CAPITOLO TREDICESIMO: IL MASSACRO DELLA SPERANZA.
Dei diciotto Cavalieri Celesti che avevano accompagnato Phantom dell’Eridano Celeste sull’Isola delle Ombre, ne era rimasto soltanto uno, Gwynn del Biancospino, intento a combattere per la sua sopravvivenza in una caverna oscura.
Gwynn infatti aveva preferito seguire una strada diversa da quella di Phantom e di Artemide, dirigendosi verso le profondità dell’Isola, per scoprire cosa Flegias stesse tramando di pericoloso. Era l’unico, tra i Cavalieri suoi compagni, a disporre di un potere particolare, che gli derivava dall’essere stato allievo di Ascanio a Glastonbury. Potere che gli permetteva di rendere il suo cosmo impercettibile e fondere la propria corazza con l’ambiente circostante, grazie ad una tecnica chiamata Mimesis, senza bisogno di manufatti divini.
Non era però riuscito a scoprire granché, perdendo molto tempo alla ricerca della via per i sotterranei, in quel paesaggio roccioso e spigoloso, che pareva essere stato creato apposta per privare anche il viaggiatore più scrupoloso di qualsiasi punto di riferimento. E proprio quando aveva trovato l’ingresso per un antro sul fianco orientale del vulcano principale, e lo stava cautamente esplorando, qualcosa lo aveva colpito alla schiena, sbattendolo a terra e calpestandolo.
"Dove credi di andare, agnellino?" –Ringhiò una voce ruvida.
"Chi… sei?!" –Balbettò Gwynn, schiacciato al suolo dal robusto piede di una figura in ombra. –"Come… come hai potuto vedermi?!"
"Non ti ho visto infatti! Ti ho sentito!" –Rispose la voce maschile. –"Annusando l’aria con il mio olfatto, ho percepito la presenza di carne giovane!" –E si chinò sul ragazzo, afferrandolo per il collo e sollevandolo da terra, per guardarlo meglio.
Gwynn vide così l’uomo che lo aveva sorpreso, anche se di uomo aveva ormai ben poco. Il corpo, alto e robusto, era forse umano, ma i lineamenti animaleschi avevano deformato il suo aspetto, rendendolo simile ad un lupo. Il volto era pieno di peli, come le braccia e le gambe, per quello che si poteva notare dalle parti non coperte dalla sua nera corazza, la cui forma era chiaramente quella di un lupo. Ma la cosa che stupì Gwynn particolarmente furono i denti, aguzzi e taglienti, e le mani, grandi e pelose, e dotate di lunghe unghie affilate, che spuntavano fuori da dita tozze.
"Uuuh! Odore di carne giovane! Sarai un pasto prelibato!" –Commentò l’uomo-lupo, strusciandosi le labbra con la sua lingua.
"Ma che razza di bestia sei?!" –Esclamò Gwynn, dimenandosi per liberarsi dalla stretta presa del nemico. Non riuscendovi, evocò allora un mucchio di biancospini, che arrotolò attorno al braccio con cui l’uomo-lupo lo stava tenendo, lasciando che vi si avvinghiassero, affondando le loro spine nella sua carne, e strappandogli un grido di dolore.
"Auuh!!!" –Gridò l’uomo-lupo, scaraventando Gwynn contro una parete della caverna, e scuotendo il braccio per togliere quelle fastidiose spine. –"Non fare resistenza, agnellino! Il Licantropo è affamato!"
"Il Licantropo?!" –Sgranò gli occhi Gwynn, convinto che certi personaggi grotteschi esistessero soltanto nelle leggende. –"Intendi un uomo che durante le notti di luna piena si trasforma in lupo? Mi prendi per stupido?!"
"Molto meglio! Auuuh!!! Io non ho bisogno della luna piena per essere un uomo-lupo! Grazie a Seth, e ad Anhar, lo diventai molti anni fa! Per sempre!" –Esclamò il Licantropo, senza che Gwynn comprendesse. Ma non gli diede tempo per fare nuove domande che scattò verso di lui, sfoderando i lunghi artigli, determinato a piantarli nel suo corpo.
Gwynn invocò nuovamente il potere della Mimesis e si gettò di lato, per evitare l’affondo del Licantropo, ma questi cambiò ugualmente direzione, seguendo gli spostamenti del Cavaliere di Glastonbury.
"Inutile tentativo il tuo! Nasconderti ai miei occhi non servirà a niente! Ho percepito il tuo odore! Mi basta seguire quello, per arrivare al cosmo! Non sai che l’olfatto è senso molto sviluppato nei lupi?" –Commentò il Licantropo, balzando avanti e abbattendo Gwynn, che rotolò sul pavimento della caverna, perdendo l’elmo della sua corazza e decidendo infine di rendersi nuovamente visibile.
