Capitolo 1: Preludio alla guerra

Un piccolo castello si ergeva isolato nel deserto sahariano, non vi era nessuno all’esterno, ma diversi individui erano all’interno ad attendere di essere ricevuti da colei che di quel luogo era la regina, Didone.

La regina sedeva sul suo trono, la sua pelle scura ed i suoi ondulati capelli cinerei erano poco coperti dalle sue vesti, dato il caldo della zona, gli occhi marrone guardavano verso le mura della stanza, stava spesso così pensando al suo destino, alla sua città, di cui non era mai stata regina, perché distrutta prima della sua nascita, ma soprattutto pensava a suo figlio, morto perché voleva meritare il titolo di goshasei.

"Entrate pure, cavalieri", disse ad un tratto la regina.

Tre gruppi entrarono dalle tre porte, "Benvenuti, cavalieri delle diverse divinità", esordì Didone, "siete stati invitati affinché io possa coordinare le nostre azioni al fine di difendere la terra dal nuovo nemico che la minaccia. So che fra di voi sono presenti i sacri ebri di Dioniso, gli anghelloi di Ermes ed i tre guardians goshasei che guidano l’armata della sacra Era. Purtroppo sono cosciente che sia l’armata di Dioniso sia quella di Era sono state in parte distrutte, in parte mai costituite."

"Come, non siete riusciti nemmeno a ricostituire le vostre armate?", chiese una voce dal fondo; tutti si voltarono ad osservare colui che aveva interrotto la regina Didone, un ragazzo dai capelli corti, color del ghiaccio, aveva gli occhi azzurri ed una veste chiaramente nordica, il suo sguardo sembrava di ghiaccio, mentre avanzava verso il trono, oltrepassando un guerriero con un cappuccio ed un mantello che lo copriva completamente ed un altro guerriero dai lunghi capelli color argento ed un vestito chiaramente orientale.

"Guerriero di Ermes, voi siete solo tre," ribatté Didone, "i tre anghelloi, ma gli ebri di Dioniso sono 75, 40 baccanti, 32 satiri e 3 comandanti, mentre i guardiani di Era sono 100, fra cui predominano i 4 Goshasei. Devi sapere che i guardiani della sacra regina degli dei non sono stati ricostituiti poiché nemmeno la nostra sacra città, Cartagine è stata ricostituita. Stessa sorte è toccata ai satiri, solo le baccanti erano nuovamente pronte alla battaglia, ma sono state le prime ad incontrare le armate del nostro nemico", spiegò la regina, "Che purtroppo le hanno superate nel numero, uccidendole tutte", aggiunse una voce di donna.

Una ragazza dai lunghi capelli color del muschio legati a trecce concentriche dietro la schiena, occhi color del vino, aveva parlato, per poi chinare nuovamente il capo triste, due figure le posero una mano sulla spalla, per confortarla, un gigante ed un uomo incappucciato.

"Esatto, somma ebra di Dioniso, ora vorrei spiegarvi l’attuale situazione sulla terra, se me lo concedete", disse la regina, "Sarebbe meglio, sacerdotessa di Era, poiché io, come credo anche i miei compagni, sono qui solo perché me lo ha chiesto una divinità", la interruppe il gigante, che si allontanò dai suoi due pari grado, mostrando la sua figura possente, ricca di muscoli, i suoi capelli color del vino, che giungevano fino alle spalle e gli occhi neri, che trasmettevano durezza e arroganza.

"Pesa le tue parole, cavaliere di Dioniso", s’intromise un altro guerriero, il gigante si voltò e notò un guerriero con vesti scozzesi , che aveva capelli neri legati a trecce dinanzi alle orecchie e lunghi dietro la schiena, sciolti, i suoi occhi sembravano zaffiri, diretti verso il gigante sacro al dio del vino, "Hai problemi, sfilatino?", chiese il gigante, deridendo la figura esile dell’altro, "Prega che lui non abbia problemi, pagliaccio ubriacone, perché potrebbero essere anche miei problemi, purtroppo per te", esordì un terzo, un guerriero discretamente muscoloso, dai capelli scuri, lunghi fino alle spalle, le sue vesti erano chiaramente greche ed i suoi occhi sembravano degli smeraldi, si avvicinò allo scozzese e si pose dinanzi al gigante.

