Capitolo 15: La fine della Prima Giornata

Il tramonto stava ormai abbracciando nel suo roseo colore l’intera Atene, quando, lentamente, i diversi gruppi di guerrieri si riunirono ai santi che li avevano combattuto contro le Furie.

Grande fu la disperazione di Camus nello scoprire che Jacov si era sacrificato, altrettanto immenso il dolore di Dorton e Mamiya per la perdita del loro pari Koga ed in molti piansero il sacrificio di Endimon, morto per eliminare una delle divinità indiane.

Dopo alcuni minuti di silenzio, in cui tutti pregarono per questi amici caduti, fu il tempo di curare i feriti e di questo si occuparono Odeon e Botan, come sempre.

Il ventre di Kano fu fasciato, Zadra e Helyss furono curate, il nero colpo di Megara rallentò la propria presenza su Real, così da far lentamente tornare in lui i sensi, eccetto la vista, "Per riavere la luce, santo d’argento", lo aveva avvisato Odeon, "dovrai aspettare qualche giorno, in cui ti curerò", lo aveva rassicurato.

Elettra stessa fu curata e poi deposta a riposare vicino ad Awyn, anch’essa stanca e ferita.

Tutti i combattenti furono curati in un modo, o in un altro, bendati ed alimentati, così da rimettersi in forze e questa serie di cure continuò fino a notte nelle diverse case dello zodiaco, poi venne il tempo delle riflessioni e del riposo.

Nelle stanze del Sommo Sacerdote si tenne un’assemblea fa i cavalieri che ancora erano in piedi, durante la quale ognuno parlò delle proprie battaglie in quel giorno trascorso.

Iniziarono Daidaros e Zadra, che descrissero come lo scontro si era lentamente evoluto in una maniera inaspettata, del sacrificio di Koga, che aveva suonato la dolce melodia subendo gli attacchi nemici e spendendo fino all’ultimo il proprio cosmo, della battaglia mortale fra Jacov e Tisifone, conclusasi con la scomparsa dei due nel cielo e dei grandiosi scontri vissuti da Elettra e Real contro le altre due Furie.

Fu poi il turno di Freiyr e dei suoi compagni di battaglia e molte informazioni si poterono ricevere dai loro racconti, sulle doti di guarigione delle due sorelle di Morrigan, sulla paura che la stessa aveva avuto del Re di Asgard e sul fatto che Tethra, lo sposo di Nemain non era immortale come loro, bensì un normale, ma incredibilmente potente, guerriero.

Fu poi Esmeria a parlare e con lei chi l’aveva accompagnata nel suo regno, così da raccontare come fossero organizzati e scaltri i neri dei egizi, quanto feroce fosse Apophis e gelido Bennu, quale ira potesse mostrare Seth e quali doti avevano i loro quattro servitori.

Toccò quindi a Tok’ra raccontare della loro battaglia nella Nera Torre, di ciò che aveva potuto percepire del sacrificio di Endimon e di come i diversi dei indiani fossero potenti, ma, soprattutto, il santo d’oro parlò della bontà d’animo che aveva percepito in Indra, una divinità molto diversa da quelle che i suoi alleati avevano descritto fino a quel momento.

Infine, furono i sei che avevano raggiunto la caverna degli Horsemen a parlare, descrivendo, dapprima, i terribili cosmi dei quattro Cavalieri e gli effetti che avevano avuto su di loro, poi, la parola passò a Mamiya.

"Quando entrai nella caverna", iniziò a raccontare la Runouni, "trovai, dopo una breve ricerca, un gigantesco foro in una parete, dove, da ciò che ho potuto intuire, era rappresentata una battaglia epica, poiché vi erano raffigurate diverse armature e spiegazioni in lunghe distinte, tutte molto particolareggiate. Dopo aver intravisto alcune parole in greco, oltre a riconoscere la lingua dei vichinghi e dei simboli egizi, riuscii a riconoscere degli ideogrammi asiatici e, da quel poco che lessi, posso tradurvi una frase che probabilmente diceva: Giunsero anche i Guardiani dell’Oriente Estremo, gli eserciti di uomini d’acciaio e le dodici creature sacre dell’Impero Celeste", iniziò a recitare la guerriera del Topo.

