Capitolo 18: I coraggiosi ebri
La notte era ormai calata su Corinto, nella città non si sentiva grida, né voci gioiose. Il cielo stellato illuminava un triste scenario: lungo tutte le strade della città greca vi erano sparsi cadaveri, di uomini comuni, di satiri, di baccanti e di guerrieri dalle bianche armature.
Solo in un luogo vi erano ancora segni di una lotta attiva, dinanzi all’ultimo dei templi di Dioniso presenti in quella città.
Una gigantesca esplosione squarciò il silenzio della zona, un guerriero dall’armatura in parte dorata in parte violacea distrusse un muro dell’ultimo tempio, rotolando dentro il sacro luogo.
"Complimenti, ebro di Dioniso, sei riuscito a sopravvivere per la seconda volta a questo mio attacco", esordì una figura dalla bianca corazza con una voce chiaramente femminile, "Come hai detto di chiamarti?", chiese costei al nemico a terra.
"Sono Remor di Pan, ebro di Dioniso, comandante dei satiri a lui consacrati e figlio di Ikki della Fenice", si presentò il guerriero, la cui armatura sembrava perdere sangue.
Le sue vestigia, riparatesi da sole, erano identiche a quelle indossate da Navas, il traditore che vent’anni prima aveva disonorato i satiri, massacrando dall’interno l’Alleanza.
L’aspetto di Remor, invece, era identico a quello del suo gemello, Rume, ambedue figli del santo della Fenice e della regina di Cartagine, al contrario del fratello, però, egli portava i capelli molto corti, appena sotto le orecchie.
"Bene, Remor, ora morirai con onore", sentenziò l’avversaria, sollevando il braccio sinistro.
"Non sarà lui a morire, bensì tu, titana", urlò una voce femminile alle spalle della guerriera nemica, "Ivy chains", aggiunse questa stessa voce, bloccando il braccio dell’avversaria con delle catene simili ad edere.
"Ancora tu, baccante?", tuonò la titana, "Si, ancora io, Awyn della Vite, comandante delle baccanti ed allieva del grande Shun di Andromeda", affermò la guerriera.
La baccante indossava le vestigia appartenute alla coraggiosa Ageia, i suoi capelli erano lunghi e rossi, intrecciati lungo la schiena, mentre gli occhi verdi brillavano nel suo sguardo determinato.
"Siete molto determinati voi ebri di Dioniso, vi faccio i miei complimenti, ma non riuscirete a sconfiggermi, come avete fatto con i miei guerrieri titano", affermò la titana, spingendo in avanti il braccio sinistro e gettando nel tempio anche Awyn.
"Si, titana, noi ebri siamo molto determinati e combattivi, poiché la battaglia è per noi una forma di inebriamento, tale da avvicinarci ancora di più al nostro modello, il nostro dio, Dioniso", esordì una terza voce maschile.
Una figura apparve dall’interno del tempio, un ebro con l’armatura che appartenne a Maximo, l’armatura dell’Otre. Aveva lunghissimi capelli castani, occhi violacei ed uno sguardo serio e divertito insieme, "Noa", balbettò Remor, osservando il nuovo arrivato, "Comandante", aggiunse Awyn.
"Tranquilli, ragazzi, gli ultimi tre sacerdoti sono più al sicuro sei noi tutti combattiamo insieme contro questa nemica", li rassicurò l’ebro, "Io sono Noa dell’Otre", si presentò poi, "e tu chi sei, titana?", domandò alla nemica.
"Il mio nome è Miranda, padrona del Fuoco", si presentò l’avversaria. Le bianche vestigia della titana erano adornate da quattro giganteschi ideogrammi. Un primo ideogramma, simile ad un tre con un punto al di sopra, era rappresentato sul pettorale dell’armatura, rasentando anche la cinta. Un secondo era simile ad un quadro tagliato in più parti ed era sul braccio sinistro; ve ne era un terzo sul braccio destro, di forma differente dai primi due, ma difficile da spiegare. L’ultimo di questi strani simboli era dipinto sull’elmo, dove risaltavano, soprattutto grazie a questa decorazione, i due occhi rossi, appena visibili, di Miranda.
"Compagni ebri, lasciatela a me", esordì Remor, "voglio combattere proprio come staranno facendo i miei fratelli tuttora", affermò.
"Nobili parole le tue, ebro, vuoi combattere per onorare la memoria dei tuoi fratelli morti contro i miei simili", ribatté la titana.
