CAPITOLO TERZO: L’ALCHIMIA DELLE OMBRE.

In un’isola dell’Egeo orientale, apparentemente anonima e disabitata, ombre e rancori di una vita intera scivolavano sulla superficie pietrosa, avvolgendola in un oscuro abbraccio capace di nascondere la sua stessa esistenza ai naviganti e agli osservatori esterni. Su quell’isola, nelle grotte delle montagne che la costituivano, aveva sede la base operativa di Flegias, figlio di Ares. Seduto su un trono di amianto, rivestito dalla sua Armatura scarlatta, il Flagello di Uomini e Dei sorseggiava un bicchiere di vino, dall’acceso color rosso sangue, mentre un uomo, dalle nere vesti simili al saio di un monaco, fermate in vita da un vistoso cordone d’argento, era in piedi vicino a lui, in attesa di ordini.

Ma Flegias era completamente disinteressato a lui e alle cinque figure inginocchiate ai piedi del trono, i cui cosmi scuri parevano fondersi con la notte che imperava dentro quella reggia. Immerso nei suoi pensieri, Flegias stava lasciando vagare la mente nel fiume del tempo, ritornando a pochi giorni addietro, quando aveva osato avventurarsi nuovamente fuori dalle ombre dell’isola ove si era rifugiato un paio di settimane prima. Non che avesse paura ad uscirne, tutt’altro. Egli non temeva nessuno, ma era certo che, avendo Ermes e Phantom segnalato la sua posizione al Sommo Zeus, avrebbe dovuto affrontare qualche Cavaliere Celeste, inviato dall’Olimpo per pattugliare i dintorni, tenendosi comunque a debita distanza da un luogo che all’apparenza era più inospitale dell’Inferno. Pur tuttavia, escludendo un paio di sentinelle dislocate nelle isole circostanti, e massacrate in pochi attimi, nessuno sembrò fermare Flegias, ed egli fu libero di muoversi a suo piacimento, raggiungendo la penisola anatolica e dirigendosi verso la Troade. Per un appuntamento col destino! Aveva sogghignato il figlio di Ares, sfrecciando nel vento, avvolto da un turbinar di fiamme e di ombre.

Conosceva bene le sue abitudini e sapeva che Asclepio, il figlio di colui che gli aveva recato il grande affronto, per quanto fosse un Dio provava un’immensa pietà verso gli uomini, incamminandosi spesso in solitari viaggi lungo le coste del Mediterraneo, seguendo il percorso dei Santuari a lui dedicati. Gli Asclepiei erano prevalentemente dei ricoveri per gli ammalati, posti sotto la protezione del Dio della Medicina, di quello stesso Dio che periodicamente, vestendosi come un semplice uomo, si mescolava ai dottori, prestando il suo operato e le sue competenze per aiutare gli uomini ad uscire dai patimenti della malattia. Spesso la sua stessa vicinanza, il suo cosmo confortante, leniva gli affanni dei moribondi, sanando le ferite o lasciandoli scivolare lieti verso la fine del loro viaggio terreno. E Flegias, che ad Asclepio era direttamente legato, sapeva bene dove adesso si trovava. A Pergamo, in Misia, una zona della Turchia nord-occidentale tra la Bitinia e la Frigia. Là infatti si ergeva un grande santuario dedicato al Dio della Medicina, lo stesso in cui aveva prestato servizio Galeno nel II secolo d.C., un grande medico e chimico che aveva contribuito ad riorganizzare tutta la scienza medica del suo tempo secondo principi originali. E Asclepio, che di Galeno era stato un grande ammiratore, non mancava mai di fermarsi a Pergamo nei suoi viaggi.

Con un agile balzo Flegias aveva raggiunto l’imboccatura della Via Tecta, una via sacra coperta che conduceva al vasto complesso del Santuario di Pergamo dove si trovavano gli stoa, i cortili porticati, sotto cui Asclepio era solito passeggiare. Aveva fatto fuori un paio di guardie, senza dare loro la possibilità di emettere alcun gemito, e poi lo aveva raggiunto, sorprendendolo con un violento attacco di fiamme oscure.

