Capitolo 28: Chi sei tu ?
Il terzo gruppo, partito da Atene il secondo giorno di battaglie, si era diretto verso un luogo celato fra le sabbie egizie, un posto nascosto agli occhi dei più, che solo pochi esseri conoscevano, la maggioranza di questi perché ne desideravano la distruzione. Questo posto era la piramide oscura di Apophis.
Se il gruppo di guerrieri che si era diretto in cerca di Ra durante la battaglia contro Urano fosse stato lì, tutti loro avrebbero notato l’impressionante somiglianza fra la costruzione eretta dal dio del Sole egizio e quella del suo nemico, la divinità serpente. Entrambe erano nere e maestose ed entrambe erano state costruite con dell’oscuro materiale, molto simile al granito, ma, in qualche modo, diverso.
"Questo luogo è famoso fra noi Pharaons", esordì Sekhmet di Bastet, che insieme al suo comandante Anhur di Selkit, guidava il gruppo di guerrieri, "si narra che l’infido Apophis lo abbia costruito in segno di sfida verso il grande Ra, una costruzione talmente immane e portentosa da essere riconosciuta dai più come la prima causa del diverbio fra i due dei, oltre alle varie motivazioni puramente mitologiche e che chiunque sappia un po’ del culto egizio già conosce", spiegò la Pharaon sacra al dio del Sole.
Il gruppo si fermò dinanzi all’immane costruzione, "State attenti, è improbabile che Apophis ci lasci entrare senza alcuna trappola, di sicuro vi sarà qualcosa a rallentare il nostro cammino", suggerì Anhur, osservando i due figli di Ikki, il santo d’oro ed il Goshasei che lo seguivano.
"Non qualcosa, Pharaon", lo contraddisse Kain di Shark, "ma qualcuno", sibilò, guardando sopra il proprio capo.
"Fratello, credi che arriverà Bennu? La divinità che ho dovuto affrontare ieri?", domandò Esmeria di Suzaku, "No, non credo che quel dio, braccio destro di Apophis, almeno da ciò che dite, si abbasserà ad attaccarci qui, piuttosto penso che sarà quell’avvoltoio che ha sorpreso alle spalle me e Neleo ieri il nostro primo nemico", ipotizzò il generale di Shark.
Un sibilo nell’aria diede ragione al mariner, lentamente una figura si avvicinò ai cavalieri, calando in picchiata dall’alto.
"Voi entrate nella Piramide, a questo dio egizio ci penserò io", esclamò Kain, mentre espandeva il proprio cosmo dorato.
"Allontanatevi dalle porte", esclamò subito dopo Golia del Toro, prima di lasciare esplodere la propria energia nel "Big Horn", che travolse le solide porte che sancivano il limite esterno del tempio di Apophis, così da permettere ai cinque guerrieri di entrare, mentre il sesto li proteggeva dal nemico volante.
"Fratello", sussurrò appena Esmeria, "Non ti preoccupare per me, tu vai", replicò velocemente Kain, prima che Joen invitasse la sua regina a seguirli all’interno della Piramide.
Il dio egizio con l’aspetto di Avvoltoio si fermò quando vide che dinanzi a se aveva un singolo nemico, bloccò la sua picchiata per osservarlo meglio, "Tu", esclamò poi, "uno dei due che hanno percepito il mio arrivo a Cartagine, sono lieto di averti come nemico, così pagherai la giusta punizione per le tue azioni", lo ammonì il GotRa.
"Nechbet è il tuo nome, giusto?", esordì Kain di Shark, "Sappi che non temo le tue minacce, né, tanto meno, le tecniche che usi, volare e colpire di sorpresa il nemico, può essere uno stratagemma utile quando non sei atteso, ma ormai la tua presenza mi è più che nota, non mi arriverai addosso all’improvviso", lo ammonì il mariner, "Non ne avrò bisogno, come ben presto scoprirai", replicò con decisione il dio egizio, rialzandosi in volo.
L’esile figura si confuse alla luce del Sole, quasi Kain fu accecato da quel bagliore alle spalle del nemico, dovendo calare il capo per schiarirsi la vista.
