Capitolo 6: "In memoria di Shun"
"Ci siamo riusciti", ripeté felice Hamer, anche se cieco, ancora in grado di tenersi in piedi, "Si, siamo riusciti a battere lei, ma contro il resto dell’esercito che faremo?", chiese quasi divertito Rabat, indicando a Daidaros il gran numero di nemici.
"Siete riusciti solo a farmi arrabbiare!", urlò all’improvviso Rhea, mentre il suo cosmo riempiva l’intera zona.
Nessuno dei cinque riuscì a dire niente, la guerriera dalle vestigia di titanio si rialzò, zoppicava, non riusciva a muovere il braccio sinistro, del sangue le bagnava le bianche guance, ma era in piedi, incredibilmente infuriata, "Ora vi uccido", furono le sue uniche parole.
La titana si guardò intorno, "Tu", urlò indicando Hamer, "mi hai prodotto una scossa incredibilmente dolorosa alla gamba sinistra con quelle tue sfere chiodate. Tu, senza vestigia, invece, mia rovinato il volto, come hai potuto?", urlò ancora, verso Awtera, "e tu, vermiciattolo con lo scudo, mi hai pietrificato la spalla sinistra, usufruendo della piccola spaccatura nelle mie vestigia", concluse, parlando con Rabat.
Un’altra esplosione di luce riempì la zona, Rhea scattò verso Hamer, lo prese per la testa con la mano destra, "Astro celeste", urlò poi.
Nuovamente le stelle sembrarono allontanarsi dalle vestigia di titanio per confluire nella mano della semidea ed esplodere, stavolta sul capo del santo di Canis Minor, che andò in pezzi.
Il primo dei santi d’argento era morto.
"Hamer è caduto", disse una figura nell’ombra in una zona della strada poco lontana da quella, "Devo dire che avrei voglia di correre lì ad uccidere colui che si è macchiato del sangue dei miei maestri", rifletté a quella notizia il santo della Balena.
"Come ti ho già detto prima Dao, silenzio, non riesco a percepire il proseguire della battaglia", affermò il santo di Orione, "Tu percepisci qualcosa, Kano?", chiese alla figura nell’ombra, di cui si intravedevano solo gli occhi ed un’intensissima luce verde al centro della fronte, "No, Kram, sembra che lo scontro si sia momentaneamente quietato", rispose il santo d’argento di nome Kano.
"Speriamo che riescano a resistere, altrimenti, credo sia meglio che corriamo ad aiutarli", propose Laios di Ercole, "No, gli ordini sono di restare qui", ribatté Kram di Orione, "Credi che non soffra? Marin è la mia insegnate, ma lei è sempre stata la prima a dirmi di seguire fino alla mia stessa morte il volere di Atena e del suo oracolo", spiegò il guerriero d’argento.
Laios lo osservò, aveva cortissimi capelli biondi, che quasi non distinguevano sul capo, dei lineamenti chiaramente nord europei ed occhi azzurri come il mare, poteva facilmente definirsi un ragazzo affascinante.
"Tu che ne pensi, Xael della Corona Boreale?", chiese Dao, rivolgendosi al quinto componente della seconda difesa d’argento, "Dobbiamo aspettare qui", rispose freddamente il santo d’argento, "sono questi gli ordini del gran Sacerdote", concluse il nuovo Maestro dei Ghiacci.
Dao e Laios osservavano stupefatti come quei due guerrieri, uno santo della Corona Boreale ed allievo di Hyoga del Cigno e l’altro santo del Pavone ed allievo di Kaor l’asceta, sembrassero incredibilmente calmi in una situazione del genere.
"Castalia, mia maestra, ti prego sopravvivi", supplicava nel frattempo Kram di Orione.
"Maledetta", urlò Awtera, concentrando il suo cosmo e dirigendo le quattro lame rotanti contro Rhea, "Nebula chain", invocò nel medesimo tempo Daidaros, in lacrime per la morte dell’amico.
La titana bloccò le catene con la mano destra, mentre con un movimento poco raffinato del braccio sinistro fece in modo che le lame dell’Auriga si frantumassero contro le sue vestigia quasi indistruttibili.