"Flegias!!!" –Aveva gridato Asclepio, venendo sbattuto a terra e circondato da quel vorticare imperterrito di fuoco e ombra. Non molto alto, e di gracile costituzione, Asclepio non aveva mai coltivato interesse verso l’arte battagliera, preferendo dedicare il suo tempo a colmare l’immenso desiderio di conoscenza che albergava nel suo animo. Divorava libri, conosceva tutte le poesie del mondo antico, ed era perfettamente istruito nel campo della scienza e della medicina, al punto che tutti sull’Olimpo lo consideravano una perfetta autorità in materia.

"Hai dunque riconosciuto l’odore della morte, quando si avvicina, nipote mio?!" –Aveva sogghignato Flegias, uscendo dalle ombre, che parevano danzare attorno alla sua Armatura Divina. Sul fianco destro, fissata con un elegante nastro scarlatto, risplendeva la Spada Infuocata che molte vite aveva reciso, cibandosi del sangue degli sconfitti per accrescere il suo potere e saziare il suo appetito di morte.

"Per carità, Flegias, fermati! Zeus ha dato mandato a tutti gli Dei e i Cavalieri al suo comando di ucciderti, per punirti per l’affronto recato all’Olimpo e…" –Ma Flegias lo aveva interrotto con un brusco movimento del braccio, scaraventando il gracile Dio contro un muro laterale e avvolgendolo in un turbine infuocato.

"Cosa vuoi che m’importi!!! Che vengano tutti! Che venga Zeus in persona! Neppure lui riuscirà a detronizzare l’Imperatore di tutte le ombre!!!" –Aveva gridato eccitato Flegias, osservando Asclepio venire stritolato di fronte ai suoi occhi. –"L’unico legame che ci univa, l’unica remota possibilità per cui avrei potuto risparmiarti, era l’amore per mia figlia Coronide, colei che ti diede alla luce!" –Aveva mormorato il figlio di Ares, perdendosi per un momento nei suoi pensieri. –"Ma Coronide è morta! Da Apollo barbaramente uccisa! Ed io sterminerò gli Dei dell’Olimpo, per avere la mia vendetta! E tu, che di quella schiera fai parte, adesso morrai!" –E nient’altro aveva aggiunto il Flagello di Ares, portandosi avanti e vibrando un secco colpo della sua Spada Infuocata, che aveva tagliato la gola di Asclepio, gettandolo a terra come un sacco vuoto. Un secondo colpo e il Dio era stato ucciso.

Flegias aveva raccolto il corpo pesto e lacero dell’uomo che sua figlia aveva avuto millenni addietro, leccando via il sangue dalle ferite, quasi godendo di quel sapore che tanto lo inebriava. Quindi aveva incendiato il tempio di Pergamo, lasciando che tutti morissero al suo interno, dottori e pazienti, prima di scomparire e rientrare nell’isola con il suo succulento bottino. Con lo strumento che gli avrebbe concesso di disporre di un’ulteriore difesa da mettere in campo contro Atene e contro l’Olimpo.

"I Capitani dell’Ombra sono al vostro servizio, potente Signore!" –Esclamò improvvisamente l’uomo dalle vesti nere, rubando Flegias ai suoi pensieri. –"Grazie al prezioso contributo di cui mi avete fatto dono, ho creato per loro le migliori corazze che mai alchimista alcuno aveva forgiato sull’Isola della Regina Nera!"

"Lo spero per te, vecchio relitto!" –Commentò Flegias, rizzandosi in piedi e gettando via il calice di vetro, schiantandolo contro una parete laterale. Tirò uno sguardo alle cinque figure inginocchiate ai piedi del trono, tutte con lo sguardo posato sul terreno pietroso sotto di loro, prima di spostarlo nuovamente su Athanor. –"Fa che salvarti dall’apocalisse abbia giovato ai miei interessi, e non sia stato soltanto un inutile spreco di energia!"

"Il sangue del Dio della Medicina è stato sfruttato fino all’ultima goccia, prezioso carburante per dare vita alle corazze di coloro che in tuo nome contribuiranno a diffondere l’ombra su questa sterile Terra!" –Rispose Athanor, con viscido servilismo. Perché in fondo a lui di Flegias non importava niente, come non credeva nei suoi progetti deliranti, limitandosi a servirlo e ad aver così salva la vita. Da anni, da quando lo aveva portato via dall’Isola della Regina Nera, Flegias parlava di talismani nascosti nella polvere del tempo e ancora non era riuscito a trovarne uno, inseguendo leggende che, agli occhi di Athanor, uno scienziato e un concreto materialista, altro non erano che falene lontane. Farfalle in volo, sempre troppo distanti da afferrare. Niente di più.

