Capitolo 23: Il Tempio dei Runouni
La grande città di Pechino aveva visto un’immane evoluzione durante i millenni, da piccola cittadina di pianura, a capitale di un impero che andava sempre più evolvendosi. E come l’Impero che rappresentava, un tempo chiamato Impero Celeste, anche la città si era allargata, espandendo sempre di più le sue mura esterne, ma quelle interne, che sancivano il confine fra la città del sommo Imperatore e la comune gente, non erano mai state ampliate e nessuno aveva mai saputo, nelle diverse ere, che sotto di queste, vi fosse un tempio antico quanto l’Imperatore di Giada, il grande signore che gli stessi cinesi lodavano come un dio e che dodici guerrieri, consacrati a questa divinità mortale risiedevano in quel luogo dalla notte del mito.
In quella grotta nascosta, il secondo giorno delle battaglie, arrivarono due suoi vecchi abitanti, provenienti dal Grande Tempio di Atene, mentre un caldo infernale bruciava raccolti e campi sulla superficie del globo terrestre in quella che sembrava la più orrenda delle giornate estive che si potevano avere in pieno autunno.
"Avremo fatto bene a lasciar partire i cavalieri da soli? L’arrivo di quel singolo dio, per di più sconfitto dall’ebra e dal musico egizio che si è sacrificato, mi è parsa una trappola", osservò uno dei due, rivelandosi come Dorton del Cinghiale, "Si, sono certa che i santi d’oro che parteciperanno alle due battaglie non permetteranno ai loro alleati di cadere per delle trappole così semplici da intuire", replicò con tono poco sicuro Mamiya, Runouni del Topo, avanzando lungo l’oscura galleria con il suo pari e compagno.
I due guerrieri di Giada erano entrati in quel tempio sotterraneo attraverso una grotta, stanziata poco fuori dalla grande Muraglia, con la velocità di cui erano padroni avevano percorso quel lungo corridoio di pietre e terra, scavato millenni prima da coloro che avevano custodito le vestigia dello Zodiaco Cinese prima di loro, ed adesso i due si trovarono dinanzi alle immani porte verdi che custodivano l’entrata del tempio.
"Qui si onora la memoria di chiunque abbia combattuto in difesa ed onore del grande Imperatore di Giada", lesse Mamiya, osservando gli antichi ideogrammi rappresentati sulla soglia.
"Ricordi la nostra prima visita a questo luogo?", domandò Dorton, mentre con le possenti braccia apriva le due soglie, facendo poi passare la propria compagna prima di lui, "Si, ricordo ancora quando dopo mesi di viaggi senza meta abbiamo incontrato Shishio e poi, decisi entrambi ad accettare questo destino, abbiamo seguito lui e Knives fino a dentro la grotta. Fu proprio l’Arma Umana ad aprirci la via, se ben ricordo", replicò la giovane e bella guerriera, osservando le stanze a lei note.
Una gigantesca sala quadrata si apriva dinanzi ai due, quattro cunicoli erano le uniche scelte loro concesse, mentre le immani porte di Giada si chiudevano alle loro spalle.
"Per chiunque entrasse qui senza ricevere un invito formale di alcun Runouni, questo luogo doveva essere un labirinto senza uscita, come lo sarebbe stato per noi se Shishio non ci avesse guidato oltre le lingue di Fuoco del Drago", ricordò Dorton, avvicinandosi alla guerriera del Topo, "Si, quattro cunicoli, ognuno di questi si apre in tre vie parallele, ognuna a sua volta custodita da uno dei dodici combattenti di Giada, ma tutte, alla fine, conducono alla medesima meta, il Simulacro delle Memorie, dove riposano tutti i nostri predecessori e da cui si può entrare direttamente nel castello dell’Imperatore, quando questi ancora esisteva", osservò Mamiya, invitando la Cupa Furia a seguirlo.
"Percorreremo il cunicolo del Topo, quello che io stessa custodivo, penso sia la cosa più sicura dopo la scomparsa dei nostri pari. Non sappiamo che trappole possano aver lasciato Smeagol, Cooler, Knives, Raizen, Shishio, o gli altri", propose la guerriera di Giada, facendo strada al proprio amato.
