Capitolo 5: L’ultimo momento di pace

Edoné aveva in mano il libro dorato e stava per iniziare la lettura di quel testo che già in passato aveva aiutato i cavalieri nella battaglia contro Urano e tutti i guerrieri riuniti nel Tempio di Ermes già pendevano dalle sue candide labbra, mentre lei iniziava a leggere.

"Un’antica leggenda, vecchia quanto il mondo e forse di più, narra di un periodo, durante la lotta fra il Cielo ed il Mare per il dominio sulla Terra, in cui, una quarta essenza si mostrò alle divinità Ancestrali: una creatura a loro pari per potenza, ma diversa per origine e ragioni di vivere.

Questa creatura si presentò come il dominatore di Violenza e Distruzione, l’essenza stessa del Disordine, colui che il Cielo stesso definì il Caos.

Questa quarta divinità Ancestrale si mostrò ai due esseri in contrasto travolgendoli entrambi con la propria potenza, tale da rischiare quasi di distruggere loro e la sposa che uno di loro ardeva avere.
Ci vollero decenni perché i due dei capissero l’origine di questo nuovo essere, anni che per loro furono come giorni, data la loro immortale natura, ma che portarono ad una scoperta sorprendente.

Il Caos, così com’era stato battezzato, aveva avuto origine dai contrasti tra il Cielo ed il Mare, il loro odio e la violenza scaturita in decine di battaglie divine, si era accumulato ed essendo ricco del cosmo proprio di divinità Ancestrali, prese infine una forma propria, quella che ora, come Fuoco ardente, voleva abbattersi sulle essenza da cui aveva avuto natali.

Urano e Pontos, quindi, si decisero e con il loro potere, stavolta congiunto anziché in opposizione, richiusero quella creatura del Disordine in un sigillo divino che gli impedisse di prendere forma propria.

Il Caos, però, trovò una via per mostrarsi, disperdendosi nell’aria e nutrendo della violenza insita in ogni essere e sotto questa forma aspettò.

Ci vollero decenni, ere in cui agli dei Ancestrali si succedettero Crono e poi Zeus, ma in tutto questo periodo si accumulò abbastanza violenza, odio, disperazione e disordine negli uomini, da far riprendere struttura solida al Caos, il quale, però, non poté, per quell’antico sigillo, liberarsi, quindi, si congiunse con quattro armature e con i loro padroni, degli uomini particolarmente corruttibili.

Questi furono definiti gli Horsemen, i Quattro Cavalieri che portavano la Fine".

"I Cavalieri dell’Apocalisse", rifletté Anhur, "Si, Pharaon di Selkit, hai ragione, proprio loro i nostri nemici", concordò Edoné, fermando la lettura.

"Ma noi abbiamo visto uno di questi esseri ed il suo cosmo era di molto superiore a quello di Jabu e dei suoi compagni e degli stessi santi divini, eppure sono soltanto uomini nutritisi di essenza divina, da ciò che hai letto, oracolo di Ermes", osservò con un po’ di dubbio Odeon di Leo, "Aspetta, cavaliere del Leone, ora sentirai le spiegazioni che desideri", lo avvisò l’allieva di Dafne del Flauto, riprendendo la lettura.

"Non è chiaro il periodo, ma sembra che la città di Ilio non fosse stata nemmeno iniziata, né la maggioranza delle città elleniche, o sacre ad altri dei, quindi, posso supporre, che il periodo fosse approssimabile all’età del Bronzo.

Le notizie sull’avvento dei Cavalieri sono molto confuse, ma è certo che il primo ad apparire fu la Guerra, dalle nere vestigia, con una cicatrice sull’occhio destro. Poco dopo arrivò anche la Bianca Morte dal viso pallido, quindi il folle Cavaliere della Pestilenza ed il furente essere della Bestia, che poco aveva di umano durante gli scontri.

Passarono circa due millenni in cui questi esseri distrussero interi villaggi, sterminando popolazioni, divinità antiche e pari di Zeus, Ra, Odino e Brama, alleandosi però con altre.

Una di queste divinità avverse fu Morrigan, la nera Signora delle guerre nella lontana Caledonia, dove tutti la riconoscevano quando giungeva a cavallo insieme alle sue sorelle Nemain e Badb.

Quando gli dei capirono il vero pericolo che questi quattro Figli del Caos producevano nel mondo, decisero di intervenire muovendo i loro eserciti di uomini.

Allora, per quel che so, i santi di Atena, e non solo loro, ancora non avevano ricevuto le vestigia sacre con cui combatterono diverse guerre dalla distruzione di Atlantide in poi.

Queste centinaia di uomini armati solo del loro coraggio, ma privi di ogni copertura metallica, si lanciarono contro i Quattro Horsemen, tutti coperti da vestigia nutrite con il Disordine e la Violenza che loro stessi producevano.

