CAPITOLO TRENTADUEESIMO: L’ISOLA MALEDETTA.

Quando Jonathan sollevò il capo e vide Andrei uscire dall’oceano di fiamme che aveva scatenato contro le ombre non ne fu poi così sorpreso. Conosceva bene il suo Maestro, con cui aveva trascorso molto tempo ad addestrarsi sulle rive del lago Titicaca, e se c’era una cosa che aveva capito di lui era che detestava rimanere con le mani in mano, incapace di lasciar passare gli eventi senza fare niente per modificarli.

Andrei non aveva, né aveva mai avuto, la millenaria calma di Avalon e, per quanto stimasse il Signore dell’Isola Sacra, obbedendo ad ogni suo comandamento, non gli dispiaceva affatto essere diverso.

"Non ti invidio, lo sai?!" –Aveva detto un giorno ad Avalon. –"Trascorrere tutto il tempo tra le nebbie di quest’isola, ad osservare gli eventi dipanarsi nelle acque del Pozzo Sacro… non so, credo che impazzirei qua dentro!"

"Sei un topo in gabbia!" –Gli aveva sorriso il Signore dell’Isola Sacra. –"Per questo i nostri destini sono diversi! Per consentirci di viverli al meglio!"

Andrei aveva annuito ed era scomparso, sfrecciando nel cielo come una cometa di fuoco e rientrando al Tempio di Isla del Sol. Non che quell’eremo lo facesse sentire più libero, ma la gentilezza degli abitanti e le molteplici località da visitare, e da studiare, gli permettevano di non trascorrere i giorni in ozio, addestrando lo spirito e il corpo e preparandosi ad accogliere il figlio che da quelle terre sarebbe nato. Avalon era infatti certo che là fosse custodito uno dei Talismani, il più potente. Il portale verso il mondo dei sogni. Un mondo che gli uomini spesso avevano dimenticato.

Anni dopo era nato Jonathan, da una sacerdotessa del Tempio di Inti, e per quanto i suoi capelli biondissimi contrastassero con i tratti somatici del suo popolo, Andrei non aveva avuto dubbi. Egli era un figlio delle stelle, destinato a custodire lo scettro capace di spalancare nuovi mondi. E portare la luce.

"Qualcosa di turba, giovane allievo?" –Domandò Andrei, mentre Jonathan e Reis si mettevano in piedi.

"Sono lieto di vedervi, Maestro! Ma sono anche preoccupato!" –Rispose il Cavaliere dei Sogni. –"Se persino voi, che siete uno dei Quattro, siete dovuto scendere sul campo di battaglia, ciò significa che la situazione è più grave del previsto!"

"Lascia gli allarmismi ad Avalon! Egli adora crogiolarsi nei perché del mondo!" –Ironizzò Andrei. Ma notando che la battuta non tolse la preoccupazione dal volto del ragazzo lo pregò di non stare in pena. –"Non sono intervenuto per dovere, bensì per piacere! Per porgerti aiuto, se me lo concedi, e arginare insieme a te la deriva di questa marea di tenebra!"

"Sarebbe un onore combattere al vostro fianco!" –Commentò Jonathan, accennando un sorriso ad Andrei, che si guardò intorno, tra le fiamme e le macerie di Piazza Konak. Un paesaggio simile a quello che aveva trovato ad Angkor quando vi aveva affrontato Flegias. A sua volta simile alla distruzione che il Maestro di Ombre aveva portato a Isla del Sol e a Cuzco.

Andrei strinse i pugni, reprimendo la rabbia che lo invadeva ogni volta in cui pensava al demone annidato nell’isola dell’Egeo. Ogni volta in cui si chiedeva perché gli Dei gli avessero concesso così tanto potere sulla vita, e sulla morte, degli uomini. E la risposta di Avalon da tempo non lo soddisfaceva più.

"Rientra tutto nell’equilibrio del mondo!" –Gli aveva detto più volte. –"E tu, come garante, dovresti ben saperlo!"

