre di quel tempio. Era un uomo dal viso elegante, con lunghi capelli amaranto ed occhi del medesimo colore, che guardavano con sottile ironia ad i due antistanti, mentre il suo corpo restava completamente celato in una bianca tunica di lino.

I due stranieri avevano prontamente preso una posizione di guardia estraendo delle pistole, celate nelle loro ampie vesti, una volta udita la voce, ma questo non aveva affatto intimorito il loro interlocutore che, anzi, facendosi avanti verso di loro, aveva sorriso alla vista delle armi, "Vi prego… quelle cose non vi sarebbero d’aiuto alcuno qualora decidessi di combattervi, quindi, riponetele." , concluse l’ultimo giunto, andando a sedersi poco lontano.

"Sei tu l’uomo che chiamano Gran Sacerdote?", domandò Lord Greenway, "No, sono solo un suo messo, un fedele seguace incaricato di saggiare la veridicità dei vostri intenti prima che lo incontriate; chiamatemi pure Ascanus", esordì l’uomo presentandosi e chinando il capo in segno di saluto, "ma ora, vi prego, ditemi pure per quale motivo desiderate incontrare l’Oracolo di Atena", concluse.

"Atena… quale blasfemia è la vostra!", ringhiò subito il Pinwey, "Voi che credete in queste divinità pagane e le adorate, seguaci di culti blasfemi ed ormai vanificati dal tempo e dall’avvento dell’Unico Dio!", esclamò disgustato, puntando il dito verso Ascanus.

"Attento a chi minacci con simili gesti, inglese, poiché potresti ben presto scoprire che le virtù celate nelle mie mani possono essere arma ben più potente della tua pistola…", lo avvisò prontamente l’emissario del Sommo Sacerdote, "inoltre, siete stati voi, servitori del Monarca d’Inghilterra, a chiedere il nostro aiuto, come già fatto da diversi governi e sette religiose cristiane, nei tempi passati!", sottolineò, con chiara soddisfazione.

"Blasfemia e ignoranza riempie le tue parole se pensi di essere capace di farmi alcun male, prima che la pistola abbia fatto il suo lavoro! Credi forse che la tua antica divinità, falsa e menzognera nella sua stessa esistenza, ti aiuti? Pensi che l’immaginazione possa vincere sulla scienza e sulla realtà? Se vuoi sfidare la sorte, giovane sciocco, fatti avanti, avrai modo di rimpiangerlo!", minacciò con decisione Pinwey, sollevando l’arma verso Ascanus.

"Sempre più ti avvicini alla morte con queste tue vuote parole, tu che non capisci nemmeno cosa voglia dire combattere per una divinità, né quale sia una vera guerra sacra, poiché non per questo sono state combattute le vostre guerre, non per il vostro dio, bensì per il guadagno ed il potere!", ribatté il seguace di Atena, alzandosi in piedi ed avvicinandosi al suo interlocutore.

L’inglese, infuriatosi per queste ultime parole, urlò con rabbia, mentre cercava di centrare con la propria pistola l’addome dell’interlocutore, ma ben presto tutta la sua rabbia si mutò in stupore, quando capì che tutti e tre i proiettili sparati si erano persi nel vuoto ed Ascanus già si trovava alle sue spalle.

"Per noi, cavalieri di Atena, che dall’era del Mito siamo stati addestrati ad apprendere le vie del cosmo, muoversi anche solo alla velocità del Suono è cosa da poco, tanto semplice che, ogni tuo movimento, mi risulta pari, in rapidità, a quello d’una tartaruga." , esclamò l’emissario del Sommo Sacerdote, sbeffeggiando l’altro, che prontamente cercò di prenderlo, voltandosi di scatto e sparando di nuovo, ma anche stavolta l’attacco andò a vuoto.

"Pinwey, la smetta, siamo qui per parlare, non per combattere!", urlò allora Lord Greenway, mentre il suo compagno scaricava, contro le pareti della sala, la sua pistola.