La guerra fu campale e lunghissima, per tre anni i Cavalieri ebbero la meglio, distruggendo ogni esercito che gli si lanciava contro e spazzandone via alcuni dalla faccia stessa della terra, come i Giudici di Nabucodonosor, che non furono mai ricostruiti e di cui io stesso ho trovato solo alcuni accenni durante le mie ricerche.

Diverse volte, però, in quei tre anni alcuni uomini dissero che avevano ucciso i Quattro Cavalieri, ma, costantemente, questi tornavano, rubando il corpo di un nemico e dandogli la loro forma originaria.

La cavalcata dei Cavalieri sembrava essere immortale come loro.

Solo grazie agli studi di divinità sagge quali Thot, Atena, Hemdall e Brama stesso, si riuscirono a scoprire i due difetti di quell’armata distruttiva.

Il primo difetto era la loro stessa natura; ogni cavaliere poteva essere sconfitto dalla propria dualità, poiché essi si nutrivano di ciò che gli dava nome, fu facile concludere che l’opposto della loro natura li rendeva deboli.

Il secondo difetto, invece, era la loro forma spirituale, rinchiudibile da un qualsiasi discendente di Urano, diretto o indiretto che fosse, cioè da un qualsiasi dio, che avrebbe potuto, una volta uccisa la forma umana dell’Horsemen, rinchiuderne l’anima, impedendo che si riunisse con la propria armatura.

Usufruendo di questi due punti deboli e del nuovo esercito formatosi nel Celeste Impero, un’armata di Dodici Guerrieri dalle verdi vestigia, i Greengold Runouni, da quel che ho sentito dire, durante il quarto anno di lotta, gli Horsemen furono sconfitti, insieme a tutti i loro alleati per essere nuovamente sigillati con una forza che solo una divinità Ancestrale avrebbe potuto fronteggiare".

Con queste parole Edoné concluse la propria lettura, appoggiando il grande libro dorato al tavolo.

"Interessante racconto, oracolo di Ermes, che ci spiega come questi cavalieri siano nati e come si possa fermare la loro forma spirituale, grazie al controllo divino, ma non ci lascia capire come abbatterli con la loro stessa dualità, o con ciò di cui parlava quel cavaliere dei Pesci molto anziano", rifletté Anhur di Selkit.

"Parole sagge le tue, Pharaon, inoltre, questa storia non spiega come i Quattro abbiamo liberato Morrigan, o altre divinità, ma solo come loro stessi sono stati liberati da Gea", aggiunse Taranis del Nocciolo.

"Mi dispiace avvisarti, Tree Monk, che nemmeno questa notizia è data dal testo dorato, malgrado ciò che puoi aver intuito", lo contraddisse Mamiya, abbassando il capo verso il tavolo.

"Allora perché non ce lo spieghi tu? Magari raccontandoci anche come i vostri predecessori li sconfissero", replicò con tono infastidito Rhiannon, alzandosi in piedi.

Fra le due guerriere di diversa origine ci fu uno sguardo pieno d’odio, poi Dorton e Taranis si posero in mezzo fra loro, impedendo che quella minaccia offerta con gli occhi potesse scaturire in una violenta battaglia interna.

"Non è saggio combattere fra noi, dobbiamo aiutarci vicendevolmente", suggerì allora Botan di Cancer, alzandosi in piedi e cercando aiuto, con un movimento del capo mascherato, fra i propri pari.

Ryo di Libra si alzò subito dopo di lei, "La Sacerdotessa d’Oro del Cancro ha ragione, quindi vi pregherei di quietare i diverbi e, per prima, che parli Mamiya, se vuole, spiegandoci il punto di vista dei Runouni, l’esercito nato millenni fa per eliminare questa minaccia", propose il santo della Bilancia.

La verde guerriera del Topo riprese allora la parola, "Dovete sapere che sul modo in cui avvennero gli scontri fra i Runouni e gli Horsemen non sono rimasti testi scritti, solo due notizie sono certe, cioè che l’unico sopravvissuto fra i dodici indossava le vestigia del Cane e che depositò il sigillo dei Quattro in una grotta nella lontana Mesopotamia, un luogo che, probabilmente, saprei raggiungere dati i graffiti che ho letto durante gli anni al servizio di Shishio", spiegò Mamiya.

"Allora è quello il primo posto in cui dirigerci", esclamò Jenghis, alzandosi in piedi, ma un veloce movimento di Koryo lo invitò a sedersi di nuovo, "Purtroppo, amico mio, dobbiamo occuparci anche degli alleati dei Cavalieri, fra cui le Furie si sono già mostrate, rivelandosi un pericolo piuttosto grave con il loro battito d’ali", osservò il Beast Keeper di Seiryu.