Camminarono in silenzio i due, osservando i scritti lungo l’oscura grotta intrapresa, che si divideva poi in tre cunicoli, caratterizzati dai simboli del Topo, Cane e Scimmia. Lungo il Corridoio del Topo, con sua gran sorpresa, Dorton vide un pavimento completamente sgretolato, "Aspetta", suggerì all’improvviso Mamiya, espandendo il proprio cosmo dorato.
Da un profondo baratro diverse rocce si alzarono, creando un gigantesco ponte su cui i due poterono camminare tranquilli, "Per questo eri sempre tu a farmi visita, avevi piazzato questa trappola a difesa del tuo corridoio?", domandò il Runouni del Cinghiale, "Come tu sei una furia che attendeva i propri nemici alla soglia della via, così io, che sono la tua quiete, attendevo che fosse la loro stessa intraprendenza a lasciarli morire. In fondo è per questa differenza che ci completiamo reciprocamente", osservò con un sorriso accennato la guerriera, ricevendo un sorriso di ricambio dal proprio parigrado.
Finita l’avanzata nel lungo corridoio di pietra, i due si ritrovarono in una sala molto simile a quella precedente, ma, questa volta, i quattro cunicoli erano alle loro spalle, mentre dinanzi a loro si estendeva una grande scalinata, la cui fine era quasi invisibile ai più.
"Gli scalini che portano alla capitale dell’Impero Celeste, l’attuale Pechino", osservò sorpreso Dorton, "Si dice che siano decine di migliaia", balbettò poi, "Si, ma per nostra fortuna non è quello che cerchiamo", lo rassicurò Mamiya, indicandogli una sala poco distante, quasi nascosta dall’ombra delle grandi scale, "Il cerchio del Cielo, dove sono ricordati tutti i Runouni delle varie ere, si estende longitudinalmente alla scalinata, e lì dovrebbero essere anche le memorie che intercorrono tra una generazione e la successiva", spiegò la guerriera di Giada, entrando per prima nella grande sala.
Dorton seguì la donna amata in quella sala, non aveva mai dubitato delle sue scelte e di certo non lo avrebbe fatto ora, il guerriero sapeva bene che tanto lui era furioso nella battaglia, così lei era saggia e paziente nel ricercare notizie ed estrapolare da essa ciò che le serviva, aveva sempre avuto piena fiducia in ogni sua azione proprio per questo, malgrado non era stata questa dote la scintilla fra di loro.
Quando entrambi si ritrovarono in quella sala, con grande sorpresa del Runouni del Cinghiale, ai loro si estendevano due lunghissime pareti di nomi, scritti tutti con degli ideogrammi cinesi, di diversa fattura e nitidezza a causa delle età in cui erano stati incisi.
"Qui ci sono più di duemila anni di Custodi dell’Impero Celeste", esclamò con tutta la sorpresa che poteva avere in corpo Mamiya, la cui voce era quella di una persona desiderosa di apprendere e sapere.
Per alcuni secondi la guerriera del Topo di Giada rimase in silenzio, fu il suo compagno a prendere la parola, "Io controllo sulla parete sinistra, tu sulla destra, bene?", domandò con un filo di voce Dorton, "Si, bene", balbettò Mamiya, avvicinandosi alla parete dinanzi a lei.
I due camminarono per diverse ore, dando dei veloci sguardi alle pareti, ognuno cercava qualcosa che riguardasse il metodo preciso con cui i loro predecessori avevano sconfitto gli Horsemen.
"Dorton, finora tu che hai trovato? Io qui ho scoperto il tratto riguardante i nostri predecessori", esordì Mamiya dopo alcune ore di ricerca, "Lo ha scritto Ryoga, parlando dell’estrema saggezza con cui il loro gruppo era diretto dall’allora Runouni del Drago Azarak, un guerriero dal grande coraggio ed onore, morto per la fiamma che lui stesso utilizzava, nel tentativo di renderla potente a sufficienza", raccontò la guerriera del Topo.
