CAPITOLO DICIASSETTESIMO: LA CACCIA.
Nel cortile più esterno di Angkor Wat, di fronte al gopura con tre torri in rovina, un tempo la grande entrata occidentale dell’immenso tempio, si stava consumando un violento scontro tra il Cavaliere di Andromeda, coadiuvato dai tre discepoli superstiti di Virgo, e Iemisch, la Tigre d’Acqua, e altri cinque Cavalieri neri al servizio di Flegias. Anche se soltanto quattro per il momento erano scesi in campo.
Sakis del Quadrante Oscuro aveva infatti preferito distanziarsi per osservare lo scontro, pronto a intervenire, in caso di necessità, in aiuto del Capitano dell’Ombra. E pronto anche a ricordargli che da solo sarebbe andato poco lontano. Per quanto tutti loro, Capitani e semplici soldati, amassero emergere, per ingraziarsi le glorie del Maestro di Ombre, Sakis aveva capito, ben prima di Iemisch e di molti altri, che i Cavalieri di Atena potevano essere vinti solo con la loro stessa formula: rimanendo uniti. E mirando a separarli, a spezzare il legame che li univa, mettendoli uno contro l’altro. Per questo Flegias aveva ordinato a Menas di diffondere le rose di rabbia in Grecia, a Nuova Luxor e ai Cinque Picchi, tenendo fede alla locuzione latina "divide et impera", già messa in atto da suo padre, pur senza troppo successo.
"Cosa gli fa credere di poter riuscire dove persino Ares ha fallito?!" –Si domandò Sakis, continuando a seguire gli scontri in atto. –"Flegias parla da anni di mistici talismani in grado di garantire l’avvento della grande ombra, ma ad oggi non è riuscito a mettere le mani su neanche uno di essi! Mi chiedo se esistano davvero o non siano invece un trucco messo in atto da Avalon millenni addietro per confondere le idee, per sviare i nemici come specchietti per allodole! E dire che Flegias dovrebbe conoscere Avalon molto bene…"
Le sue riflessioni furono interrotte dal grido di dolore di Stelios, uno dei due Capretti Oscuri, stritolato in un ventaglio di luce dorata da parte di Dhaval il Puro e scaraventato indietro, tra i frammenti della sua corazza insanguinata. E lasciato moribondo a spirare sotto la luna del Siam.
"Te la cavi bene, per essere un vecchio!" –Ironizzò Stratis, l’altro Cavaliere dei Capretti Oscuri, abbassando la testa e caricando con le corna del suo elmo.
"Non lasciarti ingannare dalle apparenze!" –Commentò Dhaval, fermando l’avanzata di Stratis, afferrando le corna con le sue braccia. Per quanto Stratis continuasse a scalciare, infiammando l’erba con il suo cosmo oscuro, Dhaval riusciva a esercitare sufficiente pressione sulle corna senza essere spinto indietro. –"Posso sembrare anziano a causa del mio trasandato aspetto! Del resto mi sono dedicato più ad aiutare il prossimo che non a curare il mio corpo!" –Ammise Dhaval, quasi stesse parlando con se stesso. –"Ma ho soltanto ventisette anni! E anche se temo che la mia vita giungerà presto al termine, il mio cuore batte ancora come quello di un bambino! E come un bambino continuo ad avere i miei sogni!" –Aggiunse, sollevando Stratis a testa in giù, reggendolo per le corna dell’elmo, e scaraventandolo molti metri addietro, fino a farlo ruzzolare sul terreno. –"E non sarai tu, patetico surrogato di un’ombra, a farmi desistere da essi!"
"Lo vedremo!" –Esclamò Stratis, rimettendosi in piedi ed espandendo il suo cosmo.
"Non vedremo niente invece!" –Commentò Dhaval, socchiudendo gli occhi e sedendosi sull’erba, con le gambe incrociate e le mani giunte in segno di preghiera.
