Capitolo 1: L’invito
Era passato un mese e mezzo dalla grande battaglia di Sparta ed i lavori di ricostruzione del Grande Tempio di Atene continuavano senza sosta, ormai la maggioranza delle dodici Case dello Zodiaco era quasi completamente riparata.
Sette figure si muovevano fra le macerie del tempio dell’Ariete, alcuni di questi individui portavano sulle spalle grandi massi, adatti a costituire le colonne portanti del tempio.
"Cavaliere della Lira, perché non la smetti di suonare piacevoli motivi e non ci dai una mano più attivamente?", domandò un uomo, che portava sulle proprie spalle uno di questi grandi massi, "Suonando dolce musica che rincuora e sostiene lo spirito ed il corpo, credo di esservi molto più utile", rispose Real della Lira, "Non credi anche tu, Eric?", incalzò poi, rivolgendosi al santo del Corvo, che gli aveva fatto la domanda.
"E voi sareste uomini forzuti?", esclamò all’improvviso una voce femminile.
Real ed Eric videro arrivare Zadra dello Scultore. Nemmeno lei indossava le sacre vestigia d’argento, ma portava comunque la maschera che la contraddistingueva, dietro di lei altri due cavalieri d’argento, anch’essi senza armatura, ma con dei sassi.
"Non tutti hanno passato l’addestramento a lavorare in delle fornaci", ribatté uno dei due cavalieri dietro la Malefica asgardiana, "In effetti, dato chi vi ha addestrato, suppongo abbiate passato molto tempo a meditare", ribatté seccata la sacerdotessa dai rossi capelli, appoggiando uno di quei macigni ai piedi della Prima Casa.
"Forse Kano, avrà passato il proprio tempo meditando, ma io preferivo tirare di spada", spiegò Rabat di Perseo, appoggiando anch’egli un macigno.
Il santo del Pavone arrivò per ultimo, appoggiò un altro sasso in quella che sarebbe diventata una delle colonne portanti del tempio del Montone d’oro, quindi si voltò verso i parigrado: "Forse, se parlaste di meno, fatichereste anche meno", li avvisò con tono derisorio.
Rabat squadrò il santo d’argento con fare minaccioso, "Si, noi lavoreremmo meglio, ma Real avrebbe troppo tempo per suonare", esclamò all’improvviso Eric del Corvo, producendo un momento di ilarità fra i Silver saints presenti nel luogo.
"Cavaliere, mia sorella dov’è?", domandò poi Zadra ad al santo della Lira, "All’altro estremo del Tempio, penso stiano completando quel lato con Daidaros", le rispose gentilmente Real.
La sacerdotessa dello Scultore percorse ciò che era rimasto del primo tempio e molti ricordi le tornarono alla mente: quando poco più di un mese prima i cavalieri d’argento erano stati incaricati di riparare la Casa del Montone d’oro, lei ne era stata lieta, Kiki era un grande cavaliere e riparare il suo tempio era un gesto di rispetto verso la sua memoria, certo dopo la lotta fra Sinope ed Ikki, ben poco era rimasto senza sciogliersi.
Avevano ricominciato a costruire il tempio proprio dalla fine, dal lato che dava sulla seconda Casa, quella del Toro d’Oro.
Ripensò all’investitura di Gutrun, a cui aveva partecipato insieme alla sorella ed a Camus, quel giorno il re Freiyr le aveva sorriso, a lei, che da sempre era stata in soggezione, come rapita, dallo sguardo del figlio di Siegfried.
Si fermò là dove un tempo Seiya ed i suoi tre compagni attesero la riparazione delle proprie vestigia da parte del grande Mur, e pensò: forse un giorno avrebbe lasciato la propria vita da guerriera e chissà, anche la maschera ed il titolo di "Malefica", seppur le dava sempre un sottile piacere, l’essere trattata come un uomo fra gli uomini, "Ma questo è un periodo di pace", concluse, ricordando che persino le armature d’oro aventi ancora un custode non erano state riparate, oltre alle loro vestigia d’argento.
"Daidaros, più a destra", sentì quindi urlare dall’esterno del tempio, era sua sorella Helyss, corse subito da lei.
Zadra trovò la sorella a dare indicazioni al giovane figlio di Shun su come sistemare una colonna.
Il cavaliere di Cefeo non era certo in una posizione piacevole: cercava di raddrizzare una delle colonne con le proprie catene, la sacerdotessa rise sotto la maschera, prima di avvicinarsi alla sorella.