"Lo so! Ma non lo accetto!" –Aveva sempre risposto Andrei. E adesso ne era più che mai convinto.

"C’è un altro motivo per cui sono intervenuto in fretta! L’esercito delle ombre sta crescendo e mentre voi combattevate qua a Smirne la marea nera ha raggiunto i confini settentrionali della Grecia!" –Spiegò Andrei ai due Cavalieri delle Stelle, che ascoltarono con interesse e ansia crescente. –"La Tracia è stata invasa ed è là che stavo dirigendomi, quando mi è parso opportuno intervenire in vostro soccorso!"

"Dubitavate forse delle nostre qualità guerriere?" –Ironizzò Reis. –"O temevate che la presenza di una donna potesse distrarre il vostro allievo dalle sue mansioni?!"

"Bel caratterino!" –Commentò Andrei. –"Degna allieva di Avalon! Anche se per la verità ero venuto a chiedere a Jonathan di accompagnarmi! La presenza di uno dei Talismani potrebbe essere decisiva nel frenare la marea d’ombra!"

"E avete ben pensato di proporlo a lui!" –Sbuffò Reis. –"Questo continuo maschilismo mi indispone, Comandante Andrei! Non credete che sarebbe stato più gratificante se questo incarico fosse stato concesso a me?"

"È tuo se lo desideri, Reis di Lighthouse! Ma non lamentarti con Avalon se le fatiche che ti impongo sono troppo gravose per il tuo corpo di donna!" –Scherzò Andrei, mentre il Cavaliere di Luce già si allontanava, avvolgendosi nel suo cosmo dorato.

"Saprò sopportarle! Spero che altrettanto riuscirete a fare voi!" –Ironizzò, prima di tirare un’ultima occhiata al cielo nero sopra di loro, ove già cumuli di ombre si erano nuovamente radunate, e scomparire.

Jonathan sorrise, scambiando uno sguardo d’intesa con Andrei ed espandendo il suo cosmo lucente, pronto per combattere. Il suo ultimo pensiero, prima di lanciarsi verso le ombre, con lo Scettro d’Oro carico di sfolgorante energia, andò a Febo e Marins, chiedendosi se fossero riusciti a difendere Creta.

In quel momento il Cavaliere dei Mari Azzurri si trascinava a fatica sul versante occidentale della collina di Sitia, sorreggendo il corpo stanco di Febo che lo aveva protetto dalla furia assassina di Flegias. Aveva fermato con il cosmo l’emorragia al ventre dell’amico, come aveva fatto con il proprio polso, ricordando alcune tecniche insegnate loro ad Avalon. Ma era certo che le ferite della Spada Infuocata avrebbero meritato cure migliori, a causa dell’ombra di cui era intrisa.

Spostò lo sguardo verso il Mediterraneo, stentando a riconoscere il bel mare che tanto lo aveva attratto da piccolo, seconda passione della sua vita dopo il baseball. Era rimasto ben poco delle fresche distese d’acqua che aveva ammirato quindici anni prima, in occasione del suo primo viaggio sulle coste africane, interamente sovrastato da tossiche nubi nere, da cui sporadici gruppi di ombre precipitavano verso terra.

Fu proprio allora che Marins percepì un movimento dietro di lui e si voltò in tempo per vedere un’onda di energia nera in procinto di abbattersi su di loro. In fretta spinse Febo di lato, prima di bruciare il cosmo e contrapporre a quel maroso oscuro le spumeggianti acque dei mari azzurri.

"Arguto!" –Commentò una figura, apparendo tra le torbide acque. –"Degno di un re!"

Marins osservò il Cavaliere Nero avvolto nel suo cosmo blu notte avanzare verso di lui, perfettamente a suo agio in quella linfa oscura. Alto e magro, con un folto pizzetto grigio, come la barba di una capra, indossava una corazza che proteggeva poco più della metà del corpo e che, se non fosse stata nera, con qualche striatura blu, avrebbe potuto essere scambiata per un’Armatura di Bronzo dei Cavalieri di Atena.