"Mamiya, penso di aver trovato ciò che ci serve", balbettò in tutta risposta il Runouni del Cinghiale, mentre la giovane si avvicinava a lui, "guarda tu stessa", propose, prima che la compagna iniziasse a leggere.
"Queste parole mi furono tramandate dal mio maestro e predecessore, Shew del Cane, io, suo discepolo, sono Davel del Cane e come lui ho imparato a cacciare i nemici nella più completa oscurità.
Il mio maestro e padre putativo mi ha raccontato della passata battaglia che sconvolse l’ordine stesso fra gli dei dell’Estremo Occidente, la battaglia contro coloro che si facevano chiamare Horsemen, figli del Caos e portatori della Fine.
Sui modi in cui questi furono sconfitti, non mi è dato qui parlare, ma per chi legge questa parete sarà facile trovarli, se come me avrà imparato a vedere nella notte.
Qui mi è concesso di parlare di coloro che portarono alla morte di Shin, il Primo Drago e degli altri compagni del mio maestro, fra cui con onore è ricordato Raoh del Cavallo, un Re fra gli uomini, immane e possente guerriero dalla pelle d’ebano.
I quattro Cavalieri nacquero, secondo quanto dettomi, come uomini, poi traviati dalla loro stessa avidità, oltre che dalla volontà del Caos.
I loro nomi mortali erano Kaspian, Silas, Kronos ed Adam ed in quest’ordine ne parlerò.
Kaspian nacque sulle montagne al confine con le Terre d’Occidente, oltre le fredde steppe", iniziò a leggere Mamiya, "viveva in un villaggio di barbari e con questi decise un giorno di avanzare verso il grande Mare che segna la fine del Mondo ad Occidente. Egli era come una malattia, poiché ogni villaggio assaltato dai suoi seguaci veniva completamente sventrato di ogni bene, umano, animale, o vegetale che fosse, dove passava lui, spazzava via tutto. Alcuni dissero che aveva persino l’abitudine di nutrirsi di uomini morenti sul campo di battaglia e faceva tutto ciò per puro divertimento, non per potere, o gloria, ma per osservare la gente che lentamente moriva.
Contrasse poi un male nero, una forma infettiva che si mostrava con oscure chiazze sul corpo, per poi uccidere. Per un anno combatté questo male, spostandosi di villaggio in villaggio, solo per infettarne gli abitanti e vederli dispersi nella morte. Lo stesso fece con i suoi seguaci, che, però, ne bruciarono il corpo per vendetta.
Quest’anima nera fu poi assorbita dalla Terra, ma Gea la rifiutò, così che Caos se ne nutrì, rendendolo uno dei suoi seguaci, la Pestilenza", raccontò Mamiya, scioccata da ciò che lei stessa aveva potuto leggere.
"Come storia può reggere", rifletté Dorton, "in fondo anche se nessun testo ne parlava prima, se Caos aveva bisogno di armature in cui vivere, aveva anche necessità di corpi a cui farle usare e cosa può essere per un dio ricomporre un corpo incenerito? Niente", affermò il Runouni.
"Dorton", continuò poi Mamiya, "Per favore leggi tu il prossimo, io cercherò la risposta nell’oscurità", propose la giovane guerriera, prima di chiudere gli occhi.
"Silas", iniziò a leggere il Runouni del Cinghiale, "proveniva dalle Terre del Nord, dove popolazioni di navigatori, dediti ad assaltare tutto ciò che costeggiava le rive ghiacciate, si erano sviluppate. Era noto fra i suoi simili per la violenza con cui combatteva, vantava decine di villaggi spazzati via semplicemente con suoi assalti notturni. Non risparmiava nessuno, quando iniziava un saccheggio, non si fermava finché chiunque gli si parasse davanti non era morto. Amava solo la propria ascia e per difenderla dal logorio del tempo, un giorno litigò con i saggi del suo clan, uccidendoli. L’intero villaggio si rivoltò contro quello che non era un sapiente, anzi, sembrerebbe che fosse persino incapace di capire i segni delle sue genti. Ma, malgrado le mancanze a livello culturale, l’uomo del Nord era terribilmente feroce e spazzò via la gente con cui era cresciuto in una sola notte, per poi spingersi verso il mare con una nave, cercando sul Continente ad Occidente un metodo per rendere la sua ascia immortale. Il Mare, però, gli fu contrario e così egli fu inghiottito da quello che le genti del suo mondo chiamano Mannanon, o, che per i popoli del Continente affacciato sul piccolo Mare è Pontos. Anche queste divinità, però, rifiutarono un cadavere così maligno e stupido, che fu nutrimento per Caos, diventando la sua Bestia", concluse Dorton, con sorpresa in ciò che leggeva, "Gea ed ora Pontos e Mannanon, sembra quasi un cerchio che si chiude su se stesso", rifletté Mamiya, guardando la persona amata, "quasi che i santi di Atena avessero involontariamente sconfitto due degli esseri che avevano rifiutato gli Horsemen, permettendogli di nascere, come accadde allora", affermò stupita.