"E che vuol dire?", chiese Elettra, seduta fra gli altri con la gamba fasciata, "Te lo posso spiegare io, amazzone", esordì Koryo, "poiché i Guardiani dell’Oriente siamo noi Beast Keepers e gli uomini d’acciaio, probabilmente, erano i soldati dell’Indu Army. Le dodici creature dell’Impero Celeste, erano dodici creature cinesi, cioè i Runouni", spiegò il guerriero di Seiryu, prima di lasciare la parola a Mamiya.

"Esatto, Drago Celeste d’Oriente", concordò la Runouni del Topo. "Dopo aver cercato di tradurre altre parole, che per lo più erano avvisi di allontanarsi dal luogo in cui riposavano i Quattro figli del Caos, attraversai quella parete distrutta e lì trovai questo", continuò, mentre Dorton le porgeva una stele di roccia.

"Un sasso?", domandò allora Zadra perplessa, "No, sacerdotessa d’argento, un lascito del guerriero del Cane sopravvissuto alla passata guerra con gli Horsemen, se volete, possiamo definirle le sue ultime parole", rispose Mamiya, "Racconta come li ha sconfitti?", domandò Ryo con voce piena di speranza.

"Non esattamente, comunque ci dà delle notizie, come potrete apprendere voi stessi", spiegò la giovane Runouni, prima di iniziare a leggere.

"Sono ormai passati cinque anni dalla fine della lotta con i Quattro figli del Caos, ormai i nuovi Runouni sono stati formati e l’Imperatore del Cielo ne è lieto. Ora posso abbandonare i campi di battaglia e dedicarmi ad una quieta vecchiaia, ricorderò per sempre gli amici con cui ho vissuto in questi anni e che con me hanno combattuto questi esseri. Sono stati necessari grandi sacrifici per eliminarli, l’uso di due armi divine, la perdita di una vita nella quiete ed il sacrificio di Fuoco, ma alla fine la pace è tornata. A chiunque aprisse questa prigione e rivedesse le armature, vi prego di andare via immediatamente, poiché, se sarete in quattro, costoro vi possederanno. Rischiereste di far tornare i Cavalieri a cavalcare, sarebbe la cosa peggiore che al mondo possa succedere. Lascio questo avviso per chi, se mai ciò avvenisse, verrà a cercare risposte. Cercate i Runouni di Giada, dodici guerrieri sacri all’Imperatore di Giada, essi sapranno come vincere questi nemici, poiché a loro ho lasciato il mio diario delle battaglie, fino a quella finale. Shew, Runouni del Cane", lesse velocemente Mamiya.

"Ovviamente alcune parole, come diario, o quieta vecchiaia, sono delle mie trasposizioni, non so invece che cosa costui intendesse per sacrificio di Fuoco", spiegò dopo la Runouni.

"Ma questo diario esiste?", domandò allora Lorgash, "Penso di si, cavaliere d’oro, ma, quando servivamo Gea, non c’è stato consegnato, di certo Ryoga ne era a conoscenza, ma, per servire meglio la sua Padrona non lo aveva fatto leggere a nessuno, nemmeno a Shishio, credo", rispose con discreta certezza Mamiya.

"Intanto sappiamo come li hanno sconfitti, almeno a grandi linee", continuò poi Freiyr, "Hanno usato due armi divine, oltre a sacrificare le loro vite", concordò Camus.

"Si, ma noi qui abbiamo giusto due armi sacre", osservò con titubanza Odeon di Leo, "la Spada Balmung del Re di Asgard e l’Ascia di Ares che possiede il Berseker", contò il santo d’oro, "non dimenticare la mia Spada, creata da una scaglia del drago Seiryu e la frusta di Suzaku, la Fenice del Cielo Meridionale", aggiunse Koryo.

"Questo è vero, ma come usarle non sappiamo", aggiunse poi Botan, preoccupata, "Per questo non c’è problema", replicò Mamiya, "io e Dorton, se per voi va bene, partiremo domattina stesso per il tempio dei Runouni di Giada in Cina e lì cercheremo delle risposte", propose la guerriera.

