Capitolo 13: La famiglia di Ikki
"Molto strano", rifletté un giovane, seduto su uno scalino nella stanza reale del castello di Cartagine, "Cosa Rume?", chiese perplessa Didone, la regina e celebrante di Era, "Madre, forse è stato un mio errore, ma credo di aver percepito un cosmo minaccioso venire verso di noi, ma è scomparso poco fa", rifletté il giovane figlio della regina.
"No, principe, non ha sbagliato, un cosmo superò poco fa Joen e Connor, proseguendo verso di noi, ma stranamente si è spento poco fa", concordò una figura accanto alla regina.
"Scusate se sono giunto fin qui spegnendo il mio cosmo", esordì un guerriero dalle bianche vestigia, entrando nella stanza.
L’invasore era molto esile, le sue vestigia non erano del bel bianco vivo e metallizzato delle altre armature sue simili, ma di un colore spento, un bianco che rasentava il grigio. Non aveva decorazione, solo dei sottili fili erano scalpellati sulla corazza, fili che partendo dagli arti e dalla gola, confluivano in un gigantesco ovale all’altezza del petto. Il nemico aveva dita sottilissimi, quasi delle piccole lame senza punta, il suo elmo delineava perfettamente i suoi denti affilati, inoltre si muoveva ogni volta il titano parlasse.
"Sono Leda, comandante di 2° Grado dell’armata dei titani", si presentò il nemico, "chi di voi è la regina Didone?", chiese in seguito.
"Io sono Rume del Pellicano, Guardian Goshasei e principe ereditario della sacra città, mio padre è Ikki, il santo della Fenice, mia madre la regina Didone, che tu non dovresti nemmeno nominare", si presentò il baldanzoso ragazzo.
Aveva i capelli lunghi e blu, come il padre, i suoi occhi erano rossi come rubini ed i lineamenti marcatamente cartaginesi, come quelli materni, il suo sguardo era determinato e duro.
L’armatura era bianca, le ali costituivano le spalliere ed i bracciali, il becco era aperto e dispiegato sulla cinta, mentre i gambali ed il corpo dell’animale costituivano i gambali ed il torace dell’armatura. L’elmo era costituito da un viso di volatile con due brillanti rossi al posto degli occhi. Oltre a quei due rubini, ve ne erano altri che costeggiavano il torace ed i gambali del cloth del Pellicano.
"Io sono Medea, custode dell’Anello in nome di Era e comandante delle armate dei Goshasei. Il mio casato è quello dei Megres", esordì una donna mostrandosi, aveva le medesime vestigia di Draka, i suoi lineamenti ricordavano quelli della cugina, inoltre i capelli erano violacei, proprio come quelli di Alberich di Megres, suo fratello. Gli occhi, proprio come per Draka, erano bianchi, poiché l’iride sembrava non avere alcun colore.
"Dunque voi due vorreste rischiare la vita per salvare la vostra regina?", chiese divertito il titano.
"Parole grosse per un guerriero senza un cosmo offensivo", lo schernì Rume, "Principe, la prego, lo lasci a me", si intromise Medea, ponendosi fra i due, "No", urlò innervosito il ragazzo, "lui è mio, ho detto che devo batterlo io, sono il principe, quindi la mia parola è legge", sbraitò il figlio di Ikki.
Rume congiunse le mani dinanzi al petto, in segno di preghiera, quindi i suoi occhi rossi come rubini brillarono di una luce intensissima, "Last scream", sembrò urlare il ragazzo, mentre un’onda di energia si gettava contro il nemico.
L’onda sonora esplose, polverizzando il muro dinanzi a Rume, "Bravo, principino, sei proprio potente, peccato che non sei anche furbo e veloce", lo schernì il titano.
Leda fu in pochi secondi alle spalle del giovane principe e conficcò le sue dita sottili nel collo del figlio di Ikki, "Traspirazione", sussurrò nell’orecchio del nemico.
La luce negli occhi di Rume iniziò a spegnersi, mentre il giovane guardiano cadeva in ginocchio, nel medesimo tempo un intenso bagliore rosso illuminò i fili decorati sull’armatura di Leda, prima che questa riprendesse il suo colore chiaro.
"Diamond chakras", urlò la voce di Medea.
Due lame rotanti bianche, simili a diamanti, investirono le mani di Leda, che dovette lasciare la presa su Rume.
"Come hai fatto a produrmi questi graffi?", chiese stupito, osservando la guardiana, che ora impugnava i due cerchi di diamante, "Il diamante è il minerale più resistente in natura, non lo sai?", chiese divertita la Goshasei, "così anche se solo un graffio, ma sono riuscita a produrlo sulla tua corazza", concluse.
