CAPITOLO VENTOTTESIMO: LE VARIE FACCE DELLA VERITA’.
Ermes era rientrato sull’Olimpo dopo un’intera nottata trascorsa a colloquio con Atena, nella Sala delle Udienze del Grande Tempio. Un colloquio che non aveva risolto molto, ma che aveva comunque arrecato piacere al suo cuore pieno di affanni. La malattia di Zeus lo colpiva da vicino, come la morte di tutti i Cavalieri Celesti, ultimo atto di una commedia degli inganni che Flegias aveva iniziato a dirigere mesi addietro, quando era giunto sull’Olimpo mendicando pietà. E Zeus, magnanimo, gliel’aveva concessa, per quanto fosse il figlio del Dio della Guerra.
Fu un errore aprire le porte al Rosso Fuoco! Un errore di cui avevo prontamente avvertito il Sommo Zeus, per quanto nessuno di noi potesse prevederne la portata! Rifletté Ermes, camminando tra le vuote stanze della Reggia Olimpica. Poiché con lui, oltre allo spirito di Crono, è entrata la guerra e la rovina di un mondo intero! Quanti amici abbiam perduto! Quanti compagni abbiam smarrito per strada! Sospirò, ricordando le Divinità massacrate da Flegias e dai figli di Ares. Da Afrodite, proprio nel Tempio dei Mercanti, da lui presieduto, fino alla cacciatrice Artemide.
Un rumore nel salone delle feste attirò la sua attenzione, ed Ermes vi entrò, non troppo sorpreso di trovare Ganimede intento a trafficare con del vasellame.
"Nobile Ermes!" –Gli sorrise il Coppiere degli Dei, senza nascondere la sorpresa. –"Non pensavo sareste rientrato così in fretta! Atene non era di vostro gradimento?"
"Atene è sempre di mio gradimento, Ganimede!" –Rispose cordiale Ermes, a cui la compagnia della Dea della Giustizia e dei suoi Cavalieri faceva sempre piacere. –"È la guerra che invece aborro! Questa guerra in cui siamo immersi, come fango che non riusciamo a toglierci di dosso!" –Aggiunse, sedendo su una seggiola.
"Sono certo che il Sommo Zeus, quando si riprenderà, saprà porre fine a questo stupido conflitto, scaturito dall’infantile ambizione di una semidivinità!" –Commentò Ganimede, versando del liquido in una coppa dorata.
"Infantile, sì! È un modo colorito per descrivere il figlio di Ares!" –Rifletté Ermes. –"Anche se avrei giusto una lista di aggettivi con cui rischierei di essere scurrile!"
"Non trattenetevi con me, Messaggero degli Dei!" –Ironizzò Ganimede, porgendo la coppa d’ambrosia al Dio. –"Prendete, e rilassatevi per un momento! Ci sarà tempo per gli affanni del cuore!"
"Vorrei avere la tua sempiterna calma!" –Rispose Ermes. –"Certe volte mi sembra davvero che non t’importi di niente, a parte la tua gioventù, forse soltanto di Zeus, che te ne ha fatto dono!"
"Non siete poi così lontano dalla verità!" –Commentò Ganimede, mentre il Dio degustava l’odoroso nettare.
Ne bastarono due sorsi tuttavia per stordirlo, e per piegargli la testa di lato, incapace di comprendere cosa stesse accadendo, come mai si sentisse così debole tutto ad un tratto. Fece per rialzarsi, ma scivolò, facendo cadere rumorosamente la coppa d’oro sul pavimento di marmo, crollando ai piedi di Ganimede, che rimase immobile, ad osservarlo con un ghigno di soddisfazione sul volto.
"Volevate sapere di cosa m’importava davvero? Ebbene, di certo non di voi!" –E lo colpì con la mano tesa dietro la nuca, penetrando con violenza dentro di lui, mentre schizzi di sangue macchiarono l’immacolato pavimento.
Ermes ansimò ancora per qualche istante, prima di crollare a terra in una pozza di sangue, mentre il veleno mescolato all’ambrosia paralizzava i suoi nervi, soffocando qualsiasi tentativo di chiedere aiuto.