"Sostenete che le vostre sono Sacre Battaglie, ma tali diventano solo quando è una divinità a guidare in guerra i propri seguaci e non ho saputo di alcuno, fra voi cristiani, o fra i vostri nemici, che abbia avuto modo di parlare con le divinità monoteiste che adorate.

No, quella che i crociati combatterono, e le molte successive, non sono ai miei occhi guerre Sacre, bensì uno scontro fra uomini, dettato dalla volontà di potere e dominio sulla terra, lì dove il Dio dei monoteisti si è rivelato, magari sotto diversi nomi ed aspetti, ma sempre cercando di portare parole di pace, piuttosto che di guerra.

Proprio per questo non crederò mai che voi cristiani siate guidati dalla volontà celeste, perché il vostro è un Dio di pace, non di guerra." , continuò a spiegare Ascanus, mentre rapido evitava ogni assalto di Pinwey.

"Adesso basta!", tuonò d’un tratto una voce, mentre una maestosa figura, di bianco vestita, e con il viso celato in una maschera ornamentale, apparve nel tempio.

Subito, alla vista di costui, i due anglosassoni furono come costretti a riporre le loro armi, mentre già Ascanus s’inginocchiava, "Sommo Sacerdote…", lo salutò semplicemente, spostandosi di lato.

"Il Monarca di Inghilterra, e molti altri con lui, hanno richiesto il nostro supporto in fatti che vanno oltre la concezione dei culti cristiani, non perché voi possiate combattere!", li ammonì l’Oracolo della dea, andandosi a sedere sul trono che c’era al centro del tempio.

"Ci scusi…", poté appena dire Lord Greenway, mentre porgeva una pergamena ad Ascanus, che subito la portò al Sommo Sacerdote, dopo averla controllata.

"Da diverso tempo ormai vi sono voci riguardo intere spedizioni che, avanzando nelle zone più interne di quell’immensa regione che è il Medio Oriente, lì, dove un tempo sorgeva l’antica Babilonia, si perdono. Ci sono uomini che giurano d’aver visto demoni bardati d’armature, capaci di brillare di luce propria e seguiti da mostri di pietra, che attaccano senza pietà alcuna i viandanti ed i pellegrini…", spiegò con tono vago il nobile inglese, "sono racconti la cui veridicità non è mai stata accertata, però, è certo che qualcosa s’è destato in quelle vaste lande, qualcosa che uccide qualsiasi ostacolo trovi sulla propria strada. In Europa vi sono aliti di ben altre rivolte, così come nel resto del mondo: le colonie europee in Cina, ad esempio, sono per ora sconvolte da una ribellione anti-europea, e come loro anche il Giappone prima e molte altre nazioni.

Nessuno può preoccuparsi anche di questo misterioso pericolo che, oltretutto, pare andare oltre le conoscenze della mente cristiana, pare avere origini pagane…", concluse l’uomo.

"Sì, già avevo ricevuto sentore su qualcosa di antico che era stato ridestato, o che almeno si stava riunendo per agire nelle terre dell’antica Babilonia; avevo anzi chiesto ad un cavaliere della Casta mediana, che in quelle zone risiede, di accertarsi di quale fosse la grandezza del pericolo, ma mai pensavo che questi misteriosi nemici si sarebbero rivelati a viandanti indigeni e studiosi stranieri … poiché, pare, che non solo gli europei siano le loro vittime." , spiegò il Sommo Sacerdote.

"Dunque non è solo un pericolo che riguarda gli europei, non pari a quelli che vivono i nostri cari compaesani nelle colonie …", sussurrò con soddisfazione Pinwey, "No, nobile inglese, non è male, anzi, è peggio! La Giustizia che noi, cavalieri di Atena, seguiamo ci impone di soccorrere tutti i bisognosi, quale che sia la loro nazionalità e fede, proprio per questo potete tornare dal vostro Sovrano rassicurandolo che il Santuario si muoverà in difesa del mondo degli uomini, come fa da millenni." , concluse il Sommo Sacerdote, dando licenza ai due di alzarsi ed allontanarsi.