"Prega, sì! Prega vecchio! Nient’altro ti resta!" –Gridò Stratis, correndo verso di lui, con il pugno carico di energia cosmica. Ma non riuscì neanche ad avvicinarsi che venne investito in pieno da un abbraccio di cosmo, che si aprì dalle mani di Dhaval rischiarando la fredda notte asiatica. –"Aaaah!!! Sto… Mi sto… disintegrando!!!" –Strillò Stratis, osservando il suo corpo distruggersi e venire assorbito dal ventaglio di luce. Pochi attimi dopo e anche del secondo Capretto Oscuro non era rimasto niente.
Dhaval sospirò, asciugando il sudore sulla fronte con una manica della tunica arancio, prima di rimettersi in piedi, indebolito dal susseguirsi di scontri. Tirò un’occhiata verso Tirtha e Pavit, ancora intenti ad affrontare il Gatto Nero e il Fiume Tigri, e verso Andromeda. E capì che da soli non ce l’avrebbero fatta. Capì che per quanto deplorasse quella possibilità, doveva volgere i suoi poteri alla guerra, come aveva fatto quel pomeriggio per la prima volta. Venendo meno a tutti i principi di pace e di generosità su cui aveva basato la sua vita.
"Non fare mai agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te!" –Aveva ripetuto per anni. –"Anche a costo di subirlo tu stesso!" –Ma adesso, con l’ombra così vicina al tempio di Angkor Wat, con le forze che vacillavano, anch’egli era stato costretto a fare una scelta. Proprio come Andromeda prima di lui. Sorrise, capendo infine le parole del Cavaliere di Atena e lanciandosi in una folle corsa nelle gallerie interne.
Sakis se ne accorse subito, intuendo le intenzioni dell’uomo, e scomparve in un quadrante dimensionale, apparendo proprio di fronte a Dhaval, intento a correre lungo la galleria occidentale. Lo sorprese, spingendolo a terra e ponendosi davanti a lui.
"La tua corsa termina qua, vecchio indiano!" –Commentò Sakis, il volto rischiarato dalla luce della luna che fi
ltrava dalle colonne e illuminava i bassorilievi del Ramayana e del Mahābhārata, due grandi poemi epici della mitologia induista. –“Ammira le gesta dei tuoi padri! Presto sarai con loro! Eh eh eh!"
"Chissà, straniero, potresti essere tu a rivedere i compagni già caduti!" –Affermò Dhaval, senza tradire alcun timore. E nel dir questo iniziò a concentrare il cosmo tra le mani, socchiudendo gli occhi. Ma la voce di Sakis disturbò la sua meditazione.
"Quadrante oscuro, ingoia il tuo nemico!" –Esclamò, disegnando nell’aria un quadrato di energia con l’indice destro, che aumentò di estensione, giungendo a inglobare Dhaval al suo interno, risucchiandolo come fosse un piccolo buco nero.
"Che cosa succede? Cos’è questa forza di attrazione… che mi trascina via?!!" –Gridò Dhaval, venendo assorbito dal quadrante di energia di Sakis, il quale, soddisfatto per il nuovo successo, richiuse la distorsione dimensionale, facendo per muoversi verso il sacrario centrale. Non riuscì però ad arrivare neppure alla fine della galleria occidentale che una voce lo riscosse improvvisa.
"Credi che il nostro scontro sia già concluso?!" –Domandò Dhaval, riapparendo al centro della galleria, avvolto da una leggera polvere di stelle.
"Che cosa?! Come puoi essere tornato?!" –Sgranò gli occhi Sakis, per la prima volta stupito. –"Il Quadrante Oscuro attinge ogni volta in cui lo apro a migliaia di dimensioni casuali, a infinite possibilità che neanche un Dio potrebbe enumerare! Come sei potuto tornare esattamente in questa? È impossibile ritrovare la via, una volta che il portale è stato richiuso!!!"
"Impossibile per un uomo, ma non per chi ha ricevuto un addestramento completo dal miglior maestro che avesse mai potuto avere!" –Commentò Dhaval. –"Noi discepoli di Virgo siamo abituati a non perdere la calma, persino nelle situazioni più drammatiche, e tale tranquillità interiore mi è stata utile per concentrarmi e ritrovare la via, attratto dall’energia mistica di questo luogo, che molto bene conosco! E forse da una nuova, che mi è sembrato mi chiamasse!" –Mormorò infine, quasi a se stesso.