"Anche perché ormai nessuno più può aiutarti! Gli Dei dell’Olimpo sono tutti morti, e le legioni che un tempo marciavano lungo la Via Principale errano adesso per le valli di Ade! Pochi minuti ancora, pochi attimi, e anche la vita di Zeus si spegnerà, e con essa quella della sua consorte! Niente più potrà fermare l’avvento dell’ombra!" –Rise Ganimede sguaiatamente, senza curarsi che qualcuno potesse udirlo, poiché non vi era più nessuno sull’Olimpo. Escluso Phantom, moribondo sul letto di morte, e Ascanio, intento a combattere con Lamia.
"Ah ah ah! Se qualcuno un giorno mi avesse predetto che avrei regnato sul Monte Sacro, certo gli avrei riso in faccia! E gli avrei spaccato la testa, per avermi recato offesa burlandosi di me!" –Esclamò Ganimede. –"Ma oggi posso ben dire di aver io stesso burlato Zeus e il destino! Fratello, sono arrivato più in alto di te!" –E voltò le spalle al corpo esanime di Ermes, incamminandosi verso l’uscita del salone delle feste, ma dopo pochi passi incrociò lo sguardo inorridito di un ragazzo.
Magrolino, con spettinati capelli biondi e il viso segnato dalle fatiche degli ultimi giorni, Matthew era stato attirato nella sala dal rumore dei cocci, ma era rimasto pietrificato nel vedere Ganimede far fuori con soddisfazione il Dio, che, sebbene non l’avesse mai incontrato, intuì fosse Ermes, dai tipici calzari che indossava.
"Ancora vivo, ragazzino?" –Storse il naso Ganimede, continuando a camminare verso di lui. –"Credevo che Lamia si fosse occupata anche di te!"
Matthew non rispose, dando le spalle al Coppiere degli Dei e scappando via, gettandosi in una folle corsa nei corridoi della Reggia Olimpica, in cerca di qualcuno che potesse aiutarlo. In cerca di qualcuno che potesse salvare Zeus.
"Corri pure quanto vuoi! Tornerai comunque da me!" –Ironizzò Ganimede, uscendo dalla sala a sua volta e inseguendo il ragazzo, con un sorriso divertito sul volto. –"Ho argomenti piuttosto convincenti!" –Aggiunse, prima di sfiorare il pavimento con il palmo della mano destra, avvolta nel suo cosmo rosato, proprio mentre Matthew correva accanto ad una grande vetrata che dava sul giardino interno della Reggia di Zeus, non troppo lontano da dove mesi prima il Dio del Fulmine, aiutato da Atena e da Era, aveva risvegliato gli Ecatonchiri dal sonno leggendario.
Immediatamente le porte a vetro andarono in frantumi mentre ammassi confusi di piante entrarono all’interno, avvolgendo i loro sinuosi filari attorno al corpo di Matthew, che scalciava e si dimenava, gridando aiuto in continuazione.
"Zitto, ragazzino isterico!" –Rise Ganimede, muovendo le piante che si arrotolarono attorno al viso di Matthew, tappandogli la bocca. E solo allora il giovane si rese conto che si trattava di filari di vite. –"Ah ah ah! Che buffo che sei! Sembri un acino d’uva ancora acerbo! Chissà che, spremendoti bene, non esca fuori un bel rosso acceso!"
Matthew si dimenò ancora, cercando di strappar via quel groviglio di piante che non soltanto lo stava facendo soffocare, ma anche lo stordiva, con il suo violento odore. Anche lo feriva, strusciando sulla sua pelle e aprendogli nuove ferite.
"Smettila di agitarti, non vedi che è inutile? Le viti che io controllo sono intrise di un veleno potentissimo, capace di portare gli uomini alla pazzia, vittime di un’ebbrezza che non riescono a dominare!" –Spiegò Ganimede. –"Come potrebbe un ragazzino come te, con la sola forza di quelle gracili braccia, strapparle via? Ah ah ah!"
Matthew non prestò ascolto alle parole di scherno del Coppiere degli Dei, cercando di recuperare il controllo sul suo corpo e sulle proprie emozioni, dopo la sbandata improvvisa dovuta alla sorpresa di vedere proprio Ganimede, che gli si era presentato con affabilità e gentilezza, complottare contro Zeus. E questo gli ricordò quanto fosse volubile l’animo umano, quanto bastasse poco per mutare un angelo in un demone.