"Principe Rume", urlò subito dopo Medea, correndo verso il suo sire, a terra svenuto, "Cosa gli hai fatto?", domandò, "Semplice, ho assorbito il suo cosmo, come farò con te, poi ucciderò anche lei, che resta lì nell’ombra", rispose il titano, indicando Didone, ancora seduta sul suo trono. "Dopo tutto sono Leda, il Parassita", concluse il guerriero sorridendo.
Nelle cavità oculari del titano brillò una fortissima luce rossa, "Non ti permetterò di uccidere le persone che difendo a costo della vita", minacciò Medea, aprendo le mani, "Bukujetsu", affermò, sollevandosi in aria.
"Davvero darai la vita per difenderli?", chiese Leda, "Si", rispose la guardiana dell’Anello, "Bene, allora è giusto soddisfare il tuo desiderio di sacrificarti", concluse il titano.
Sul volto di Medea si dipinse lo stupore non appena riconobbe la posizione presa dal suo avversario: stava per scagliare il "Last scream" di Rume.
"Imitazione", affermò Leda, "Last scream", urlò in seguito, lanciando il colpo del figlio di Ikki, ma non era lo stesso, questa versione era molto più potente, inoltre si muoveva alla velocità della luce, non a quella del suono.
Medea conosceva alla perfezione quel colpo, spesso, in tutti gli anni passati a Cartagine aveva contribuito agli allenamenti del giovane principe, insieme ai fratelli dello stesso. La potenza e la velocità del colpo, però, lasciarono sbalordita la Goshasei dell’Anello, che poté evitarlo solo abbassandosi velocemente, così da giungere alle spalle di Leda.
"Invoco voi, anime della natura, in nome del mio antico casato, il casato dei Megrez, io vi richiamo, o anime che risiedete nella sabbia, attaccate il mio nemico", pregò la guerriera, alzando le braccia.
Gli occhi simili a diamanti iniziarono a brillare di una luce chiarissima, "Neka Yuri Ken", sussurrò Medea, prima che una tempesta di sabbia invadesse la sala ed investisse in pieno il titano.
Il cosmo di Leda lentamente svanì, sepolto dalla sabbia, "Finalmente è caduto", sussurrò la guardiana dell’Anello.
Proprio in quel momento, però, una figura saltò fuori dalla sabbia e si gettò contro la guardiana, mordendola al collo: la tempesta di sabbia si placò, ma con essa anche il cosmo di Medea.
"Medea!", urlò Rume, vedendo del sangue uscire dal punto in cui Leda conficcava i suoi feroci denti aguzzi, il giovane Goshasei del Pellicano, però, non poté fare niente, poiché non aveva la forza di sollevarsi in piedi.
Un cosmo esplose nella sala, impetuoso e gigantesco. La parte posteriore dell’elmo di Leda andò in pezzi ed il titano barcollò indietro.
"Padre", sussurrò Rume, prima di sollevare il capo, "No, purtroppo non sono nostro padre, fratellino, ma sono qui per fare ciò che anche lui avrebbe fatto. Difendere la nostra famiglia", rispose il santo dei Gemelli, Abel uno dei due primogeniti di Ikki e Didone.
"Madre", sussurrò il santo d’oro, osservando la regina sul suo trono.
"Fratello, che hai fatto al titano?", chiese incuriosito Rume, osservando il nemico, in piedi, paralizzato, "Ho usato il <Genmaken> di nostro padre", spiegò Abel.
Un urlo fu emesso da Leda, "Bel colpo, nuovo arrivato, chi sei?", chiese il titano, risvegliandosi chiaramente innervosito, "Il mio nome è Abel, santo dei Gemelli in nome di Atena, mio padre era Ikki della Fenice Divina e mia madre è la regina della Sacra città di Cartagine, Didone", si presentò uno dei due primogeniti di Ikki.
"Come mai il mio attacco psichico non ha avuto effetto?", si chiese il gold saint, vedendo il titano avanzare verso di lui, "Mi hai per caso preso per un comandante di 3° Grado? Io sono Leda, il Parassita, un parigrado di Belinda e Dione, i due titani che guidavano la spedizione contro Atene", spiegò il nemico.
Quando sentì il nome del titano cieco, Abel fu preso da una profonda rabbia, "Strano", esordì allora Rume, riportando alla realtà il cavaliere dei Gemelli, "il suo cosmo appare e scompare, non riesco a capire come", rifletté il giovane principe.