"Perché mi guardi con così fosche pupille? Non riconosci Dario il grande, Cavaliere del Tigri e Re di Persia, tornato a vivere in questo scorcio di secolo per ottenere nuove celebrazioni, le stesse di cui godetti millenni or sono?" –Esclamò infine, fermandosi davanti a Marins.

"Per la verità…" –Ironizzò Marins, strusciandosi volgarmente il naso. –"Vedo solo un pagliaccio! Dove hai lasciato la tua corte?"

"Umpf, ti pentirai delle tue parole di scherno, mano monca! Terminerò l’opera che il mio Signore ha dovuto interrompere, per correre a rimediare ai pasticci del Licantropo!" –Esclamò Dario. –"Mai fidarsi delle bestie!"

"Mi chiedo allora come faccia Flegias a fidarsi di te!" –Scherzò Marins, facendo infuriare Dario, che sollevò subito marosi di oscura energia acquatica, mescolandoli al fango della collina e dirigendoli contro di lui. –"Suscettibile l’amico!" –Ironizzò il Cavaliere dei Mari, muovendo il braccio sinistro sopra la testa e creando in fretta una barriera di coralli con cui protesse momentaneamente Febo e se stesso.

Ma l’attacco di Dario non si esaurì e nuove onde si abbatterono sulla protezione di Marins, danneggiandola e facendo filtrare acqua all’interno. Proprio quando il Cavaliere dei Mari si decise a contrattaccare, notò che la pressione dei marosi oscuri stava diminuendo, poiché Dario aveva infatti richiamato a sé tutta l’energia cosmica per generare un assalto più efficace.

"Mille bighe di Persia! Travolgete gli scostumati Cavalieri che si son burlati della nostra regia maestà!" –Gridò il Cavaliere del Tigri, portando le braccia avanti e liberando migliaia di bighe di oscura energia acquatica, che galopparono verso Marins, travolgendo la sua difesa e scaraventandolo indietro assieme all’amico, fino a quel momento intontito.

"Ordunque, uomo mortale, non provi delizia nel rotolarti in quest’oceano di fango?" –Lo derise Dario, incamminandosi verso Marins, schiantatosi a terra poco distante. –"Come una scrofa ansimi divertito nell’ambiente che più ti è congeniale!"

"Congeniale non troppo…" –Bofonchiò Marins, con il volto e i capelli castani sporchi di letame, Si rimise in piedi e strinse con la mano sinistra il Tridente dei Mari Azzurri. –"Ma utile senza dubbio!" –Sogghignò, piantando l’arma nel terreno acquitrinoso e liberando una violenta scarica di energia, che percorse in fretta l’intera distanza tra lui e Dario, fulminando all’istante il Cavaliere Nero. –"Avresti dovuto spenderli meglio questi duemila anni, magari a studiare le leggi della fisica, che non a rimirare il tuo profilo ovino in un impallidito specchio!"

Dario crollò a terra, con numerose crepe sull’armatura e ustioni sul corpo, il respiro affannato e il cuore che sembrava scoppiargli in petto, tanto violenta e fulminante era stata la scarica energetica subita. Inspirando a fatica si rimise in piedi, con la rabbia dipinta sul volto e l’indomita volontà di vincere un essere che considerava inferiore. Ma Marins lo aveva anticipato, espandendo il proprio cosmo e generando cavalloni di celeste energia.

"Maremoto dei Mari Azzurri!!!" –Gridò, scaricando tale immenso potenziale cosmico verso il Cavaliere Nero, che cercò di reagire sollevando l’impetuosa fiumana del Tigri, osservando i due attacchi di energia acquatica fronteggiarsi a mezza via, inondando il disastrato versante del colle di Sitia.

Per qualche istante i due poteri si equivalsero, stanchi entrambi per i colpi subiti, soprattutto Marins che aveva fronteggiato il Maestro di Ombre, ma alla fine i mari azzurri del Cavaliere delle Stelle iniziarono a sormontare la putrida fanghiglia del Tigri, obbligando Dario a modificare in corsa la composizione del suo attacco, ricreando migliaia di carri energetici che diresse in una folle corsa contro Marins.