"Volo dilaniante", esclamò Nechbet, gettandosi nuovamente in picchiata, stavolta non accompagnato da un semplice sibilo, bensì da un suono più fastidioso, quasi simile ad un urlo, che infrangeva il cielo.
"Solo la follia può spingerti ad attaccarmi direttamente, divinità egizia", esclamò Kain, espandendo il proprio cosmo, "Galaxian explosion", invocò poi, quando ormai il nemico era quasi su di lui.
L’esplosione galattica, il colpo tanto caro a Saga e Kanon, raggiunse in pieno il nemico, gettandolo indietro e travolgendo anche il mariner che lo aveva scatenato, ma nessuno dei due ebbe risultati mortali da quell’attacco, poiché, con gran sorpresa di Kain, il dio avvoltoio si rialzò quasi di scatto.
"Sei solo un mortale che immagina di poter giocare secondo regole universali", esordì Nechbet, "Devi sapere che gli dei sono soliti crearsi le loro leggi e quella che io preferisco è sempre e solo una: gli dei vincono sempre", concluse la divinità, prima che sulle parti scoperte del corpo di Kain, si aprissero quattro ferite, gettandolo di nuovo al suolo.
"Se quella tua esplosione non mi avesse preso in pieno, ormai il tuo corpo sarebbe diviso in quattro, purtroppo per te, hai semplicemente allungato l’agonia che ti porterà alla fine", lo ammonì la divinità, "Come?", domandò il figlio di Ikki, "Il tuo attacco fende l’aria e mi investe in pieno, il mio è semplice aria divina, che attraversando l’esplosione che hai scatenato, ti ha raggiunto, ferendoti", spiegò con semplicità Nechbet, prima di rialzarsi in cielo.
"Ora, cavaliere olimpico, è tempo di dirsi addio", suggerì poi la divinità, prima di confondersi di nuovo grazie alla luce solare.
"Usare di nuovo il mio colpo base sarebbe fin troppo inutile e se tale è stato l’effetto su di me dell’Esplosione galattica, allora la tecnica massima sarebbe perfino più dannosa, no, devo riuscire a superare quel colpo per poi raggiungerlo con un attacco mirato al capo, devo batterlo con astuzia, non con la furia", rifletté fra se Kain, rialzandosi e descrivendo un triangolo con le mani, "Golden Triangle", invocò poi, utilizzando il varco dimensionale per intrappolare, momentaneamente, il nemico.
Il generale dei Mari si alzò in piedi, guardandosi intorno, cercando di intuire dove il dio nemico si sarebbe rifatto vedere, in che modo avrebbe potuto affrontarlo per bloccarlo il tempo sufficiente a sconfiggerlo, finché un sibilo alle sue spalle non lo convinse a voltarsi.
"Rumore esatto, direzione sbagliata", sogghignò una voce alla sua destra, "Abbandono dell’Essere", esclamò poi Nechbet, mentre le ali, divenute grigie, si agitavano dinanzi a Kain, investendolo con un bagliore bianco, che lo paralizzò.
In pochi attimi, tutto intorno al figlio di Ikki perse colore, solo nero lo circondava, quella luce così oscura da annebbiare persino la mente del giovane mariner, che non poté far altro che cercare uno spiraglio, un bagliore più chiaro a cui aggrapparsi, ma non ne trovò.
"Che luogo è mai questo?", si chiese il generale dei Mari, "Qualcosa di molto simile alla dimensione oscura", gli rispose una voce, "Chi è là?", esclamò in tutta risposta il mariner, "Non sapere chi sono equivale a non sapere chi sei", sussurrò in tutta risposta l’interlocutore.
"Devo stare attento, di certo mi trovo dinanzi ad un altro degli inganni del dio egizio, che possa egli avermi chiuso in una trappola mentale simile al mio Fantasma diabolico?", pensò fra se il figlio di Ikki, "Più che tuo, quel colpo era di tuo padre, l’eredità che ha condiviso fra tutti i suoi discendenti", replicò l’altra voce.