Fu solo con l’arrivo del possente Golia del Toro che i tre poterono conclude il lavoro di riparazione della zona posteriore della Prima Casa.
Quando le due sacerdotesse d’argento ed il figlio di Shun tornarono dai loro quattro parigrado, li trovarono ancora intenti a scherzare durante il lavoro.
Ad un tratto, un corvo si appoggiò al macigno che Rabat portava, "Eric, puoi dire al tuo pennuto di togliersi?", domandò il cavaliere di Perseo.
Il santo del Corvo osservò l’animale, "Non è uno dei miei", rispose semplicemente il cavaliere di origini coreane, "Scherzi?", domandò ribatté Rabat, "No, cavaliere, guarda in cielo", esclamò Eric, indicando tre volati neri che roteavano sulle loro teste.
"Quelli sono i miei", spiegò il santo del Corvo.
Eric emise un fischio ed i tre volatili scesero a terra, uno di essi si appoggiò alla spalla del cavaliere, "Ash, Nigro e Tek", li chiamò il santo d’argento, "Per me sono tutti pennuti neri", ribatté infastidito il santo di Perseo, producendo una risata nei loro cinque spettatori.
Un secondo fischio troncò la felicità del momento, il corvo appoggiato sul macigno che Rabat sosteneva volò verso un individuo, che era riuscito ad avvicinarsi al Primo Tempio dello Zodiaco senza che i sette santi d’oro lo notassero.
"Chiedo scusa per Kurl, ma sapete è uno spirito libero", affermò la figura incappucciata, mentre il corvo planava sul suo braccio.
"Chi sei, cavaliere, rivelati?", tuonò Real della Lira, alzandosi in piedi, "Eric mi conosce, oppure, cavaliere d’argento, hai dimenticato i vecchi amici?", domandò l’individuo, avanzando e togliendosi il cappuccio.
Tutti videro il suo volto, nordico, ma caratterizzato da corti e neri capelli, oltre che da una profonda cicatrice, che ne segnava la guancia sinistra. Gli occhi erano viola ed impassibili, sul capo portava una piccola corona di color marrone chiaro, quasi avano, con due piume nere stilizzate ai lati.
"Hirihody", esclamò sorpreso il santo d’argento del Corvo, "Si, vecchio compagno d’addestramento", gli rispose il nuovo arrivato, il cui corpo era coperto da un saio.
"Cavaliere, chi è costui?", domandò Zadra dello Scultore, "Uno dei miei compagni d’addestramento in Scozia, insieme a Skinir", rispose fra il gioioso ed il titubante il Silver saint.
"Che fai qui, Hirihody?", domandò perplesso Eric, "Dagda vuole ringraziarvi di aver salvato la Terra, cavalieri d’argento, vi prego di seguirmi", domandò con una faticosa eleganza il messaggero.
"Dagda? Chi è costui?", domandò Rabat, "Il comandante dei Tree Monks, l’armata di cui faceva parte il nostro maestro", rispose il santo del Corvo, "E di cui faccio parte anche io, amico mio", aggiunse Hirihody, togliendosi il saio.
I sette cavalieri poterono notare la semplice armatura del nuovo arrivato: di un colore molto chiaro, probabilmente una sfumatura del marrone, caratterizzata da semplici gambali, un pettorale che copriva dalle spalle fino alla vita, adornato con immagini di nere piume ed una cintura esile, simile alla prima che costituì le vestigia di bronzo di Pegaso.
Le spalliere erano triangolari, molto stilizzate, mentre a coprire le braccia, due lunghi pezzi di metallo, uno adornato con nere piume, che ne sporgevano come lame, l’altro caratterizzato dal volto di un corvo stilizzato.
Vi era però qualcosa in quell’armatura che ricordava un albero, proprio come diceva il nome stesso dell’ordine a cui apparteneva: Tree Monks.
"Ora sono Hirihody della Betulla, messaggero dei Tree Monks, guidato dai Corvi", spiegò il giovane conoscente di Eric.
"Sono pronto a parlarne anche con chi vi comanda, se preferite, la mia è una proposta pacifica", affermò il giovane, con un sorriso che fece rabbrividire il santo del Corvo.
"Raggiungerai la Seconda Casa e lì sarà Golia, uno dei cavalieri d’oro sopravvissuti, a decidere se farti raggiungere chi ci comanda, o se dovrai aspettare presso il suo sacro tempio, mentre ci sarà detto che fare", propose Eric, cercando di rimanere visibilmente tranquillo.