Ma in fondo, ad Athanor tutta quella fissazione di Flegias verso l’arcano andava bene, poiché gli aveva permesso di essere utile, e quindi di sopravvivere. Grazie alle conoscenze di cui disponeva, ultimo degli antichi alchimisti che secoli addietro si ribellarono ad Atena, fuggendo sull’Isola della Regina nera, Athanor era stato incaricato da Flegias stesso di forgiare corazze per i suoi guerrieri. Armature particolari che fossero resistenti e leggere, per renderli agili in battaglia, ma soprattutto che nascondessero il tenebroso potere dell’ombra dentro di sé. Un potere che avrebbe permesso a Flegias di contrastare la luce dei suoi avversari. Ma per dare la vita a delle armature, anche nere che fossero, Athanor aveva bisogno di sangue, meglio ancora se il sangue di un Cavaliere, in modo da poterne sfruttare anche il cosmo. E Flegias aveva acconsentito alle sue richieste, fornendogli materia prima in gran quantità, primo tra tutti il martoriato corpo di Asclepio, il cui sangue regale, il mitico Ichor degli Dei greci, aveva permesso di forgiare sette corazze indistruttibili. Dei veri capolavori dell’alchimia nera.

"Per secoli gli alchimisti ribelli, fuggiti sull’Isola della Regina Nera, tentarono di emulare le Armature di Atena, ma fallirono continuamente, incapaci di realizzare modelli che fossero più resistenti delle corazze di bronzo! Mancavano loro le conoscenze, e in parte anche un quid rivelatore!" –Spiegò Athanor. –"Ma io, che ho potuto sfruttare l’infinito potere della Pietra Nera di cui mi avete fatto dono, mescolandolo al mio sapere e all’Ichor del Dio della Medicina, ho compiuto il miracolo, giungendo dove i miei predecessori hanno fallito! Io ho vinto il tempo!!!"

In quel momento una rozza porta di legno, alle spalle delle cinque figure inginocchiate, si aprì rumorosamente e due uomini fecero la loro comparsa, salutando Flegias sollevando il braccio destro e chiamando a gran voce il suo nome.

"Siamo tornati, Flegias, figlio di Ares, Flagello degli Uomini e Gran Maestro di Ombre!" –Esclamarono, avvicinandosi alle cinque figure inginocchiate.

"Meglio tardi che mai!" –Ironizzò Flegias, fissando i due in attesa di notizie. –"Siderius! Menas! Avete portato a compimento l’impresa per cui vi ho scelto?!"

"Nel migliore dei modi!" –Rispose Siderius, spiegando come avevano operato. –"Il Cavaliere dell’Unicorno giace adesso infettato dal veleno mortale delle spine della rosa di rabbia! Non passerà molto tempo prima che l’agonia del suo destino lo conduca alla sua inevitabile fine!"

"Menas?!" –Flegias si rivolse al secondo uomo, per trovare conferma delle parole di Siderius.

"I vostri ordini sono stati eseguiti, supremo Maestro di Ombre!" –Si inginocchiò Menas, accennando un sorriso malizioso, che Flegias interpretò come segno d’intesa.

"Ottimo!" –Sogghignò il figlio di Ares, strofinandosi le mani, mentre un’avida luce rossastra scintillò nei suoi occhi, illuminando per un momento l’oscurità di quell’anfratto. –"Ritirati, adesso! Il tuo grado inferiore non ti consente di prendere parte a questa discussione!" –Aggiunse, facendo cenno a Menas di uscire dalla sala. Ordine che Menas immediatamente eseguì.

"Anche se non capisco perché ci avete chiesto di infettarlo! Quale pericolo può mai costituire un Cavaliere di Bronzo?!" –Domandò Siderius, disturbando i pensieri di Flegias, che, in tutta risposta, lo scaraventò indietro con il suo cosmo infuocato, fino a farlo schiantare contro una parete rocciosa.