"I miei fratelli non sono morti", urlò allora l’ebro di Pan, "Se combattono per le divinità olimpiche, lo sono di certo, come presto lo sarai anche tu", affermò tetramente Miranda.
"Genmaken", tuonò all’improvviso Remor, pieno di rabbia, scattando verso la sua avversaria e colpendola con l’attacco mentale paterno.
L’ideogramma sull’elmo della titana brillò di rosso, "Bel colpo, ebro, di certo potente a sufficienza per uccidere la mente di un guerriero titano, o per indebolire un comandante di 3° grado, ma contro di me, un comandante di 2° grado, questo attacco è inutile", spiegò l’avversaria, mentre la luce del simbolo si spegneva.
"Ora", continuò la titana, "subisci nuovamente il mio attacco", affermò, "Spirito di fuoco", urlò.
Il braccio sinistro di Miranda si accese di un colore rosso intenso, simile ad un incendio, quindi all’improvviso un vortice di fuoco partì dal suo arto, gettandosi contro il figlio di Ikki, che, avendo già visto più volte quel colpo, riuscì ad evitare delle ferite mortali, ma fu comunque sbalzato indietro, cadendo ancora una volta a terra.
"Ivy chains", urlò in seguito Awyn, intromettendosi nello scontro per bloccare l’avversaria, "Mi dispiace, baccante, mi hai già fermato una volta, non ti sarà possibile farlo di nuovo", tuonò la titana, evitando la presa e scatenando ancora una volta lo "Spirito di fuoco".
"Rolling defence", invocò allora Awyn, prima che le edere si ponessero a sua difesa, impedendo che il colpo andasse a segno, "Questa è ormai la quarta volta che usi lo stesso attacco, anche uno stupido saprebbe difendersi ormai, pensa le mie abili edere", scherzò la baccante.
"Allora, subirai la seconda delle mie tecniche segrete", sentenziò Miranda, sollevando il braccio destro, "Spiacente, ma non ne avrai il tempo", si intromise allora Noa, saltando verso l’avversaria.
Il cosmo infuocato dell’ebro si concentrò nel suo braccio destro, "Wine vortex", tuonò, scatenando il suo montante infuocato.
"Anche tu controlli il fuoco", osservò stupita la titana, alzando il braccio destro verso il comandante degli ebri di Dioniso, "Mano scarlatta", tuonò poi.
L’ideogramma sul braccio destro brillò di un rosso acceso, che andò confluendo nella mano di Miranda per poi esplodere come un’eruzione vulcanica di solo fuoco, che si gettò contro il montante di Noa, superandolo, per poi colpire il successore di Maximo, che volò a terra.
"Potete attaccarmi anche tutti e tre insieme, ebri, non vi sarà disonore in ciò, ma solo un ultimo ed inutile tentativo di battermi", affermò seriamente Miranda, sollevando ancora una volta il braccio destro verso i tre guerrieri di Dioniso.
"Che ne dite voi?", chiese perplesso Noa, rialzandosi, "Lasciatemi fare un ultimo tentativo, prima di attaccare tutti insieme, voglio provare a sconfiggerla anche senza ucciderla, ma semplicemente facendola perdere nella dimensione bacchica", esordì Remor, ponendosi dinanzi ai suoi due compagni.
Il cosmo del figlio di Ikki si ampliò fino a rappresentare il volto sorridente del suo dio, "Bocca di Dioniso", tuonò all’improvviso il comandante dei satiri, aprendo un varco dimensionale dinanzi a se.
L’ideogramma sull’elmo di Miranda si illuminò di nuovo e la titana riuscì ad oltrepassare il colpo dell’ebro, senza perdersi nella dimensione bacchica.
"Come può essere? Ho spedito in quel luogo anche alcuni dei tuoi soldati", balbettò stupito Remor, "Devi sapere, coraggioso ragazzo, che questo ideogramma sul mio elmo, al contrario degli altri tre, non è offensivo, ma serve solo per i viaggi fra i mondi e nel vostro mondo stesso: tramite questo posso evitare attacchi dimensionali, psichici e muovermi più velocemente con il teletrasporto, inoltre, posso anche mostrarvi la battaglia sull’Olimpo, se volete", spiegò la titana.
"Battaglia sull’Olimpo?", ripeté stupita Awyn, "Si, baccante, nel sacro castello di Zeus è tuttora in corso una battaglia, che ha già visto morire quasi tutte le vostre divinità, Dioniso compreso, al momento Ares è il dio impegnato nel suo ultimo scontro", rispose Miranda.