"Non ha un suo cosmo", balbettò in quel momento Medea, alzandosi in piedi, "prima ha assorbito l’energia del principe Rume e gli occhi sono diventati rosso acceso e poi, a resistito al colpo del principe Abel utilizzando l’energia assorbita a me", spiegò la Goshasei dell’Anello, "voi non ve ne siete accorti, ma mentre era fermo i suoi occhi brillavano di una luce bianca", concluse la guardiana preparandosi ad un nuovo attacco.
"Esatto, anzi devo dire che hai una forza sorprendente, cavaliere di Atena, ho dovuto usufruire di tutta l’energia presa a questa donna, cioè la metà della sua forza vitale", confermò Leda, ora circondato dai tre guerrieri cartaginesi.
"Lasciatelo a me, principi", esordì Medea, sollevandosi nuovamente in aria, "No, sei ferita, lascia che me ne occupi io", obbiettò Abel, "No, grazie principe, è mio dovere difendervi fino alla morte, quando il passato Goshasei chiamato Tige mi invitò a seguirlo in questo regno dove sarei diventata la nuova guardiana dell’Anello, proprio come mia cugina Draka, pensavo solo a come onorare la memoria della mia coraggiosa parente, disonorata dalle infide azioni del mio fratello maggiore Alberich, che la fece scacciare da Asgard insieme alla sua famiglia. Con il passare degli anni, però, ho trovato in Didone una maestra ed una seconda madre, l’affetto della regina non era rivolto solo a voi suoi figli, o al marito, ma a tutto il suo popolo ed a tutti e 99 noi Goshasei, malgrado non facessimo parte della sua famiglia, lei ci ha sempre considerato come dei figli", spiegò in lacrime Medea.
"Il mio potere è quello delle illusioni", continuò la Goshasei dell’Anello, rivolgendosi al nemico, "e con questo potere ti ucciderò, morendo anche io per la perdita della mia completa forza vitale", concluse la guardiana.
Gli occhi di Medea si accesero di una luce intensissima e bianca, all’improvviso il suo intero corpo fu avvolto dalla luce, "Multiplication", urlò la guardiana.
Cinque immagini di Medea circondarono Leda, il quale si trovò in dubbio su chi attaccare prima, "Diamond chakras", urlarono contemporaneamente le immagini, materializzando le armi nelle loro mani.
Le cinque figure iniziarono a danzare intorno al nemico, colpendolo più volte con i loro cerchi bianchi. Leda non poté fare altro che subire i diversi attacchi.
"Imitazione", urlò all’improvviso il titano, "Titan chakra", continuò, mentre un cerchio simile a quelli della Goshasei si materializzava nella sua mano sinistra, ma più grande e costituito da un altro materiale.
"Dobbiamo intervenire", comandò Rume, "No, fratello, non possiamo fare molto, se non sappiamo quale sia la vera Medea", ribatté Abel, "Ho detto che voglio intervenire", incalzò il guardiano del Pellicano, ma bastò lo sguardo innervosito del santo dei Gemelli, simile a quello del paterno, per quietare il giovane Goshasei.
Leda, nel frattempo, scagliò il suo cerchio di titanio contro le cinque figure, colpendole tutte alla cinta e frantumando le armature.
Quattro immagini scomparvero, mentre sulla quinta, la vera Medea, si avventò il titano. "Trasmigrazione", urlò il nemico, prima di mordere sul collo la Goshasei, scomparendo con lei in un’intensa luce bianca.
Passarono alcuni interminabili secondi in cui né la madre, né i due figli seppero cosa fare; all’improvviso riapparve il corpo senza vita di Medea, il cui collo era sporco di sangue, "L’ultimo soffio di vita di questa donna mi è stato proprio utile, ho ripreso tutte le mie forze", affermò la voce del nemico, riapparendo alle spalle dei due fratelli.
Abel fu il primo a girarsi e vide il titano in piedi, le vestigia erano lievemente danneggiate dalle lame di diamante, ma lui non aveva ferite, anzi, il suo corpo emanava una nuova forza, che risplendeva nei suoi occhi bianchi e luminosi.
"Ha assorbito la vita di Medea", balbettò Rume, "Si, piccolo principe, ho preso la sua vita e ben presto prenderò la vostra, ma prima ti ricambio il dono di quel terribile incubo, mostrandovi la reale sconfitta dei vostri dei", affermò Leda, prima che una luce bianca accecasse tutti nella stanza.
I figli e la moglie di Ikki si ritrovarono in un corridoio, dinanzi a loro una gigantesca porta in oro e gioielli preziosi, davanti alla porta, come guardie, vi erano due guerrieri dalle vestigia divine, pronti ad affrontare i titani dalle bianche armature che si trovavano di fronte a loro.