Egli lo sapeva bene, poiché la stessa cosa era accaduta al suo maestro, il nobile Cavaliere che aveva iniziato ad addestrarlo nei primi anni ’70, senza riuscire però a terminare la sua opera. Tentato dal lato oscuro, l’uomo che al Grande Tempio veniva considerato reincarnazione di un Dio, tanto onesta e pura era la sua anima, era precipitato in un abisso di perdizione. E Ganimede, in fondo, non era poi così diverso. Forse differente, agli occhi di Matthew, era la motivazione che li aveva portati ad abbracciare l’ombra, ma certo non il gesto in sé.
"Ecco, adesso ti riconosco!" –Esclamò Ganimede, ridendo in maniera quasi delirante. –"Riconosco l’ebbrezza del momento! L’incontenibile gioia di assistere al massacro di un nemico! Pochi altri sono i momenti che invero regalano emozioni! E la morte, la succulenta fine di un corpo divorato dalle viti della passione, è il culmine dell’emozione! È il massimo dell’ebbrezza! Dioniso sarebbe fiero di me!"
Matthew, radunate le forze, iniziò a dimenarsi con foga sempre maggiore, riuscendo piano piano a recuperare il controllo dei propri arti e a raddrizzare la testa, in modo da fissare Ganimede negli occhi. Voleva proprio vedere la sua faccia quando avrebbe liberato il cosmo che celava dentro. Ora! Si disse, lasciando esplodere l’energia e incendiando le viti che lo avevano intrappolato, liberandosi infine e balzando a terra, di fronte allo sguardo stupito di Ganimede, che non era assolutamente a conoscenza del fatto che Matthew fosse un Cavaliere, o un apprendista tale.
"Sorpreso?!" –Ironizzò Matthew, scattando avanti, con il cosmo concentrato sul pugno destro, e liberando decine e decine di colpi luminosi, che sfrecciarono verso Ganimede, obbligandolo a balzare di lato per evitarne alcuni, parando gli altri semplicemente spostando i palmi delle mani.
"Non abbastanza!" –Esclamò il Coppiere degli Dei, stirando le labbra in un sorriso divertito, realizzando che gli attacchi di Matthew non avrebbero potuto recargli danno, essendo lenti e poco numerosi. –"Perché dovrei esserlo? Perché un moccioso che si atteggia a Cavaliere mi si erge davanti?! È lui che dovrei temere?! Io che ho ucciso persino il Signore degli Dei! Ih ih ih! Patetico sarei, se da te venissi sconfitto!"
"Stai attento a ciò che chiedi agli Dei, poiché essi potrebbero esaudirti! Diceva un vecchio detto giapponese!" –Commentò Matthew, ansimando per lo sforzo e approfittando di quel momento per recuperare un po’ di forze.
"Arguto!" –Ironizzò Ganimede. –"Chiedo allora la tua testa, intinta in una coppa d’ambrosia!" –E gli volse il palmo della mano, liberando un’onda di energia rossastra che scaraventò Matthew indietro, schiantandolo contro una parete. –"Yuhuu?! Dei mi ascoltate? C’è qualcuno che mi risponde?! Ah già, dimenticavo… gli Dei sono tutti morti! Ah ah ah!" –Rise istericamente, mentre Matthew si rialzava a fatica, con le ossa che gli dolevano dalle botte ricevute e un rivolo di sangue che scendeva dal labbro inferiore. –"Puoi farmi un favore? Ti prego, accontentami! Vai all’inferno e chiedi a Zeus che risponda alle mie suppliche?! Detesto non essere ascoltato!" –E nel dir questo gli volse nuovamente il palmo contro, ma mentre liberava una nuova onda di energia, un piano verticale si interpose tra i due, liberando un’accecante onda di luce che spinse entrambi indietro, obbligandoli a coprirsi gli occhi. Quando poterono aprirli di nuovo, trovarono un Cavaliere, dall’Armatura dorata e dai lunghi capelli lilla, e una fanciulla, con un grazioso abito bianco, in piedi di fronte a loro.