Passarono alcuni minuti di silenzio, poi, dopo dei veloci consultò, Ryo parlò: "Per i santi di Atena va bene, se altri non hanno problemi, penso che possiate", affermò il figlio di Shiryu e nessuno obbiettò alle sue parole.

"Per stanotte, comunque, riposeremo nelle diverse del grande Tempio, come deciso", concluse dopo Golia, prima che l’assemblea si sciogliesse.

Passarono alcuni minuti, poi ognuno si trovò in una delle dodici case dello zodiaco a riposare, o almeno a tentare di farlo.

Dorton e Mamiya erano stati lasciati soli alla dodicesima casa, quella che Alcyone aveva difeso per poco tempo, sacrificandosi contro l’assalto dei titani.

"Sei preoccupata?", domandò dopo alcuni attimi di silenzio il Runouni a colei che amava, "Tu non lo sei?", replicò lei, riportando il silenzio in quelle magnifiche sale, un tempo adornate da rose di ogni tipo.

Dorton, allora, si avvicinò alla guerriera e la abbracciò, "Il mio maggior terrore, specialmente dopo aver provato su me stesso la forza di un Horseman, sai quale sia, perderti", rispose con voce quieta, "Sai che questo non succederà mai, nemmeno se uno di noi morisse. Il fato voleva che ci incontrassimo e ci unissimo e noi lo abbiamo seguito, ora non credo che ci dividerebbe, comunque, anche se il mio corpo andasse a pezzi, la mia anima ti resterebbe sempre vicina", cercò di rassicurarlo Mamiya, ricambiando l’abbraccio e riposando vicino a lui.

All’Undicesima Casa, Camus e Freiyr avevano raggiunto Bifrost, che malgrado la ferita aveva accettato di fare il primo turno di guardia notturna, da poco conclusosi. Quando lo trovarono, il God warrior di Megrez si stava allenando con la propria spada d’ametista.

"Non vorrai combattere domani?", gli domandò preoccupato il santo dell’Acquario, al sentire quelle parole, il fratello di Alberich si fermò, "Certamente, principe Camus, a meno che sire Freiyr non decida il contrario, io, come God warrior, non mi tirerò indietro dinanzi ad una possibile battaglia contro Tethra, quel guerriero con cui mi sono confrontato già oggi", rispose Bifrost, prima di ricominciare i suoi allenamenti.

"No, amico mio, non ti impedirò di combattere", lo avvisò allora Freiyr, facendolo fermare di nuovo, "ma ti voglio ricordare che c’è una persona che ti aspetta e che probabilmente già costei nell’ora di guardia che avete voluto condividere ti avrà proposto di non combattere ancora", gli rammentò il Re di Asgard. "Maestà, se mi permette la libertà, chiunque potrebbe dire lo stesso a lei, ma malgrado questo non si è fermato dinanzi a nessuna battaglia, poiché, come me, crede che dobbiamo combattere per il Sacro Regno e per onorare i nostri compagni che sono caduti nelle passate battaglie, permettendoci di continuare la difesa della nostra patria", affermò con gentilezza Bifrost, mentre un sorriso si accennava sul volto del figlio di Siegfried, "Questo è vero" concordò lui, ma ora è tempo di riposarsi, domani, ti allenerai all’alba, se vuoi, ma è sempre meglio essere al pieno delle forze dinanzi a nemici come quelli che dobbiamo affrontare noi", propose Freiyr, prima di andare egli stesso a dormire per quelle poche ore che erano a tutti loro concesse.

Alla Decima Casa, intanto, Lorgash di Capricorn dialogava con i due compagni di addestramento, Jenghis e Koryo, che lì con lui avrebbero riposato quella notte.

Avevano appoggiato l’Ascia di Ares e la Spada di Seiryu sotto la statua di Atena i due guerrieri alleati dei saints, poi avevano iniziato a ricordare con l’amico i tempi degli addestramenti a Goro – Ho.

