Capitolo 27: L’invasione del Castello
"Sembra che anche l’ultima delle guardie è caduta, caro Sairon", osservò divertito Shishio del Dragone di Giada, rompendo l’ottava candela sulla destra, "Ora i nostri nemici entreranno nel castello", aggiunse Raizen della Tigre.
"Avete ragione, Morrigan è caduta e nessuno difende più l’entrata al castello oscuro della somma Ate. Ora i nostri nemici varcheranno l’entrata e se mai riuscissero a superare i due che ho lasciato a difesa delle porte nere, sarebbero pochi i nemici ad attenderli lungo la strada, quindi, sempre che voi non vi opponiate con terribile furia, io varcherò quella soglia e li attenderò, attenderò i nostri nemici, insieme ad uno dei vostri Runouni, lascerò il mio fidato ultimo nero guardiano a difesa di questa porta, non preoccupatevi di questo", proruppe Sairon, allontanandosi dai due con cui aveva parlato fino ad allora.
Né Raizen, né Shishio si opposero a questa proposta, ma semplice osservarono il nero comandante dei Black Saints allontanarsi a passi veloci, oltrepassando la porta ed i due custodi, un Runouni ed un Santo d’oro nero, che fuori da questa attendevano nemici.
Shishio osservò Raizen, poi si sedette e scoppiò in una maligna risata, "Quel guerriero della Bilancia Nera è un vero idiota, sai fratello?", esclamò soddisfatto il Dragone di Giada.
Raizen guardò stupito il parigrado, "Non dovresti parlare così, Shishio", esordì, azzittendo le risate del Runouni, "perché quello stupido potrebbe ancora sentirci", continuò scoppiando anch’egli in un ridere maligno.
"Quale stupido può scagliare la maggioranza dei suoi soldati contro il nemico senza nemmeno testare prima la potenza dello stesso con qualche misera pedina", sogghignò divertito il Dragone di Giada, "Già, ed è proprio questo che noi, invece, abbiamo fatto, abbiamo giocato le nostre quattro pedine", concordò con tono divertito la Tigre di Smeraldo.
"Esatto. Prima Nemes del Cane, che aveva solo la velocità come sua dote, niente più, poi Koga della Scimmia, la cui natura piena di dubbi lo avrebbe portato prima o poi a tradirci comunque, quindi Zodd del Bufalo, la cui testa era sempre piena del solo desiderio di vendetta", concordò con tono soddisfatto Shishio, "E poi Ryoga della Lepre, che avrebbe potuto rubarti il posto di comandante dei Runouni, dato il suo legame con la nostra grande guida", concluse allora Raizen, porgendo un calice al parigrado.
"Esatto, fratello, esatto. Ora restano gli ultimi quattro neri guerrieri da usare e gli altri sei Runouni", concordò il comandante dei guerrieri di Giada, sollevando il calice, "Si, fratello, anche se due di loro sono pedine meno malleabili, ma finché saranno legati dal loro dovere a noi, saranno fedeli e forti guerrieri ai nostri ordini", concluse il secondo dei Runouni, brindando con colui che chiamava "fratello".
I primi a raggiungere il nero portone del Castello di Ate furono i cinque asgardiani, insieme a Kain, Neleo, Odeon e Lorgash, a cui si erano ricongiunti dopo lo scontro con Jacov.
Fu proprio Lorgash di Capricorn ad aprire il grande varco, distruggendo l’entrata con un colpo della sacra spada Excalibur.
Quando il gruppo fu dentro, osservò quella che era la sala d’entrata dell’Oscuro Castello: un’ampia stanza vuota, due lunghe scale si aprivano sui suoi lati. Non vi erano finestre, né porte in questa sala, solo le due scale.
I mattoni, tutti uguali e rettangolari, erano neri come la pece, o, per rendere ancora meglio l’idea, come le armature dei Black saints.
"Dividiamoci nuovamente, cavalieri, poiché due sono le scale e due erano i nostri gruppi, prima di ritrovarci dinanzi all’entrata", propose allora Neleo di Hammerfish, "Si, generale dei Mari, credo sia la cosa migliore da fare, voi quattro percorrete una scala, mentre noi, guerrieri asgardiani, saliremo lungo l’altra", concordò Camus dell’Acquario, "Sono d’accordo, cugino", aggiunse Freiyr di Dubhe.