Il gruppo di otto individui raggiunse velocemente il tempio del Toro d’Oro, dove ad attenderli trovarono l’immane Golia, sorpreso dall’inaspettata visita del misterioso messaggero.
Hirihody della Betulla si presentò velocemente al santo d’oro, spiegandogli la causa del suo viaggio, poi il cavaliere d’oro ed i cavalieri d’argento si allontanarono dal nuovo arrivato per parlare fra loro.
"Cosa preferisci che faccia, Eric?", domandò il santo d’oro, "Se devo essere sincero, preferirei che lo costringessi a restare qui, fin dai tempi degli allenamenti non siamo mai andati d’accordo, però, se è veramente Dagda a richiederci, non penso sia una trappola", spiegò il cavaliere d’argento del Corvo.
"Chi è questo Dagda?", ripeté Rabat, "E non rispondere come prima", aggiunse infine, "Quando saremo alle case superiori, amico mio, allora ne parleremo", rispose Eric.
"Uno di voi dovrà restare con me e costui, però, per non insospettirlo, o comunque offenderlo", affermò Golia, osservando i sette santi d’argento, "Resterò io", si propose Kano del Pavone, "Non ho ancora potuto meditare tranquillamente oggi", spiegò infine.
"Hirihody", esordì poi Eric, avvicinandosi al compagno d’addestramento, "Noi sei raggiungeremo le case superiori, con te resteranno il santo del Toro e Kano, cavaliere del Pavone d’argento", affermò il giovane coreano, prima di allontanarsi con i compagni.
Il gruppo di santi sorpassò di corsa Kain, Botan, Odeon, Tok’ra e Ryo, senza spiegargli completamente l’arrivo del misterioso e messaggero e la causa della loro corsa, poi, arrivati al tempio di Myokas, furono costretti a fermarsi, poiché fu il cavaliere del Sagittario a porsi come ostacolo.
"Spiegatemi di chi è il cosmo, seppur debole, che adesso è nel tempio del Toro", ordinò il santo d’oro, "Cavaliere, un misterioso messaggero è giunto dalle terre in cui Eric si è addestrato, affermando che un fantomatico comandante dei Tree Monks vuole conoscerci e ringraziarci, quindi dobbiamo chiedere udienza alla somma Sacerdotessa Shaina, per sapere se ci è concesso recarci in quel luogo o meno", spiegò Daidaros di Cefeo.
L’allievo maggiore di Seiya osservò i sei e gli concesse di avanzare, mentre lui sarebbe sceso alla Seconda Casa, per conoscere questo misterioso individuo.
Nel tempio del Toro, intanto, il tempo passava veloce, Golia, continuava i propri lavoro di restaurazione, mentre Hirihody osservava i templi superiori e Kano rimaneva seduto, in silenzio.
"Cavaliere del Toro", urlò una voce dall’esterno, "Ho visto i santi d’argento corre verso i templi superiori, cosa è successo?", domandò Kain di Shark, mariner di Nettuno, intento a riparare il tempio del proprio fratello, prima di notare lo strano individuo con l’armatura seduto su una roccia.
"Salve, cavaliere d’oro", salutò di scatto Hirihody, "Salute a te, straniero", rispose gentilmente il figlio di Ikki, "Sono Hirihody della Betulla, messaggero dei Tree Monks", si presentò il giovane, "Io sono Kain di Shark, Primo Cavaliere di Nettuno", ribatté il generale dei Mari.
"Non sei lontano dal regno di tua competenza?", esclamò sorpreso il giovane messaggero, "Riparo il tempio che fu di mio fratello, il santo dei Gemelli", spiegò con una certa tristezza Kain, osservando la Terza Casa, ormai quasi completamente ricostruita.
"Le vostre vestigia?", domandò poi Hirihody con fare disinteressato, "Che vuoi dire?", esclamò Kano, aprendo gli occhi, "Semplicemente che mi sembra strano vedere tutti questi cavalieri, tutti senza le loro armature", ribatté frettolosamente il giovane messaggero.
"Sono nelle stanze del Sommo Oracolo di Atena", rispose Golia, tralasciando la particolare condizione a cui erano ridotte, "E le mie scales nel Regno di Nettuno, con le altre sei", aggiunse Kain, capendo il perché di quelle rispose semiveritiere.
