Capitolo 18: I figli di Ares
I cinque cavalieri osservarono attentamente il dio dell’Urlo Furioso: aveva lunghi capelli argentei, un viso duro e squadrato da chiari lineamenti greci, occhi argentei, appariva come un ragazzo di appena 18 anni, ma essendo una divinità aveva cento volte quell’età. La sua armatura era dorata, con sfumature verdi, caratterizzata da pezzi lineari, che andavano però a chiudersi in semisfere all’altezza degli arti, delle ginocchia e delle spalle, sul torace sembrava quasi vi fosse disegnata una faccia malvagia, da come erano delineati i limiti dei pettorali e degli addominali.
Sulla testa, fra i capelli color argento, una corona dorata.
Maximo si mosse verso il nuovo nemico, "No, ebro, lascialo a me", disse Wein, ponendosi dinanzi al guerriero di Dioniso, "Potete farvi avanti anche insieme, tanto vi ucciderò tutti", esordì Enio, prima di scoppiare in una fragorosa e maligna risata.
"Sarò io il tuo avversario, berseker", sentenziò l’anghellos dello Stivale Alato, "Sbagli, cavaliere, non sono un berseker, ma un dio", ribatté il figlio di Ares, "Sono Enio, dio dell’Urlo Furioso e figlio di Ares, dio della Guerra, e di Eris, dea della Discordia", spiegò, "Io invece sono Wein, anghellos sacro ad Ermes sotto il simbolo dello Stivale Alato, allievo di Camus, santo dell’Acquario, e ti ucciderò, semidio", affermò Wein, prima di concentrare il suo cosmo gelido.
"Urlo furente", invocò Enio, mentre l’onda d’urto divina si scagliò contro Wein, che la evitò con uno dei suoi velocissimi movimenti, "Mai utilizzare due volte lo stesso colpo", sentenziò il cavaliere di Ermes, "Artigli di ghiaccio", urlò il messaggero, prima di scagliare il suo attacco contro il nemico.
Enio subì in pieno l’attacco, ma non riportò ferite o danni alle sue divine vestigia, "Patetico come attacco, sai?", lo schernì il dio dell’Urlo Furioso, "speravo in qualcosa di meglio da un uomo che si muoveva a quella velocità, invece niente, mi hai deluso, cavaliere, ma non ti preoccupare, ora ne pagherai le conseguenze", sentenziò il dio, iniziando a sbattere le sue semisfere dell’armatura sulle braccia con quelle sulle spalle, "Tamburo da battaglia", urlò il semidio.
Wein cadde a terra, "Che mi hai fatto?", urlò in preda al panico, "Non riesco ad alzarmi", spiegò, "Ho semplicemente danneggiato il tuo equilibrio fisico con delle onde d’urto", rispose Enio, "Così adesso non potrai evitare il mio nuovo attacco, che ti ridurrà in cenere", aggiunse con un malvagio sorriso sul volto, "Urlo di guerra", tuonò infine il dio.
L’urlo sembrò emesso dalla bocca sulle vestigia del semidio, una gigantesca ondata di energia rossa come il fuoco partì dal corpo del dio e si diresse contro il guerriero sacro ad Ermes, ma Wein fu più veloce del suo avversario: aumentò al massimo il suo cosmo, rendendolo pari a quello di un santo d’oro e scomparve da dinanzi al dio, lasciando che il colpo si infrangesse contro una parete.
"Diamond dust", urlò all’improvviso il messaggero di Ermes, mentre passava a fianco del nemico, per poi riapparire alle sue spalle, appoggiato all’unica parete che ancora circondava i due avversari.
Wein iniziò a vomitare, chinandosi su di se, "Sei stato uno stupido, il mio colpo ti avrebbe ucciso subito, invece lo hai evitato, tentando per di più di colpirmi, ma riuscendo solo a portare disonore alla tua immagine di guerriero", affermò Enio, prima di voltarsi verso il nemico alle sue spalle; ma con sua grande sorpresa, il dio non riuscì a voltarsi, poiché dai piedi fino alla cinta era congelato.