"Scalpitate mille bighe di Persia!!!" –Gridò delirante, osservando con godimento sublime alcuni carri sfondare le acque azzurre del Cavaliere e ferirlo ai fianchi. Ma la maggioranza fu spazzata via dal rinnovato assalto di Marins, i cui cavalloni energetici travolsero Dario, scaraventandolo molti metri in alto, fino a schiantarlo al suolo tra i cocci della corazza insanguinata.

Senza dargli tregua, il Cavaliere dei Mari Azzurri balzò in aria, stringendo i denti per il dolore, e scagliò il Tridente contro di lui, piantandoglielo nell’alto petto e strappando via anche quell’ispida barba caprina per cui lo aveva tanto deriso. Quindi ricadde a terra, ruzzolando per qualche metro sul terreno smosso, ansimando per riprendersi dallo sforzo. Il dolore al braccio destro, che aveva cercato di reprimere per tutto quel tempo, stava riapparendo più intenso di prima e, quasi se ne fossero accorte, nere evanescenze stavano scendendo in picchiata su di lui, per cibarsi della sua linfa vitale.

A fatica Marins si rimise in piedi, determinato a non arrendersi, proprio come il suo primo mentore, Yogi Berra, gli aveva insegnato. Richiamò a sé il Tridente dei Mari Azzurri, ma prima ancora che riuscisse a muoverlo una bomba di fuoco esplose attorno a lui, allontanando le ombre, alcune delle quali vennero incenerite sul colpo. Marins si voltò verso il fondo della collina, dove Febo si era rimesso in piedi.

"Ti sei ripreso!" –Sorrise, mentre l’amico avanzava verso di lui, tenendosi una mano sulla ferita al ventre, che ancora gli doleva.

"Devo ringraziare te!" –Affermò Febo, bruciando il proprio cosmo. Marins fece altrettanto e insieme diressero i loro attacchi energetici verso le ombre, rallentando la loro discesa. Ma molte altre ne apparvero, circondando i due ragazzi, che, stanchi e feriti, crollarono sulle ginocchia, avvolgendosi in una cupola di energia.

"Che fine poco regale per il figlio di un Dio!" –Ironizzò Marins. –"Altrettanto per una giovane promessa degli Yankees!" –Rise Febo, trovando un motivo per sorridere anche in quella tragica situazione. Un amico.

Improvvisamente, mentre le ombre si chiudevano su di loro, fagocitando la stessa cupola di energia, e i due Cavalieri imbracciavano i Talismani, pronti per liberare, forse per l’ultima volta, il loro potere, entrambi furono accecati, e disorientati, da un bagliore proveniente dalla sommità della collina di Sitia. Una luce gialla, calda e avvolgente, simile al sole che sorge. In un attimo un’onda di energia travolse le ombre che vorticavano loro attorno, annientandole all’istante, e proseguì la sua corsa fino a infrangersi contro la marea nera che sovrastava l’isola di Creta.

"Sono certo che ve la sareste cavata anche da soli…" –Esclamò una decisa voce adulta. –"Ma permettimi di aiutarti, figlio mio!"

Febo si voltò verso oriente, abituando gli occhi all’intensa luce che proveniva da un uomo rivestito da una splendida armatura. Una Veste Divina dagli accesi colori oro e arancio, formata da un gonnellino pieghevole, in grado di adattarsi ai movimenti bruschi di una battaglia, da un pettorale rifinito in oro, al centro del quale splendeva un cerchio con un punto in mezzo, il simbolo del Sole, da due coprispalla arcuati, dai bracciali intarsiati e dall’elmo, un copricapo regale con due corna di ariete, al centro delle quali era incastonato il Disco del Sole.