"Taci!!! Qualcuno ha mai chiesto a Dio perché ha creato il mondo? E tu allora non permetterti di domandare a me, Gran Maestro di Ombre, i motivi del mio operato, ma accetta le linee guida che saprò importi! E poi muori!" –Ringhiò Flegias, digrignando i denti, mentre le altre cinque figure si mettevano in piedi. –"Tutto rientra nel completamento del mio efficace piano! Mentre infatti i Cavalieri di Atena saranno pateticamente impegnati a trovare una cura per la particolare febbre che ha colpito il loro amato Unicorno, noi saremo liberi di muoverci indisturbati e proseguire nell’affannosa ricerca a cui da anni dedico tempo e forze, in vista del traguardo finale!" –Esclamò Flegias, voltandosi verso l’uomo vestito di nero, che si allontanò per un momento, ritornando con un carro su cui erano collocate cinque armature dai colori scuri come la notte. I simboli che rappresentavano erano inquietanti, cinque creature temute dagli uomini, confinate nelle leggende e da Flegias risvegliate: un’immensa tigre con lunghe zanne affilate, un drago con otto teste, un lupo dagli artigli sfoderati, un rigido serpente dalle selvagge spire e un gigantesco mostro marino, dalle forme orribili.

Flegias le osservò di sottecchi e anche se non lo ammise rimase soddisfatto, poiché sentì pulsare in loro la vita, la brama di vita, anche a costo di sopraffarne altre. E la tendenza all’ombra di cui voleva fossero intrise. Athanor si strusciò le mani con soddisfazione, per lo splendido lavoro che aveva realizzato, prima di voltarsi verso i cinque uomini e fare loro cenno di espandere i propri cosmi, in modo da entrare in comunione intima con la corazza che nient’altro rappresentava se non il loro simbolo. Una dopo l’altro le cinque Armature si scomposero, aderendo perfettamente ai corpi scolpiti degli uomini, di fronte allo sguardo attento di Flegias e a quello di Siderius. Egli infatti era stato uno dei due Capitani dell’Ombra per cui Athanor aveva già realizzato una corazza, in virtù dell’urgenza della sua missione.

"Io sono Iemisch, la Tigre d’Acqua!" –Esclamò quindi il primo uomo, rivestito da un’Armatura dagli oscuri riflessi e dalle fattezze feline. –"Percepisco il dolore delle acque, la sofferenza a cui gli uomini le hanno condannate fin dagli albori della storia, sfruttandole oltre ogni limite e cercando di dominarle, al punto da privarle di ogni rispetto! Del loro rancore mi nutro, nel loro tedio di vivere trovo l’energia necessaria per sfoderare i miei micidiali artigli, che metto al servizio dell’ombra!" –Aggiunse, prima che la seconda figura lo affiancasse, presentandosi a sua volta.

"Il mio creatore mi ha chiamato Licantropo, colui che si ciba dei segreti annidati nel cuore degli uomini! Segreti che, per quanto ben custoditi, sono pagine da sfogliare, un serbatoio di peccati a cui attingere per soppiantare quei deboli esseri umani, che a nient’altro sono dediti se non alla gola e alla lussuria, al soddisfacimento di materialistici istinti di godimento! Io saprò farli miei e rivolgerli contro i loro stessi creatori, martiri ineluttabili di una concupiscenza che non potranno evitare!" –Esclamò, prima di essere affiancato dalla terza figura, alta e possente, con lo sguardo di un fiero comandante militare.

"Orochi è il mio nome, ed è già leggenda! Come il Drago dalle otto teste di cui sono Custode e Padrone!" –Si presentò questi, fissando Flegias con sguardo fermo e deciso. La sua stazza era enorme, quasi il doppio rispetto a quella dei suoi compagni, al punto da essere un vero gigante. –"Con il soffio del mio alito, percepisco i rimpianti degli uomini, tutto ciò che quegli esseri inferiori si torturano di non aver fatto! Tutto ciò che non hanno detto, incapaci di accettare un presente che non possono più modificare! Di tali rimpianti, che continuamente albergano nell’animo degli uomini, le teste del mio Drago si nutrono, innalzandosi al cielo come giovani Atlanti!"