"Sei tu lo stupido, Enio", disse una delle due voce nell’ombra, "Non ti sei accorto che il tuo avversario era giunto al cosmo ultimo, così da raggiungere lo zero assoluto, l’unica tua fortuna è stata la sua scelta di un colpo di media potenza, incapace di produrti dei veri danni", lo criticò la seconda voce, "Ora scuoti il tuo cosmo e sciogli quei cubetti, se non vuoi che intervenga io, o Phobos, o peggio ancora nostro padre, che si è quasi ripreso", ordinò la seconda delle due voci.
Il dio dell’Urlo Furioso sciolse i ghiacci che gli bloccavano le gambe, "Tecnica sbagliata, messaggero, non compirò il tuo stesso errore", sentenziò il dio, alzando le mani sopra il capo ed aprendole come a formare una gigantesca V.
"Cavalieri", urlò Wein verso i suoi compagni, mentre Enio concentrava il suo cosmo, "Preparatevi per utilizzare il colpo combinato di cui parlava Quiggon ieri e quando vi darò l’ordine, scatenatelo contro di me e lui", ordinò, "E’ la nostra unica possibilità contro costui, non fatemi sacrificare in vano", supplicò, "Violenta vibrazione letale", tuonò nel medesimo momento Enio.
Sembrò quasi che l’immagine del dio si sdoppiasse in due, ma la seconda non aveva consistenza fisica, ma solo energetica, inoltre ricordava appena l’uomo che avevano dinanzi, era l’essenza del semidio a sdoppiarsi, per scagliarsi, come un’immagine vibrante contro il nemico.
Wein non poté fare altro che concentrare il suo cosmo, poiché era ancora a terra incapace di alzarsi, e sganciare dal suo corpo l’armatura, che si pose dinanzi a lui per difenderlo.
Lo Stivale Alato fu ridotto in polvere dall’attacco, che però non riuscì a raggiungere l’anghellos sacro ad Ermes.
"Ora cavalieri, uniamo i nostri cosmi", esordì Maximo, seppur stupito dalla scena, "Si", rispose contemporaneamente Draka e Dafne, "Ci sono anche io", aggiunse poi Tige, sollevandosi e ponendosi accanto ai compagni con il poco cosmo che si era risvegliato in lui.
Wein intanto fece uno scatto, ripresosi in parte, "Preparati, Enio, poiché ora ti mostrerò la mia tecnica migliore", esordì il messaggero, poi, passando velocemente vicino a compagni, ordinò: "Preparatevi ad attaccare", quindi, concentrò al massimo il suo freddo cosmo, che raggiunse nuovamente lo zero assoluto.
Maximo mise la mano destra dinanzi a se, "Insieme, amici miei, per la giustizia e la salvezza degli uomini", esordì l’ebro, concentrando il suo cosmo simile al fuoco, "Che questo colpo sia il sigillo della nostra unità ed amicizia nel bisogno come nella pace", continuò Dafne, alla destra dell’ebro, il cui cosmo si sviluppava fra una dolce melodia ed una luce dorata, "Per gli dei che noi serviamo e che si sono alleati", aggiunse Draka, alla sinistra di Maximo, mentre un’intensa luce bianca si emanava dal suo corpo, "E per gli amici ed i compagni caduti prima di noi", concluse di seguito Tige, alla destra della messaggera di Ermes, mentre una luce verde si emanava dal suo corpo, ancora ferito.
Enio rimase stupito di quella coordinazione di cosmi, "Non sono loro il tuo problema, dio dell’Urlo Furioso", lo minacciò Wein, che era in piedi dinanzi a lui, "Vento del Nord", urlò poi, scatenando una corrente fredda, pari allo zero assoluto sul corpo del dio e congelando le sue braccia.