"Ricordate quando il maestro ci lasciava ore ad addestrarci fra di noi? Come era bello combattere con quelle spade di legno?", domandò con voce rilassata Koryo, "Bellissimo", replicò con tono ironico Jenghis, "ogni volta che non si parava l’affondo avversario si rischiavano dei lividi impressionanti, io ne aveva ricevuti parecchi", raccontò il berseker, così da distendere l’aria in quella stanza.

Lorgash, però, riusciva appena ad accennare un sorriso, "Cosa ti preoccupa, amico mio?", domandò dopo alcuni minuti Koryo, ricevendo uno sguardo per risposta, sguardo sufficiente per capire quale fosse il timore di quel santo d’oro, che già due volte era stato sconfitto da Kronos, l’Horseman della Guerra. "Ti ricordi le parole del nostro maestro sul tuo predecessore, Shura?", domandò allora Jenghis, stirandosi le braccia, "Diceva sempre che costui aveva imparato contro lo stesso Sirio cosa fosse il sacrificio per un credo, ma, dopo la sua morte aveva deciso di rischiare persino il disonore per combattere contro Hades sotto mentite spoglie, sacrificando il suo onore per la dea", rispose il santo di Capricorn attuale, "Esatto", concordò Jenghis, "e credo, che anche noi tre, Ryo, e tutti i nostri alleati, siamo egualmente pronti a sacrificare la vita in battaglia contro questi nemici, siano essi gli Horsemen, o qualcuno dei loro compagni", spiegò il berseker.

"Lo so, ma un sacrificio spero sia l’ultima cosa che dovremo fare, anche se sono pronto a dare la vita in questa battaglia", rifletté Lorgash, "Lo speriamo tutti", aggiunsero, uno dopo l’altro, Jenghis e Koryo, prima di andare a riposarsi.

La Nona Casa era stata lasciata deserta, in onore di quanti avevano dato la vita in quelle battaglie e nelle passate era, solo dei simboli funerari erano stati accesi in quel tempio ed sarebbero arso per l’intera notte.

All’Ottava Casa, intanto, Anhur aveva raggiunto Ihi, mentre Sekhmet si era diretta alla Prima Casa, per il suo turno di guardia.

Il comandante dei Pharaons, con sua grande sorpresa, aveva trovato il musico di Khepri seduto in un angolo, a piangere.

In quel momento, Anhur avrebbe voluto scuoterlo con la violenza di cui erano solo fare uso, ma capendo che in un momento del genere, contro nemici divini, anche il più forte può essere scosso dal dubbio, decise di utilizzare un po’ di quella gentilezza che ancora gli restava nel parlare con il suo parigrado, così gli si sedette vicino.

"Che ti succede, Ihi?", domandò con gentilezza il Pharaon di Selkit, "Comandante, perché sono così debole ed incapace?", replicò con un filo di voce il parigrado di Khepri, "Che vuoi dire?", incalzò Anhur titubante, "Ogni battaglia che è stata fatta finora non mi ha mai visto vincitore", spiegò semplicemente il giovane egizio.

"Quando i guerrieri olimpici arrivarono nel nostro regno, non riuscii a fermare una di loro e poi, per volere di Iside ed Osiride, non partecipai alla battaglia in cui il dio Thot perì contro i titani invasori. Quando lei, Sekhmet e Sed foste mandati a combattere con i nostri nuovi alleati, io rimasi con Knosus a difendere il nostro regno, guidando le mummie nere, non partecipai ad alcuno scontro allora. Quando il Serpente di Giada mi attaccò, fui sorpreso alle spalle e con un solo goccio del suo veleno mise la mia vita in bilico fra la vita e la morte. Poi tre giorni fa, Knosus ha deciso di non lasciarsi seguire in quella piramide dove ha perso la vita ed adesso, che potevo dimostrare la mia dignità di guerriero, sono stato atterrato da un singolo attacco, lasciando morire due miei alleati senza fare niente", raccontò con le lacrime agli occhi il giovane.