"Ora muori, cavaliere con le catene", minacciò Rhea, tirando a se il santo di Cefeo.
Una stranissima forza le si oppose, "Che cosa accade? E’ come se costui avesse dei pesi alle gambe tali da impedirmi di attirarlo a me", pensò la signora della Luce, "Chi osa?", urlò infuriata, poi capì: la sacerdotessa senza più ne difese ne offese, stava bloccando il corpo del suo avversario con le sue capacità psichiche.
"Togliti di mezzo, mocciosa", ordinò Rhea, rivolgendosi alla sacerdotessa guerriero, "Mai, mio fratello voleva che il figlio del suo maestro vivesse. Questo è ora il mio unico motivo per restare viva", ribatté Awtera, aumentando il suo cosmo, "Presto, Rabat, Marin, vi prego, liberate Daidaros dalla presa di costei", supplicò la sacerdotessa, chiaramente stanca.
Ambedue i santi d’argento concentrarono i loro cosmi e scagliarono le loro sfere di energia contro il braccio destro della titana, che subì senza alcun danno l’attacco di Rabat.
Le sfere di energia del "ryuseiken", invece, deviarono la loro traiettoria all’ultimo, dirigendosi verso le catene delle vestigia di Cefeo, che distrussero, permettendo a Daidaros di salvarsi.
"Marin…", balbettò il figlio di Shun, "Non ti preoccupare, cavaliere, le tue catene, come quelle di tuo padre, sono un tutt’uno con te, ampliando il tuo cosmo le ricostituirai", spiegò la sacerdotessa guerriero.
Rhea guardò i suoi quattro avversari, poi si abbassò al suo braccio sinistro e quindi al destro, dove notò una macchia di sangue. La titana rimase stupita, "Impossibile, quelle catene o le sfere non possono avermi ferito al braccio", poi però capì, il sangue le era caduto dal volto, dai tagli prodotti dalle lame rotanti. La rabbia riprese possesso di lei, aveva trovato la sua prossima vittima.
La signora della Luce si gettò sulla sacerdotessa guerriero dell’Auriga. Un pugno in pieno volto alla velocità della luce frantumò la maschera sacerdotale, mostrando il volto innocente ed ora ferito di Awtera, i cui occhi erano spenti.
"Con te non userò nemmeno un colpo, mi basterà il braccio destro, ormai", furono le uniche parole di Rhea, prima di scagliarsi come una furia sulla sua avversaria.
Passarono solo 3 secondi, di Awtera non era rimasto che un corpo deformato e pieno di sangue, Rhea stessa era completamente sporca di sangue, le sue vestigia bianche erano ora quasi rosse, il suo volto tagliente, i suoi capelli gialli erano ormai macchiati del sangue della sacerdotessa appena morta.
"Credo sia stato un errore mandare Rhea contro costoro", rifletté Sinope, all’intero del gruppo di titani, "Buffo, vero? La signora della Luce è la più oscura e maligna di tutta questa armata", scherzò un’altra voce maschile, "Bé, forse non la più oscura, ma di certo la più sanguinaria", si corresse poi, "dopo la nostra comandante Belinda", concluse questo secondo titano.
"Ora voi due", avvisò la titana sporca di sangue, "Colonne del cielo", urlò, mentre i fasci di luce si dirigevano verso Rabat e Daidaros.
"Lo scudo della Medusa ci salverà", propose il santo di Perseo, ponendosi dinanzi al santo di Cefeo.
Il colpo non toccò mai lo scudo, ma investì in pieno un altro corpo.
I due santi d’argento guardarono oltre lo scudo: Marin era dinanzi a loro, le sue vestigia erano ormai polvere, solo la maschera era rimaste integra.
La sacerdotessa guerriero indietreggiò di alcuni passi, "State bene?", chiese, "Si, Marin, grazie, e tu?", chiese Daidaros, mentre la sacerdotessa guerriero cadeva sullo scudo di Perseo, "Non preoccupatevi per me, cavalieri, ma allontanatevi, l’Aquila d’argento volerà per l’ultima volta", ordinò Castalia, rialzandosi.