"Bene, cavalieri, allora noi quattro andremo sulla sinistra, se per voi va bene", propose Odeon di Leo, "Si, cavaliere d’oro, muoviamoci ora, poiché se le parole di Jacov erano sincere, abbiamo poco tempo per salvare la grande Shaina", aggiunse allora Helyss del Pittore.
I due gruppi si divisero e nessuno di loro notò le due ombre che erano rimaste nascoste sotto le rampe di scale, nella penombra con cui si erano fuse.
Pochi minuti dopo la scomparsa dei nove da quella sala, divisi lungo le due scale, altre figure si avvicinarono all’orizzonte.
"Ecco dunque l’entrata", esordì Ryo di Libra, "Si, amico mio, è questa l’entrata, varchiamo quindi, per vincere dei nemici ed onorare Obbuan, oppure preferisci attendere Daidaros? Sento che è sopravvissuto alla sua battaglia", domandò allora Jenghis dell’Avvoltoio.
"Entriamo tutti insieme, Berseker", esclamò allora una voce femminile in lontananza.
I due allievi di Shiryu si voltarono verso la boscaglia e da lì videro arrivare Real della Lira, Botan del Cancro ed Elettra l’amazzone.
"Dove sono i vostri due compagni, cavalieri?", domandò Botan, memore di chi era partito lungo una delle sei strade, "Obbuan è caduto", sussurrò con voce triste Jenghis, "Mentre Daidaros è rimasto indietro per un’ardua battaglia, ma ne è sopravvissuto", concluse Ryo.
"E Clio?", chiese poi il cavaliere di Libra, "Anche lei è caduta in battaglia, sacrificandosi per permetterci di continuare il nostro viaggio", rispose con voce singhiozzante Elettra.
"Dunque siamo entrambi gruppi dilaniati da perdite", rifletté Botan del Cancro, avanzando verso l’entrata.
"Forse è saggio che attendiamo qui Daidaros e gli altri cavalieri", propose il santo di Libra, "Anche se sembra che Lorgash ed i suoi compagni di viaggio siano riusciti a superare quest’entrata", aggiunse poi Jenghis, osservando i pezzi del grande portone, tagliati di netto e con grande maestria.
"Si, attenderemo qui Daidaros e gli altri nostri alleati, cavalieri", concordò allora Elettra, "sperando che loro non siano caduti", concluse con voce triste.
In quello stesso momento, mentre ancora Elettra concludeva la propria frase, un nero fuoco ed un potente cosmo proruppero nell’aria, frantumando il terreno sotto i piedi dei cinque guerrieri, i quali caddero nel baratro lasciato al posto del pavimento nero.
"Questo secondo gruppo di cavalieri era più misero e patetico del primo, non è vero?", domandò una delle due ombre, manifestandosi sulla scala, "Si, hai ragione. Hai notato che fra loro vi era la tua controparte aurea?", aggiunse poi la seconda voce, con tono sarcastico, "una donna", continuò divertito.
"I primi nove erano già più pericolosi, tre feriti e sei combattenti molto forti, ma questi cinque erano un ferito, due donne e due soli guerrieri, quel topo ed il suo parigrado potranno sicuramente sostenere in battaglia ed ucciderli", rifletté la prima delle due ombre.
"Dunque li avete lasciati passare senza combattere?", urlò una terza voce, proveniente dalla porta.
I due guardarono verso i portoni, otto figure erano ferme sull’entrata.
"Bene, nuovi nemici, voi, purtroppo non potrete passare di qui, non possiamo far divertire solo i Runouni, vi combatteremo noi, cavalieri di Atena, o di qualunque altra divinità", replicò la prima delle due voci.
"Cavalieri di Atena siamo noi tre, guerriero nero", esordì Tok’ra di Virgo, camminando insieme a Kano e Golia, "Con loro, una delle quattro Bestie sacre d’Oriente, la Beast Keeper di Suzaku", esclamò allora Esmeria, la figlia di Ikki, "E dalla lontana terra delle piramidi anche noi Pharaons siamo pronti alla battaglia", continuò Anhur di Selkit, avanzando con Sekhmet e Sed, "Infine ci sono io, l’ultimo Goshasei di Era, sacro guerriero di Cartagine", concluse Joen del Pavone.
"Guarda chi si rivede", esclamò allora una delle due voci, che si rivelò essere Zoras di Black Sagitter, "Tu, assassino!", urlò in tutta risposta il guardiano di Era, facendosi avanti verso il nemico.
"E chi di voi, invece, mi affronterà in battaglia?", domandò allora il secondo guerriero nero, le cui vestigia erano simili a quelle del Cancro.