"Avresti fatto meglio a restare in un’altra dimensione, vecchio indiano! Sarebbe stata una fine migliore! Adesso che mi hai fatto arrabbiare, sarò costretto a metter via il Sakis buono e misericordioso, che compiange i compagni orfani di un tempo, e a sfoderare il mio lato guerriero, quello sadico e senza pietà!" –Gridò Sakis, generando un’onda di energia nera con cui tentò di travolgere Dhaval, il quale, in tutta risposta, creò una cupola di luce dorata con cui difendersi. Resistette pochi secondi, quanto gli bastò per concentrare il cosmo tra le mani e rilasciarlo sotto forma di un ventaglio di energia.
"Abbandono dell’Oriente!!!" –Tuonò, dirigendo l’assalto contro Sakis. Ma questi aveva già ricreato il suo quadrilatero di energia, disponendolo come scudo di fronte a sé. Il portale spaziotemporale questa volta non si limitò ad ingoiare l’energia cosmica di Dhaval, quasi fosse un imbuto, ma la rilasciò dal lato opposto, offrendola a Sakis, il quale ne attinse a piene mani, cibandosi avidamente delle forze del suo nemico. Quindi concentrò il cosmo sulle mani, illuminando l’indice di luce argentea, e fece per sfiorare la superficie del quadrante oscuro.
A quella visione Dhaval scomparve, credendo che Sakis volesse risucchiarlo di nuovo, e riapparve alla spalle del Cavaliere nero, per travolgerlo con il suo ventaglio di luce. Ma ebbe un’amara sorpresa, realizzando di non riuscire più a muoversi.
"Che… succede?!" –Balbettò Dhaval, incapace di muovere ogni muscolo, anche il più piccolo, fermo e immobilizzato in una posa innaturale.
"Sigilli dell’Impero!" –Commentò Sakis, voltandosi e ponendosi di fronte alla direzione del suo sguardo, di modo che Dhaval potesse vedere il suo volto distendersi in un sorriso beffardo, mentre mostrava un simbolo disegnato in aria con l’indice. Un simbolo che brillava di una tenue luce argentea. –"Ho fermato i tuoi movimenti, paralizzando il senso del tatto! Non durerà a lungo, vecchio santone, ma sarà sufficiente per impedirti di provocare altri danni!"
"Ungh!!!" –Dhaval espanse il proprio cosmo, cercando di liberarsi da quella morsa. Ma per quanto i suoi poteri mentali fossero ben allenati, dovette ammettere che non vi era via d’uscita. Il suo senso del tatto non gli rispondeva più.
"Non affannarti! I Sigilli dell’Impero, una volta disegnati, bloccano il senso per cui sono stati invocati! Non durano in eterno, purtroppo, ma questo problema nel tuo caso non si pone! Vedi il simbolo di luce argentea che risplende al tuo fianco? Quando svanirà sarai di nuovo libero di muoverti! Peccato che non potrai vederlo, poiché in quel momento sarai già morto!" –Sogghignò Sakis, mostrando a Dhaval l’indice e il medio della mano destra, uniti tra loro da un sottile filamento di cosmo.
Non aggiunse altro e li conficcò nell’occhio destro di Dhaval, e poi nel sinistro, strappandogli grida disumane. Quindi cavò fuori gli occhi dell’uomo, scoppiando a ridere, e si incamminò verso l’uscita del tempio, portandoli con sé e lasciando Dhaval, con il volto grondante di sangue, paralizzato sotto i bassorilievi dei suoi avi.
Tirtha, la Pellegrina, nel frattempo era ancora alle prese con Timos del Gatto Nero, un Cavaliere che, alla ragazza, sembrava più una bestia che un uomo, tanto agile e felino era nei movimenti. Un tipo di poche parole, che preferiva l’azione al pensiero, con cui difficilmente si sarebbe potuto ragionare. L’unica cosa che sapeva di lui era che fosse stato allievo di Iemisch, da cui aveva appreso le tecniche di caccia e il piacere di muoversi come un predatore.