"Ora, miei nuovi fratelli", esordì Wein, rivolgendosi ai quattro cavalieri, "Attaccate", ordinò, prima di bloccare alla cinta il dio, con una presa che congelò insieme i loro bacini, "Prova ad allontanarti, mortale", lo schernì il messaggero, "Forza cavalieri, lanciate il sigillo della nostra Alleanza", ordinò alla fine, prima che l’energia cosmica dei quattro si scatenasse contro di lui ed il suo avversario.
Quando il fumo si diradò, i quattro cavalieri erano a terra, stremati dall’attacco, e di Enio e Wein non era rimasto niente, nemmeno le vestigia semidivine del figlio di Ares.
"Bellissimo colpo, cavalieri, ma riuscirete a battere anche noi due?", chiese la voce che prima aveva dato degli ordini al semidio ormai morto, "Ti prego, fratello, fai divertire me", esordì l’altra voce, "Concesso, Phobos, uccidili tutti", affermò l’altro.
Il secondo figlio di Ares apparve: il suo aspetto era differente da quello di Enio, malgrado i lineamenti fossero simili, i capelli non erano argentei, ma dorati, gli occhi erano rossi come il sangue, una cicatrice rovinava la sua guancia sinistra, mentre il suo corpo era statuario come quello del dio dell’Urlo Furioso.
L’armatura era dorata e rossa, non aveva semisfere alle estremità, ma punte affilate, il pettorale sembrava anche qui costituire un volto, ma molto più maligno e spaventoso, mentre la cinta si allungava quasi come un kilt di lame fino a coprire le gambe del semidio.
Sulla testa aveva una corona dorata simile a quella di Enio.
"Salve, cavalieri, sono Phobos, dio della Paura e figlio di Ares ed Afrodite", si presentò il semidio, poi alzò la mano e con l’indice iniziò ad indicare diversi combattenti, ormai stremati, "Chi di voi vorrebbe morire per primo? O vorrebbe che uno degli altri morisse prima di lui?", chiese con tono divertito.
Bloccò l’indice dinanzi a Maximo, "Ho deciso, farò il galantuomo: prima le donne", esordì Phobos, quindi mosse velocemente la mano verso Draka, "Demone maligno", urlò il semidio, mentre il suo indice si illuminava di una luce rossa, che poi si scagliò contro la guardiana dell’Anello, dritto nel suo capo.
Draka ebbe un sussulto, poi cadde a terra ed iniziò a tremare; questo spettacolo, spaventoso agli occhi degli altri tre guerrieri sacri alle diverse divinità, durò alcuni minuti, finché la Goshasei non iniziò a lamentarsi e, sorprendentemente, a piangere, quindi un ultimo sussulto, poi niente più. Draka era morta.
"Adesso, un guerriero più virile", continuò Phobos, chiaramente divertito da quel suo gioco al massacro, "Che cosa gli hai fatto?", urlò Maximo, tentando di reggersi in piedi, "Abbiamo un futuro martire", lo schernì il dio della Paura, "Ti farò felice, ti spiegherò che cosa le ho fatto", continuando, sorridendo in maniera malvagia, "Quel sottile filo di energia che le ha perforato la testa, è entrato nel suo cervello, producendo in lei degli incubi terribili, che dapprima le hanno inflitto dei dolori per lei fisici, oltre che psichici, quindi hanno riportato nel suo piccolo cervello tutte le sue paure più infantili, facendola addirittura piangere", concluse Phobos, scoppiando a ridere.
"Vile assassino, tu non puoi essere un dio", urlò Maximo, facendo esplodere ciò che restava del suo cosmo, "Wine vortex", urlò l’ebro con effetti pessimi rispetto al suo solito colpo, infatti bastò una mano al dio della Paura per deviare il colpo, "Patetico", disse Phobos, "Eccoti un vero attacco incendiario", continuò il semidio con il suo sorriso malvagio, quindi aprì la mano dinanzi all’ebro, "Vortice dei tormenti", urlò, mentre un possente vortice di fuoco partiva dalla sua mano.