Alto e magnifico, privo di quella vecchiaia che vi aveva visto il giorno in cui aveva spalancato le porte del Tempio di Karnak, Amon Ra, il Dio del Sole egizio, sorrise al figlio che aveva avuto secoli addietro dalla Sacerdotessa di Apollo a Delfi.

"Pa… Padre?!" –Mormorò Febo, sorpreso da quell’apparizione, ma anche felice di rivederlo. Così felice che non esitò a gettar via tutte le formalità e a corrergli incontro, abbracciandolo tra le lacrime.

"Sono lieto anch’io di rivederti, Febo!" –Sorrise Amon Ra, carezzando i biondi capelli sporchi del figlio. –"Ne è passato di tempo!"

"Padre… io…" –Commentò Febo, sentendosi in colpa per averlo abbandonato, senza neppure dargli una spiegazione, inseguendo l’onda del proprio destino, pur incerto che fosse.

"Non hai niente di cui scusarti!" –Sentenziò Amon Ra, con voce gentile, prima di voltarsi verso Marins, rimasto in disparte per non disturbare la riunione familiare. –"Mi fa piacere rivederti, Cavaliere dei Mari Azzurri, per quanto non vi siano state molte occasioni di dialogo durante il nostro precedente incontro! Spero che, quando le tenebre del mondo ci concederanno un momento di pace, mi farai l’onore di farmi visita nel mio Santuario di Karnak, affinché possa offrirti l’accoglienza che merita un Cavaliere delle Stelle, nonché il più caro amico di Febo!"

"Ne sarei onorato, nobile Ra!" –Disse Marins. –"Perdonatemi se vi ho portato via vostro figlio… ma…"

"Credevo foste andati ad Avalon per diventare guerrieri, non per imparare tutte queste smancerie!" –Esclamò Amon Ra, prima di scoppiare a ridere, davanti agli occhi straniti di Febo e di Marins.

"Non sapevo tu fossi a conoscenza…" –Balbettò Febo, ma Amon Ra lo interruppe.

"Di Avalon? E a fianco di chi credi che abbia innalzato quel capolavoro di architettura che nel Mondo Antico raccolse tutto lo scibile umano?! Prima che mi abbandonassi ai rimpianti, sapevo essere un Dio saggio e prudente! Come Avalon è stato per tutti questi secoli, soprattutto negli ultimi anni! Non mancando di far sapere a un padre, in ansia per le sorti del figlio, che non aveva niente da temere!"

"Febo sta crescendo!" –Gli aveva detto il Signore dell’Isola Sacra durante il loro ultimo colloquio. –"Diventa più forte ogni giorno che passa, diventa padrone di sé! E quella nobiltà nei modi di fare, retaggio di una dinastia che non ha mai dimenticato, adesso è mutata in nobiltà di cuore! Puoi soltanto essere orgoglioso che sia tuo figlio!"

"E aveva ragione!" –Sorrise Amon Ra.

"La meticolosità di Avalon sorprende persino me! Quell’uomo prevede ogni cosa!" –Commentò Febo, a cui anche Marins diede subito ragione.

"È questo il suo ruolo! Come è nel ruolo di noi combattere a difesa delle nostre genti! Come l’Esercito del Sole ha lottato in Egitto, contro un manipolo di bestie e Cavalieri Neri che il Maestro di Ombre ha inviato per terminare l’opera iniziata quindici anni fa, per radere al suolo Karnak e Tebe!"

"L’Egitto è stato attaccato?! Non ne sapevamo niente!" –Sgranò gli occhi Febo.

"Ho chiesto io al Signore dell’Isola Sacra di tenervi all’oscuro!" –Confessò Amon Ra. –"Poiché sapere la tua terra d’origine, la tua casa e coloro che hai avuto cari in pericolo ti avrebbe distratto dalla tua missione, spingendoti a correre rischi avventati, per magari scendere in Africa a combattere! E ciò non doveva accadere!"

