Capitolo 21: Anime immortali
Koryo, all’esterno della Nera Torre aveva percepito, lungo gli ultimi tratti della sua corsa, i cosmi dei due santi d’argento esplodere in maniera maestosa, per poi quietarsi, sopraffatti da una forza a loro di molto superiore, una forza tale da spegnere quasi le loro vite, ma ciò che più lo aveva sorpreso era un’altra emanazione cosmica, simile ad una tempesta, esplosa poco dopo.
"Qualsiasi cosa stia succedendo nella Torre, di certo i cavalieri che hanno raggiunto Indra e quel suo potente seguace avranno ben poche possibilità di vincerli senza un aiuto e, da ciò che percepisco, sono l’unico capace di aiutarli ormai", si disse il Beast Keeper di Seiryu, mentre ormai le porte nere si piazzavano immani dinanzi a lui.
Jenghis aveva fermato la propria salita per pochi attimi, il tempo di riprendere fiato. Lo strapiombo era ormai distante dai suoi occhi e, già dinanzi a lui si mostrava il nero tetto di quel corridoio che gli era crollato intorno. Anche il berseker, come il suo compagno d’allenamento, aveva percepito l’esplodere successiva di tutti quei cosmi, provenienti da un luogo che doveva di certo essere elevato rispetto a quello degli scontri precedenti, ma non sapeva di preciso cosa stesse accadendo, seppur il terrore che solo un santo d’oro fosse arrivato da Indra, malgrado fosse proprio Tok’ra, lo scosse, spingendolo a continuare la sua salita.
I cosmi che uno dopo l’altro erano esplosi al secondo piano della Torre non avevano svegliato Varuna, Ryo, Durga, Helyss, o Zadra, questi cinque guerrieri erano tutti fin troppo stremati dalle loro battaglie per riprendersi e comprendere cosa stesse succedendo sopra di loro.
Kumara stesso, d’altronde, preferì non intervenire nella battaglia che il suo diretto comandante era sul punto di affrontare, ma, nel seguirne gli eventi, non trovò il tempo per finire i due santi d’argento ai suoi piedi, che lentamente si stavano riprendendo.
Indra era fermo nella posizione del fiore di loto, osservava con freddezza il nemico che gli si era parato di fronte, "Dunque, cavaliere, vorresti capire cosa so io dei miei alleati? E perché?", domandò la divinità con gelido distacco.
"Perché gli Horsemen non hanno di certo lo stesso obiettivo che voi, Indra, vi proponete, non sono interessati a creare un mondo migliore, il loro unico scopo è il caos, portatore di Morte, Guerra, Flagelli e Distruzione", lo avvisò Tok’ra di Virgo, preparato a qualsiasi risposta da parte della divinità, anche un attacco.
"Tu, mortale, pensi davvero che io, Indra, una delle divinità indiane più antiche e potenti, non sappia quale fine abbiano i miei Quattro alleati e tutti i loro subalterni? Credi davvero che seguirò come un cane amoroso ogni loro ordine, intimorito solo dalla fama che li circonda? Fin troppo sembri sottovalutarmi", lo ammonì subito dopo il dio, lasciando sbalordito il cavaliere d’oro.
Tok’ra non riusciva a credere a ciò che aveva appena sentito, Indra seguiva gli Horsemen con l’intento di tradirli, ma una domanda, allora gli sorse spontanea, "Se davvero il vostro fine è purificare il mondo, fin quando seguirete ad obbedire alle proposte dei Quattro?", chiese con chiara curiosità, "Finché loro stessi non andranno contro il mio piano, fino a quando la loro brama di potere non li porterà a minacciare gli dei stessi, esseri perfetti e sapienti", rispose.
Il cosmo dorato di Tok’ra fu la risposta a questa affermazione, un’energia tale da sorprendere perfino Indra, che non immaginava tanta forza in un solo uomo. "Gli uomini provengono dagli dei e voi vorreste farli tornare a loro? Solo perché alcuni individui sono moralmente corrotti, voi, divinità della Tempesta, volete spazzare via tutto il genere umano? E per fare ciò vi siete alleati con i figli del Caos, il puro disordine ed il male nella sua forma più pura essi sono. Ho già combattuto contro diversi dei in questo breve periodo da cavaliere d’oro, ma posso affermare che finora non avevo visto tanta avventatezza e superbia in un dio e mi dispiace scoprire che proprio il grande Indra, di cui persino il mio maestro, Kaor l’asceta, tesseva le lodi, sia capace di tali vizi", lo ammonì il cavaliere d’oro, preparandosi alla battaglia.