Dopo la partenza dei due inglesi, il Sommo Sacerdote si alzò prontamente dal proprio trono, "Ascanus, occupati di scegliere tu stesso di scegliere due cavalieri d’argento qui ad Atene, altri saranno chiamati dai luoghi dove si allenano presso i loro maestri…", ordinò prontamente l’Oracolo, notando la distrazione sul viso del suo interlocutore.

"Cosa ti preoccupa, cavaliere?", domandò il Comandante del Grande Tempio, "Niente, mio Signore… solo che, il modo d’agire di talune persone mi lascia sempre … perplesso…", spiegò con fare laconico l’altro, prima che il suo sguardo, quasi prendesse coscienza solo ora delle parole del Sommo Sacerdote, lasciò manifestarsi un nuovo dubbio: "Potente Oracolo, se vuole richiamare al Santuario dei cavalieri d’argento che si trovano ancora presso i loro maestri, ciò vuol dire che sta parlando di allievi dei santi d’oro che al momento non sono alla difesa delle Dodici Case… come mai ha optato per tali guerrieri? Teme forse che un pericolo maggiore si trovi nelle lontane terre dell’antica Mesopotamia? Un pericolo tale da richiedere seguaci di tali maestri?", domandò l’interlocutore.

Laconica fu la risposta che provenne dall’Oracolo: "Vi è questo dubbio nel mio cuore, sì, amico mio…".

Al sentir quelle parole, l’uomo dai capelli amaranto si inchinò, "Vedrò comunque di scegliere dei guerrieri degni d’accompagnarsi agli allievi dei cavalieri d’oro, quali sono coloro che ancora si trovano presso i loro maestri." , concluse Ascanus, allontanandosi.

"Ne sono certo, mio giovane amico, come sono certo di ogni guerriero che si è addestrato in nome della dea dalla fine dell’Ultima guerra Sacra, tutti giovani che sono caduti in guerre minori, o hanno vissuto la loro vita con fede incrollabile, tutti giovani i cui nomi sono ancora incisi nel mio cuore e nella memoria.", aggiunse fra se l’Oracolo, tornando verso il trono, quasi avesse preso sulle proprie spalle il peso di centinaia d’anni.

"Mai, a pochi anni dalla prossima guerra, avrei pensato che un tale pericolo, come temo, si starebbe ridestando nelle terre bagnate dal Tigri e dall’Eufrate." , concluse fra se Sion, Primo Sacerdote della dea Atena da quasi 200 anni.

Quel giorno furono inviati quattro messi per diverse zone del mondo, tutti partirono dal Santuario sacro alla dea della Giustizia ellenica, movendosi alla velocità del suono.

Un primo messaggero raggiunse le campagne francesi, lì dove, al di fuori delle zone commerciali, in luoghi che il più della gente non aveva interesse a visitare, in un maniero antico e di aristocratico prestigio, viveva un uomo che, poteva vantare una discendenza diretta da uno dei pochi nobili di Francia non ucciso durante la Rivoluzione, un tipo dal più detto eccentrico, per la sua insolita abitudine di sostare lontano dalle città abitate, accompagnandosi a fanciulli e fanciulle.

In questo luogo giunse un primo messaggero, prontamente accolto da un servitore di quell’uomo, che accompagnò tale messo ateniese in una sala dove l’uomo stava osservando con durezza l’allenamento di tre giovani; fra questi, quelli che maggiormente risaltavano, per virtù e dominio del loro cosmo, erano un musico, che con estrema abilità riusciva a deviare gli attacchi avversi grazie alla sua arpa, ed una fanciulla, che, al contrario dei compagni, rimaneva immobile, più intenta a concentrare il proprio cosmo, che a lasciarlo esplodere nell’attacco, o nella difesa.

Quando il messo fu introdotto in questa sala, il maestro, privo delle proprie vestigia, lo accolse, leggendo la richiesta che a lui giungeva dal Santuario.