"Livyatan son io, "l’avvolto", il mare grande, vasto, immenso! Smisurato potere che rappresenta la brutalità degli uomini!" –Esclamò quindi la quarta figura. –"Gli uomini mi conoscono come Leviatano e temono il mio potere, poiché in origine lo ebbi direttamente da Dio, della cui potenza fui il simbolo! Ed oggi, in quest’epoca sterile e corrosa dalla guerra continua, di uomini contro uomini, di fratelli contro fratelli, è per me facile godimento assorbire tali istinti animali e continuare a crescere e a sollevare immense maree di odio!"

"Ed io sono Iaculo, il Serpente Giavellotto!" –Sibilò il quinto uomo, affiancando il Leviatano. –"Rappresento le colpe di cui ogni uomo si è volontariamente macchiato, il veleno che, come un serpente, egli ha covato in seno, scaricandolo sugli altri, quando ha provato invidia o gelosia o è stato irretito dal potere e dalla brama di gloria o ha ceduto al sospetto, lasciandosi cullare dal segreto e dalle trame nascoste!"

Infine, l’uomo chiamato Siderius, rimessosi in piedi, si affiancò a Iaculo, chinando leggermente il capo, in segno di obbedienza nei confronti di Flegias.

"Siderius! Della Supernova Oscura!" –Affermò. –"Rappresento l’ombra del futuro, la paura dell’ignoto, l’ansia che precede il grande balzo verso un mondo sconosciuto e irto di pericoli! Il futuro che è mio compito strappare agli uomini!"

"I Capitani delle Ombre sono finalmente riuniti di fronte a voi, Gran Maestro di Ombre!" –Esclamò Athanor. –"Tutti tranne ovviamente colei che…"

"So benissimo dove si trova!!!" –Lo zittì bruscamente Flegias. –"Sta facendo il suo lavoro, come voi adesso farete il vostro! A tal riguardo, cosa ne è del mio esercito, Athanor? Perché non è chino di fronte a me, prostrato ai piedi dell’Imperatore dell’Oscurità?"

"Il processo di creazione delle Armature è più lungo del previsto, possente Flegias! Ed io sono da solo!" –Cercò di scusarsi Athanor, indietreggiando di un passo alla vista dei fiammeggianti occhi del figlio di Ares che lo fissavano con violenza, penetrandogli nel profondo. –"È fondamentale dare loro la giusta resistenza, o non saranno in grado di reggere il confronto con i Cavalieri di Atena!"

"Stupido!" –Lo colpì Flegias con uno schiaffo, sbattendolo a terra. –"Non ripetermi cose che già conosco! Sprechi il tuo fiato a tentennare scuse che non merito! Non ti ho forse concesso una mandria di schiavi, da impiegare nella grande fornace? Schiavi che, quando saranno esausti e ormai improduttivi, potranno essere utilizzati per estrarne il sangue necessario a dare vita a nuove corazze! La quantità sopperirà agli scarsi livelli del loro cosmo!"

"Ciò non è sufficiente, mio Signore! Ho bisogno di sangue di Cavaliere, di sangue carico di cosmo, come lo erano il nettare di Asclepio e del Generale di Poseidone! Con esso potrò dare vita a nuove Armature! Più forti, più resistenti di quelle che ho prodotto finora per il suo esercito!"

"Taci, zotico! Non permetterti più di esprimere perplessità di fronte a un mio ordine! Non ti è concesso! Ti è soltanto concesso di vivere qualche giorno in più della tua inutile vita con il privilegio di servirmi, sollevato dal fango ove meriti di strisciare!" –Ringhiò Flegias, mentre Iaculo e Iemisch trascinavano fuori da un cunicolo secondario il corpo martoriato di un uomo, il cui volto era quasi irriconoscibile. Era morto una settimana addietro, dopo mesi trascorsi in agonia, torturato da Flegias e da Athanor e spremuto fino all’ultima goccia di sangue, per dare vita ad un paio di Armature dell’esercito dell’ombra, catalizzando il cosmo insito in esso grazie all’oscuro potere della Pietra Nera che Flegias custodiva. La più potente delle sette.