"Davvero credi che io sia superbo ed avventato? Eppure tu, un mortale che mi tratta con il degno rispetto, sei qui a sfidarmi ed insultarmi", lo ammonì Indra, espandendo il proprio cosmo, simile ad un fulmine.
Il dio, subito dopo questo ammonimento, alzò le mani dinanzi a se e dieci saette vi passarono in mezzo, "Non combatterò con te, uomo", lo avvisò, "saranno i miei servi ad affrontarti", spiegò, mentre delle luci esplodevano sulle sue mani.
"Marut", tuonò poi Indra, "I semidei della tempesta che accompagnavano Indra nel mito", li riconobbe il santo d’oro, mentre dieci entità simili ad uomini si paravano dinanzi a lui. Ognuno di loro era armato di una sciabola ed il suo corpo sembrava un vero e proprio fulmine, giacché delle scariche elettriche li circondavano, brillando di continuo.
Fuori dalla sala in cui Tok’ra si trovava, Kumara, il figlio di Shiva, era fermo, sorpreso dalla furia che il suo comandante aveva liberato, "Indra ha scatenato i Marut, vuole veramente liberarsi di quel cavaliere d’oro?", si chiese fra se, con una voce che esprimeva tutta la perplessità in lui presente ai due santi d’argento, quasi completamente coscienti, ma incapaci ancora di alzarsi.
"Mortale, abbandoni la battaglia, o dovrò vederti morire?", domandò con voce gelida Indra, ancora seduto nella posizione del fiore di loto, "Sommo signore delle Tempeste, per quanto vi rispetti, non cambierò né il mio pensiero, né il credo che mi anima, se dovrò affrontare i Marut, sia, sono pronto a dare la vita per gli innocenti e la Giustizia, come già fecero molti miei compagni prima di me, oltre all’uomo che ho succeduto, Shaka, colui che più di tutti era vicino all’essere un dio", replicò con tono deciso il cavaliere di Virgo, avvicinando fra loro le mani.
"Marut, attaccate", fu l’unica risposta di Indra, prima di muovere la mano destra, così da scatenare i dieci spiriti contro il loro bersaglio.
Una tremenda corrente di vento scaturì dai passi delle dieci entità, che, con cariche elettriche simili a scie, si mossero verso il santo d’oro. Tok’ra, però, non si fece trovare impreparato, infatti, movendosi alla velocità che gli era propria, persino superiore a quella della luce, riuscì ad evitare il contatto con quelle creature divine.
Uno dei dieci, però, appoggiò la mano contro un muro e da quel contatto proruppe un’esplosione tale da frantumare la parete, con una serie di scariche elettriche ed una fortissima corrente di vento, come conseguenza diretta.
"I Marut, il vento li segue ed il tuono li precede", ricordò Tok’ra degli antichi credi indiani che il suo maestro gli aveva tramandato, "forse per batterli dovrò fare qualcosa di più di semplici fughe", rifletté, concentrando l’energia nelle mani.
"Abbandono dell’Oriente", invocò Tok’ra, richiamando l’energia dell’Om, che subito esplose verso i dieci esseri che correvano verso il santo, producendo tuoni e vento.
Sette di loro evitarono quell’attacco, spostandosi sui lati del nemico dorato, fu poi l’ottavo a subirlo in pieno e ciò che accadde fu sorprendente persino per il santo di Virgo, che vide esplodere quel corpo elettrico e ne percepì chiaramente l’energia trasmettersi agli altri nove restanti, che lentamente sembrarono rinascere a nuova vita, con cariche elettriche ancora maggiori di prima.
I due rimasti dietro il Marut scomparso scattarono improvvisamente verso il cavaliere d’oro, cercando di investirlo con i loro pugni, ma Tok’ra fu più veloce e con un agile salto evitò i due pugni, che finirono per incontrarsi, producendo un’esplosione talmente maestosa da schiantare il successore di Shaka contro il tetto della stanza, prima di ricadere al suolo senza l’elmo.