Il gruppo di guerrieri che era stato attaccato di sorpresa dai due Black Gold Saints si riprese subito dalla caduta, ritrovandosi in una gigantesca sala, nera come la precedente.
"Dove credete che ci troviamo?", domandò Real, osservando intorno a se, "Negli scantinati, cavaliere d’argento", esclamò una figura dalle verdi vestigia, "il luogo in cui sarete costretti alla resa o alla morte", concluse, mentre una seconda coppia d’occhi dal verde colore osservava i nemici dall’ombra.
I guerrieri di Asgard stavano salendo la lunga e nera scala, quando i passi di chi li guidava, Freiyr, si fermarono, "Camus, lo senti anche tu questo cosmo?", domandò il Re di Asgard, "Si, cugino, sembra il cosmo di un santo d’oro", rispose il cavaliere dell’Undicesima Casa, "corre frettolosamente verso di noi, anche questo nemico sta percorrendo delle scale, affrettiamo il passo allora, poiché il luogo migliore su cui combatterlo sarà un punto piano, non delle scale", suggerì il figlio di Hyoga.
Il gruppo continuò nella sua corsa.
Gli altri quattro cavalieri che percorrevano l’altra scalinata, forse per maggiore resistenza, o per minor numero di battaglia combattute, raggiunsero più velocemente il primo piano del castello e lì si fermarono, "Vi vedo riposati, cavalieri dalle vestigia brillanti e dorate, ne sono lieto, avevo proprio voglia di recidere con la mia lama delle forze ancora fresche", esordì una figura, spuntando dall’ombra.
Intanto, mentre i diversi scontri erano sul punto di iniziare, quattro figure camminavano lungo il lato destro del Castello, "Forza, cavalieri", propose Endimon del Fagiano, "siamo feriti, ma non dobbiamo fermarci per questo", osservò il Pretoriano, "Concordo pienamente, guerriero sacro a Venere, d’altronde abbiamo già riposato alcuni minuti, ora sbrighiamoci, i nostri compagni potrebbero avere bisogno di noi", aggiunse Daidaros di Cefeo, accelerando il passo, ma il gruppo di feriti ancora non sapeva quanto fosse distante l’entrata del castello, dopo il primo due scontri stavano per avere inizio.
"Joen, vuoi combattere tu con costui?", domandò Golia del Toro, osservando il Goshasei del Pavone avanzare verso il nero Sagittario, che lo attendeva sul bordo di quello che era il pavimento nero.
"Si, cavaliere d’oro, egli è l’assassino di Connor, ho giurato di ucciderlo dinanzi alla tomba del mio migliore amico ed ora adempirò alla mia promessa", affermò seccamente il Goshasei, osservando con rabbia il proprio nemico.
"Fatti avanti, guerriero di Cartagine, come allora, nemmeno adesso mi fermerai e dopo il tuo amico, ucciderò la tua regina", minacciò Zoras, indicando Esmeria, "La divina regina di Cartagine, scelta da Era, non cadrebbe mai dinanzi ad un nemico come te, ma non avrà neanche bisogno di sporcarsi le mani con la tua immonda persona", replicò seccamente Joen, fermandosi dinanzi al nemico.
All’esterno del castello, intanto, i guerrieri egizi ed i due allievi di Kaor osservavano la nera copia del Cancro. Le vestigia erano più minacciose della loro forma aurea, la corona era più affilata e coperture per le braccia erano adornate da gigantesche e taglienti chele, proprio come i gambali. Un sorriso maligno adornava il viso di quell’uomo, gli occhi erano blu scuro, un colore molto profondo, ma al qual tempo maligno, mentre i capelli di un viola intenso, quasi simile ad una fiamma, anche per come si alzavano verso l’alto, senza scendere verso le orecchie, o il collo.
"Chi di voi, dunque, vuole affrontarmi nel mio territorio, chi vuole cadere nel varco del Limbo per mano di Theo di Black Cancer?", domandò il nero nemico.
"Il Varco del Limbo? Vorresti combattere nell’Oltretomba, cavaliere?", domandò allora Sed di Vepvet, facendosi avanti, "Si, guerriero egizio, proprio così, hai il fegato di affrontarmi in quel luogo?", replicò il nero combattente, "Si, lo ho, poiché anche per me quello è un adatto campo di battaglia", rispose seccamente il Pharaon, espandendo il proprio cosmo, nero come quello del suo nemico ed entrambi scomparvero dalla vista dei presenti.