"Padre…" –Balbettò Febo confuso. –"Avrei soltanto fatto…"

"Ciò che andava fatto? No, non credo! Avresti fatto ciò che sentivi di fare! E non è per questo che ti sei allenato per tutto questo tempo! Avalon e i Talismani non vi hanno nominato Cavalieri delle Stelle affinché le speranze degli uomini di respingere la grande ombra naufragassero per i capricci di un bambino!" –Esclamò Amon Ra, mettendo le mani sulle spalle del figlio. –"Ci sono in gioco destini ben più grandi di quanto le nostre misere esistenze, di uomini e di Dei, possano meritare!"

"Che è successo in Egitto? Spiegami!" –Incalzò Febo, prima che una fitta al ventre lo facesse accasciare a terra, e Marins si chinasse prontamente su di lui.

"Impetuoso cuore il tuo, Febo! Prima pensi agli altri, poi a te stesso!" –Commentò una quarta voce, mentre la sagoma di un giovane uomo appariva alle spalle di Amon Ra. –"Come quando scendesti in Amenti, lottando contro Anhar e Apopi, solo per salvare mio padre e me, e per vedere nuovamente il sorriso sul volto di Iside!"

Febo si rimise in piedi, sorretto da Marins, per incrociare lo sguardo acuto e penetrante del figlio di Osiride, Horus, il Dio Falco, grande amico e suo fratello adottivo. Dietro di lui, sulla cima del colle di Sitia, si andavano ammassando decine di soldati dai cosmi luminosi, che indossavano le uniformi verdi e dorate che Iside aveva preparato per loro. L’Esercito del Sole, che Amon Ra aveva radunato dopo aver sconfitto i servitori di Flegias in Egitto, quel che restava dei macabri esperimenti condotti da Seth e da Anhar anni addietro, nei sotterranei della Piramide Nera.

Il Dio del Sole si chinò sul figlio, sfiorando con la mano la ferita al ventre e lasciando che il suo cosmo fluisse dentro di lui, cicatrizzando il taglio e donandogli nuove energie. Altrettanto fece con Marins, prima di dargli una pacca sulla spalla e strizzargli un occhio.

"Finita la guerra, fai un salto a casa, ragazzo! Mi hanno detto che in America, di questi tempi, fanno progressi nel campo delle protesi!"

Febo lo osservò con un sorriso disteso. Non soltanto perché era felice di rivederlo, e di saperlo orgoglioso del suo operato, ma perché aveva visto sul suo volto lo stesso sguardo desideroso di conoscere, desideroso di scrutare il mondo, che lo aveva spinto millenni addietro a raggiungere Delfi. E a unirsi ad Hannah.

"Horus! Avvisa l’Esercito del Sole di tenersi pronti!" –Ordinò Amon Ra, disturbando le riflessioni di Febo. –"Le ombre non tarderanno ad attaccare, e dovremo essere in grado di fronteggiarle finché colui che le ha generate non venga sconfitto!"

Cavalieri di Atena! Il destino della Terra, e di tutte le forme di luce, è adesso nelle vostre mani! Rifletté il Dio, spostando lo sguardo verso nord-est, in direzione di una delle migliaia di isole che costellavano l’Egeo. La stessa su cui Pegasus e i suoi compagni si stavano dirigendo in quel momento.

Trasportati da Euro, ultimo figlio di Eos, Pegasus, Phoenix, Sirio e Cristal stavano volando nel cielo del tramonto, con le ali delle Armature Divine spiegate, sospinti dal vento che il Dio generava semplicemente soffiando. Volavano sopra le nuvole, sopra la cappa di tenebra che dall’Isola delle Ombre si era estesa sull’intero Egeo e parte del Mediterraneo Orientale, arrivando in Tracia a nord, nell’entroterra turco a est, a Creta a sud e fino alle pendici dell’Olimpo a ovest.

In silenzio, con i cosmi azzerati, speravano di prendere Flegias di sorpresa, attaccandolo al cuore prima che potesse riorganizzare un nuovo plotone di ombre con cui marciare sul Grande Tempio. Pegasus, le cui ali erano state danneggiate dallo scontro con Orochi, si teneva al braccio di Phoenix, mentre Cristal sorreggeva Sirio, come nella superdimensione tra Inferno ed Elisio.