Tok’ra si alzò di scatto, trovandosi circondato dai sette nemici rimasti, ora carichi anche dell’energia dei due caduti, ma dinanzi a loro non usò alcuna tecnica offensiva, riprese anzi la posizione del loto, chiudendo gli occhi, per accumulare il proprio cosmo.
"Sei deciso a morire?", domandò incuriosito Indra, mentre i sette Marut sembravano fermi intorno alla loro preda, "No, signore delle Tempeste, ma sarebbe vera follia cercare di fermare la furia delle tempeste con l’ira del vento, solo la quiete nell’anima può fermare la rabbia nel corpo", spiegò con voce quieta il santo d’oro, espandendo il proprio cosmo, che si materializzò come un muro intorno al suo corpo.
"Sei saggio, cavaliere, saresti un perfetto prescelto per continuare la razza umana dopo la purificazione, inoltre in te sento una vita che trascende la mortale permanenza nel mondo, tu conosci l’essenza ultima della conoscenza, esatto?", domandò allora il comandante degli dei indiani, "Si, sommo dio, ho appreso la potenza ultima dell’Ottavo senso, la Trasmigrazione, l’essenza stessa che permette di dominare la vita in ogni suo stadio", rispose con voce quieta il santo d’oro.
In quel momento i sette Marut sembrarono quietarsi, "Allora, diventa un mio fedele, rinnega Atena e segui il mio credo, oppure, se vuoi restare coerente con la tua fede, proponi agli dei olimpici di arrendersi e diventa un simbolo del loro antico credo nella nuova era", propose Indra con voce speranzosa.
"Mi dispiace, Indra, non potrò mai accettare la vostra proposta", rispose immediatamente il santo di Virgo, "sia per coerenza con il mio credo in Atena, sia perché anche se la mia vita mortale sopravvivesse, milioni di altre vite verrebbero meno. Fanciulli, innocenti ed i miei stessi compagni in molte battaglie sarebbero condannati alla morte. Io preferirei mille volte morire con loro che vivere un’esistenza mortale come un traditore", replicò con voce strozzata il successore di Shaka.
"Preferisci morire in battaglia per altri che vivere per sempre? Questa è una grande dote, ma alla fine non ti sarà utile per ora", lo minacciò Indra, "La morte non la temo, ormai la mia anima è capace di contrastarla. Da generazioni i cavalieri di Virgo che colgono il segreto dell’ottavo senso rinnegano la paura di morire ed ogni forma di violenza ad essa legata, quindi non temo questo e per chi farebbe lo stesso, io sarei sempre pronto a sacrificarmi", spiegò il santo d’oro.
"Quindi vuoi dare la vita per innocenti che non resterebbero tali per sempre? O per chi credi sia pronto a dare la vita per te? Bene, i Marut ti accontenteranno", tuonò infine Indra, mentre la presenza dei sette esseri circondava di nuovo il cavaliere nemico.
"Kahn", invocò Tok’ra, mentre una barriera dorata di pura energia spirituale circondava il santo d’oro, bloccando il pugno di tre spiriti della tempesta, "Non basterà una semplice barriera. L’esplosione dei Marut ti travolgerà comunque, se riuscirai a sovraccaricarli", lo avvisò Indra, ma il cavaliere di Virgo non se ne curò minimamente.
Le tre entità del fulmini esplosero effettivamente, provocando un gran boato e dividendo la loro energia ai quattro restanti, oltre che scagliandola contro il nemico, che, però, sembrò non riceverne alcun danno. Grande fu la sorpresa del Dio della Pioggia e della Tempesta quando vide che intorno al corpo di Tok’ra vi era una seconda barriera, più sottile, ma abbastanza consistente da difenderlo.
"Due barriere spirituali?", si domandò Indra, "No, sommo dio delle Tempeste, non due barriere, bensì questo è il respiro che trasmette l’Om, l’espirazione dell’anima, cui segue l’ispirazione e di nuovo l’espirazione, sotto nuova forma", avvisò il santo d’oro.