"Ragazzo", esordì dopo Anhur, "tu sei il più giovane combattente dell’esercito egizio, in te la forza sta nel cuore e nella musica. Le vittorie e le sconfitte, spesso si contano a seconda di quante vite siano state perse nel raggiungerle. So che questo non può consolarti, ma sappi, che nemmeno io sono stato sempre forte e che, sinceramente, per quante battaglie abbia potuto vivere e vedere, non sono sicuro di riuscire a sopravvivere a questa", confessò il Pharaon di Selkit. "Davvero?", balbettò Ihi, "Certo", rispose Anhur, lasciando nascere un sorriso sul suo volto, "ora però dormi, hai da fare l’ultimo turno di guardia", concluse poi, andando a sdraiarsi in un’altra parte della sala.

Alla settima casa Ryo ospitava i tre Tree Monks, con cui discuteva della forza dei nuovi nemici che avevano dinanzi.

"Combattere contro gli dei è cosa folle", affermò ad un tratto Rhiannon, "Lo so, guerriera del Fico, eppure è ciò che abbiamo fatto finora, prima contro Urano, poi dinanzi a Pontos ed infine con Gea", replicò il santo di Libra, "Si, anche noi sapevamo di dover batterci con Morrigan e le sue sorelle, ma forse, ci manca qualcosa per farcela", concordò allora Taranis, calando il capo con tristezza.

"Una guida", sussurrò con dispiacere Rhiannon, "il sommo Dagda, il saggio Gwyddyon, il grande Ogma, Nuada, Ceridwyen, con loro avremmo avuto più possibilità, ma noi siamo solo in tre, cosa potremo fare da soli?", domandò la Tree Monk.

E gli sguardi dei due guerrieri celtici andarono al giovane musico, sconfortato, proprio come Ihi, per l’inutilità che aveva avuto nella passata battaglia. "Signore delle Guerre, e Cavaliere del Fico, vi ricordo che in cinque, mio padre ed i suoi alleati, riuscirono a sconfiggere il dio Hades, oltre ai suoi due seguaci, Thanatos e Hypnos", esordì poi Ryo, cercando di ridare fiducia agli alleati, "e nemmeno nei momenti in cui si sentirono più impotenti, Ilew, furono presi dallo sconforto, perché sapevano che ciò non sarebbe servito né ai vivi, né ai morti", concluse il santo d’oro cercando di dare fiducia anche al giovane musico.

Nella Casa di Virgo, intanto, Tok’ra meditava, in silenzio, nella solitudine che tante volte lo aveva accompagnato negli anni passati e che in quel momento abbracciava, "Maestro, passati santi della Vergine, datemi la forza per affrontare questi nuovi nemici, ditemi la via per sconfiggere chi mi si mostra come avverso", pregava il giovane santo della Sesta Casa, rivelando a se stesso le inquietudine che ne turbavano il cuore.

Alla Quinta Casa, intanto, Odeon continuava a dare le necessarie cure ai santi d’argento feriti.

Real era seduto in un angolo, con una fasciatura sugli occhi, il santo di Leo e quello di Cefeo si occupavano di curarlo e con lui stavano discutendo, come nelle altre case sul da farsi nei giorni a venire, sulle battaglie che ancora li attendevano. Kano era sceso alla prima casa per il suo turno di guardia, mentre le due sorelle asgardiane stavano discutendo fra loro.

"Non posso crederci, Helyss, come abbiamo fatto ad essere così inutili oggi?", tuonò ad un tratto Zadra, "Non lo so, sorella mia, ma, ti posso dire che non accadrà più", cercò di autoconvincersi la sacerdotessa del Pittore.

"Se sarà necessario combattere, noi lo faremo, come il Re Freiyr e tutti i nostri alleati ed amici", aggiunse la Sacerdotessa dello Scultore, stringendo la mano alla sorella, "Si, come tutti, anche come Bifrost", concordò con voce cupa Helyss, "che malgrado la ferita alla spalla ha deciso di continuare il duello con quell’avversario domani, di rischiare di nuovo la vita, anche se ferito, anche se lo pregavo di non farlo", si ripeté la giovane Silver saint.