Le fiamme avvolsero il corpo di Maximo, sollevandolo da terra; le urla dell’ebro erano inumane, le fiamme circondavano le sue vestigia, all’improvviso, però, le fiamme scomparvero, ma la sua pelle iniziò a bruciare.
Passarono alcuni minuti, in cui le risate di Phobos si confusero con le urla di Maximo, alla fine le vestigia dell’Otre si ricomposero a formare il simbolo sacro, poiché il corpo che le univa era ormai diventato cenere.
"Siete rimasti in due", aggiunse il dio della Paura, guardando Dafne e Tige, poi il suo sguardo si fermò su un oggetto per terra: il flauto della messaggera, che lei aveva abbandonato per unirsi nell’attacco letale contro Enio, accanto a quello strumento musicale, vi era il pettorale delle vestigia del dio della Guerra.
Phobos mosse il piede e spaccò lo strumento musicale dell’anghellos del Flauto, "Oh, come sono sbadato", scherzò il dio della Paura, " ma non ti preoccupare, ragazzina, ora anche tu andrai in pezzi", minacciò il dio, aumentando il cosmo nella sua mano.
"Teschi mortali", urlò, movendo la mano verso la messaggera, diversi piccoli teschi a forma di dardi infuocati si gettarono contro la messaggera, che li attendeva a testa alta.
"No, Dafne", si intromise Tige, ponendosi dinanzi a lei, con le spalle al dio della Paura. Il poco cosmo, che ancora lo circondava, riuscì a spegnere il fuoco dei teschi, che però si conficcarono nella schiena del guardiano, ferendolo gravemente.
"Dafne", ripeté Tige, cadendo sulla messaggera, per poi scivolare a terra, senza sensi, "Tige, non dovevi", sussurrò la messaggera, accarezzando i capelli del guerriero di Era, ormai svenuto.
"Siete così teneri, mi fatevi venire voglia di..", disse il dio della Paura con uno sguardo più cupo, "farvi a pezzi entrambi", urlò alla fine con il suo solito sorriso.
Phobos alzò l’indice verso la messaggera, "Gemro Ken", urlò però Dafne, muovendosi alla velocità propria dei cavalieri di Ermes, la corona del dio della Paura volò per terra, "Che vorrebbe essere questo? Un attacco psichico?", chiese il semidio, scotendo i capelli, "Non farmi ridere, combatti seriamente", ordinò, rivolgendosi a Dafne.
La messaggera lo guardò con occhi tristi, "Devi sapere, dio della Paura, che io non amo combattere, Tiresia cercò di addestrarmi, poiché conosceva i miei poteri innati, ma non ho mai voluto utilizzare i poteri che lui mi ha imparato a controllare", spiegò la guerriera sacra ad Ermes, "ho sempre preferito la musica e l’eleganza del mio colpo psichico, ma tu hai distrutto il mio flauto, sei invulnerabile agli attacchi mentali e, soprattutto, hai ucciso i miei compagni, tu e tuo fratello avete compiuto azioni indegne di una divinità, quindi preparati, perché proverai la vera potenza del pensiero umano, la mia vera potenza", urlò alla fine Dafne, mentre delle lacrime scendevano sulle sue guance.
"Ti prego, basta con queste patetiche parole", ribatté Phobos, "Muori", urlò poi, scatenando il "Vortice dei tormenti" contro la messaggera.
Dafne non si mosse ed il vortice la prese in pieno, però la fiamma non la sollevò, anzi si spense sull’immagine riflessa dell’anghellos, "Sei lento, dio della Paura", affermò la guerriera, che era alle spalle del semidio.
Phobos si voltò e vide la mani di Dafne sul suo torace, "Final explosion", urlò la guerriera: una luce dorata illuminò le mani della messaggera, per poi diventare bianca e scatenarsi come due tronchi di energia su Phobos, che volò fin dentro la sala, dove era nascosto l’ultimo figlio di Ares.
"Tige", invocò la messaggera, correndo verso il guardiano del Pavone, che si era risvegliato, "Come stai?", chiese Dafne, accarezzandogli i capelli, "Bene, sei davvero forte, sai?", rispose lui, con un filo di voce, "Grazie", rispose poi lei, sorridendo.