L’Om scaturì nuovamente dal corpo di Tok’ra, sotto forma offensiva. Grande fu la sorpresa di Indra nel vedere il colpo chiamato "Abbandono dell’Oriente" mentre travolgeva, con una velocità ed una potenza superiore alla precedente, due dei Marut restanti, la cui energia veniva trasmessa agli ultimi rimasti.
"Te lo ripeto, mortale, piegati al mio volere ed avrai salva la vita, non costringermi ad annientarti", avvisò Indra, il cui cosmo sembrava aumentare sempre di più, "gli innocenti che tanto vuoi salvare sai come diventerebbero se gli risparmiassi la vita? Pensa ad un gruppo di bambini senza alcun adulto che li obbliga all’ordine, ecco, così sarebbero senza più il terrore dei malvagi. In un mondo in cui l’innocente deve vivere come una pecora, non potrà mai diventare un animale intelligente, ma si trasformerà egli stesso in leone", spiegò il dio indiano, "e neppure sui tuoi compagni penso tu possa contare così tanto, in fondo, chi darebbe veramente la vita per un compagno se non condividesse con lui il medesimo credo?", concluse con tono inquisitorio la divinità.
"Forse gli uomini innocenti, se lasciati senza alcun tiranno diventerebbero essi stessi tiranni, ma non trovo che questo sia un motivo sufficiente per distruggere ogni essere umano, giacché è solo una possibilità, non una certezza", replicò con determinazione Tok’ra, "la vostra, sommo Indra, è un’anima immortale, da più ere di quanto può mai esserla quella di un santo di Virgo, eppure in tutto questo tempo avete imparato solo ad avere sfiducia negli uomini?", domandò poi il cavaliere d’oro, "Io ho imparato il contrario, invece, poiché dai compagni che in diverse battaglie mi sono stati vicini, per aiutarmi, fino all’ultimo dei guerrieri che in un modo o in un altro mi ha aiutato in una battaglia, ho sempre avuto la possibilità di constatare quanta generosità sia insita anche nel più infido degli uomini. Persino in un guerriero egizio il cui carattere era oscuro come pochi altri vi è stata la volontà di sacrificarsi in battaglia", raccontò il cavaliere d’oro, preparandosi ad eliminare gli ultimi due nemici spirituali.
I due Marut si lanciarono allora contro il nemico, mentre uno sbuffo di Indra, indicava quanto il dio fosse contrariato da quelle risposte.
Tok’ra fu abbastanza veloce da evitare i due, mentre i loro spostamenti veloci e precisi scuotevano i suoi capelli come un vento possente. Ben presto il santo d’oro si rese conto di quanto questi due fossero più veloci e precisi dei loro simili, avendone ereditato potenza e qualità fisiche, di certo incrementate.
Fu proprio questa certezza a convincere il cavaliere della Vergine a tentare una tecnica ausiliaria molto rischiosa, ma possibilmente adatta ad una situazione del genere: Tok’ra evitò, spostandosi con la velocità del pensiero, uno dei due, che colpì in pieno l’altro, producendo un’esplosione tale da accumularne la potenza, quindi si preparò ad aprire gli occhi, scatenando il cerchio della Vergine contro una semidivinità, qualcosa, in teoria, di inutile.
L’ultimo Marut si lanciò contro il cavaliere d’oro con una velocità sorprendente, scattando contro di lui con tutta la potenza che aveva in corpo, "Ogni attacco è inutile", avvisò però Tok’ra, "il cielo della Vergine si è aperto su di te", lo ammonì, espandendo il proprio cosmo, mentre gli occhi si spalancavano contro il nemico, che lentamente ne fu paralizzato.
Il Marut, però, sembrava capace di contrastare quella potenza, tanto da muoversi, "Se non posso fermare una divinità con questo mio colpo ultimo, che almeno ne sovraccarichi la presenza, così da annullarla", sussurrò allora il santo di Virgo, "Tenbu Horin", invocò poi, lasciando esplodere l’attacco sacro della Vergine, che travolse il nemico, provocando il sovraccarico auspicato, così da distruggere quell’ultimo essere.
Voltandosi verso il dio della Pioggia, Tok’ra fu sorpreso da ciò che vide: l’energia di quel Marut, che canalizzava in se quella dei suoi simili, si era ora dispersa sulle dita di Indra, che osservava il santo d’oro con freddo disinteresse.