"Vi concederò quest’ultimo piacere, vedere lo scontro sull’Olimpo, per capire quale immensa forza abbiamo noi titani", affermò la padrona del Fuoco, mentre l’ideogramma sul suo elmo si illuminava di un rosso acceso, che accecò tutti in quella stanza del tempio di Dioniso.
I tre ebri videro iniziare lo scontro tra Ares ed Iapetus. Videro il possente dio della Guerra perde prima la Lancia e lo Scudo, quindi l’Ascia ed infine la Spada per mano del Feroce titano, ora nuovo padrone di una delle armi di Ares.
"Ora, titano, pagherai per avermi disarmato, subirai il potere della mia armatura", esordì il dio della Guerra, minacciando il suo avversario, mentre le sue vestigia divine iniziavano a brillare di una luce intensa, "Armatura del Guerriero", invocò la divinità, scatenando il suo colpo.
Iapetus sollevò nuovamente il braccio al cielo, "Thunderbolt circles", tuonò il titano, mentre i cerchi di saette si espandevano intorno a lui, annullando l’attacco di Ares e correndo contro la divinità guerriera.
"Spiacente", esordì Ares alle spalle del titano, "ma avevo calcolato questa risposta, sono pur sempre il dio della Guerra", affermò la divinità, prima di scatenare un altro suo attacco, il "Big war command", che investì in pieno Iapetus, gettandolo a terra, vicino al trono.
"Bravo, sembri non essere poi un tale fanfarone, dio delle Risse", esordì il Feroce titano, rialzandosi e deridendo in un nuovo modo il suo nemico, "ora subirai però il mio attacco più potente", lo minacciò, sollevando la Lancia.
"Big war command", tuonò di nuovo Ares, mentre il nemico scatenava la "Lancia saettante", annullando la potenza del suo attacco.
"Great dest…" stava per urlare il dio della Guerra alle spalle del titano, ma qualcosa lo fermò, "Speravi forse di colpirmi due volte con lo stesso trucco?", chiese Iapetus, mentre delle sottili scosse elettriche partivano dal suo corpo per fermare gli arti ed i muscoli della divinità sua avversaria, "Credevi che stessi parlando dell’attacco con la Lancia come mio colpo più potente?", domandò sollevando Ares con la sola forza del suo cosmo elettrico.
Una saetta distrusse il tetto della sala di Era per prendere in pieno il corpo di Iapetus, "Ora, Ares, subirai il mio colpo più potente", esordì il Feroce titano, il cui corpo era attraversato da continue scariche elettriche, "Saetta guerriera", tuonò infine.
Le cariche elettriche si concentrarono nel petto di Iapetus, per poi partire, sotto forma di fulmine, verso il volto di Ares.
Il dio della Guerra emise un urlo, quindi il suo corpo iniziò a bruciare, come quello di un mortale arso dalla una carica elettrica. Pochi secondi e poi niente, le vestigia del dio Ares caddero a terra, dinanzi a Iapetus, il vincitore di quella battaglia.
"Bene", esordì una voce nell’armata di bianche vestigia alle spalle del Feroce titano, "nuovo dio della Guerra, ora avanziamo, verso la mia vittoria finale", sentenziò colui che aveva guidato tutti i diversi titani verso questa vendetta contro l’Olimpo.
I tre ebri si ritrovarono nuovamente dinanzi alla loro nemica a Corinto, quando ormai era notte fonda, ma notarono subito che un nuovo guerriero si era unito a loro nel frattempo.
"Chi sei tu?", domandò stupita Miranda, osservando le vestigia dorate del nemico, "Lorgash di Capricorn, sacro cavaliere di Atena, è il mio nome ed il mio titolo", esordì il gold saint, "giunto fin qui per aiutare gli ebri di Dioniso in questa battaglia", spiegò, preparandosi alla battaglia.
"Cavaliere d’oro", tuonò Noa, "se vuoi veramente aiutarci, corri nell’altra stanza a difendere gli ultimi tre sacerdoti del nostro dio, mentre noi tre affronteremo costei", ordinò l’ebro dell’Otre.
Lorgash e Noa si scambiarono uno sguardo freddo, "Si, farò così", sentenziò alla fine il santo del Capricorno, "Buona fortuna, alleati", urlò il gold saint, oltrepassando i tre ebri e la loro nemica.
"Avevi detto che anche attaccando tutti insieme non vi sarebbe stato alcun disonore, giusto?", domandò Noa alla nemica, "Si, in fondo vi è un grande dislivello fra le nostre forze, quindi ve lo concedo, non amerei vincere una battaglia impari", rispose Miranda.