"Per quanto possa sembrare ironico, vi dico: guardate!" –Parlò infine Euro, indicando un’enorme massa nera sotto di loro. –"La concentrazione di ombre è così fitta in questo punto che neppure i miei occhi riescono a penetrarla, ed immagino che siamo infine giunti alla roccaforte di Flegias! Alla fonte d’origine di tutti i mali!"

"Molto bene! Scendiamo e diamogli addosso, senza dargli tempo di fiatare!" –Incalzò subito Pegasus, che desiderava ardentemente confrontarsi con lui.

"Non vi ho portato all’altare del sacrificio, Cavaliere di Pegasus! Ed anche se il tuo cuore è mosso da nobili ideali, ti invito ad essere prudente, poiché non sappiamo quali trucchi quel demone nasconda ancora nella terra in cui regna come signore incontrastato!" –Lo pregò Euro. E anche Dragone e gli altri annuirono.

"D’accordo, d’accordo! Ma scendiamo, vi prego! Non ne posso più di svolazzare come un cardellino!" –Brontolò Pegasus, mentre Phoenix lo teneva per un braccio.

"Non soffrirai mica di vertigini?!" –Ironizzò, facendo ridere gli altri compagni. Fu un breve momento, ma fu intenso. E fu l’ultimo per quella notte di guerra.

"Le nostre strade si separano di nuovo, Cavalieri di Atena! Mi preme raggiungere l’Olimpo quanto prima!" –Esclamò Euro. –"Per quanto detesti queste inutili guerre, l’urlo disperato di Zeus ha macerato la mia anima, spingendomi a rientrare sul Monte Sacro! Che la benedizione del Vento dell’Est scenda su tutti voi! E possa sostenervi nei momenti in cui l’ombra cercherà di prostrarvi a sé!"

"Ti ringraziamo, potente Euro, per la generosità che ancora hai dimostrato!" –Sorrise Sirio, parlando anche a nome degli altri.

"Di un atto generoso o di un suicidio di massa mi sono reso complice?!" –Ironizzò Euro, prima di sospirare e volare via, sbattendo le variopinte ali della Veste Divina e svanendo in lontananza.

I quattro amici discesero verso terra, scivolando all’interno di una corrente d’aria che il Vento dell’Est aveva creato per loro, ma non appena entrarono nelle nubi nere che sovrastavano l’Isola delle Ombre, vennero scossi da una violenta tempesta energetica, mentre i loro corpi venivano avvolti in un turbinare di fiamme e di tenebra. Confusi e disorientati da quell’improvviso assalto, a cui non riuscivano ad opporsi, i quattro compagni vennero separati, precipitando a terra in malo modo, mentre il demoniaco cosmo del Maestro di Ombre fiammeggiava attorno ai loro corpi, provocando agonia e sofferenza.

"Aaargh!!!" –Strinsero i denti i Cavalieri di Atena, schiantandosi in varie parti dell’Isola, ancora avvolti in turbini di fuoco e ombra. –"Maledetto!!!"

"È dunque questo il modo in cui vi presentate nella mia modesta magione?" –Parlò loro il Flagello di Uomini e Dei. –"Di soppiatto, come ladri dal tetto! Neanche foste ospiti di cui non aspettavo la visita! Ah ah ah!"

"Ci avevi… notato?!" –Ringhiò Phoenix, cercando di rimettersi in piedi, nonostante le vampe di fuoco e di tenebra non gli dessero un attimo di pace, spingendolo a terra e stridendo sull’Armatura Divina.

"È naturale!" –Esclamò Flegias, la cui voce risuonava sull’intera Isola delle Ombre. –"Credete forse che su questo sterile mondo, destinato a scomparire in brevi tempi, sopraffatto dall’antica ombra che lo generò, possa esistere qualcosa che i miei occhi di brace, gli occhi della creazione, non giungono a vedere?! Soltanto al di là delle nebbie di Avalon non posso spingermi! Né oltre la cortina di primavera che un tempo cingeva la vetta dell’Olimpo! Ma presto anche il primo problema sarà risolto, come è stato per il secondo!"