"Dunque il Sommo Sacerdote richiede uno dei miei allievi per una missione d’alta rilevanza? Sarò ben lieto di concedere questo onore ad uno di loro; sicché non si dica che Remais di Pisces non è cavaliere rispettoso degli ordini impartitigli!", esclamò, con un tono fra l’ironico ed il determinato, il santo d’oro, prima di congedare il nunzio ellenico.

Un secondo messaggero giunse nelle vaste distese boscose della Foresta Nera, in Germania, lì sapeva che uno dei dodici cavalieri d’oro addestrava i propri allievi e, dopo una ben breve ricerca, il messaggero si ritrovò ad essere preda di una coppia di rapidi cani, dei levrieri da caccia, che, in pochi attimi, ridussero a nullo il vantaggio del loro bersaglio, tanto da costringerlo ad usufruire del proprio cosmo per distanziarli, cosmo, che, però, attirò altri ben più pericolosi predatori: due, guidati dalla forza delle stelle, e forse un terzo, ben più veloce degli altri.

"Sono un messaggero del Santuario di Atene!", esclamò il messo, "Porto ordini del Sommo Sacerdote per Munklar di Sagitter, cavaliere della Nona Casa, ordini di vitale importanza!", urlò più volte l’uomo, intimorito da quei cosmi che, non appena ne avevano inteso la traiettoria, avevano smesso di corrergli accanto, bensì avevano iniziato a correre per direzioni opposte, circondandolo con veloci rotazioni attorno alla sua posizione: oltre alla debole emanazione cosmica di quel messo, un semplice cavaliere di Bronzo, gli altri due avevano come vantaggi la conoscenza della zona e delle indescrivibili abilità di cacciatori.

"Cani Venatici, Centauro, basta. Il nostro ospite è effettivamente un cavaliere di Atene!", ordinò secca una voce, mentre alle spalle del messo appariva un elegante e possente guerriero dalla dorata armatura alata, un uomo che, con quei lineamenti tipici dei tedeschi, sembrava quasi una divinità nordica, più che un seguace della dea ellenica, per l’eleganza che il suo stesso sguardo traspariva.

Il nunzio greco, sbalordito da quell’apparizione, titubò per alcuni attimi, mentre il cavaliere d’oro chiedeva, con un gesto della mano destra, l’ordine portatogli, ma, alla fine lo consegnò, dopo essersi ripreso.

Per brevi attimi Munklar lesse il plico, per poi scoppiare in una risata, "Cosa succede, maestro?", domandò una delle voci nel bosco, "Gioite, allievi miei, per uno di voi è giunto il momento di combattere in nome della dea! Avrete modo di scoprire quanto ciò che in questi boschi avete appreso vi possa essere utile anche al di fuori di questi luoghi!", esclamò ilare l’uomo, mentre, ancora titubante, il messo si congedava.

Il terzo messaggero raggiunse le fredde lande della Siberia, prive di popolazioni che l’abitavano, un luogo gelido e quasi sghembo di vita; solo un piccolo gruppo di uomini risiedevano in quelle bianche distese, un ristretto quartetto di guerrieri, che fra quelle alte montagne di ghiaccio s’allenavano.

Il nunzio ateniese lì giunse, da quei quattro individui, "Più forza, Lashnar! Se vuoi veramente ottenere le vestigia del Cigno devi riuscire a raggiungere il potere delle stelle che ti guideranno, così come i tuoi compagni hanno fatto prima di te, diventando cavalieri d’argento!", esclamava una figura bardata d’una dorata armatura, un uomo che, impassibile parlava ad un ragazzino, indifferente alla presenza del nuovo giunto.

Gli altri due, però, si preoccuparono dell’arrivo di quel nunzio, due giovani completamente celati da ampi vestiti di pelle d’orso, "Chi è là?", domandò uno, avanzando di pari passo con il compagno, "Un messaggero del Grande Tempio, porto un ordine del Sommo Sacerdote per Vladimir d’Acquarius, cavaliere dell’Undicesima Casa." , si presentò il nuovo giunto.