"A… A…" –Mormorò Matthew, quasi abbagliato dalla divina bellezza della giovane.
"Ganimede! Che sta succedendo?" –Le sentì subito domandare. –"Chi è questo ragazzo con cui stai combattendo?"
"Un invasore dell’Olimpo, Dea Atena! Una spia che il figlio di Ares ha astutamente inserito nelle nostre fila, per causarci danno e dolore!" –Rispose subito Ganimede, assumendo una rigida postura di fronte alla Dea della Giustizia.
"Non è vero! Tu sei la spia! Tu hai avvelenato Zeus, come hai ucciso il Messaggero degli Dei nel Salone delle Feste!" –Strillò Matthew, cercando lo sguardo di conforto di Atena. Ma Ganimede lo fece tacere, travolgendolo con un’onda di energia e sbattendolo nuovamente al muro.
"Taci! Non calpesterai più il sacro suolo dell’Olimpo, sporcandolo di menzogna!"
"Fermati, Ganimede! Aspetta! Dov’è Zeus? E che ne è di Ermes?" –Incalzò Atena, a cui tutta quella situazione appariva confusa.
"Morti!" –Rispose soltanto il Coppiere degli Dei, abbandonandosi a un sospiro. –"Morti!" –Ripeté, prima di volgere lo sguardo rabbioso verso Matthew. –"Ed ecco chi dobbiamo ringraziare!"
"Ringrazia te stesso, traditore!" –Esclamò Matthew, rimettendosi in piedi a fatica. –"Io non sono un servitore di Flegias, ma un apprendista Cavaliere di Atena!"
"Che cosa?!" –Balbettò la Dea, bonariamente presa alla sprovvista.
Mur, intuendo la delicatezza della situazione, si fece avanti, ponendosi di fronte ad Atena, per proteggerla da eventuali attacchi. Senza togliere lo sguardo dal ragazzo, che gli ricordava qualcuno che aveva visto molto tempo prima.
"Dea Atena…" –Mormorò Matthew, cercando di inginocchiarsi di fronte a lei. Ma le gambe gli cedettero, e cadde a terra. –"Perdonatemi! Le forze mi abbandonano! La prigionia nell’Isola delle Ombre ha massacrato il mio fisico! Ma il mio cuore, quello mai, batte ancora per la giustizia!"
"Eri prigioniero sull’Isola delle Ombre? Come hai fatto ad arrivare qua?"
"Il Luogotenente dell’Olimpo! Lui e il Comandante Ascanio mi hanno salvato, e adesso combattono contro una donna al servizio di Flegias nelle Stanze di Asclepio!" –Spiegò Matthew, rialzandosi. –"L’ho vista, io l’ho vista affondare i suoi canini nel braccio del Cavaliere dell’Eridano Celeste! E sono fuggito in cerca di aiuto, quando mi sono imbattuto in un tradimento inaspettato!"
"In te stesso, forse?" –Ironizzò Ganimede, sbuffando irato. Ma Matthew non prestò ascolto alle sue parole, continuando a volgere lo sguardo, e il cuore, verso Atena.
"Ho fatto i miei errori, in passato! Ho abbandonato anche l’addestramento, dopo la scomparsa del mio maestro! Ma mai ho smesso di credere nella giustizia Atena, e in voi! Il mio nome è Matthew, e sono l’allievo del Cavaliere di Gemini! L’allievo che Saga non riuscì mai a investire del titolo!" –Si presentò il ragazzo, e allora Mur lo riconobbe, ricordando le poche settimane trascorse al Grande Tempio, i giorni dell’investitura dei Cavalieri d’Oro, nell’estate del 1973.
"Matthew…" –Mormorò Atena, sentendo che il cosmo del ragazzo traboccava di purezza e di verità. Ma anche di tanto dolore. Sospirò, pensando a quali torture avesse subito sull’isola maledetta, prima di voltarsi verso Ganimede e chiedergli spiegazioni. –"C’è qualcosa che non riesco a comprendere! Ma voglio vedere Zeus con i miei occhi!"
"Conoscete la strada, Atena!" –Rispose stizzito Ganimede. –"Ma non lamentatevi se lo spettacolo non sarà di vostro gradimento! Io vi ho avvisato!"