"Gettate questa carcassa nella fornace, il suo ruolo è ormai terminato! Syria delle Sirene non suonerà più!" –E troncò in due il flauto del musico, schiantandolo sulle proprie ginocchia, mentre i due Capitani dell’Ombra sollevavano il corpo distrutto dell’ultimo generale di Poseidone, che era crollato difendendo il Tempio del suo Dio dai berseker di Ares, scaraventandolo in un’immensa fornace, incavata al centro della montagna principale dell’isola. Le sue fiamme si allungarono improvvisamente verso il cielo nero, risplendendo di oscuri riflessi di morte. –"Così passò l’ultimo dei sette Generali! Ah ah ah! Continua il tuo lavoro, alchimista oscuro, e abbi fede nel tuo Dio! Presto avrai nuovo e prelibato sangue, ricco di energia cosmica, da usare per i tuoi esperimenti!" –Rise Flegias, prima di ordinare ai Capitani dell’Ombra di dirigersi verso le località concordate in precedenza, con il compito di eseguire la missione assegnata loro.

I servitori del Gran Maestro di Ombre uscirono, e anche Athanor li seguì poco dopo, lasciando Flegias in piedi di fronte al trono. Soltanto Orochi, il Capitano dell’Ombra il cui simbolo era il possente Drago a otto teste, rimase immobile ai piedi del palco di pietra, con lo sguardo fisso sul suo Signore.

"Vi fidate troppo di quell’umano, mio Signore!" –Esclamò infine, quando furono rimasti da soli. –"Siderius è indubbiamente troppo emotivo per poter servire al meglio l’impero delle ombre che state affannosamente costruendo!"

"Sono in grado di valutare da solo l’operato dei miei fedeli, Orochi!" –Ringhiò Flegias, avvolgendo il Capitano delle Ombre in un circolo di oscure fiamme, che stritolarono il suo corpo, facendolo urlare di dolore. –"E tu non sei forse emotivo? Non sono forse grida questi latrati indisponenti che giungono al mio divino orecchio?" –Ironizzò il Maestro di Ombre, liberando Orochi dalla sua morsa e osservandolo crollare in ginocchio, con numerose ustioni sul corpo e l’armatura incandescente.

"Ciò che volevo dire, mio Signore, è che conoscete anche voi il passato di Siderius, i suoi legami con il Grande Tempio di Atena! Non vorrei che la sua umanità diventasse per voi uno svantaggio anziché un punto a favore!" –Commentò Orochi, rimettendosi in piedi.

"In tal caso sarà lui a fornire il sangue necessario per completare il rito delle ombre! Ah ah ah!" –Sghignazzò Flegias, ordinando a Orochi di controllare le sue mosse, per precauzione. –"Uccidilo, se necessario! Ma portami il cadavere, cosicché io possa servirmene per i miei piani! Niente, neppure una goccia di sangue, dovrà andare sprecata, ma tutto dovrà servire al tutto!" –Rise il figlio di Ares, mentre Orochi abbandonava la sala, lasciandolo finalmente da solo.

Il Gran Maestro di Ombre impiegò quei minuti di solitudine per tirare le fila del suo complesso piano, architettato con maestria nel corso di quindici lunghi anni. Così tanto era infatti trascorso da quella notte in cui aveva assaltato la Biblioteca di Alessandria, massacrando Galen, il suo anziano custode, alla ricerca della mappa che gli avrebbe permesso di localizzare i Talismani del Mondo Antico. Una mappa redatta ad Avalon millenni addietro, agli albori del tempo, che ben illustrava l’oggetto della sua intricata e disperata ricerca. Le uniche armi che avrebbero potuto consentire, o ostacolare, la discesa della grande ombra sulla Terra intera. Non trovando la mappa, che Galen aveva bruciato poco prima di morire, Flegias aveva dovuto cercarli da solo, affidandosi all’odore delle leggende e penetrando in ogni luogo sacro in cui riteneva plausibile che fossero custoditi. Aveva saccheggiato il tempio di Isla del Sol, dedicato a Inti, Dio del Sole e generatore della vita nella mitologia inca, e il tempio del Sole a Cuzco, tra le cime inaccessibili delle Ande, senza trovarvi alcunché. Quindi aveva irretito Ra e Seth, antiche Divinità Egizie, spingendoli nuovamente l’uno contro l’altro, in modo da poter avere accesso ai segreti nascosti tra le mura di Karnak e nella Piramide di Tebe. Ma anche là non aveva scovato niente e questo lo aveva in parte portato a credere che i Talismani fossero custoditi totalmente ad Atene. Eppure anche quell’idea non lo soddisfaceva, anche quell’idea lo lasciava frustrato e insoddisfatto, incapace di mettere a fuoco un dettaglio che ancora non aveva compreso. Incapace di comprendere realmente cosa fossero i Talismani che da anni andava cercando.