I due guerrieri avevano armature fra loro diverse, il primo aveva una corazza azzurra, un elmo simile alla corazza di una tartaruga e alla cinta portava il sacro Caduceo, simbolo di uno solo fra gli dei dell’Olimpo: Ermes.
Il secondo aveva capelli lunghissimi ed ondulati da un sottile vento, le sue vestigia erano bianche, decorate da ali e vortici sul pettorale e sui gambali.
"Sono Eolo, dio dei Venti", esordì questo guerriero dalle bianche vestigia divine, " e lui è Ermes il Messaggero degli dei", disse, presentando il suo alleato in quella lotta, "noi vi impediremo di oltrepassare le porte che danno alle camere di Era e quindi a quelle di nostro padre Zeus", spiegò la divinità dei Venti.
"Bene, dei olimpici, vuol dire che morirete come i vostri fratelli e per mano mia, che già ho tolto la vita ad Artemide ed Apollo, io sono Metis, padrone delle fruste Yajan", si presentò l’assassino dei due fratelli divini, "ed io sono Adraesta, l’Illusionista", si presentò la seconda avversaria degli dei del Sole e della Luna.
La titana sollevò le mani dinanzi a se, "Fumo traditore", sussurrò la nemica dalle bianche vestigia, mentre sia lei sia Metis scomparivano dalla vista dei due dei.
"Stupidi, volete ingannarmi con del fumo?", chiese Eolo, diradando le nubi con il suo cosmo, dinanzi a se, il dio dei Venti trovò solo la titana, "Yajan rotanti", urlò una voce alle spalle del dio dalla bianca armatura.
Un urlo, poi Ermes volò a terra, il messaggero divino aveva fatto da scudo al dio dei Venti, impedendo che due fruste roteanti lo investissero in pieno, con questo gesto, però, il padrone del Caduceo fu ferito alla gamba destra.
"Questo è solo l’inizio della vostra fine", li minacciò Metis.
La luce circondò nuovamente la vista dei figli di Ikki, i quali si ritrovarono di nuovo a Cartagine.
"Didone è inutile tentare di colpirmi con una freccia", avvisò Leda, distruggendo un dardo, lanciato da una piccola balestra ancora in mano alla celebrante di Era.
Il titano aveva già oltrepassato i due fratelli e si dirigeva verso la regina.
"Cosa speri di fare?", urlò Abel, correndo verso il nemico. "Imitazione", urlò Leda, mentre il suo corpo veniva circondato da una luce bianca, "Multiplication", ordinò, utilizzando la tecnica della defunta Medea.
Rume e Abel furono bloccati da quattro immagini di Leda, tutte armate di cerchi di titanio, "Potremmo eliminarle con la <Galaxian explosion> e l’ <All calling>", propose il minore dei due fratelli, "No, rischieremmo di eliminare nostra madre insieme al titano ed alle sue copie", ribatté il santo d’oro.
"Principi", urlò una voce alle loro spalle, "lasciate a noi questi titani, salvate vostra madre", suggerì una figura alle loro spalle.
I due figli di Ikki videro giungere, barcollando, gli altri due Guardians Goshasei, Connor e Joen, i quali avanzarono insieme verso la battaglia.
"Purtroppo per voi è tardi", urlò Leda, bloccando le mani della regina, "Trasmigrazione", affermò il titano, prima di mordere al collo la regina e scomparire con lei nella luce.
"Madre!", urlarono i due fratelli, caricando i loro cosmi, "Esplosione galattica", affermò poi Abel, "All calling", gli rispose Rume.
"Allontaniamoci", suggerì il Goshasei del Falco al suo parigrado.
L’attacco che fu di Saga e Kanon si unì ad un’onda di energia scagliata nel vuoto, distruggendo le quattro copie, il trono e le mura del castello di Cartagine.
"Siete stati bravi", esordì la voce di Leda alle loro spalle, ma ciò che i quattro videro, fu solo il corpo della regina, che cadeva a terra, senza vita e sporco di sangue, "ora vi devo salutare, piccoli uomini, ho compiuto il mio dovere ed assorbito anche molta linfa vitale da queste due vittime", affermò il nemico, prima che la presenza scomparisse dalla Sacra città.
I quattro non poterono fare altro che piangere intorno al corpo della defunta regina di Cartagine, in particolare il dolore prese Abel, già a conoscenza della morte del padre, a cui ora Didone si era riunita.
I titani stavolta avevano raggiunto il loro scopo.