"Questo tono non ti si addice, Coppiere degli Dei! Questo non sei tu, ma una brutta copia del ragazzo che mi salvò la vita mesi addietro, durante lo scontro con Tifone!" –Esclamò Atena, iniziando a muoversi, diretta verso le Stanze di Zeus.
Ganimede allora le sfrecciò davanti, con il palmo sfolgorante di energia cosmica, ma Mur prontamente erse un muro difensivo con il quale rinviò indietro l’attacco nemico, scaraventando il Coppiere degli Dei contro una parete laterale.
"Andate, Atena! Lo terrò impegnato io! Scoprite cos’è accaduto a Zeus!" –Affermò.
"Ti dirò io cos’è accaduto!" –Esclamò Ganimede, rialzandosi ed espandendo il cosmo. –"La verità ha molte facce, e adesso te ne mostrerò una! La più folle di tutte!"
In quel momento una violenta esplosione cosmica distrasse i presenti, mentre la terra tremava sotto di loro. Mur si voltò di scatto verso destra, osservando una colonna di fumo sorgere poco distante, in linea con il Tempio della Medicina. Sospirò, riconoscendo i cosmi di Phantom e di Ascanio.
Il Luogotenente dell’Olimpo aveva infatti chiesto al Comandante dell’Ultima Legione di non combattere più contro Lamia, il Capitano dell’Ombra preposto a rubare i sogni, nel tentativo di ritrovare la perduta parte di lei che un tempo era nata dal grembo di sua madre. Teria, la sorella che sempre lo aveva odiato.
"I miei sentimenti per te, Nikolaos, non sono affatto cambiati!" –Esclamò Lamia, con voce piena di disprezzo. –"E proprio per l’odio che covo da anni, verso il fratello che mi adombrò agli occhi dei miei genitori, ho scelto te come prima vittima! Ho scelto te come agnello da offrire in sacrificio al Maestro di Ombre!"
"Calmati, Teria! E ascoltami!" –Disse Phantom, avanzando di un passo verso di lei. Ma Lamia, nell’udire quel nome, si avventò inviperita sul Cavaliere, con il cosmo acceso, sbattendolo a terra e colpendolo con una rapida successione di pugni.
"Umpf!" –Esclamò allora una terza voce, mentre Lamia veniva sollevata con la sola forza del pensiero e scaraventata contro quel che restava della vetrata esterna, precipitando nel fango del giardino. Quando si rialzò, con numerose ferite aperte sul corpo, riempite da schegge di vetro, incrociò lo sguardo ostile di Ascanio Pendragon, il Comandante della Legione Nascosta, e servitore di Avalon.
"Di che t’impicci, figlio dell’Isola Sacra?" –Gli ringhiò contro, mostrandogli i denti gialli e putrefatti dall’odio.
Ascanio non rispose, avvicinandosi a Phantom, che a fatica stava cercando di rialzarsi. Allungò una mano e lo tirò su, di fronte agli occhi fiammeggianti di rancore di Lamia. Quel gesto, quel piccolo gesto, gliene portò alla mente un altro, di molti anni addietro. Quando suo padre Deucalione aveva aiutato Nikolaos a rimettersi in piedi, dopo che era caduto da cavallo. Un gesto che a lei nessuno aveva mai offerto.
"Maledettooo!!!" –Gridò, balzando su di loro, avvolta nel suo cosmo color verde acqua. Ma ad Ascanio bastò sollevare lo sguardo verso di lei, per spingerla indietro e scaraventarla all’esterno, osservandola ruzzolare sul prato per parecchi metri. Con un certo grado di soddisfazione.
"Tuo fratello è troppo buono con te!" –Esclamò infine, incamminandosi fuori dal Tempio della Medicina, per non macchiare ulteriormente le sacre stanze di un Dio che aveva sempre fatto il possibile per curare i suoi feriti. –"Per la colpa di cui ti sei macchiata, violentando i tuoi legami familiari, io ti condannerei seduta stante! Ma se c’è una cosa che ho capito di Phantom, in questi mesi trascorsi assieme, è che non lascerebbe mai un amico affogare da solo! Figuriamoci un nemico!" –Ironizzò, voltandosi ed osservando il Luogotenente dell’Olimpo uscire a sua volta dalle stanze di Asclepio, camminando con difficoltà.