"Sai cos’è questo, vero?", domandò il dio indiano, "Immagino sia una forma di concentrazione che permette di superare i limiti della materia, come le tecniche di meditazione che annullano le sensazioni che dai nervi trasmettono il dolore nel corpo", balbettò sorpreso il cavaliere d’oro, "Esatto, ho utilizzato un decimo della mia essenza per scatenare i Marut, se vuoi, mortale, puoi definirla una forma esoterica di quella concentrazione presa per esempio", concordò la divinità, "Per questo quando loro agivano, voi non vi rivolgevate a me, per mantenere la concentrazione", concluse chiaramente sorpreso il santo di Virgo.
"Giusto", rispose semplicemente il dio, alzandosi in piedi e liberando un cosmo talmente potente da abbattere al suolo il cavaliere di Atena, "Ora, uomo, morirai, con mio grande dispiacere, ma strapperò quell’anima immortale da quel corpo mortale", lo avvisò Indra, preparandosi a colpirlo, finché qualcosa non lo fermò, "Chi osa?", balbettò allora, guardando oltre le mura esterne della Torre.
Tutti nella Nera costruzione avevano potuto seguire lo scontro fino all’esplosione del cosmo di Indra, persino Kumara aveva avuto paura nel sentire l’immenso cosmo del suo signore aprirsi in tutta la propria potenza, ma qualcosa di inaspettato aveva rapito l’attenzione del figlio di Shiva, "Quelli sono giunti fin qui nel momento della battaglia? Come osano disturbare un rituale così importante?", si chiese il dio con la lancia d’oro, osservando da una delle finestre della sala.
Helyss e Zadra, entrambe svenute per tutto il combattimento di Tok’ra, erano state scosse dal cosmo di Indra, ma questo non le aveva svegliate, solo quella nuova presenza che era apparsa in quel luogo le aveva fatte rinvenire, come in preda ad un incubo, "Sorella, chi sarà?", domandò turbata la sacerdotessa del Pittore, "Non lo so, ma ho una brutta sensazione", replicò con timore la Malefica Scultrice.
Durga e Ryo erano stati risvegliati dal cosmo di Indra, invece, ma quella nuova presenza appena giunta aveva impresso timore nei loro animi, "Non ti alzare, cavaliere d’oro", aveva persino suggerito la dea, "Perché?", domandò semplicemente il figlio di Shiryu, "Questo è", accennò, prima che un gesto della divinità gli suggerisse il silenzio.
"Consideralo un consiglio, in cambio dell’avermi risparmiato la vita", concluse la dea, senza avere la forza di rialzarsi.
Persino Varuna si era ripreso per quella nuova presenza fra di loro, ma non aveva fatto niente, né per impedire a Jenghis di raggiungere la cima ormai vicina, né per avvicinarsi agli dei suoi pari, era rimasto in silenzio nel suo nascondiglio nei fondali della Torre.
Lo stesso berseker dell’Avvoltoio, quasi arrivato alla superficie della voragine, ebbe un sussulto di terrore dinanzi a quella nuova presenza, una sensazione tale da farlo barcollare indietro, solo conficcando una mano in una pietra che spuntava acuminata sopra di lui, il guerriero di Ares evitò di cadere, riprendendo il controllo di se stesso con quel dolore immane.
Koryo, che in mille modi aveva cercato di aprire quelle immani porte di nero bronzo, fu sorpreso dall’immenso cosmo che sentì provenire da dentro la Torre, ma ancora più grande fu il suo stupore quando un’entità cosmica maggiore lo circondò completamente, un essere tanto potente quanto terribile nel suo manifestarsi. "Chi è là?", urlò il Beast Keeper, avvicinando la mano destra alla spada. Solo un nitrito fu la risposta. Quando l’allievo di Shiryu si voltò, vide dinanzi a se uno dei quattro Horsemen, "Indra mi ha lasciato un topo da mangiare, che bello", esclamò divertito quel Cavaliere, che si rivelò essere "Kaspian, la Pestilenza, e sarò il tuo carnefice", come egli stesso disse, prima di iniziare il duello.