"Quietate i vostri animi, cavalieri, poiché non dovrete affrontarvi, ma collaborare nella difesa del mondo", ordinò la regina.

"I santi di Atena sono in maggioranza morti ed i guerrieri delle altre divinità intorno cui è ruotato il mondo in questi secoli, i mariners di Nettuno e gli spectres di Hades, sono stati uccisi nelle guerre scoppiate in questi mesi. I cinque più abili cavalieri di Atena sono scomparsi insieme alla loro dea, cinque settimane fa ed adesso le armate di Ares stanno distruggendo il mondo, le baccanti di Dioniso sono morte in Germania, dove hanno cercato di evitare che l’armata della discordia riuscisse a prendere la cinta dell’armatura del dio della Guerra, ma sono cadute senza riuscire nella loro impresa", raccontò, quindi osservò i suoi ascoltatori, che adesso erano presi dal suo racconto.

"L’armatura di Ares è stata divisa in cinque parti, più le sacre armi, ora le armate del dio della guerra hanno già le armi e la cinta della corazza divina", spiegò la regina.

"Ora vi presenterete fra di voi, quindi gli ebri di Dioniso riceveranno le loro armature e poi vi dividerò in gruppi che adempiranno alcuni compiti", ordinò Didone.

"Il mio nome è Wein", disse il guerriero dai capelli color del ghiaccio, "sacro anghelloi di Ermes sotto il simbolo dello Stivale alato", continuò, "mio maestro fu Camus, santo d’oro dell’Acquario", concluse, "Io invece," disse la figura coperta dal mantello, con voce femminile, "sono Dafne, sacra anghelloi di Ermes sotto il simbolo del flauto", concluse, mostrandosi, i suoi capelli erano rossi e le scendevano lisci fino alle scapole, mentre i suoi occhi color del mare trasmettevano uno sguardo dolce e deciso insieme ed il suo corpo era elegante e prestante insieme.

Si fece quindi avanti l’uomo dalle vesti orientali, "Mi chiamo Quiggon", disse, "il Caduceo è il mio simbolo e guido i messaggeri sacri ad Ermes, Shaka di Virgo, santo d’oro di Atena, fu il mio maestro", si presentò l’uomo dai lunghi capelli color argento legati a coda dietro la schiena, con occhi neri, che facevano intuire le grandi conoscenze di cui il guerriero si sarebbe in seguito dimostrato padrone.

"Il mio nome è Duncan", disse quindi il guerriero scozzese, che poco prima aveva quasi scatenato una rissa, "sacro guardiano di Era, il Falco è il simbolo della mia armatura", concluse, "Io," aggiunse il suo compagno dagli occhi come smeraldi, "sono Tige del Pavone, compagno di Duncan nella difesa della regina degli dei ed allievo di Daidaros, santo di Cefeo in nome di Atena", si presentò il secondo, "Io sono la loro guida", aggiunse una terza voce, tutti si voltarono a vedere chi parlasse e videro una donna dai lunghi capelli color oro, i suoi occhi sembravano diamanti, poiché stranamente apparivano senza iridi, e le sue vesti erano chiaramente provenienti da Asgard, "Draka del casato di Megres, sacra guardiana dell’Anello di Era, è il mio nome ed il mio titolo", disse con fare freddo e distaccato, mentre avanzava fra i suoi due subalterni.

"Il mio nome è Maximo dell’Otre, ebro di Dioniso e comandante delle sue armate", disse il gigante dai capelli color del vino.

"Avvicinati, ebro, per riavere la tua sacra armatura, l’armatura dell’Otre", disse la regina; il guerriero di Dioniso si avvicinò e vide aprirsi dinanzi a se la custodia sacra, da cui uscì un otre in parte viola in parte nera; l’otre si scompose per ricomporsi come sacra armatura sul corpo del gigante: una corona piuttosto semplice copriva parte dei capelli, il tronco era completamente coperto dalla corazza, che sembrava fatta a strati neri e viola, le braccia e le gambe erano coperti da parti cilindriche della sacra corazza.

"Il mio nome è Ageia", disse la ragazza dai capelli color muschio, "ebra e comandante delle baccanti, unica sopravvissuta di questa sacra stirpe, il mio simbolo è la Vite", si presentò, poi si avvicinò a Didone, che le offrì le sacre vestigia della Vite, rappresentanti una foglia di vita, da cui pendono cinque chicchi d’uva; dopo essersi ricomposta sul corpo della fanciulla, i cinque chicchi erano diventati la cinta e le ginocchiere della corazza, i diversi filamenti della foglia e della vite sembravano essere dei rampicanti intorno al corpo dell’ebra, l’ultimo chicco, al contrario degli altri componeva l’elmo della sacra corazza.