"Vi ho già detto che mi dà molto fastidio questo mieloso modo di fare", urlò Phobos, riapparendo dall’oscurità, aveva l’armatura in pezzi ed alcune ferite, ma era vivo, "Sono duro a morire e soprattutto non potrai più usare questa tecnica, ragazzina", la schernì il semidio, aumentando il suo cosmo, "Preparati, perché ora morirai", urlò alla fine il dio della Paura.
Dafne estrasse il Caduceo di Ermes, "Mi hai stancato, dio della Paura", urlò con la rabbia negli occhi, "Nuntio finale", invocò la guerriera di Ermes. L’alata figura azzurra non apparve, ma ne apparve una bianca e luminosa, che oltrepassò velocemente il dio della Paura, annullando le sue pupille e togliendogli la vita.
"Bene, dunque mi vedo costretto ad entrare in campo", disse l’ultimo dei figli di Ares, apparendo dinanzi alla messaggera ed al guardiano, ancora a terra.
Fisicamente era identico a Phobos, stessi capelli dorati ed occhi color sangue, i medesimi lineamenti, i due erano gemelli, solo la cicatrice, che il dio della Paura aveva sulla guancia sinistra, era cambiata, spostandosi sulla fronte dell’altro semidio e producendo una spaccatura sul sopracciglio destro.
La sua armatura erano dorata e blu come una notte stellata, le sue estremità formavano delle S, quasi diaboliche, anche sul suo torace le vestigia formavano un volto maligno, forse più degli altri due, le spalliere non avevano la forma di S, ma di mattoni, che si diramavano lungo la schiena del semidio, formando una specie di corazza a scaglie.
"Avete ucciso i miei fratelli, ma cosa potrete fare contro di me? Deimos, dio del Terrore, figlio di Ares ed Afrodite e gemello di Phobos?", chiese il semidio, presentandosi.
"Tu, messaggera, mi hai realmente stancato", urlò il dio del Terrore, mentre il suo cosmo divino si espandeva.
Gli occhi sull’armatura del semidio sembrarono accendersi, "Oscuro terrore", invocò la divinità, mentre una sfera di energia nera correva verso Dafne, per poi dividersi in due sfere più piccole, che investirono in pieno la messaggera, presa alla sprovvista.
Dafne del Flauto cadde a terra, i suoi occhi diventarono delle gigantesche macchie nere, mentre il suo corpo si paralizzò.
"Dafne…", la chiamò Tige, ancora a terra, "Buono tu", ordinò il dio del Terrore, schiacciando la mano destra del guardiano del Pavone con il suo piede, "Ti farò questa grazia, guardiano di Era, morirai subito, senza vedere le agonie che subirà la messaggera di Ermes", affermò Deimos, mentre un gigantesco cosmo divino, simile a quello dei tre semidei, ma doppio rispetto ai loro, invasa la sala, facendo sparire in se il torace dell’armatura di Ares, lo Scudo che era caduto di mano a Rakis e la Spada che Sesar aveva conficcato nella porta.
"Mio padre è sveglio, sarà meglio che mi muova con voi, se non voglio farlo arrabbiare", esordì Deimos, "prima, però, guardiano, ti spiegherò che accade alla tua amica", continuò il semidio, rivolgendosi a Tige, "questo mio attacco è psichico, ma molto più potente di quello di Phobos, poiché non uccide, ma toglie tutte le energie cosmiche, attraverso i terrori che ti sono ignoti consciamente, ma che riesco a risvegliare in te", spiegò il dio del Terrore, prima di alzare il braccio sinistro, "Ora preparati, guardiano", continuò, "perché il <Dardo infernale> si conficcherà nel tuo cuore, bruciandolo", sentenziò, mentre la sua mano si illuminava di una fiamma nera, "Dardo infernale", invocò, calando il braccio verso il guardiano inerme.