"Aspetta qui…", sentenziò il primo, mentre l’altro, voltandosi verso il luogo dove si stava svolgendo l’allenamento, chiamò colui che stava conducendo Lashnar nell’apprendimento del cosmo.

"Maestro, un messaggero del Grande Tempio è qui per voi." , esordì il giovane, raggiunto colui che indossava le vestigia dell’Acquario.

Subito Vladimir, custode dell’Undicesima Casa, si diresse verso il nunzio, leggendo, con disinteresse ed impassibilità, il plico che questi gli consegnò.

Per brevi attimi il cavaliere d’oro lesse gli ordini, poi alzò lo sguardo verso i due giovani celati nelle pelli d’orso, "Leif, Rudmil, preparatevi, uno di voi andrà al Grande Tempio di Atene, per eseguire una missione decisa dal Sommo Sacerdote in persona." , sentenziò impassibile il santo di Atena, incurante del nunzio ellenico, che si sentì libero di abbandonare quel gelido luogo, poco dopo aver consegnato il messaggio.

L’ultimo dei messaggeri raggiunse le sconfinate e lontane terre della Cina, il monte Goro-Ho, lì dove la cascata scorreva fra Cinque Picchi il nunzio avrebbe trovato colui a cui doveva dare il suo messaggio, ma, prima ancora di questo, lì trovò due guerrieri intenti in un addestramento.

Erano impegnati in uno scontro, sembrava che entrambi conoscessero antiche arti di lotta, poiché con prontezza il primo dei due, un giovane dai lunghi capelli neri, sinuosi come serpenti, sferrò un pugno verso il proprio compagno, il quale, bloccando l’attacco con ambo le mani, incrociate dinanzi al viso. Questo secondo guerriero spostò quindi il pugno, bloccato, dell’alleato, sul lato scoperto di questi, colpendolo subito con una ginocchiata al fianco, per poi liberare l’arto del compagno, così da sferrare un violento impatto, a mano aperta, verso lo stomaco dell’amico, che barcollò indietro.

Con un rapido balzo, però, il guerriero dai capelli lunghi e neri si rimise in equilibrio, sorridendo al compagno, prima di sferrare un rapidissimo calcio sinistro all’altezza dello stomaco, subito seguito da una spazzata frontale destra diretta contro il collo; il secondo parò quindi il primo calcio con una spazzata delle braccia verso destra, che deviò il primo calcio, permettendo un pronto abbassarsi per impedire che il secondo raggiungesse la testa.

Un sordo rumore, però, interruppe quello scontro, "Zong Wu, Xi Yan, basta così!", esordì una voce, e solo allora il messaggero notò una tozza figura d’uomo, quasi una roccia, intenta ad osservare la scena da sopra uno spuntone di roccia.

"Dimmi, uomo di Grecia, perché tale mi pari, cosa ti porta qui?", domandò l’individuo, "Siete voi Dauko di Libra, l’Anziano Maestro e Custode della Settima Casa?", incalzò il nunzio, "Sì, esatto, è Dauko ed i suoi allievi che ti trovi dinanzi." , rispose secco il cavaliere d’oro, "Ebbene, nobile servitore di Atena, ho per voi un messaggio del Sommo Sacerdote…", spiegò l’altro, mentre uno dei giovani, quello dai lunghi capelli, prendeva il plico, per poi portarlo al suo maestro.

"Xi Yan, ritorna pure nella nostra capanna, Zong Wu, tu preparati, stai per partire per il Grande Tempio di Atene!", esclamò l’Anziano Maestro, rivolgendosi prima ai propri allievi e salutando poi il messo con un cenno della mano.

Tutti i messaggeri avevano concluso le loro relative missioni, portando i messaggi a chi dovevano. Ben presto i sei guerrieri richiesti per la missione sarebbero stati riuniti.