"Tu, terzo ebro, rivelati", chiese la regina, il guerriero incappucciato si fece avanti e si presentò, "Il mio nome è Navas, di Gemini e di Pan, fratello di Saga e Kanon di Gemini e prescelto comandante dei satiri, mai costituiti, però", si presentò il terzo, togliendosi il cappuccio e mostrando a tutti i lunghi capelli blu, quindi si avvicinò all’armatura, rappresentante un satiro, che si scompose per ricomporsi poi sul suo corpo: gli zoccoli e le zampe si posero sulle sue gambe, il corpo fu coperto dalla pelle viola ed oro del satiro rappresentato, la testa era difesa dall’elmo, che simboleggiava la testa di Pan. Chiunque lo avesse visto, conoscendo i due custodi delle vestigia d’oro dei Gemelli, lo avrebbe potuto scambiare per uno dei suoi fratelli, eccetto per la vistosa ustione che deturpava parte del suo volto, il lato sinistro, dall’occhio al labbro.

"Bene, sacri cavalieri, dovete sapere che non siete ancora completi", esordì Didone, "infatti i fabbri sacri ad Efesto hanno rifiutato l’invito, non ritenendosi legati a nessuno dei nostri gruppi e non temendo nessuno di voi", spiegò, "inoltre le armature sacre ad Era ed ad Ermes devono essere recuperate e riparate, perciò servono i fabbri del dio Efesto", aggiunse, "quindi tre di voi dovranno andare nel Vesuvio, dove i due hanno momentaneamente la loro sede", ordinò.

"Draka guiderà questa spedizione e Navas e Wein comporranno il suo seguito", sentenziò, quindi aggiunse, "Quiggon, condurrà Ageia e Duncan nel recupero delle sacre armature, a Cartagine ed a Tebe, dove aveva sede il tempio di Tiresia e dove sono nascoste le sacre armature di Ermes", continuò, poi si voltò verso Maximo dell’Otre, "Tu, comandante degli ebri, che sembri così desideroso di combattere, guiderai Tige e Dafne verso il grande tempio di Atene, dove dovrai chiedere ai santi ancora vivi il permesso di recuperare l’elmo del dio della guerra, donato dalla dea al custode della settima casa, il santo di Libra, cavaliere fondamentale nella guerra che scoppiò fra i due dei", ordinò.

Il gruppo prese congedo, "Bene, cavalieri, dunque ci dovremo fidare l’uno dell’altro", esordì Ageia una volta fuori dalla stanza del trono, "Si, ebra di Dioniso, dovremo fidarci gli uni degli altri", rispose Quiggon del Caduceo.

"Spero soltanto che voi due, guardiani di Era, siate abili come sembra credere la vostra regina", aggiunse Maximo, ponendosi di nuovo davanti a Duncan del Falco, "Dimmi, ebro, cerchi guai?", chiese il guardiano del Falco, "No, cavaliere, ma mi piace affrontare nemici potenti, chissà se tu lo sei", spiegò Maximo, "Non ti consiglio di attaccarlo, Duncan", si intromise Tige, "poiché mi dovrebbe guidare al Grande Tempio", spiegò prima di scoppiare a ridere.

I due guardiani sembravano molto amici, legati da un forte sentimento, seppur con gli altri, eccetto Maximo, erano molto cordiali, al contrario di colei che li guidava, Draka dell’Anello, che si rivolgeva con altezzose maniere agli altri guerrieri.

Wein era altrettanto freddo nei suoi comportamenti, ma non altezzoso, ricordava piuttosto Camus dell’Acquario, che cercava di non mostrare mai i suoi sentimenti o i suoi dubbi, mentre Dafne era di carattere opposto, cercava di far conoscenza con gli altri, seppur con scarsi risultati.

I due più silenziosi, nello scendere le scale del castello, furono Quiggon, che sembrava incredibilmente serio e distante, e Navas, concentrato a guardare sempre dinanzi a se, come se stesse parlando con se stesso.

Usciti dal castello, i tre gruppi si divisero per compiere le loro missioni.