"Artigli del Gatto Nero!" –Sibilò Timos, balzando nuovamente avanti e scagliando rapidi fendenti di energia oscura contro Tirtha, obbligata a muoversi in ogni direzione, per non lasciarsi trafiggere. Non erano eccessivamente potenti, ma erano tanti ed erano precisi, e Tirtha non poté evitare di essere raggiunta in varie parti del corpo, osservando la veste incendiarsi al contatto con quell’energia incandescente e ferite comparire sul suo corpo. –"Quanto sangue!" –Commentò Timos, leccandosi le labbra. –"Farò in modo che non vada sprecato, donna! Il tuo sangue sarà il latte di cui mi sazierò stanotte!!!" –Ridacchiò, prima di caricare nuovamente.
"Kaan!!!" –Gridò Tirtha, fermando l’avanzata del Gatto Nero con una cupola di energia, su cui Timos si schiantò in malo modo. Ma anche Tirtha venne spinta indietro, non padroneggiando completamente tale tecnica, come Dhaval le aveva più volte rimproverato.
"Se non ha solide fondamenta, anche il castello più grande e minaccioso può essere spazzato via da una folata di vento!" –Amava ripeterle durante le loro sedute di allenamento. –"Mantieni i piedi saldi nel terreno o anche tu sarai travolta dalla tempesta!"
"Temo di non aver ancora appreso la lezione!" –Sorrise Tirtha, rimettendosi in piedi e tastandosi un fianco indolenzito. –"Forse sarà questa l’occasione per migliorarmi!"
"O per morire!" –Esclamò Timos, sfoderando i suoi artigli di energia cosmica e sfrecciando verso Tirtha, la quale, per la prima volta, decise di non rimanere in difesa bensì contrattaccò direttamente, lanciandosi contro il Gatto Nero. Si scontrarono a mezz’aria, e lui riuscì ad affondare i suoi artigli nel fianco già ferito di Tirtha, mozzandole un grido di dolore, prima che lei lo travolgesse da vicino con un’abbagliante esplosione di luce, scaraventandolo molti metri addietro.
Tirtha ricadde al suolo, accasciandosi sul fianco ferito, mentre una macchia di sangue si allargava sul manto erboso di Angkor. Pavit, il Devoto, poco distante, intento a fronteggiare Dario del Fiume Tigri, se ne accorse e fece per correre da lei, per aiutarla, ma il Cavaliere nero non glielo permise, travolgendolo con impetuose onde di nera energia acquatica.
"Dove fuggi, Cavaliere? Ad aiutare la tua bella?!" –Esclamò Dario, avvolgendosi nel suo cosmo, dal colore blu notte. –"Non darti troppa pena, vi ritroverete certamente al di là del Lete e allora potrete stare uniti per l’eternità!"
"Togliti dalla mia strada, Cavaliere nero! Mi preme molto più salvare un’amica che non guerreggiare con te!" –Rispose il ragazzo dai capelli fulvi.
"Quale affronto! Nessuno ha mai rifiutato un duello con Dario il Grande, il Re dei Re! Vuoi forse tu essere il primo ad incorrere nella mia ira?" –Esclamò Dario, generando immense onde di energia acquatica, simili allo scrosciare di un fiume in piena. –"Fiumana del Tigri!!!" –Gridò, riversandole contro Pavit, che non riuscì a difendersi e venne spinto indietro, fino a schiantarsi contro un muro del tempio e a crollare a terra, in mezzo a mucchi di pietra e di fango. Il fango della sua vita. –"Il regime del Tigri è sempre stato soggetto a forte variazioni stagionali, creando le condizioni per piene catastrofiche! Come quella che ho appena riversato su di te!" –Esclamò Dario, avvicinandosi al corpo stanco di Pavit.
"Sentiti fortunato ragazzo! Millenni di storia sono piovuti su di te! Fin dai tempi più antichi la Mesopotamia è stata infatti culla di civiltà, spettatrice di nascite e di crolli imprevisti!" –Affermò il Cavaliere nero, afferrando Pavit per la tunica e sollevandolo di peso. –"Adesso tu sopporterai il peso della storia sulla tua fragile schiena! Sii uomo, come lo furono i miei guerrieri a Maratona! E muori! Fiumana del Tigri!!!" –Gridò, sollevando Pavit con una piena impetuosa di acque oscure e scagliandolo in cielo, travolto da una forza oscura e naturale.