"Esatto", concordò Golia del Toro, prendendo la parola, "Tu, Jacov, come hai resistito al loro suono assordante, senza frantumarti i timpani come la nostra Somma Sacerdotessa Shaina, che per non tutti si è sacrificata?", domandò il santo della Seconda Casa al cavaliere d’argento.

"Ho otturato le orecchie con del ghiaccio, in modo da impedire che il suono le oltrepassasse con vibrazioni di quel tipo", rispose il santo della Croce del Sud, "Una tecnica molto pericolosa", lo ammonì allora Camus dell’Acquario, "poiché se le vibrazioni fossero state più potenti, il ghiaccio si sarebbe potuto frantumare nelle tue orecchie, o peggio esplodere, rischiando perfino di ucciderti", osservò il figlio di Hyoga.

"Se questa tecnica è così rischiosa, temo che dovremo scartarla, ma come affrontarle allora, sperando in qualche possibilità di vittoria senza eccessive perdite?", domandò allora Zadra dello Scultore, intromettendosi nel discorso.

"Io ho un piano", sibilò la voce di Koga della Scimmia, "ma per metterlo in alto mi servirebbe l’aiuto di Real e dei due musicisti degli altri eserciti, cioè il giovane musico egizio ed il Tree Monk che ho potuto conoscere giorni fa, Ilew", propose il Runouni.

"Puoi sempre contare su di me", esordì il santo della Lira, "E su di me", aggiunse il guerriero celtico del Salice, "Anche su di me, se il mio comandante me lo concederà", concluse il Pharaon di Khepri.

Tutti allora si voltarono verso Anhur, che subito si alzò in piedi, "Puoi espormi il tuo piano, mio nuovo alleato?", domandò con tono titubante il comandante dell’armata egizia.

"Certamente", rispose Koga, alzandosi in piedi, "se, come tutti loro dicono, quelle emesse dalle Furie sono semplici vibrazioni, cioè suoni fastidiosi, se preferisci rumori, basterà una sinfonia più potente e dalle tonalità più alte per sconfiggere quel muro offensivo che paralizza gli avversari delle Tre. Probabilmente, oltre a rendere i nostri attacchi potenti come negli scontri normali, riusciremo ad indebolire queste tre divinità infernali", concluse il Runouni.

"Divinità è la parola esatta", osservò allora Neleo, rubando la parola ad Anhur, "poiché, anche se le indebolite, come riuscirete a rubare loro la vita. Sappiamo che gli Horsemen possono essere abbattuti con i loro opposti, cosa pericolosa se dei dodici Runouni solo uno se ne salvò allora, ma contro gli dei loro alleati che potremo fare?", incalzò il mariner di Hammerfish.

"Anche per questo ci siamo riuniti, Generale dei Mari, perché tutti possano spiegare il modo di abbattere le divinità a loro avverse. Per quel che riguarda le Furie, posso dirvi io stessa che, da ciò che ho letto in questo testo, possono essere abbattute solo perforando i loro cuori neri", rispose immediatamente Edoné, rubando la parola a Ryo.

"Cosa potete dirci invece delle divinità indiane, di quelle egizie e di Morrigan e le sue seguaci?", domandò allora il santo di Libra.

"Sugli dei egizi, so per certo che l’unico modo di sconfiggerli è distruggere le mummie di cui hanno preso i corpi, decapitandoli. Se le mummie perdono le teste, ritorneranno polvere, mi disse una volta il sommo Ra, quindi Apophis ed i suoi seguaci non avranno più degli involucri mortali e ritorneranno nei loro sarcofagi neri", spiegò seccamente Sekhmet, prendendo la parola, "Esatto", concordò Anhur, "inoltre, posso dirvi che per me, Ihi può partecipare a questa battaglia ad Atene, in onore dei tanti momenti in cui ho combattuto insieme ai voi, santi di Atena", concluse il comandante dei Pharaons.

"Per quel che riguarda Morrigan e le sue seguaci", affermò allora Taranis, "c’è un solo modo per abbatterle tutte, cioè uccidere la loro comandante stessa", spiegò.

"Potete uccidere Badb e Nemain mille volte, ma se non eliminate lei, loro non cadranno", concluse il Tree Monk del Nocciolo.

"Sugli dei indiani, ho avuto una sola risposta dalla somma Kalì, cioè che lei stessa avrebbe accompagnato le loro anime nella pace eterna, una volta eliminati i corpi umani", aggiunse poi Koryo, prima di ritornare a sedersi.

"Dunque, amici miei, dato quanto abbiamo saputo adesso, ci dovremo dividere", suggerì Odeon di Leo.

"Io e Dorton andremo nelle montagne dove riposavano gli Horsemen, per vedere se potremo scoprire qualcosa", suggerì Mamiya, "Noi, cavalieri d’oro, verremo con voi", propose Ryo di Libra, "No, santo di Atene, tutti insieme saremmo troppo facili da individuare", osservò la Runouni.