"Se la Mimesis è priva di efficacia, meglio che conservi le mie forze per affrontare quest’essere grottesco!" –Commentò tra sé, mentre il Licantropo caricava di nuovo, cercando di affondare i suoi affilati artigli nel corpo di Gwynn, che doveva muoversi continuamente per evitarli. –"Non posso rimanere sempre sulla difensiva, devo contrattaccare! Biancospino di Glastonbury, avvinghiati al tuo nemico e monda la sua brutalità con la purezza del tuo simbolo!" –Esclamò, intrappolando il Licantropo in un mucchio di biancospini e osservando le spine penetrare la coriacea pelle pelosa.
"Auh auh auh! Vuoi fermare il Licantropo con quest’odorosa erba di campo?!" –Rise l’uomo-lupo, prima di stupire Gwynn, lasciando esplodere il cosmo che finora aveva tenuto nascosto, estirpando così il mucchio di biancospini, incenerendoli all’istante. –"Credevi fossi solo un mostro? Un mucchio di peli rivestito da una cotta d’ombra? Ebbene, sbagliavi! E adesso vedrai quanta fame ha il Capitano dell’Ombra che domina i peccati di gola e lussuria!"
Gwynn venne spinto contro una parete laterale dal contraccolpo, scheggiando la sua corazza verde e bianca, ma non appena fece per rimettersi in piedi, il Licantropo fu su di lui allungando gli artigli della mano destra fino a generare delle punte di energia che conficcò nel corpo del Cavaliere di Zeus, all’altezza dell’ombelico, piantandolo in malo modo alla roccia.
"Aaargh!!!" –Gridò Gwynn, mentre una chiazza di sangue si espandeva dal ventre, colando lungo le gambe e imbrattando l’Armatura Celeste.
"Non strillare, agnellino! Muori con dignità!" –Esclamò il Licantropo, piantando di nuovo i suoi artigli affilati nel corpo di Gwynn, quella volta al centro del petto. Gli sfondò l’Armatura, fracassandogli le costole, mentre il ragazzo vomitava sangue e perdeva sempre più i sensi. Ritornò indietro con la mente, al primo incontro con l’uomo che aveva cambiato la sua vita, donandogli la sua completa e indiscussa ammirazione. Il Comandante dell’Ultima Legione, Ascanio Testa di Drago.
Era stato lui infatti, una mattina di quasi dieci anni prima, ad aiutare Gwynn e sua madre durante un’alluvione nel Somerset. Era apparso in mezzo ai campi annacquati, senza che nessuno se ne fosse accorto, rivestito da un’Armatura luminosa che pareva mescolarsi con il verde dell’erba e con il marrone del fango. Con il celeste del cielo e con il bianco della luce. Aveva generato delle barriere di energia, così trasparenti da risultare impalpabili, con cui aveva frenato lo scorrere impetuoso delle acque, permettendo a Gwynn, allora un bambino di otto anni, e alla madre malata di uscire dal villaggio e mettersi in salvo sulle colline vicine, assieme ad altri contadini.
Accolto come un Dio, Ascanio non aveva voluto niente in cambio, dei tanti doni che la povera gente voleva offrirgli, e terminata la grande pioggia aveva lavorato in prima persona per sistemare i danni del villaggio. Gwynn lo guardava con una sconfinata ammirazione, vedendo in lui il discendente degli antichi eroi celtici di cui sua madre amava raccontargli la sera, nelle loro chiacchierate vicino al fuoco. Era una famiglia povera, la loro, e la donna non aveva potuto offrirgli di meglio che sincero affetto, certa comunque che il figlio meritasse di più. Certa di sentire in lui qualcosa di più.
Così aveva accettato la richiesta di Ascanio, che le aveva chiesto il permesso di portare via Gwynn. Di condurlo a Glastonbury, dove sarebbe stato addestrato per divenire Cavaliere. Come la madre, anche il Comandante della Legione di Zeus aveva percepito infatti un cosmo latente dentro il ragazzo. Un cosmo che meritava essere sviluppato.
"Diventerò forte per proteggere mia madre e gli abitanti del mio villaggio!" –Amava ripetere Gwynn nei primi giorni dell’addestramento. E Ascanio sorrideva di fronte a tanto sincero affetto. Ma col tempo anche Gwynn aveva compreso che i poteri acquisiti avrebbe dovuto metterli al servizio non solo della gente del suo paese, ma di ideali ben maggiori, da cui potevano dipendere i destini del mondo.
Gwynn fu l’unico Cavaliere della Legione Nascosta ad essere scelto personalmente da Ascanio e da lui addestrato a Glastonbury, ma fu anche quello che gli diede maggiori soddisfazioni. Grazie ai suoi sviluppati poteri di percezione sensoriale, Gwynn era impiegato spesso come spia o ricognitore, e fu proprio lui infatti ad avvisare Ascanio, mesi addietro, dell’arrivo di Phantom dell’Eridano Celeste.