"Pavit!!!" –Urlò Tirtha spaventata, cercando di rimettersi in piedi. Sia pur a fatica.
"Non temere! Adesso lo raggiungerai!" –Esclamò Dario, incamminandosi verso il corpo agonizzante di Tirtha.
Pavit, sollevato in cielo dall’impetuosa fiumana del Tigri, sballottato come un naufrago in mezzo alla tempesta, sentì le forze venire meno e per un attimo provò la sensazione di lasciarsi andare. Di lasciarsi travolgere da quell’oscura marea e trovare finalmente pace. Fu la voce di Tirtha a risvegliarlo da quel torpore. La voce della ragazza al cui fianco era cresciuto ed era diventato uomo. Anche se tra loro vi erano tre anni di differenza, Tirtha non aveva mai osteggiato superiorità alcuna verso Pavit, mostrandogli sempre affetto, quasi fosse una sorella maggiore. E Pavit, in cuor suo, l’aveva sempre ammirata, ascoltando i suoi consigli, molto più di quelli di Dhaval, che pure era più saggio e illuminato di loro. Forse perché, in fondo al cuore, Pavit non aveva mai rinunciato all’infantile, ma romantica, idea di vivere un futuro insieme a lei. Un futuro che in quel momento avrebbe potuto sfuggirgli via.
"Tirthaaa!!!" –Gridò Pavit, espandendo al massimo il proprio cosmo e avvolgendosi in esso, in modo da impedire alla fiumana del Tigri di colpirlo ancora. Con forza, cercò di rimettersi in piedi e respingere quel tumultuoso flusso.
"Ma… è incredibile!!!" –Balbettò Dario, osservando la scena dal basso. –"Nessun uomo può fare ciò! Nessuno può separare l’acqua!"
"Non un uomo! Ma un Cavaliere sì!" –Sorrise Tirtha, con le lacrime agli occhi per il risultato conseguito dall’amico. –"Anche se non abbiamo mai ricevuto un’Armatura né alcuna investitura ufficiale, i nostri poteri sono pari a quelli dei Cavalieri di Atena della media casta! E Pavit ha pienamente dimostrato di esserne degno!"
In quel momento Pavit, ancora sospeso in aria, con le braccia aperte di lato, intento a separare le correnti d’acqua oscura con il suo cosmo, abbassò di colpo gli arti verso il basso, rimandando indietro l’attacco ricevuto. Con orrore, Dario vide un’immensa massa d’energia acquatica piombare su di sé e schiacciarlo al suolo, incrinando parti della sua corazza e mettendo fine alle sue certezze di una rapida vittoria.
Pavit precipitò a terra poco dopo, frenando l’impatto con i suoi poteri di telecinesi, ma non riuscendo comunque a evitare di slogarsi la spalla destra. Tirtha si trascinò fino al corpo dell’amico, afferrandogli una mano e abbandonandosi ad un sorriso. Ma la risatina di Dario distrasse entrambi, obbligandoli a sollevare lo sguardo verso il Cavaliere del Tigri, che si era appena rimesso in piedi, con crepe sulla corazza e un coprispalla completamente distrutto. Dall’altro lato del cortile anche Timos del Gatto Nero riusciva finalmente a sollevarsi e bastò un breve sguardo con l’altro allievo di Iemisch per trovare una taciturna intesa.
Timos si mise a quattro zampe, iniziando una rapida corsa verso i due discepoli, avvolto nel suo cosmo oscuro, mentre Dario, sull’altro fronte, generava tumultuosi marosi di energia acquatica. La Fiumana del Tigri e gli artigli del Gatto Nero si abbatterono insieme contro una cupola di energia che avvolse Tirtha e Pavit, creata dal cosmo congiunto dei due compagni. Con grande sforzo, e mettendo tutta l’energia che avevano accumulato in anni di studi e meditazioni, Tirtha e Pavit riuscirono a respingere le burrascose acque del Tigri, rivoltandole nuovamente contro il loro creatore, e a ricacciare indietro il Gatto Nero. Ciò di cui però non si avvidero fu del balzo di Dario, il quale, approfittando della sua stessa piena, scavalcò la marea oscura portandosi proprio sopra i due discepoli, che se ne accorsero troppo tardi.