"Ti capisco, sorella, anch’io sono preoccupata per il grande Freiyr, ma, loro più di noi, sono costretti a combattere per doveri verso il sacro regno, come noi lo siamo verso la giustizia", le ricordò Zadra, "Che giustizia è quella che ci fa vivere con una maschera sul volto?", le sussurrò allora Helyss, "Una giustizia che dobbiamo portare avanti come guerriere, non come donne di casa. Tu preferiresti che Bifrost combattesse senza che tu potessi, con ciò che sai dei campi di battaglia, cercare di aiutarlo? Io no, per chi mi sta a cuore", replicò con tono ammonitore la maggiore delle due sorelle, "Lo so, hai ragione, ma quando questa guerra finirà, spero di poter abbandonare questa maschera", rifletté la minore, "Anch’io", concluse la primogenita.

Nel Tempio del Cancro, intanto, Botan si prendeva cura di Elettra ed Awyn, cambiando le fasciature alle loro ferite.

"Che buon odore c’è in questo tempio", osservò dopo alcuni minuti di silenzio la baccante di Dioniso, "mi ricorda i profumi di Corinto, il tempio dove sono divenuta guerriera e che ho difeso con Remor e Noa", raccontò, "Quei bellissimi profumi che solo un campo primaverile può portare", aggiunse poi Elettra, "gli stessi che anch’io, con le mie sorelle amazzoni, sentivo nelle vaste foreste in cui correvano felici", ricordò.

"Sono dei profumi provenienti dalle piante che ho lasciato crescere all’esterno di questo tempio. Fu Alcyone dei Pesci, mia parigrado scomparsa nella battaglia con i titani, a darmi i semi da coltivare, poi, io feci il resto, per evitare che questo tempio fosse per sempre ricordato come il luogo in cui si entrava nel regno dei Morti, per dare una vita a queste rocce un tempo adornate da teste umane, quelle che il mio predecessore Deathmask amputava alle proprie vittime", spiegò Botan.

"Hai uno spirito troppo gentile per essere una guerriera", la ammonì con tono divertito Elettra, "Grazie", rispose la sacerdotessa d’oro, con una voce che lasciava intuire il sorriso sotto la maschera, "so di essere gentile e non odio ammettere di aver dovuto togliere solo una vita nelle tante battaglie vissute. Un giorno, però, quando ci sarà la pace, allora potrò di nuovo mostrare la mia gentilezza, che da quattro anni tengono nascosta sotto questa maschera", affermò la Gold saint, "Te lo auguriamo", aggiunsero Elettra ed Awyn, prima di andare anche loro a riposare.

Nel Terzo Tempio, quello dei Gemelli, i due mariners riposavano tranquillamente, o almeno così sembrava, giacché Kain era in piedi a guardare le colonne di quella casa zodiacale.

"Kain, perché non dormi? Domani ci attenderanno nuove battaglie, non lo sai?", domandò Neleo al proprio pari, "Vedi, amico mio, dormire in questo luogo mi dà troppa tristezza. Malgrado sia stato raso al suolo più di una volta, questo tempio mi trasmette ancora la presenza di tutti i suoi custodi, dai famosi Saga e Kanon, che lo difesero da Hades, a mio fratello, Abel, che per salvarmi trovò la morte contro Urano a Sparta. Il ricordo del mio gemello mi fa tornare in mente la fanciullezza, quando diventare cavaliere sembrava a tutti e cinque noi figli di Ikki una cosa bellissima. Quando mio padre spiegò che solo uno fra me ed Abel poteva diventare santo di Atena, io stesso rinunciai a quella possibilità perché affascinato dai racconti di Sorrento, che con le sue descrizioni del regno dei Mari mi convinse a schierarmi con Nettuno, alleato di Atena, mentre fu la voglia di divertimenti a spingere Remor nelle file di Dioniso. Esmeria fu costretta ad abbandonarci per diventare una Beast Keeper, solo Abel e Rume non ebbero problemi nel seguire le loro strade, poiché da sempre il Principe ereditario di Cartagine diviene Goshasei del Pellicano, mentre uno dei figli di Ikki avrebbe avuto strada facile nel divenire santo d’oro di Atena, poiché egli stesso ci addestrava. Ora, dopo tanti anni, Rume, Remor ed Abel sono morti, i nostri genitori sono caduti anch’essi ed Esmeria è quasi una donna, oltre che una grande guerriera, mentre gli uomini che definivamo amici e che con noi difendevano il Regno dei Mari sono caduti, uno dopo l’altro ed oggi mi chiedo se noi tutti presto non li raggiungeremo", concluse il figlio della Fenice. "Amico mio, in tante battaglie vissute insieme noi abbiamo visto molte volte la morte negli occhi ed ora, come i nostri compagni prima di noi, rischiamo di avvicinarci a quel gelido abbraccio, però, i doveri guerrieri di Nettuno ci precludono altre scelte", spiegò Neleo, "Lo so, Generale, e di fatti non fuggirò dinanzi a nessuna battaglia", concluse Kain, stringendo la mano all’amico.

