Capitolo 9: Battaglia violenta nel tempio di Ares – Parte 1°
Circe e Jenghis erano l’uno accanto all’altra, i due titani, Janus e Prometheus erano dinanzi a loro, Encedalus, il capo della terna di titani era ancora seduto su un cadavere.
Nessuno fece un movimento da quando uno dei due titani gemello disse che avrebbe raccontato la sua storia al berseker custode dell’Ascia.
"Tradii mio padre e mi schierai con Zeus durante la battaglia che portò alla segregazione delle anime di noi titani nel Tartaro, poi però mi rifiutai di seguire anche gli ordini del mio nuovo dio e padre e concessi agli uomini il fuoco", iniziò a raccontare Prometheus.
"Fu per questo mio dono a voi che il benevolo Zeus non mi uccise, ma mi fece divorare ogni giorno il fegato da un grande avvoltoio", affermò il titano con tono sarcastico, "mentre io soffrivo questa pena, mio fratello, Janus, impazzì. Egli a cui ero tanto legato, soffrì talmente per la mia prigione da frantumare la propria anima, diventando così il dio degli antichi romani, Giano, il Bifronte", spiegò Prometheus, indicando il gemello ora al suo fianco, "solo la mia presenza fa tornare in lui la certezza di chi sia realmente".
"Passai mille su quel monte a subire la condanna di Zeus, finché il nostro sommo Dio padre, colui che tradì, fu risvegliato, almeno in parte, la notte del lungo freddo, così da risvegliare le anime assopite di noi titani, senza poterle liberare", continuò, parlando di fatti ignoti ai due bersekers.
"Vent’anni fa, infine, Egli si liberò parzialmente, in maniera sufficiente da poter aprire il varco del Tartaro, così da far fuggire tutti i miei simili dalla prigionia oscura a cui erano condannati in eterno. Egli, però, non si limitò a ciò, ma, data la sua gran bontà, decise di liberare anche me e di conseguenza mio fratello", sembrò concludere Prometheus.
"Quindi è la riconoscenza ad aver fatto di colui che donò il fuoco agli uomini un assassino?", incalzò innervosito Jenghis.
"No, guerriero di Ares, non so nemmeno cosa sia la riconoscenza, ho deciso di mia spontanea volontà di seguire il mio dio e Padre, né per riconoscenza né per vendetta, semplicemente perché ho visto cosa avete fatto voi uomini del mio dono", rispose irritato il titano.
"Non ti sembra un po’ eccessivo passare da salvatore degli uomini a loro distruttore?", si intromise Circe, puntando la sua arma contro i due gemelli titani, "Non voglio distruggere gli uomini", esordì Prometheus, spiazzando tutti i presenti nella sala, eccetto forse Janus, "voglio uccidere i veri colpevoli della vostra degradazione: Zeus e gli altri dei dell’Olimpo", concluse con tono pacato il titano.
"Oltre a chiunque si metterà fra noi e loro", aggiunse divertito Encedalus.
"Grandi parole le tue, titano, ma mi sembrano solo le follie di un essere pieno di desiderio di vendetta, niente di più", accusò Jenghis, preparandosi ad un nuovo attacco.
"Davvero? Così mi dai solo ragione, dimostrandomi che non vi considerate miei debitori, ma seguaci di stupidi dei quali Zeus o Ares", incalzò Prometheus, "Non osare offendere il grande dio della Guerra", lo minacciò allora Circe, intromettendosi fra i due.
"Encedalus, Janus, dirigetevi dagli altri due bersekers, costoro moriranno adesso, per mia mano", ordinò Prometheus.
"Bene, sapevo che ti saresti occupato di loro velocemente", si congratulò il titano alato, alzandosi in piedi, "noi andiamo avanti allora", concluse divertito, ordinando con un gesto al terzo di seguirlo.
"Dove sperate di andare?", urlò Circe, esplodendo il suo cosmo.
"Esplosione galattica", esordì Prometheus, ponendosi dinanzi ai guerrieri di Ares.
"Circe allontanati", ordinò Jenghis, mentre le sue vestigia si sganciavano dal corpo. Un bagliore riempì la sala.
Quando riaprì gli occhi, la custode della Lancia notò l’armatura dell’Avvoltoio e l’Ascia di Ares vicino a se, ma non vide il loro custode.
"Incredibile", balbettò Prometheus. Tutti si voltarono a guardare cosa avesse stupito quel titano e capirono subito il perché di quel termine: Jenghis era in aria, galleggiava per l’immensità del suo cosmo, fra le mani conteneva la potenza del colpo del titano suo nemico.
"Un uomo è riuscito a bloccare l’<Esplosione galattica>?", chiese stupito Janus, "Si, fratello mio", gli rispose il suo gemello.
"Ora, tu, generoso protettore degli uomini, divenuto un nostro nemico, subirai il più potente colpo del custode dell’Ascia, colui che domina questa immane <Aura da battaglia>", lo minacciò Jenghis, "Ed insieme ad esso subirai anche il mio colpo migliore", aggiunse Circe, mentre il suo cosmo sganciava l’armatura della Iena dal suo corpo possente.
"Mi avete stancato, stupiti mortali", tuonò all’improvviso Encedalus, "ora combatteremo a modo mio", ordinò ai suoi due subalterni, sollevandosi in cielo, "Prometheus, fatti da parte, Janus, quando te lo dirò scatena il tuo attacco contro quei due, io mi occuperò degli altri", concluse il titano alato.
Le ali bianche di Encedalus brillarono di una luce accecante, "Ora Janus", urlò il titano.
Il secondo dei gemelli si preparò, congiungendo le mani dinanzi al corpo, un bagliore nero si concentrò fra le sue mani.