Una bomba di energia si schiantò contro la cupola dorata, mandandola in frantumi e scaraventando Tirtha e Pavit indietro di parecchi metri, facendoli ruzzolare al suolo, pieni di graffi e ustioni. Timos balzò subito su Tirtha, iniziando con lei un’eccitante corpo a corpo, nel quale la ragazza cercava di allontanare quegli artigli assetati di sangue e l’uomo a nient’altro anelava se non ad affondare ancora in lei. Pavit allungò le braccia sul terreno, cercando di rimettersi in piedi, ma privo ormai di forze fu raggiunto da un calcio di Dario sul fondoschiena, che lo capovolse, sbattendolo contro un mucchio di rocce franate.
"Un’ottima esibizione, ragazzo! Degna degli Immortali Persiani! Tu fossi vissuto duemilacinquecento anni fa forse avrei potuto assumerti tra le loro fila!" –Rise Dario, chinandosi su Pavit e afferrandolo per il collo. Lo sbatté contro un muro e iniziò a tempestarlo di pugni e calci, senza bisogno neppure di utilizzare il cosmo. –"Non si addice molto ad un re, lo ammetto! Ma era molto tempo che volevo menar le mani!"
Pavit tentò di sollevare un braccio, per difendersi da quella tempesta di colpi, ma venne raggiunto da un pugno sull’orecchio destro, che gli sbatté la faccia nel muro, spaccandogli un paio di denti e facendolo sanguinare ancora. Con la coda dell’occhio, cercò Tirtha, sentendola urlare nel tentativo di dimenarsi dal Gatto Nero. Quindi cercò Dhaval, ma non lo trovò. Vide soltanto Andromeda spingere via Iemisch con foga, espandendo il cosmo e liberando lo sfavillante potere della sua costellazione.
"Sei un osso duro, eh, Cavaliere di Andromeda?!" –Esclamò Iemisch, atterrando compostamente in piedi, a una decina di metri dal ragazzo. –"Ma ti stimo per questo! Dietro la maschera di fragilità che porti sul volto si nasconde un Cavaliere deciso e sicuro di sé, non disposto a cedere alle avversità, pur aspre che siano! Sembri più un predatore che una preda!"
"È un compromesso che ho dovuto fare con me stesso molto tempo fa!" –Commentò Andromeda, cercando di rialzarsi, con rivoli di sangue che gli colavano dal collo, dove gli artigli di Iemisch lo avevano raggiunto.
"Un ottimo compromesso!" –Esclamò baldanzoso Iemisch. –"Del resto, spesso bisogna rinunciare a qualcosa pur di perseguire i nostri obiettivi!"
Andromeda rimase un attimo a pensare, quasi stregato dall’ardito Capitano dell’Ombra che aveva di fronte. Era un nemico, su questo non aveva dubbi. Ma c’era qualcosa in lui che lo incantava. Il suo modo di affrontare le cose. Con fermezza, ma non con ottusità. Iemisch, agli occhi di Andromeda, era come un poeta, sempre alla ricerca della rima perfetta, sempre pronto a cogliere tutto ciò che il mondo potesse offrire, per raggiungere l’ispirazione, senza mai sforzarsi di ottenerla qualora non ve ne fosse la possibilità. Era un calcolatore, meticoloso, in grado di prevedere le mosse del suo rivale. Ed era in grado di penetrarlo a fondo, con quello sguardo da felino, con quelle iridi grigie, tinte d’argento dal bagliore della luna.
Andromeda sospirò, prima di scuotere le proprie Catene, preparandosi per un nuovo assalto e gli vennero in mente le parole con cui suo fratello Phoenix, dopo la sconfitta di Discordia, aveva commentato il suo scontro con Serian di Orione.
"Ti sembra sempre di combattere contro un altro te stesso!" –E forse non aveva tutti i torti.
Le riflessioni del ragazzo furono interrotte dal violento attacco di Iemisch, che caricò avvolto nel suo cosmo color argento. Centinaia di migliaia di fendenti energetici sferzarono l’aria, incendiando il prato del cortile, e Andromeda non riuscì ad evitarli tutti, venendo spinto in aria, sollevato dall’onda d’urto dello spostamento della Tigre Nera, che lo aveva superato, portandosi dietro di lui. Con gli artigli ancora affilati.