Alla seconda Casa una figura dormiva silenziosa, mentre altre due osservavano l’ambiente circostante, "Joen, dovresti riposare anche tu, ormai il nostro turno di guardia sta per avvicinarsi", esordì Esmeria di Suzaku, alzandosi verso il Guardiano del Pavone.

"No, regina, non si preoccupi, sono un Guardiano, quindi è mio dovere", replicò gentilmente il Goshasei.

"Certe volte non riesco a capire ciò che pensi, amico mio", continuò Esmeria, allontanandosi.

Golia si era risvegliato in quel momento ed osservava la scena, "Figlia di Ikki", esordì lui, "non è nella natura di Joen, come non lo era in suo padre Tige, la propensione al riposo, sono dei guerrieri che fin dalla nascita sono addestrati per difendere la dea Era e colei che la rappresenta in terra", spiegò il santo d’oro, "Ognuno accetta il peso della propria investitura a modo suo, tu, decidesti di allontanarti da casa, Joen, rifiutò quasi ogni legame, gli rimase solo l’amicizia dei compagni d’addestramento, la fedeltà alla sua dea ed il parigrado del Falco. Ormai degli allievi del grande Tige siamo rimasti solo io e lui, Duncan è caduto nella battaglia scorsa con i Black Saints, quindi solo prendersi cura della sua dea e di chi la rappresenta in terra per lui ha valore", raccontò Golia, "specialmente in questo momento, con questi tremendi avversari che si parano dinanzi a noi", concluse, rimettendosi a dormire.

Ai piedi del Primo Tempio, intanto, due figure facevano la guardia. La prima, Kano del Pavone, era seduto nella posizione del fiore di loto, l’altra era Sekhmet, che camminava agitatamente dinanzi al santo d’argento.

"Non mi agiterei tanto se fossi in te, Pharaon di Bastet", la avvisò dopo alcuni minuti l’allievo di Kaor, "E perché mai?", replicò la guerriera egizia, "Tu stessa hai detto di aver subito un colpo che fa perdere l’equilibrio e distorce le percezioni, quindi potrebbe esserti nocivo", rispose semplicemente il santo di Atena.

"Non morirò per questo, almeno non prima di aver sconfitto Seth ed aiutato i miei pari nella vittoria contro Apophis", replicò Sekhmet, "Hai intenzione di tornare a combattere?", domandò Kano, alzandosi in piedi, "Perché tu che farai?", incalzò lei, "Lo stesso, per quanto potrò, come cavaliere d’argento", rispose il santo del Pavone, "Malgrado questo?", aggiunse la guerriera egizia, appoggiando con violenza la mano sulla ferita provocata da Tisifone.

Kano si chinò su se stesso per il dolore, ma, con un sorriso accennato fece finta di niente, "Si, malgrado la ferita", rispose poi, "Bene, nemmeno io mi arrendo, d’altronde, devo ancora vendicarmi delle sconfitte subite", sentenziò lei, andandosi a sedersi su uno scalino della Prima Casa.

"Lo so", sussurrò fra se Kano, riprendendo la posizione del fiore di loto.

I cavalieri passarono ancora alcune ore cambiando i turni di guardia e riposando quasi quietamente, poi, infine, arrivò l’alba, un nuovo giorno di battaglie stava per iniziare.