Sbraitò, maledicendo Atena e tutti gli Dei dell’Olimpo, mentre il suo cosmo si accendeva di oscure fiamme di morte, avvolgendosi nel suo nero mantello e incamminandosi verso le celle sotterranee per conferire con Athanor. Sogghignò, sicuro di avere ancora un po’ di tempo a disposizione. Un arco di tempo nel quale avrebbe dovuto completare l’esercito di ombre che stava creando da mesi e nel quale i Cavalieri di Atena sarebbero stati troppo impegnati per preoccuparsi di lui. Troppo arrabbiati! Ghignò Flegias, con un sorriso bastardo sul volto.

Proprio in quel momento Ioria del Leone giungeva nel piazzale antistante alla Tredicesima Casa, dirigendosi a passo sicuro verso le Stanze del Grande Sacerdote, occupate dalla reincarnazione di Atena dalla fine della guerra contro Poseidone, combattutasi l’anno precedente. Vedendolo, i soldati di guardia si scansarono, lasciando passare il Cavaliere dal fiero portamento e, in quel momento, dallo sguardo preoccupato. Non appena Ioria entrò nella Sala del Trono, Lady Isabel gli corse incontro, chiedendogli immediatamente spiegazioni.

"Cos’è accaduto Ioria? Chi ha violato i confini del Grande Tempio?!"

"Non lo sappiamo, Dea Atena!" –Esclamò Ioria, inginocchiandosi. –"Chiunque sia stato è stato abile a non lasciare tracce! Le Sacerdotesse dell’Aquila e del Serpentario stanno ancora perlustrando l’intera aria del cimitero e i confini orientali, ma dubito che troveranno qualcosa! Pare che il nostro avversario sia svanito tra le ombre!"

"E Asher? Come sta? Ho sentito il suo cosmo infiammarsi improvvisamente, come se mille serpenti di fuoco lo avessero penetrato, avvelenandolo!" –Mormorò Isabel, con apprensione.

"Il Grande Mur si sta occupando di lui! Pare che una febbre particolarmente violenta lo abbia colpito, dovuta ad un veleno che gli è stato iniettato nel corpo!" –Rispose Ioria, mentre Isabel, angosciata, si lasciava cadere a terra, sul tappeto rosso al centro del salone. –"Confidiamo tuttavia nel sapere del Cavaliere di Ariete! Egli è il discendente degli antichi abitanti di Mu, le cui conoscenze raggiunsero livelli notevolmente superiori a quelli delle civiltà mediterranee! Sono certo che riuscirà a salvarlo!" –A quelle parole, Isabel sembrò riprendersi per un momento e riuscì a rimettersi in piedi, sospirando preoccupata.

"Grazie!" –Mormorò infine, accennando un sorriso al Cavaliere di Leo, ancora in ginocchio di fronte a lei. Isabel lo fissò con attenzione per qualche secondo, notando i suoi lineamenti robusti e maschili, il suo sguardo pieno di apprensione per la sorte di Asher e per il nuovo attacco di cui il Grande Tempio era stato fatto oggetto. Ciò che Isabel non riuscì a leggere nello sguardo di Ioria era un nuovo sentimento, che mai aveva albergato nell’animo del Cavaliere di Leo. Un sentimento di odio nei confronti della donna che aveva di fronte, della donna che per lui rappresentava Atena, la Dea a cui aveva giurato fedeltà. Della donna per cui suo fratello Micene aveva dato la vita. La causa della sua morte. –"Mi sento in colpa, Ioria!" –Aggiunse Isabel. –"So che Asher è rimasto qua, da solo, per starmi vicino, per poter essere utile! Forse dovrei ordinargli di tornare in Giappone, dove potrebbe essere lontano dai pericoli, ma sono certa che non ubbidirebbe mai!"

