Capitolo 30: Il triste Cinghiale
In una stanza, all’ultimo piano del Nero Castello, Shishio si era alzato dalla sua poltrona, avvicinandosi alle candele che fino ad allora aveva spento durante la discussione con Sairon e lì spense anche la quarta e la nona fiamma sul lato destro, ma, prima di voltarsi, sentì che la porta alle sue spalle si stava aprendo.
Grande fu lo stupore dei due Runouni nel vedere Ban, il guerriero risorto per servire Ate, spuntare dinanzi a loro per osservare le candele.
"Quasi tutti i Black Gold Saints sono dunque caduti", osservò il nero guerriero risorto, "Si, zombie", replicò Shishio con il proprio tono di voce beffardo, "ma puoi dire alla dea dell’Ingiustizia che finché resteranno i guerrieri di Giada nessun cavaliere olimpico avrà possibilità di raggiungerla", continuò con baldanza il Drago Cinese.
"Sai, stupido ragazzo, ho sentito più volte parlare con tanta tracotanza i nemici dei santi di Atena", lo sbeffeggiò Ban, "Davvero? Sono strane le tue parole, moribondo, perché tu dovresti essere il primo a non volere che quelli vivano. Qual era il tuo desiderio? Vivere se ben ricordo, tu eri l’avido di vita, questo era il tuo vizio l’Avarizia, giusto?", domandò con tono beffardo il Runouni del Drago.
Ban gli puntò contro la mano con rabbia, "Pesa le parole, guerriero di Giada, io sono stato un santo di Atena quando tu ancora eri un moccioso senza spina dorsale, sono morto per un credo quando tu pensavi soltanto ad avere una sfavillante armatura e se sono tornato in vita è stato perché finalmente qualche divinità ha dato valore alla mia esistenza, solo per questo. Finora Atena non aveva mai preso in considerazione me e la mia stessa vita, per questo ha meritato il mio tradimento dopo la morte, per lei mi sono sacrificato e quando sono morto non ho ricevuto nemmeno la metà di quello che donò ai cinque santi divini. Per questi motivi siamo nati noi, i cinque santi demoniaci", replicò con tono furente il guerriero del Leone degli Inferi Minori.
"Parole veritiere le tue, amico Ban, noi cinque non siamo mai stati considerati alla pari di Seiya ed i suoi compagni, eppure la mia forza e la mia furia superano di molto quella di Ikki che fra loro era definito il più funesto e feroce, io gli sono di certo superiore in tutto, a lui ed a chiunque altro", esordì Geki dell’Orsa Nera, apparendo nella stanza, "il mio corpo, rinato a nuova vita, ha una potenza indescrivibile, con cui distruggerò qualsiasi avversario", osservò soddisfatto.
"Vero, cavaliere, eppure non avete ucciso i santi d’oro quando ne avevate l’opportunità, perché?", domandò con tono gelido Raizen della Tigre ammutolendo i due.
Geki e Ban si allontanarono, rientrando nella stanza dove avevano lasciato i loro parigrado.
Un sorriso soddisfatto si dipinse sul volto di Shishio e, poco dopo, anche su quello di Raizen.
"Geki, perché li abbiamo salvati?", domandò pochi secondi dopo Ban al proprio pari, ma questi non gli rispose, avanzò silenzioso proprio come lui.
"Forse, miei parigrado, inconsciamente è rimasta in noi la voglia di servire la dea Atena, oppure, altra possibilità, è stata la pietà a fermare le nostre mani. Io per primo ho trattenuto la potenza del mio ululato, distruggendo due templi sacri senza ucciderne i padroni", suggerì all’improvviso Nachi del Lupo Infernale, apparendo dall’oscurità insieme ad Ichi.
"Chissà, cavalieri, forse ciò che noi desideravamo ci è stato concesso, ma non per questo siamo completamente soddisfatti. La mia carica di comandante, la forza di Ichi, la possibilità di essere glorificato come maestro di Geki e la vita di Ban, tutte cose che noi volevamo e che abbiamo ricevuto, eppure non ci sentiamo completi", rifletté il Lupo Nero, sedendosi su una poltrona, "Vero, Nachi, nessuno di noi è pienamente felice, eccetto Jabu, che finalmente ha potuto coronare il suo sogno di essere notato da una dea", concordò Ichi, accomodandosi vicino al suo pari.
Tutti e quattro i neri cavalieri osservarono il trono alla fine del corridoio, lì era seduta la fanciulla di cui Ate aveva preso il corpo ed accanto a lei, in ginocchio ad accarezzarle la mano, Jabu, come ipnotizzato dal volere di costei. Sopra i due neri individui vi era Shaina, incatenata ed ancora svenuta, dentro una cupola dal colore verde.