"Remor, Awyn, siete pronti?", tuonò il comandante, "Non possiamo permettere che costoro vincano su tutti i fronti, dobbiamo vendicare il nostro dio", urlò Noa, ponendosi nella posizione del colpo sacro dell’Acquario.
"Si, siamo pronti", urlarono in coro gli altri due guerrieri.
"Eccoti la tecnica massima dei maestri del fuoco seguaci di Dioniso", tuonò l’ebro dell’Otre, "Da me riceverai i grappoli mortali della Vite sacra al dio del Vino", aggiunse la comandante delle baccanti, "Ed io utilizzerò il colpo di mio padre, che ho rimodellato sulla mia impronta energetica", concluse colui che comandava i satiri con le vestigia di Pan.
"Sacra Otre", tuonò Noa, mentre l’Otre cosmica ripiena di energia si scagliava contro Miranda, "Grapes boom", aggiunse Awyn, lanciando i suoi grappoli esplosivi contro la nemica, "Pan attack", concluse Remor, scatenando la sua personale versione delle "Ali della Fenice" paterne.
"Non mi basterà uno dei miei due attacchi precedenti", rifletté la titana, "dovrò usare il mio ultimo segreto", affermò, "Fuoco celeste", urlò alla fine Miranda.
L’ideogramma al centro dell’armatura di titanio brillò di un rosso intenso, quindi sprigionò un fuoco simile ad un corpo, il corpo di un guerriero che impugnava una spada. Questo fuoco, però, perse improvvisamente forma e diventò una gigantesca nuvola infuocata, che si scagliò contro i tre attacchi combinati, annullandoli tutti e dirigendosi verso l’ebro dell’Otre.
"No, Noa", urlarono sia Remor sia Awyn, gettandosi verso il loro comandante.
Fu più veloce il figlio di Ikki, che con una spallata allontanò la baccante, subendo in pieno il colpo nemico, che lo gettò a terra con le vestigia distrutte in più punti e ferito mortalmente.
"Non potevo far morire voi due, io dovevo ridare onore all’armatura di Pan", furono le ultime parole di Remor, figlio di Ikki.
"No, amico mio", singhiozzò Awyn, gettandosi contro Miranda, la quale la evitò con facilità, per poi gettarla a terra con un calcio.
"Grande è il coraggio degli ebri, ma vuoi rendere inutile la morte del tuo seguace?", domandò poi la titana a Noa, puntandogli contro il suo braccio destro.
Un rumore interruppe il dialogo, "Non posso più aspettare", si sentì urlare da dietro la porta, che fu spalancata da un calcio.
Lorgash saltò contro Miranda, "Kuzuryusen", tuonò il gold saint, colpendo nove volte la nemica e gettandola a terra, vicino al foro da cui aveva fatto entrare Remor nel tempio.
"Hai ucciso il fratello di un mio parigrado, il fratello di Abel, e per questo pagherai con la vita", tuonò il santo d’oro, scagliandosi contro la nemica.
"Braccio scarlatto", urlò in tutta risposta Miranda, lanciando il colpo verso Lorgash.
Fu questione di pochi millesimi di secondo: Awyn si pose come scudo del santo d’oro, ma egli non accettò tale difesa e quindi roteò su se stesso, ponendosi lui come scudo per la baccante. Ambedue i nobili guerrieri volarono a terra, svenuti.
"Ora, tu, ebro dell’Otre, vuoi cedere il passo da vivo o da morto?", domandò la titana, minacciando l’unico mortale ancora in piedi con la mano destra.
"Ho ancora un ultimo colpo da usare, nobile avversaria", avvisò Noa, alzando le mani sopra di se, "Vi richiamo a me", tuonò poi verso il cielo, "Holy fires", invocò, mentre delle sfere di fuoco si disponevano a difesa dell’ebro.
Noa diresse le sfere contro la nemica, ma l’ideogramma sull’elmo della titana si illuminò ed ella scomparve da dinanzi ai suoi occhi.
"Mi dispiace di essere fuggita da questo scontro, ma se il mio dio e padre sapesse quanto tempo ho perso con voi non ne sarebbe lieto", esordì Miranda, ormai alle spalle dell’ebro, nella stanza con i tre sacerdoti urlanti per la paura.
"Spirito di Fuoco", tuonò la titana, bruciando vivi i suoi tre ultimi bersagli.
"Addio, coraggiosi ebri, è stato un onore combattervi", furono le ultime parole della Padrona del Fuoco, prima di sparire dalla desolata notte di Corinto.
I titani aveva vinto un’altra battaglia.