"Lo credo anch’io! Troppo grande è il suo desiderio di starvi accanto! Troppo grande è il suo desiderio di servirvi e proteggervi!" –Rispose automaticamente Ioria, chiedendosi per la prima volta perché. Che cosa aveva quella donna da cui tutti sembravano essere magneticamente attratti al punto da rischiare la loro vita, al punto da arrivare persino ad uccidere, condannandosi così al dolore eterno?

Che strano! Si disse Ioria, sollevando lo sguardo a fatica e incrociando quello, preoccupato e amabile, di Lady Isabel. Non ho mai pensato a lei in questo modo! Da quando scoprii la verità, in quel pomeriggio di sole a Nuova Luxor, inginocchiandomi per la prima volta di fronte a lei, l’ho sempre considerata Atena, la mia Dea, colei a cui l’intera mia esistenza è stata destinata fin da piccolo. Fin da quando, allora un bambino di quattro anni, iniziai ad allenarmi, per il volere di mio padre e mia madre, sotto l’occhio attento di mio fratello Micene, l’uomo che per anni è stato il mio tramite verso Atena. Il mio ponte verso il futuro. Ma adesso che ho accantonato l’idea che mi aveva torturato per tredici lunghi anni, l’idea che mi aveva spinto ad odiare mio fratello per aver rinnegato i valori e gli ideali che avevamo condiviso insieme, adesso che sono libero dal suo fantasma e che posso pensare a lui come un eroe, come un martire per la libertà, non riesco a fare a meno di odiarla. Sì! Odiarla! Perché questa donna, che mi sorride fingendosi preoccupata per me e per Asher, e per Pegasus o per un altro Cavaliere disposto a dare la vita per lei, è in realtà colei che ha condannato mio fratello a morte! È colei la cui esistenza ha messo in pericolo la vita di mio fratello, portandomelo via!

"Ioria! Tutto bene?!" –Domandò la voce calma di Lady Isabel, avvicinandosi al ragazzo e sfiorandogli una mano.

"Sì!" –Rispose bruscamente Ioria, sollevandosi e liberando la sua mano dal tocco della donna, che parve infiammarlo per un momento. –"Dea Atena, tornerò alle Dodici Case, per avere ulteriori informazioni su Asher e sul nostro eventuale nemico! Vi comunicherò quanto prima eventuali notizie utili!" –Aggiunse, voltando le spalle ad Isabel e incamminandosi per andarsene, lasciando la donna, con le mani giunte e lo sguardo preoccupato, al centro della stanza.

Appena uscito dalla Sala del Trono, Ioria si appoggiò con tutto se stesso alla massiccia porta che aveva prontamente richiuso dietro di sé. Alla porta che lo separava da quello che in quel momento era l’oggetto della sua vendetta, la donna il cui peccato non sarebbe mai riuscito ad accettare: la sua esistenza. La sua stessa esistenza che aveva condannato suo fratello Micene, i cui ideali erano talmente puri e così genuinamente sentiti da trascinarlo verso la morte. Per lei.

Ioria si scosse, sudando copiosamente e cercando di trattenere la rabbia che si era improvvisamente impossessata di lui, accendendo i suoi occhi verdi di un fuoco che soltanto una volta vi aveva albergato, quando Arles lo aveva posseduto con il suo Demone dell’Oscurità. Se avesse ascoltato i suoi sensi, istintivo e irruento come era solito comportarsi, avrebbe sfondato il portone e raggiunto la Sala del Trono per trafiggere, per dilaniare, per massacrare la donna che così tanto male aveva recato a suo fratello, e a lui. La donna che in quel momento non vedeva più come Atena, né come Isabel, né come una semplice indifesa, ma soltanto come la causa della morte di Micene e dei suoi tredici anni di dolore. Facendosi forza, strinse i denti e si allontanò, correndo verso l’esterno, sperando che l’aria fresca di quel mezzogiorno di settembre potesse aiutarlo a riprendersi, a risvegliarsi da quell’incubo in cui credeva di essere precipitato. Non fu così. Tutt’altro. L’aria era improvvisamente cambiata e al posto dei luminosi raggi di sole, che avevano illuminato il suo sguardo fin dalle prime luci dell’alba, Ioria dovette fronteggiare una nebbiolina fine e tenue, quasi impalpabile per un essere umano ma percettibile da un Cavaliere. Una nebbiolina rossastra, carica di odio, di sangue e soprattutto di rabbia.