"Chissà se stiamo facendo bene?", si chiese ancora Nachi, ma nessuno gli rispose, tutti asseriti nei propri pensieri.
Mentre i neri guerrieri riflettevano sulle loro azioni, due Runouni nella cantina del nero castello si erano parati come nemici dei cavalieri olimpici.
Real della Lira osservava uno dei due avversari, quello che non si nascondeva nell’ombra e grande fu il suo stupore nel riconoscere le immani vestigia verdi e le scure ciocche di capelli, "Lo riconosco quel guerriero, è uno di coloro che hanno attaccato il Santuario, si chiamava Dorton, il Runouni del Cinghiale", esclamò sorpreso il santo d’argento, osservando il nemico.
"Esatto, cavaliere, questi sono il mio nome ed il mio titolo", replicò quest’ultimo con il tono cupo e triste che lo contraddistingueva.
Il cosmo del guerriero esplose in tutta la sua potenza sviluppandosi con una luce accecante per i diversi guerrieri lì presenti, "Siccome questa volta siete voi gli invasori, non vi chiederò di fermare i vostri passi, bensì fatevi avanti, guerrieri olimpici, sono pronto al duello", esordì quietamente il Runouni del Cinghiale.
I cinque guerrieri si guardarono fra loro, Real era l’unico visibilmente segnato da una battaglia, quindi chiunque degli altri avrebbe potuto affrontare questo nuovo nemico, ma, prima ancora che potessero discuterne fra loro, Jenghis avanzò, uscendo dal gruppo e mostrandosi al verde nemico con in mano la propria possente Ascia.
"Dunque tu, berseker di Ares, sarai il mio avversario?", chiese con tono cupo il verde guerriero, "Si, Runouni, sarò io il tuo nemico, Jenghis dell’Avvoltoio, custode dell’Ascia della Guerra", si presentò il combattente sacro ad Ares.
Dorton non replicò dinanzi alle parole del nemico, ma scattò semplicemente in avanti, correndo verso l’avversario con grande velocità.
Le zanne sui bracciali del Runouni corsero verso il volto del Berseker, ma questi li evitò con veloci movimenti laterali. La risposta di Jenghis fu altrettanto agile: con un movimento della mano sinistra calò l’Ascia contro il capo dell’avversario, che però, lanciando un montante, bloccò la lama sacra con gli artigli della mano sinistra, quindi fu Dorton stesso a tentare di colpire il nemico al capo con le zanne sull’arto destro, che fu però bloccato da una veloce presa di Jenghis. I due nemici si erano così bloccati in una reciproca presa.
Il cosmo luminoso del Runouni si scontrò con l’energia elettrica del Berseker, producendo dei bagliori d’intensità variabile ed impressionante.
Dopo alcuni secondi i due contendenti si divisero con un balzo all’indietro, portandosi l’uno a distanza di sicurezza dall’altro.
"Sei veramente abile, Runouni, dopo lo scontro con i titani di Urano non ho più incontrato nemici potenti come te", si complimentò Jenghis, sollevando la propria Ascia, "Sono ormai mesi che non uso questa tecnica", rifletté il berseker, concentrando il proprio cosmo elettrico.
"Vuoi usare la piena potenza della tua arma, bene guerriero, allora farò altrettanto", replicò con tono cupo il Runouni, sollevando le zanne verso il cielo.
L’ondata d’energia elettrica calò dalla possente Ascia di Ares, ma, contemporaneamente due gigantesche lame di luce proruppero dalle braccia di Dorton, correndo verso i rispettivi nemici a massima velocità.
Le tre ondate d’energia cozzarono uno contro l’altro, producendo un’esplosione sul terreno circostante ed aprendo un solco dinanzi ai due combattenti, che furono sbalzati lontano dalla furia dell’attacco, entrambi con le vestigia danneggiate.
Poco lontano, all’entrata del Nero Castello, l’esplosione delle due energie guerriere fu percepita da tutti i cavalieri sopravvissuti ai due neri Gold Saints, "Sembra che qualcun altro stia combattendo", osservò Golia del Toro, rivolgendosi a Tok’ra.
"Il cosmo che ho sentito scatenarsi apparteneva a Jenghis", esordì all’improvviso una voce alla destra del gruppo di guerrieri.
Tutti si voltarono e con grande sorpresa videro arrivare alcuni dei cavalieri che avevano perso di vista durante la battaglia, "Koryo!", esclamò felice Esmeria, osservando il suo parigrado arrivare con Awyn, Endimon e Daidaros, tutti feriti, ma pronti per nuove battaglie.
"Salve, Suzaku", salutò il Beast Keeper di Seiryu con un gentile sorriso.