"Devo reagire!!!" –Si disse Andromeda, voltandosi in aria su se stesso e scagliando avanti la Catena a Triangolo. –"Onda del Tuono, vai!!!" –L’arma del Cavaliere zigzagò tra i fendenti energetici di Iemisch, mirando al cuore del Capitano, ma questi fu agile a balzare indietro, compiendo una capriola su se stesso e atterrando a piedi uniti sul tetto del gopura, evitando la punta del Triangolo che si conficcò nel terreno.
"Dall’alto di Angkor contemplo la tua disfatta, Andromeda! Ah ah ah!" –Rise con fierezza, prima di lanciarsi avanti, avvolto nel suo cosmo argentato, e piombare su Andromeda dall’alto, con la furia devastante di una bestia feroce. –"Fiera maestosa!" –Tuonò, portando avanti il pugno destro e sbattendo il Cavaliere nel terreno, sprofondandolo in una conca di dolore e schegge di Armatura.
Tanto potente era stato l’attacco subito che Andromeda pensò di avere tutte le ossa rotte. Fece per sollevarsi, ma ad ogni piccolo movimento doveva reprimere un gemito di dolore. E questo confermò le sue supposizioni iniziali. Iemisch era un guerriero perfetto, che sapeva combinare strategia e forza fisica, precisione e potenza. Come avrebbe potuto opporsi a lui, soprattutto in quelle condizioni? Le ferite al collo gli strappavano fitte continue, e tutti i suoi sensi parevano rallentati da quando Biliku lo aveva colpito. Cosa conteneva il sangue di quella creatura? Se ha davvero il potere di distruggere le rose di rabbia, quale mutazione potrebbe causare nel corpo di un uomo? Si chiese il Cavaliere, tossendo e sputando sangue. Avrebbe dovuto usare la Nebulosa di Andromeda per vincerlo, come aveva fatto con Fish, Mizar, Sirya e i Dioscuri. Ma in quel momento non ne aveva la forza. Non aveva la forza per niente, soltanto per abbandonarsi ed essere cullato.
Poco dopo aprì gli occhi di scatto, accorgendosi che quello che gli era parso un dolce oscillare era in realtà Iemisch che lo stava tirando a sé, strattonando con forza la Catena di Andromeda e trascinandolo fuori dalla grande conca. Cercò di sollevarsi, mentre Iemisch continuava a tirare la Catena, ridendo divertito da quella situazione. Le mani del Capitano sfrigolavano scintille, per il contatto con l’arma, ma egli sembrava non risentirne troppo, a causa del rivestimento vischioso della sua corazza, capace di disperdere l’elettricità.
"Onda energetica!!!" –Gridò Andromeda, scagliando guizzanti folgori contro il Capitano, che lasciò quindi la presa, balzando agilmente indietro.
"Ti sei svegliato, allora!" –Ironizzò Iemisch, mentre Andromeda si rimetteva in piedi a fatica, tenendosi la testa, che sembrava sul punto di scoppiargli.
"Svegliato?! Quanto ho perso conoscenza?!" –Balbettò il Cavaliere confusamente.
"Tre minuti e sette secondi!" –Commentò Iemisch, incrociando le mani al petto. –"Decisamente troppo!"
"Tre minuti?!" –Mormorò tra sé Andromeda, realizzando che in tutto quell’arco di tempo Iemisch avrebbe potuto ucciderlo più volte e dare i suoi resti in pasto ai coccodrilli. –"Perché non…?!"
"Perché non ti ho ucciso? Credevo di essere stato chiaro al nostro primo incontro, Andromeda! La Tigre d’Acqua non vuole scarti altrui né favori di alcun genere, ma uno scontro diretto, una caccia nella quale rincorrere la sua preda, annusandola, seguendola e poi balzandole addosso! Che soddisfazioni potrei avere nell’avventarmi su un corpo inerme e mezzo morto, abbandonato alle mosche e agli avvoltoi? No, Cavaliere, la Tigre d’Acqua si nutre solo di cibi prelibati!"