"Teria, ascoltami! Sei ancora in tempo! Liberati dall’ombra che porti nel cuore! Liberati da quest’odio che ti ha consumato! Puoi ancora essere felice!" –Disse Phantom, con voce gentile. –"Possiamo ancora essere felici!"
"Possiamo?!" –Ringhiò Lamia.
"Sì! Tu, io e i nostri genitori!" –Rispose Phantom. –"Non crederai che ti abbiano dimenticato? Tutt’altro! Non è passato giorno, in questi anni, in cui non si siano chiesti cosa avessero sbagliato con te, e come potessero rimediare, in nome di un amore che non hai mai permesso loro di dimostrare!"
"Un amore che non esiste, Nikolaos! Lo sappiamo entrambi! Non mi hanno mai voluto! Non volevano neppure che nascessi!!!!" –Gridò Lamia.
"È vero! Non eri prevista!" –Ammise Phantom, sospirando. –"Ma questo non significa che non ti abbiano accettata, né che abbiano rimpianto, anche solo una volta, quella scelta! E tu lo sai! Sono certo che lo sai! Perché l’hai letto nei miei ricordi!"
"Che cosa?!" –Strillò Lamia.
"Sì! Quei ricordi che mi hai strappato dal cuore contengono tracce dell’affetto che i nostri genitori ed io abbiamo provato per te, del dolore che ci ha invaso quando te ne sei andata e della speranza di poterti rivedere un giorno! Che tu voglia leggerli o no!"
"Menzogne!!! Tardive e inopportune! Speri di coprire così il male che mi hai fatto confinandomi nell’ombra della solitudine?" –Ringhiò Lamia, bruciando il cosmo e generando migliaia di falene energetiche che diresse contro Phantom. –"Credevo che al servizio di Zeus vi fossero uomini onesti, non vili bugiardi incapaci di ammettere le proprie manchevolezze!!! Sinfonia delle Favole!!! Risuona!!!"
"Se non vi è altro modo…" –Sospirò Phantom, espandendo il cosmo a sua volta e avvolgendosi in una cascata di energia acquatica, che vorticò attorno a sé impedendo alle falene di raggiungerlo e travolgendole ogni volta in cui si immergevano in essa. –"Gorgo dell’Eridano!!!" –Gridò infine, radunando le fresche acque del fiume di stelle in un mulinello di energia e scagliandolo contro Lamia, che venne travolta e spinta indietro.
Per quanto l’attacco non fosse nel pieno della potenza, Phantom, stanco e indebolito, dovette appoggiare un piede a terra, ansimando a fatica, mentre Ascanio si avvicinava per porgergli aiuto. Ma il Luogotenente lo fermò, sollevando lo sguardo verso di lui.
"Questa battaglia non ti appartiene!" –Gli sorrise, sforzandosi di rimettersi in piedi. –"Aspettavo da tempo di poterla risolvere! Anche se, temo, avrò bisogno di te… prima della fine!"
Lamia si rialzò in quel momento, bruciando il cosmo come mai aveva fatto prima, invadendo con le sue falene energetiche l’intero giardino dietro al Tempio della Medicina. Immediatamente, sopra di lei apparve un’immensa falena nera, le cui ali parevano aprirsi sull’Olimpo, in modo da cingerlo in un inquietante abbraccio. Lamia sorrise, lasciando che il suo cosmo entrasse in sincronia con la prima corazza dei Capitani dell’Ombra che Athanor aveva forgiato, che subito si scompose in vari pezzi, aderendo al corpo della donna e donandole nuove energie.
"Sei proprio decisa a tutto, a quanto pare!" –Commentò Phantom, con malinconia.
"L’hai detto!" –Rispose lei. –"Sarebbe sciocco fermarsi adesso, ad un passo dalla conquista dell’Olimpo!"
"Credi di essere grande, di sentirti un Dio, di sentirti finalmente superiore a me, come hai sempre voluto! Ma sei ben lontana dalla verità!" –Sospirò Phantom. –"Flegias ha soltanto usato i tuoi sentimenti di rivalsa, volgendoli contro di me, come ha sempre distrutto ogni cosa bella che ha incontrato nel cammino, piegandola ai suoi fini! Ha ottenebrato la luce del tuo cuore, quel che restava dell’affetto che hai sempre desiderato provare per la tua famiglia!"