"Ti prego, sacerdotessa guerriero, permettici di aiutarti", supplicò il figlio di Shun, "No, come ha detto Awtera, devo onorare la memoria di Andromeda salvandoti, Daidaros", ribatté la sacerdotessa dell’Aquila.
"Eagle clutch", urlò poi l’insegnante di Pegasus, scagliandosi contro l’avversaria.
Rhea non dovette nemmeno muoversi, poiché capì subito che il colpo non l’avrebbe raggiunta, ma la avrebbe avvicinato abbastanza alla guerriera di Atena da permetterle di ucciderla.
"Hai sbagliato mira, cieca", la derise la titana, prima di muoversi per colpirla con un calcio al fegato.
Marin dell’Aquila evitò l’attacco e si gettò sull’avversaria, bloccandola con le braccia e le gambe, "Mi dispiace, ma non ho sbagliato mira. Quello non era l’ultimo volo dell’Aquila", sussurrò a Rhea, quindi fece esplodere il suo cosmo oltre ogni limite concesso, "Questo è l’ultimo volo dell’Aquila, un volo verso la volta celeste", bisbigliò alla nemica, prima che entrambe si perdessero in un fascio di luce.
"Aioria", sembrò essere l’ultima parola della sacerdotessa dell’Aquila.
"Marin", urlò Seiya dalle sue stanze, l’oracolo era a terra, piangente, "Perché, perché non ho potuto salvarti, perché?", si chiedeva disperato.
"Marin", balbettò Kram di Orione, appoggiandosi ad una roccia, "perché lo hai fatto?", si chiese il santo d’argento, mentre Dao e Laios lo aiutavano a tenersi in piedi.
"Marin, maestra mia", balbettò un terzo guerriero, correndo verso il luogo in cui si era svolto l’estremo sacrificio, "Fermo, Robin", urlò Shiana, bloccandolo, "No, Marin si è sacrificata, non posso stare qui", urlò piangendo.
"Cavaliere della Sagitta, resta fermo qui", urlo la sacerdotessa guerriero dell’Ofiuco, singhiozzando.
Tutti soffrirono per la morte della sacerdotessa dell’Aquila.
"Sono rimasti in due, guerrieri titani, eliminateli", ordinò la voce di Belinda dal centro della fila.
Cinque guerrieri titani andarono verso i due santi d’argento.
Rabat si pose a difesa di Daidaros, "Sai, a forza di sentirlo ripetere, mi sono convinto anche io che tu debba essere difeso in onore di tuo padre", disse con un maligno sorriso rivolto al santo di Cefeo.
Il figlio di Shun fu sorpreso da queste parole, non credeva che Rabat, comportatosi sempre come un combattente determinato ed insensibile fosse pronto a salvargli la vita.
"Ritiratevi", gli urlò una forza cosmica, "Chi è mai?", chiese Daidaros, notando che quel cosmo quasi divino circondava entrambi, "E’… è", balbettò il santo di Perseo, "il mio maestro, il grande Shiryu", affermò felice Rabat.
"Esattamente, allievo, sono io, vi ordino di ritirarvi, altri si occuperanno di distruggere quest’armata, oggi voi avete fatto abbastanza, raggiungendo il settimo senso", concluse il santo del Dragone Divino.
"Come possiamo ritirarci?", chiese Rabat a Daidaros.
Il figlio di Shun si guardò attorno e notò una cavità sopra di loro. "Le mie catene possono ricostruirsi", si disse, prima di espandere nuovamente il suo cosmo fino al settimo senso, così da ricostruire le sue armi.
"Vieni, Rabat", propose Daidaros al compagno, quindi insieme si allontanarono dal gruppo di titani.
"Soldati, non inseguiteli, non sono loro il nostro bersaglio principale", affermò la voce di Belinda, "Continuiamo, verso il Grande Tempio di Atene", concluse la comandante dell’armata, mentre il fatale esercito si dirigeva verso la seconda schiera di santi d’argento.