Andromeda non seppe cosa rispondere, limitandosi a bruciare il proprio cosmo e a sollevare la Catena, avvolgendola in fulmini scintillanti. Combatteva da un giorno intero, senza essersi mai fermato, e la stanchezza gli era crollata addosso inesorabile. Aveva affrontato Biliku, Iaculo e adesso Iemisch. Ma ancora non avrebbe ceduto.
"Andromeda non cederà!!!" –Si disse, lanciando avanti la propria arma, che si moltiplicò in infinite copie, che sfrecciarono nella notte asiatica illuminandola come strali di luce. –"Melodia scintillante di Andromedaaa!!!" –Gridò, liberando la configurazione ultima della Catena, quella che era in grado di comprenderle tutte. Attacco e difesa. Una tecnica che fino a quel momento, contro il Custode della Palude di Stinfalo e contro Phobos, si era rivelata mortale.
"Fiera maestosa!!!" –Rispose Iemisch, scattando avanti con baldanza e lanciandosi nel nugolo di Catene, colpendo tutte quelle con cui entrava in contatto con violente zampate di energia comica, che incendiarono l’aria, scheggiando in più punti l’arma del Cavaliere di Atena. Ma le Catene erano troppe, sembravano infinite, e anche se la sua corazza era in grado di lasciarle scivolare via, l’eccessiva quantità alla fine lo sbilanciò, spingendolo a terra.
"Adesso! Onda energetica!!!" –Gridò Andromeda, volgendo il palmo della mano destra a Iemisch e investendolo con brillanti fulmini di energia.
Il Capitano dell’Ombra, appoggiato a terra con un ginocchio, sollevò il bracciale sinistro dell’Armatura, caricandolo del suo cosmo argentato, nel tentativo di scemare l’assalto di Andromeda, che comunque lo raggiunse, facendo vibrare tutto il suo corpo e strappandogli un moto di dolore. Quindi concentrò la propria energia sul pugno destro, portandolo avanti di scatto e facendolo scontrare con l’attacco avversario, generando una violenta esplosione che scaraventò indietro entrambi. Il Cavaliere di Atena ruzzolò per vari metri sul terreno, fino a cadere nella conca scavata in precedenza, mentre Iemisch, pur se sbilanciato, riuscì ad atterrare in piedi.
Tirò un’occhiata ai bracciali dell’Armatura e li trovò scheggiati in più punti, come i coprispalla e i gambali. L’elmo poi aveva perso qualche zanna del volto felino che riproduceva. Sorridendo tra sé, Iemisch se lo tolse, mettendoselo sotto il braccio sinistro, e si incamminò verso la conca per dare il colpo di grazia ad Andromeda.
Come previsto, lo trovò che tentava di rialzarsi ancora, arrancando sul terreno, determinato a non arrendersi. Iemisch annuì, soddisfatto per la sua caccia e deciso a mettervi fine e a prendere il suo trofeo. Concentrò il cosmo sulla mano destra, allungando affilati artigli di energia, prima di calarli verso Andromeda. In quel momento un’immensa esplosione di luce, proveniente dall’interno di Angkor, scosse il terreno, rischiarando l’esterno del tempio come fosse giorno.
"Ma… che diavolo succede?!" –Esclamò Iemisch, sollevando lo sguardo e rimanendo accecato da tale intenso bagliore.
Sakis del Quadrante Oscuro apparve poco dopo al suo fianco, prendendolo per un braccio e portandolo indietro, mentre una gigantesca bolla di energia dorata fuoriuscì dal tempio di Angkor, inglobando tutto ciò che incontrava sul suo cammino. I resti di Stratis e Stelios vennero fagocitati, disintegrandosi poco dopo, e stessa sorte incontrò il corpo di Timos del Gatto Nero. Dario del Tigri riuscì in parte a ripararsi, venendo soltanto spinto a terra e sommerso da alcune rovine. Anche Sakis e Iemisch furono scaraventati contro le mura di confine, scheggiando le loro corazze, e quando riemersero dal mucchio di detriti franati su di loro scoprirono l’origine di quel sole improvviso.
Sopra le loro teste, seduto in posizione meditativa, si ergeva il semidivino Shaka della Vergine.