"Cavalieri siete quindi sopravvissuti", esclamò soddisfatto Golia del Toro, avvicinandosi a Daidaros e gli altri.
"Se quel cosmo era veramente di Jenghis, anche Ryo sarà con lui, da dove proveniva?", domandò allora il cavaliere d’argento, "Dai sottofondi di questo nero castello", rispose cupamente Kano del Pavone, avvicinandosi al parigrado, "Ed il cosmo nemico mi sembra di averlo già percepito al grande Tempio", rifletté infine.
"Se altri cavalieri combattono, alleati olimpici, anche noi dovremmo muoverci", esordì Anhur, "tanti di noi sono caduti, altri cadranno, ma dobbiamo muoverci, cerchiamo una via per entrare in questo nero maniero", propose il Pharaon di Selkit.
I quattro appena arrivati non capirono cosa volessero dire quelle parole, ma Tok’ra osservò con attenzione il comandante dell’armata egizia e con un gesto di approvazione, concordò sulla sua proposta, iniziando lui stesso a cercare una via per entrare nel nero castello, mentre l’altro scontro continuava.
Nel sotterraneo, Dorton e Jenghis si rialzavano, nel frattempo, entrambi feriti, ma per nulla sconfitti.
"Berseker, ritirati e lascia a me questa battaglia", propose Ryo di Libra, osservando il proprio compagno d’addestramenti.
"Non preoccuparti, cavaliere, seppur non partecipavo ad un vero scontro da tempo, sono pur sempre un guerriero sacro al dio della Guerra, non basta così poco per sconfiggermi", esclamò Jenghis dell’Avvoltoio, lasciando esplodere il proprio cosmo e sganciando l’armatura dal corpo, "Ora, Runouni, combatterò al massimo delle mie potenzialità", esclamò con tono deciso, affondando l’Ascia vicino a se.
"Dorton, tutto bene?", domandò allora la voce nascosta nell’ombra, dimostrandosi una voce femminile, "Si, non ti preoccupare. Piuttosto, cerca di restare lontana dal campo di battaglia, potresti essere travolta nella furia dello scontro che sta per iniziare", rispose cupamente il Verde Guerriero, mentre il cosmo esplodeva con una luce ancora più accecante, "Perché adesso che il Berseker mi mostra la sua massima potenza, anch’io, la Furia Cupa, dovrò scatenarmi", concluse il Runouni, appoggiando le mani alle ginocchia e chinandosi sul proprio asse.
I due cosmi esplosero con tuoni e luci, tutti i presenti indietreggiarono per la potenza delle energie dei combattenti, "Aura di Battaglia", urlò subito Jenghis, "Cinghiale Furente", replicò Dorton.
Il corpo di Jenghis si sollevò in aria per la potenza del suo cosmo, la carica elettrica intorno a lui proruppe sotto forma di fulmini e saette, mentre Dorton, illuminato dalla propria energia, correva come un Cinghiale infuriato contro il bersaglio, lasciando una scia di luce dietro di se.
I due cosmi si incontrarono prima dei combattenti, l’aura battagliera fermò la corsa del Cinghiale, ma nessuno dei due ebbe la piena vittoria sull’altro, entrambi rimasero fermi, mentre la loro aurea si confrontava in battaglia.
Le ferite che Jenghis aveva ricevuto in diverse battaglie si aprirono improvvisamente sotto la pressione delle due auree, medesima cosa accadde al copricapo di Dorton che, dopo aver subito il primo colpo, era già visibilmente danneggiato.
Tutti poterono vedere il volto del Runouni e scoprirono che, non solo la sua voce, ma il volto stesso, anche nel momento più cruento di una battaglia, era terribilmente cupo e determinato, né odio, né ira, solo tristezza si leggevano nel suo sguardo, caratterizzato dai grandi occhi violacei.
I due combattenti emisero un urlo terribile ed i loro cosmi esplosero ancora più intensamente, gettandoli entrambi indietro per la pressione prodotta.
Dorton cadde vicino alla figura nascosta nell’ombra, mentre Jenghis volò al suolo, vicino ai propri alleati, "Tutto bene, berseker?", domandò allora Elettra del Cavallo, "Si, amazzone, tutto bene, non so se lo stesso si può dire del mio avversario", rispose il guerriero dell’Avvoltoio.
"Sono ancora qui, non preoccuparti", rispose con tono cupo il Runouni, rialzandosi, il suo sguardo era sempre triste, "ti combatterò fino alla fine, sia te, sia i tuoi compagni, nessuno deve superarmi ed avvicinarsi a lei", concluse il Runouni, voltando lentamente lo sguardo verso la persona nell’ombra ed accennando, per la prima volta, un sorriso.
Lo scontro stava per continuare.