"Inoltre", continuò la voce, "giusto per informarti, Nechbet, come ogni divinità alata, rappresenta semplicemente un gondoliere, se vuoi un messaggero, che porta le anime da un punto ad un altro, senza scegliere il tragitto finale, quello ti sarà poi proposto sotto altra forma", spiegò la presenza.
"Sono quindi caduto?", domandò Kain, perplesso da quello che la voce gli stava spiegando, "Non ancora, giovane cavaliere, la tua anima è stretta a questo corpo, troppe cose ti legano alla vita terrena quindi, più di chiunque rischi di finire da vivo nel regno dei morti, cerchi di vincere il destino che il dio avvoltoio ti vuole concedere", replicò la voce.
"Perciò, se sono dentro me stesso, tu sei me?", incalzò Kain, "Esatto, generale dei Mari, tutti i gemelli, specialmente quelli nati sotto il segno di Gemini, prima o poi, debbono incontrare se stessi e completare la dualità del loro essere due corpi, due menti, ma spesso un solo cuore", spiegò la voce, prima di prendere una forma umana nei pensieri del mariner.
"Abel?", esclamò sorpreso il figlio di Ikki, vedendo dinanzi a se il proprio gemello, "Questa è la forma che preferiresti per confrontarti con te stesso, di certo, fra tutti i tuoi fratelli, lui ti era più vicino di altri", spiegò la voce.
Lo sguardo di Kain era triste, poiché poteva vedere dinanzi a se il fratello, ma nel qual tempo sapeva che non era lui che gli si mostrava dinanzi, bensì qualcuno di diverso, "Spiegami, se siamo entrambi me, allora perché siamo qui a parlare? Perché non posso tornare a combattere Nechbet?", domandò con voce decisa il figlio di Ikki.
"Vedi, generale dei Mari, in questo momento la tua anima dovrebbe già librarsi verso il Paradiso dei Cavalieri, ma c’è qualcosa che la tiene legata alla vita ed è proprio per questo che ora tu mi vedi, io sono parte di te, l’essenza finale del tuo essere, la conoscenza ultima che ti manca per riuscire a dominarti nella vita e nella morte", spiegò la figura con l’aspetto di Abel di Gemini, "La conoscenza ultima? L’ottavo senso?", balbettò il figlio di Ikki, "Esatto", gli replicò l’entità.
"Ma se è l’ottavo senso la meta a cui vuoi condurmi, allora perché lungo questo tragitto? Per quale motivo dovrei conoscere in questo modo me stesso?", incalzò il generale dei Mari, "Perché sei figlio di tuo padre e cerchi di combattere la morte più come farebbe una Fenice che come agirebbe uno Squalo, seppur d’Oro", replicò la voce, "E poi, come ti ho già detto, sei legato alla vita, non vuoi abbandonarla", concluse.
"Sono ancora legato alla vita dici, in fondo hai ragione", rifletté Kain, "non vorrei mai abbandonare mia sorella, darle questo nuovo dolore, dopo aver lasciato noi tutti e Cartagine, è ritornata per scoprire che due dei suoi fratelli erano morti, come sua madre e dopo ha perso anche il padre ed Abel, solo io sono rimasto, oltre lei, della discendenza di Ikki", pensò il giovane mariner.
"Solo per questo?", aggiunse la figura, "No, anche perché sono un Generale dei Mari, devo combattere per servire il mio dio e per aiutare Neleo, ultimo rimasto dell’esercito di Nettuno", continuò Kain, "Non è questo l’unico motivo", lo contraddisse il falso Abel, "Ricordi lo scontro con Cressida? La tua prima vera battaglia? Anche allora dicevi di combattere perché in molti ti avevano aiutato a diventare ciò che eri, ma in verità il tuo primo interesse era vendicare Saba, una ragazza la cui dolcezza e gentilezza ti avevano sempre colpito", raccontò la figura, "Ora, come allora, ammetti a te stesso quali veri motivi ti spingono alla lotta, cosa compi per te e cosa per gli altri. Se riuscirai a riempire questa dualità supererai in abilità molti cavalieri nati sotto il segno dei Gemelli, come Kanon e Saga, di cui il secondo impazzì dinanzi a questa prova, che lo avrebbe reso simile a Shaka per potenza, poiché gli avrebbe donato l’ottavo senso", concluse la figura, diventando sempre meno nitida.