"Heaven flap", urlò il titano alato, mentre sbatteva le ali dinanzi al suo corpo, "Gemini black fist", rispose Janus, scagliando un vortice di fiamme nere contro i due bersekers senza vestigia.
Le due ondate di energia avevano una forza incredibile, nessun normale essere umano sarebbe sopravvissuto a tanta potenza. L’intero castello di Ares andò in polvere, eccetto nel punto fra Janus ed Encedalus, dove si trovava Prometheus.
"Ci voleva così tanto per ucciderli tutti?", chiese divertito il titano alato, scendendo a terra.
Una risata rispose alla sua domanda. Il comandante di 2° grado vide un riflesso accecante spuntare dal fumo dinanzi a se, "Probabilmente sarebbe bastato, se lo Scudo di Ares non ci avesse protetto", affermò divertito un guerriero dalle rosse vestigia, apparendo ai tre nemici, insieme ad un suo parigrado armato di spada.
"Io sono Rasuin dell’Orso, custode dello Scudo", si presentò il berseker dall’armatura rossa, aveva lunghi capelli verdi che gli scendevano sulla schiena ed occhi neri come pietre.
"Io, invece, Adtula del Leone, custode della Spada", aggiunse il secondo da biondi capelli, i cui occhi brillavano di un rosso intenso da sotto l’elmo.
"Almeno sono rimasti solo in due", affermò con tono beffardo Encedalus, preparandosi ad attaccarli.
"Ne sei proprio sicuro, titano?", chiese una voce che nessuno aveva sentito prima in quel luogo.
Il fumo si diradò anche alle spalle del titano alato e questa volta a brillare furono due scudi dorati, parte dell’armatura di un santo di Atena, il cavaliere della Bilancia.
"Grazie, Ryo", esordì Jenghis, mostrandosi insieme a Circe, ambedue si erano difesi con gli scudi di Libra, che il cavaliere d’oro aveva posto dinanzi a se ed ai bersekers.
"Un cavaliere d’oro? Belinda ha fallito?", domandò stupito Prometheus, "No, purtroppo non ha fallito", rispose con tono triste il santo d’oro, "ma alcuni di noi sono sopravvissuti ed adesso cercano giustizia", urlò infine il figlio di Shiryu.
"Janus, Prometheus, combinate i vostri attacchi contro questi tre, io mi occuperò degli altri due", ordinò Encedalus, alzandosi in cielo.
I due gemelli titani congiunsero entrambi le mani dinanzi al petto, una sfera bianca ed una nera si stavano formando per mezzo dei loro cosmi, che brillavano di due colori complementari.
"Quei due colpi potrebbero distruggerci, non possiamo difenderci soltanto", esordì il santo di Atena, "La cosa migliore è rispondere ad un attacco con un altro attacco", propose Jenghis, "voi siete d’accordo?", chiese infine, "Certamente, uniamo i nostri tre colpi migliori, è l’unica via", concordò infine Circe.
Ryo espanse il suo gigantesco cosmo dorato, simile a draghi che si alzavano in cielo, Circe espanse il suo cosmo violaceo, che emetteva un suono sinistro, e Jenghis fece esplodere la sua gigantesca aura carica di fulmini.
"Siete uomini pieni di coraggio e di valore, peccato che abbiate scelto le divinità sbagliate", affermò Prometheus, mentre il suo cosmo si concentrava sempre di più, "Non è per colpa dei nostri dei che noi uomini dobbiamo subire una punizione ingiusta. Ognuno è responsabile delle proprie azioni e scelte, mi ha sempre detto mio padre", ribatté Ryo.
"Ora fratello", urlò Janus, "Gemini Black Fist", urlò il titano, "Gemini White Fist", gli rispose il suo gemello.
"Avvoltoio energetico", urlò in risposta Jenghis, "Howling laugh", aggiunse Circe, "Per Ares", urlarono insieme, "Per Atena", continuò il figlio del Dragone Divino, "Colpo dei 100 draghi", affermò.
I due vortici di colore opposto, l’avvoltoio elettrico simile ad un fulmine, l’ululato energetico e gli artigli dei 100 draghi del monte Ro, si scontrarono in quello che un tempo era il castello di Ares.
Quando ancora i cosmi dei cinque combattenti si stavano espandendo, Encedalus aveva già iniziato il suo attacco agli due bersekers.
"Predatore celeste", urlò il titano, scagliandosi contro Rasuin, "Scudo difensivo", ribatté il guerriero dalle rosse vestigia, sollevando la sua Arma.
Lo Scudo assorbì in pieno il colpo per poi, come già faceva per il suo passato padrone, Rakis, rispedirlo contro l’avversario.
Encedalus fu più veloce della sua immagine riflessa sull’Arma ed evitò l’attacco, "Spiacente, guerriero di Ares, difesa troppo poco divina per me", lo derise, preparandosi a colpirlo di nuovo, stavolta con l’estremità dell’ala.
La Spada di Ares si pose fra i due sfidanti, "Ora è il mio turno, titano", lo avvisò il berseker del Leone, "Perfetto, anche perché tu, comandante dell’armata di Ares eri dall’inizio il mio bersaglio, poi ucciderò anche gli altri", lo schernì Encedalus.
"Lo vedremo", ribatté Adtula, "Spada distruttrice", invocò, scatenando la potenza della sua Arma.
L’onda di energia si diresse verso Encedalus, che utilizzò le ali come protezione per il suo corpo, così da evitare di essere ferito mortalmente. La sua difesa però non fu perfetta, poiché un lembo dell’elmo si distrusse, lasciando vedere la pelle chiara, ed ora insanguinata, del titano.
"Ora morirete entrambi", urlò Encedalus, preparandosi ad attaccare, ma l’esplosione dei cinque colpi alle sue spalle, attirò la sua attenzione.