"Vuote parole le tue, fratello! Quell’affetto non è mai esistito!" –Ridacchiò Lamia, ma Phantom non mutò il tono delle sue argomentazioni.
"Adesso sei tu a mentire a te stessa!" –Sentenziò, fissandola con determinazione. –"Hai dimenticato la gita al fiume?"
"La gita al fiume?!" –Borbottò Lamia, esitando un momento. Ci rifletté su e bastarono quelle poche parole per riportarle alla mente un ricordo che aveva obliato, sotterrandolo sotto strati di rancore. Una domenica di settembre Elena aveva avuto la splendida idea di organizzare una gita con il marito e i figli lungo il fiume, preparando deliziosi manicaretti, aiutata proprio da Teria, desiderosa di partecipare all’armonia familiare e ottenere uno spicchio dell’affetto che i suoi destinavano solitamente a Nikolaos.
Durante la giornata, per un banale incidente, la bambina era scivolata nel fiume, dove la corrente era più forte, e Nikolaos si era subito tuffato per inseguirla. A fatica l’aveva salvata, trascinandola via dalla furia del fiume, e con l’aiuto di Deucalione i due erano stati tratti a riva. Che sollievo aveva provato Elena in quel momento! Li aveva abbracciati entrambi, i figli che amava, soprattutto Teria, piangendo dalla paura che aveva provato al pensiero di perderla. Le sue lacrime avevano inondato il volto della bambina che si era sentita per la prima volta felice. Per la prima volta parte di qualcosa di più grande dell’odio che covava dentro.
"Quel qualcosa era l’amore per la tua famiglia, che tanto hai provato, credendo di non disporne mai, quando invece ne eri immersa! Avresti soltanto dovuto goderne!"
Ma Lamia non prestò ascolto alle parole del fratello, infervorandosi ancora di più. Balzò in alto, spalancando le ali della corazza e piombò con il tacco teso su Phantom, avvolta nel suo cosmo verde. Lo colpì in pieno volto, sbattendolo a terra e iniziando una violenta colluttazione, di fronte agli occhi incerti di Ascanio, che faceva fatica a trattenersi dall’intervenire, nonostante l’amico fosse stato perentorio al riguardo.
"Gorgo…" –Esclamò Phantom, radunando il cosmo, ma nel muovere il braccio una fitta gli mozzò il movimento a metà, mentre sangue ricominciava a schizzar fuori dalla ferita che Lamia gli aveva provocato sul letto. A tal vista, la ragazza vi si avventò, immobilizzando il fratello e avvolgendolo con le falene di luce, mentre la sinfonia di favole nuovamente le permetteva di scavare nel suo passato. In tutti quei ricordi di cui Teria era sempre stata invidiosa e che adesso avrebbe potuto cancellare.
"La tua vita, Nikolaos, sta per svanire… con tutta la serenità di cui hai goduto…" –Mormorò la ragazza, determinata a privare il fratello di tutti i suoi sogni e ricordi.
"Phantom!!!" –Gridò Ascanio, avvicinandosi. Ma il Luogotenente, disteso a terra, si voltò un’ultima volta verso di lui, e ad Ascanio parve quasi di vederlo sorridere. Fece per muoversi, per fare qualsiasi cosa, credendo che il compagno fosse impazzito, quando vide Lamia sollevarsi di scatto, strillando dal dolore, e portarsi le mani alla testa, scuotendola confusamente.
"Non… non è possibileee!!!" –Gridò la donna, agitandosi, mentre le immagini che aveva rubato dall’animo di Phantom ancora turbinavano dentro di lei, senza darle pace. Immagini che erano ben lontane dall’essere ciò che lei aveva creduto di trovare.
Vide il dolore che sua madre aveva provato nel partorirla e la determinazione che aveva mostrato nel voler andare avanti, nel voler mettere alla luce suo figlio, anche se le fosse costata la vita. Vide Phantom ridere di gioia, quando per la prima volta aveva preso in braccio il corpicino di Teria, scherzando sui giochi con cui si sarebbero divertiti insieme. Poi lo vide lottare contro la corrente del fiume, per salvare la sorella che l’aveva sempre odiato. E infine lo vide partire per l’addestramento, tornare con l’Armatura Celeste e apprendere, con sommo sgomento, della fuga di Teria.