Kano richiuse gli occhi, ma non riuscì a meditare quietamente, era dalla fine della guerra con Urano, che ogni qualvolta chiudesse gli occhi gli tornavano in mente Dione, o Briareo, la morte di Kram, Xael e degli altri suoi compagni, le diverse battaglie affrontate e fra tutti questi ricordi, ve ne era solo uno gioioso, lo scontro con Sekhmet, la bellissima guerriera egizia di cui non aveva più avuto notizie da quel giorno a Sparta.
I cavalieri d’argento, intanto, avevano raggiunto le camere della Somma Sacerdotessa Shaina, dove Myokas li aveva accompagnati, genuflessi dinanzi al sommo Oracolo avevano raccontato del misterioso arrivo del messaggero e del suo invito.
"Eric, tu sei quello che li conosce di più, chi sono Hirihody e Dagda, ci si può fidare di costoro e dei loro compagni?", domandò Tisifone, seduta sul proprio trono.
"Somma sacerdotessa, Hirihody fu compagno d’addestramento mio e di Skinir e fra noi non vi è mai stata una grande amicizia, nessuno ha mai attaccato l’altro, ma non per comune simpatia, o rispetto, ma semplicemente perché il nostro maestro Ogma, ha sempre vietato ciò.
Eravamo in quattro ad allenarci sulle Highlands scozzesi, seguendo gli ordini del saggio Ogma, oltre noi, però, vi erano molti altri individui, allievi di altri grandi sciamani, o guerrieri.
Il nostro maestro ci addestrò tutti con saggezza e gentilezza, rivolgendosi sempre saggi consigli ed insegnando l’arcana potenza del cosmo a tutti noi, seppur in modi diversi. Oltre noi tre, aveva solo un altro allievo, anch’egli sarà diventato un membro dei Tree Monks, suppongo.
Per quel che riguarda Hirihody, da giovane era egoista e meschino, molte volte combinò atti indegni per cavalieri e cercò di far incolpare altri individui, sempre persone più deboli di lui, data la sua vigliaccheria. Non sarebbe qui, se supponesse qualche pericolo per se stesso", raccontò il santo del Corvo.
"E Dagda?", incalzò Shaina, "Egli era il prediletto di Ogma e degli altri sciamani presenti, ma non era un loro allievo, ma il loro comandante, prescelto dalle stelle per compiere grandi imprese. Ci incontrammo poche volte, ma ricordo un giorno, quando passeggiavo per un villaggio scozzese, durante un momento di riposo, allora vidi la grandezza di quel giovane, che il mio maestro sempre lodava", iniziò a raccontare Eric.
"Era un piccolo villaggio, vi abitavano cento persone al massimo, un borgo, lì avvenne un incendio, non si sa per quale motivo, ma scoppiò un furioso incendio dentro una casa.
Ero lì da solo e corsi a prendere dell’acqua, poiché era ancora il mio primo anno di addestramento, se avessi avuto maggiori conoscenze del mio cosmo, forse avrei potuto fare qualcosa.
Mentre cercavo dell’acqua, una casa iniziò a crollare su se stessa, allora lo vidi: egli era un giovane dai lunghi capelli castani, quasi biondi, corse dentro la casa e la sorresse con il proprio cosmo, non avevo mai visto un cosmo così splendente e mai lo rividi finché non incontrai i cavalieri d’oro.
Aprendo le mani sopra il suo capo, riuscì a sostenere l’intera casa, ma nell’impeto di quel gesto, una trave del tetto cadde sulla capanna adiacente, una delle poche a non aver ancora preso fuoco.
Dagda rimase dentro la prima casa il tempo necessario perché potessero essere salvati i cinque abitanti di quella dimora, poi, quando ne uscì, malgrado non avesse la forza per sostenere, o spegnere l’incendio nella seconda capanna, si gettò la dentro.
Furono alcuni minuti interminabili, persino il mio maestro arrivò, percependo il cosmo del giovane eroe espandersi, ma non poté evitare che il tetto della piccola dimora cadesse sulle travi ormai incenerite, appiattendo la casa.
Pochi secondi dopo, Dagda uscì da quel luogo con un’ustione lungo tutta la spalla destra, ma portava in braccio un bambino.
Pianse quell’uomo perché non era riuscito a salvare la famiglia del fanciullo, morta durante l’incendio, pianse e si allontanò con il piccolo orfano. Allora scoprì per la prima volta il rispetto, verso gli eroi coraggiosi.
Somma sacerdotessa, se è Dagda a chiedere che lo incontriamo, ha tutta la mia fiducia", concluse Eric, con le lacrime agli occhi.
Shaina alzò il capo, come per riflettere e poi parlò.