"Chi sei tu? Rispondi a questa domanda", domandò la voce, ormai celata di nuovo nell’ombra.
"Io sono Kain di Shark, generale dei Mari e figlio di Ikki, la Fenice Divina", esordì il giovane mariner, "combatto per servire il dio Nettuno, poiché fin da giovane fui attratto dalle grandi possibilità che avevano i generali dei Mari di conoscere il mondo sommerso ed il magnifico tempio del loro signore, che reggeva la volta delle acque con la Colonna portante", continuò il guerriero.
"Ho deciso di diventare un mariner per conoscere il mondo dei Mari, ma lentamente in me si è fatta avanti la fede in Nettuno e ho legato con i miei parigrado, oltre che con altri cavalieri di altri eserciti. Ora sono alleato di molti guerrieri, tutti degni del massimo rispetto e coraggiosi quanto mio fratello, che ha dato la vita in battaglia, come nostro padre", continuò il generale dei Mari.
"Assimila tutto ciò e rendilo parte del tuo cosmo", suggerì la voce, "Chi sei tu?", ripeté di nuovo, "Sono Kain, lo Squalo d’oro", urlò il figlio di Ikki, vedendo di nuovo Nechbet dinanzi a se.
La maschera a forma di Avvoltoio lo osservava sorpreso, "Sei tornato dall’Oltretomba, com’è possibile?", balbettò la divinità, "Non ho mai raggiunto l’Ade, l’idea non mi allettava", spiegò il generale dei Mari, espandendo il proprio cosmo, adesso ancora più maestoso di prima.
"Non so come tu faccia ad essere ancora qui, ma non preoccuparti, vedrò di eliminarti in fretta", replicò la divinità, alzandosi di nuovo in volo.
"Volo dilaniante", invocò la divinità, lanciandosi nuovamente in picchiata, "Genmaken", replicò Kain, lanciandosi in aria, verso il suo nemico.
Necbhet evitò l’attacco nemico, investendo in pieno l’avversario con il taglio delle ali, ma, poi, non riuscì a planare al suolo, anzi, stava proprio cadendo contro la nera sabbia. Espandendo il proprio cosmo, il dio cercò di aprirsi un varco nell’aria, seguendo le correnti ascensionali, ma, inaspettatamente, riuscì solo a distruggere il terreno dinanzi a se, trovando ad attenderlo, una gigantesca figura dall’aspetto di Sciacallo, che, con la mano aperta e gli occhi rossi come il fuoco, lo intrappolò, spingendolo verso il suolo e schiacciandolo a questo fino a frantumargli il capo.
"No, Anubi", urlò Nechbet, prima di accorgersi che era stato semplicemente intrappolato in un’illusione, un inganno, ricevuto dal colpo di Kain, ora in piedi dinanzi a lui, seppur sanguinante.
"Temi il signore dell’Oltretomba, divinità?", domandò il generale dei Mari, "Tu dovresti temerlo più di me, mortale, poiché ben presto lo incontrerai", replicò Nechbet, rialzandosi in volo.
"No, non sarò io a cadere quest’oggi, troppe cose mi legano ancora alla vita, piuttosto tu diverrai cenere, come Sober prima di te", replicò il figlio di Ikki, lanciandosi in aria contro il nemico.
"Volo dilaniante", esclamò la divinità, colpendo in pieno Kain, la cui salita non fu però fermata dalle innumerevoli ferite che si andavano aprendo sul suo corpo, "Shark Bite", tuonò all’improvviso il mariner, quando la sua mano era quasi sul capo del nemico.
L’esplosione fu fragorosa, Kain ricadde al suolo con il corpo completamente ferito e subito dopo piovve su di lui delle ceneri, ciò che restava di Nechbet.
"Questa battaglia è vinta, ma non ho in me la forza di seguire subito i miei compagni all’interno della Piramide", si disse il figlio di Ikki, chinando il capo e respirando affannosamente.
All’interno della piramide oscura, intanto, i cinque alleati di Kain correvano verso il loro primo avversario, che già li attendeva pronto a vendicare il parigrado appena caduto.