"Non ci siamo mai conosciuti realmente!" –Aveva detto quella notte a Deucalione, sotto il portico della casa di famiglia. –"Quanto rimpiango la sua scomparsa!"
E adesso tutto quell’amore, con la triste consapevolezza di non essere mai riusciti a dimostrarlo, era dentro Teria. Era dentro Lamia.
"Aaargh!!!" –Gridò il Capitano dell’Ombra, che non riusciva a credere a ciò che aveva visto, a ciò che adesso sentiva nel suo animo, in quel serbatoio dove radunava i ricordi di tutte le vittime. Ma l’odio, il rancore, l’ombra che Flegias aveva sfruttato per farne sua schiava, erano così radicati in lei, da vincere persino sulla verità. Da offuscare persino l’affetto che aveva sempre desiderato. –"Io… è troppo tardi ormai… è tardi per tutto… soprattutto per amare! Muori, Nikolaos!!!" –Ringhiò Lamia, in lacrime, calando una mano carica di cosmo sul viso del fratello.
"E sia… Sorgenti dell’Eridano, liberate il fiume di stelle!!!" –Mormorò questi, mentre molteplici getti di energia acquatica sorgevano dal suo corpo, sollevando Lamia e scagliandola in alto, trapassando da parte a parte e schiantandola poco distante, tra i frammenti dell’Armatura Nera.
Quando il Capitano dell’Ombra si rimise in piedi, ansimando a fatica, con l’elmo spaccato e il sangue che le colava sul viso, trovò Phantom già in piedi di fronte a lei, con lo sguardo inespressivo, che nascondeva un’infinita tristezza. Poiché, comunque sarebbe terminato lo scontro, sapeva di aver perso, di non essere riuscito a ritrovare colei che a lungo aveva cercato.
"È andata così…" –Commentò Lamia, con un nodo in gola, prima di espandere al massimo il suo cosmo e circondarsi da sciami di falene energetiche.
"Non hai altro da dirmi?" –Rispose Phantom, laconico, preparando le sue difese.
"No!" –Disse soltanto Lamia, mentendo. Calò lo sguardo e liberò l’ultimo assalto delle falene di energia, mentre il suo cuore veniva spezzato dai ricordi di Phantom, dai ricordi che il Luogotenente aveva deliberatamente lasciato che lei vedesse, che lei vivesse attraverso i suoi occhi.
Avrebbe voluto dirgli molte cose, probabilmente che aveva capito, e che avevano sbagliato tutto. Ma la disperazione della scoperta, mescolata all’ombra germogliata dentro di lei negli anni in cui aveva servito Flegias, le tolse il fiato, lasciandola in lacrime ad osservare le falene ricoprire il corpo del Luogotenente dell’Olimpo. Il corpo di suo fratello Nikolaos.
Improvvisamente un’esplosione di energia avvampò dietro di lui e Lamia vide due draghi di luce, uno rosso e l’altro bianco, passare accanto al fratello e spazzar via le falene, puntando infine su di lei. Per primo la raggiunse il drago rosso, che frantumò la corazza nera, schiantando il suo fragile corpo in più punti, lasciando schizzare fiotti di sangue ovunque. Poi il drago bianco spazzò via quel che restava dei suoi pensieri, della sua disperazione, lasciando che finalmente la sua anima trovasse pace.
"Ci sarà… un’altra vita… per noi…" –Mormorò Lamia, con quel che restava del suo cosmo, prima di crollare a terra e spegnersi.
Phantom la osservò un’ultima volta, abbandonandosi ad un sospiro e gettando via la speranza che aveva provato all’inizio di quello scontro. La speranza che forse avrebbe potuto salvarla. Si voltò verso Ascanio, ancora con le braccia tese, avvolte nel suo cosmo incandescente, e gli sorrise.
"Grazie! Io non avrei mai potuto farlo…" –Commentò. –"Non avrei mai saputo cosa dire ai nostri genitori!"