"Saremo in quattro, solo io, Golia, Lorgash ed Odeon", replicò poi Ryo, cercando assenzi dai propri parigrado, che accettarono l’idea di buon grado.

"Voi altri, cavalieri qui presenti, resterete ad attendere i movimenti dei nostri nemici", suggerì Camus dell’Acquario, "insieme a noi santi d’oro rimasti. Solo chi Koga vorrà portare con se nella nuova battaglia si muoverà contro le Furie", concluse il figlio di Hyoga.

"Penso che adatti per questa battaglia, saranno i santi d’argento e poi, se mai vorrà seguirci, un altro elemento, per un massimo di dieci, che raggiungeremo così", propose il Runouni della Scimmia.

"Vengo io", esclamò improvvisamente una voce dal gruppo, la voce di Elettra, l’amazzone del Cavallo, "Ho voglia di combattere, non di restare qui in attesa", spiegò l’ultima seguace di Artemide.

In quel momento, un cosmo gigantesco, già noto ai cavalieri, apparve, accompagnato da due a lui pari e da altrettanti minori, "Gli Horsemen? Già è tramontato il Quarto giorno?", domandò preoccupato Daidaros di Cefeo, alzandosi in piedi per primo.

Tutti i cavalieri corsero fuori da Tempio, muovendosi il più velocemente possibile in quel complesso labirinto architettonico e quando furono fuori, con loro grande sorpresa, videro un intero esercito.
Alcuni dei nemici avevano vestigia nere, come quelle dei Pharaons, altri armature grigie con diverse sfumature, in quattro, invece, le avevano marroni, come tronchi d’albero marcio.

Dinanzi a tutti loro, troneggiava Kronos, seguito da due esseri a lui simili.

Alla sua destra, su un cavallo nordico, un gigantesco essere dalle vestigia marroni. Una specie di pelliccia ne copriva le spalle, gambali e bracciali simili a zampe d’orso lo rivestivano fino al tronco del corpo, custodito in un’armatura adornata dai segni di diverse battaglie, da vari tagli. Un teschio di orso copriva il volto di questo Horseman, lasciando intravedere solo gli occhi azzurri. Nelle mani, costui, teneva due asce gigantesche.

Sulla sinistra, invece, un essere dal cavallo malaticcio, coperto da un’armatura verdognola le cui spalliere erano simili a mezzelune. I gambali ed i bracciali, invece, avevano forma cilindrica, allungandosi fino a gomiti e ginocchia, rispettivamente. Il tronco era segnato da una coppia di serpente che si legavano fra loro per mordersi reciprocamente al collo, quasi una derisione del simbolo medico di Ermes. L’elmo, adornato da una gigantesca mezza luna sulla sua sommità, ricordava, terribilmente, un volto in decomposizione, nascondendo quello vero del suo padrone.

Quest’Horseman era armato di una frusta.

"Ben ritrovati, cavalieri", li salutò Kronos, "Vedo che avete incontrato i vostri alleati, ma anch’io ho i miei, anzi sono qui per presentarveli quasi tutti, eccetto la Morte, sapete, lui è timido", ridacchiò l’Horseman della Guerra, "Loro, comunque, sono Silas la Bestia e Kaspian la Pestilenza", li indicò, partendo dalla destra e dirigendosi a sinistra.

"Dietro di me, invece", continuò poi, "potete vedere i Got-ra di Apophis, le divinità egizie capeggiate da Indra e l’esercito di Morrigan, a cui si è unito Tethra, sposo di Nemain. In ogni caso, ve li porto qui per dirvi dove sono diretti", continuò prima che l’intero esercito alle loro spalle scomparisse.

"Dove sono andati?", tuonò allora Odeon di Leo, "Allora, voi ve lo ricordate?", domandò Kronos, rivolgendosi ai suoi pari, prima di scoppiare a ridere.

"I guerrieri egizi avevano voglia di visitare Cartagine, se ben ricordo", esclamò Silas, "E Morrigan voleva vedere Asgard", continuò Kaspian, "Si, vero, mentre gli indiani volevano riaprire la loro vecchia Torre", concluse Kronos.

"Saprete fermarli?", furono le ultime parole del Cavaliere della Guerra, prima di scomparire con i propri pari.

Rimasti soli, i cavalieri si guardarono, "Non dobbiamo più aspettare, piuttosto muoviamoci a dividerci", suggerì preoccupato Freiyr di Dubhe, re di Asgard, "Esatto, poiché due regni e l’intera India sono in pericolo", aggiunse Esmeria, regina di Cartagine, con altrettanta preoccupazione.

L’esercito di eroi, allora, si divise. Una nuova guerra era iniziata con il tramonto del Quarto giorno di pace.