"Dannato!" –Gridò Pegasus, a cui Flegias rispose con una risata beffarda.

"Lo sono già da tempo, Pegasus! Più di quanto lo siate voi!" –Aggiunse, con tono per la prima volta serio. –"Dannato a vivere quest’esistenza continuamente ostacolata da un gruppetto di ragazzini!"

"Devi scusarci se ti abbiamo reso la vita difficile!" –Ironizzò Pegasus. –"Ma non è che tu abbia fatto diversamente con noi!"

"Scusarvi?! E perché mai?! Avete soltanto reso indimenticabili questi momenti vissuti assieme! Ah ah ah! Eccitanti, li definirei!" –Sghignazzò Flegias, prima che la sua voce venisse coperta da un’esplosione violenta e i Cavalieri potessero vedere il vulcano principale dell’Isola delle Ombre sbuffare fumo, lava e squarci di tenebra. –"Addio per sempre, Cavalieri di Atena! Che la notte vi accolga in un abbraccio mortale!" –E nel dir questo espanse il proprio cosmo oscuro e infuocato, che piombò sui quattro compagni, sbattendoli a terra, avvolgendoli in strati di fiamme e di ombre, desiderose di succhiar via la loro energia vitale, per poter finalmente essere. Per poter finalmente esistere.

Pegasus e Cristal cercarono di reagire, agitandosi confusamente, ma fulmini neri si schiantarono ai loro piedi, frantumando la terra e precipitandoli verso fosse ancestrali.

"Pegasuuus!!!" –Gridò Sirio, senza poterlo impedire, ancora intento a liberarsi dalle ostiche avversarie che lo avevano circondato, lasciandogli un minimo margine d’azione. –"E sia dunque!" –Mormorò, socchiudendo gli occhi e portando le braccia al petto, radunando tutto il cosmo che poté. Le ombre, vedendo quella stuzzicante luce verdolina, si avvinghiarono al corpo del Cavaliere, prima che un’avvampante fiamma le annientasse. –"Fuoco del Dragone!!!"

"Adesso cominciamo a ragionare!" –Disse, liberandosi da quella scomoda prigionia e iniziando a correre verso il luogo dove aveva sentito per l’ultima volta i cosmi di Pegasus e Cristal. Ma venne raggiunto dai fulmini neri scagliati da Flegias e precipitò in una conca interna, inseguito da un turbinar di fiamme e ombra, che si sfaldò al momento di schiantarsi nell’acqua, lasciandolo finalmente libero. Il Cavaliere, tossendo infastidito, sollevò lo sguardo e vide che si trovava in una piccola baia circondata da alte scogliere rocciose e sormontata da una cappa di tenebra. Si mosse per balzare fuori dall’acqua, quando sentì qualcosa afferrarlo per le gambe.

Una presa solida, ben più consistente dell’effimero vorticare del cosmo di Flegias. Una presa che lo trascinò sott’acqua, obbligandolo a trattenere il fiato. Faticò non poco per comprendere cosa stesse accadendo, cosa fosse quella massa nera che si era avvinghiata al suo corpo, stridendo con forza sulla corazza. Per un istante gli parve quasi di vedere la felina sagoma di un animale dagli artigli sguainati, mentre fasci di energia gli ferivano un braccio, spingendolo a reagire drasticamente, colpendo con un calcio violento il suo aggressore. Quindi cercò di tornare a galla, bisognoso di respirare, ma quando mise il viso fuori dall’acqua, ansimando a fatica, notò la sagoma nera spuntare proprio al suo fianco.

"Come la tigre d’acqua trascina le prede sul fondo, per cibarsi dei suoi trofei, altrettanto farò io, il Capitano dell’Ombra che percepisce il dolore delle acque! Iemisch, la Tigre Nera!" –Esclamò questi.