Dorton non seppe cosa rispondere, quindi continuò la lettura, "Il Terzo cavaliere, ma Primo a riapparire sulla Terra, fu Kronos. Egli era nato in una penisola dalla forma di mano, bagnata su tutti i lati dal mare, eccetto che per un piccolo lembo, che la congiungeva ad una penisola maggiore. Nel luogo in cui lui crebbe vi era l’abitudine di addestrare fin dall’età più giovane alla battaglia, i deformi erano addirittura rifiutati nel villaggio e gettati dalle montagne. Questo ambiente creò quello che i più definivano un dio della Battaglia, un uomo così scaltro da trovare sempre una via per vincere nei combattimenti fra gli eserciti, ma allo stesso tempo così spietato da uccidere tutti i nemici, senza risparmiare nemmeno chi si arrendeva, o gli alleati dei loro nemici, che chiedevano loro una nuova alleanza. Non si fidava di nessuno costui, solamente di se stesso e della propria sete di distruzione, per lui combattere era l’unica forma di vita concessa, quindi combatteva. Battaglia dopo battaglia ricevette centinaia di ferite, fra queste una sopra un occhio che anche nella forma immortale possiede. Alla sua centesima battaglia, però, per il dominio di quella zona a forma di mano, egli cadde, ucciso da un plotone di nemici. Il suo corpo, quasi come segno di vendetta, fu gettato dalla cima di una montagna, cosicché il Cielo, Urano per quei popoli, decidesse se tenerlo, o gettarlo nelle profondità della Terra, in pasto alle creature infernali. Fu questa seconda possibilità ad avverarsi, concedendo a Caos un altro corpo di cui nutrirsi, creando il Cavaliere della Guerra", concluse Dorton.
"Hai ragione, Mamiya, sembra quasi una reazione a catena: i cavalieri hanno sconfitto prima Urano, poi Pontos e quindi Gea ed ora dinanzi a loro si trovano i quattro Horsemen", rifletté sorpreso il Runouni del Cinghiale.
"Si, Dorton, non deve essere una semplice coincidenza, ci sarà un motivo, ma per ora non è quello ad interessarci, bensì ciò che è nascosto sotto questa icona", spiegò la Runouni, appoggiando le mani ad un simbolo rappresentante l’oscurità.
Lentamente la guerriera del Topo allontanò le mani dalla parete e con il proprio cosmo sganciò quel simbolo. Subito dopo, il cosmo della giovane ragazza estrasse anche qualcos’altro da quel buco, una pergamena sigillata con i simboli dei dodici segni dello Zodiaco Cinese, "Questa sarà la chiave per sconfiggerli?", si domandò Dorton, avvicinando le mani al rotolo circondato dai simboli verdi, "Lo spero", sussurrò con voce felice Mamiya, "per ora andiamo, lo scopriremo poi, ad Atene", concluse, avvicinandosi all’uscita.
"Non concludete la lettura?", domandò una voce fredda dinanzi a loro, una figura nascosta nelle tenebre più nere, "Forse non vi interessa la storia di Adam, il quarto Runouni, colui che divenne me, la Morte", affermò mostrandosi il Cavaliere dalle vestigia bianche, armato della propria falce.
Ora quell’Horseman sbarrava loro la strada.