"Quanti ricordi…" –Mormorò Gwynn, piantato alla parete, con le viscere squarciate da puntelli di energia. –"Quanti motivi… per andare avanti! Comandante Ascanio! Per voi, per ringraziarvi di avermi portato via quel giorno, salvandomi dal fango della mia vita e concedendomi l’onore di servire causa ben più alta!" –Rifletté tra sé, espandendo il proprio cosmo.
"Auuh!!!" –Ringhiò il Licantropo, vedendo che Gwynn aveva ripreso a muoversi. Ma non riuscì a colpirlo nuovamente con i suoi artigli, che venne travolto da un’onda di energia, scaturita dal corpo del ragazzo, che bruciò al massimo il suo cosmo, come mai aveva fatto prima. Bruciò la sua stessa vita, i ricordi che lo avevano invaso, le speranze che aveva provato quel giorno, dando l’ultimo addio alla vecchia casa di sua madre, donna stanca e malata che mai più avrebbe rivisto.
"Brucia, cosmo del Biancospino! Glastonbury Thorn!!!" –Gridò Gwynn, dirigendo un violento assalto, costituito da migliaia e migliaia di biancospini di energia, contro il Licantropo, il quale, dal canto suo, non stette ad aspettarlo, muovendo le braccia con forza e distruggendo con i suoi artigli tutti i fiori che lo investivano. Quindi, quando Gwynn fu ormai privo di forze, e costretto a crollare a terra sulle ginocchia, lo travolse con i suoi unghioni di energia, sbattendolo al muro e azzannando il ventre del ragazzo con i suoi canini, per portargli via pezzi interi di carne.
"Che mostro sei?!" –Esclamò improvvisamente una voce, disturbando il banchetto dell’uomo-lupo e costringendolo a voltarsi verso l’entrata della caverna, dove una figura si stagliava controluce, accecandolo con il bagliore del suo cosmo. –"Come una bestia ti avventi sulle carcasse dei tuoi nemici?! Non hai rispetto per niente, né per la vita, né per la morte?! Ebbene, ti insegnerò io ad avere timore della fine!"
"Come può quest’uomo emanare un cosmo di così accecante bagliore?" –Mormorò l’uomo-lupo, che non riusciva a vedere in volto il suo nemico. –"Il cielo d’ombra dell’Isola dovrebbe assorbire ogni forma di luce! Perché la sua persiste?" –Ma l’altro uomo non gli diede tempo di riflettere ancora, che già aveva espanso il proprio cosmo, concentrandolo sulle braccia e dirigendo un rapido e preciso attacco contro di lui. Un attacco che aveva la forma di un immenso drago dalle squame rosse.
"Attacco del Drago di Sangue!!!" –Gridò Ascanio Testa di Drago, travolgendo il Licantropo e scaraventandolo indietro, fino a farlo schiantare contro una parete di roccia, che crollò sopra di lui. Quindi corse verso Gwynn, chinandosi e sollevando il suo corpo distrutto e sfregiato e poggiandolo sulle sue ginocchia. –"Oh, Gwynn! Sono arrivato tardi!" –Pianse il Comandante dell’Ultima Legione, bagnando il volto del ragazzo che era per lui un fratello minore. Un fratello di cui avrebbe dovuto prendersi cura. –"Ho visto la tua sorte, in uno dei misteri che spesso si aprono ai miei occhi! Ma non ho fatto in tempo ad arrivare… in tempo… non sono giunto! Potrai mai perdonarmi, Gwynn?!"
Ascanio singhiozzò sul corpo del giovane, pulendogli il volto dal sangue, quasi volesse ricreare il candore dei lontani giorni d’infanzia. Per un momento gli sembrò di vedere Gwynn sorridere, mentre correvano nei prati di Glastonbury o mentre studiavano le ley lines dall’alto del Tor. Sospirò, chiudendogli infine gli occhi e depositando a terra il suo corpo. Tirò uno sguardo verso il Licantropo, svenuto sotto mucchi di macerie, e lo invase il terribile istinto di massacrarlo adesso che era inerme. Ma era un Cavaliere, e prima ancora era un figlio dell’Isola Sacra, scelto dai druidi per portare l’equilibrio, non per condurre stragi, pur giuste che fossero.
Proprio in quel momento sentì esplodere il cosmo di Artemide, mentre ombre immense si allungavano nel cielo sopra l’Isola, e questo lo fece scattare, riportandolo all’ordine. E ricordandogli la sua missione. Diede l’ultimo saluto a Gwynn, prima di correre fuori, alla ricerca di Phantom o di qualche altro superstite.
In un’altra zona dell’Isola delle Ombre, non troppo distante dalla scogliera, la Dea della Caccia stava infatti affrontando Flegias, il Maestro di Ombre, che aveva deciso di occuparsi personalmente di lei, inebriato da uno scontro che i suoi fratelli non erano riusciti a concludere, per ben due volte.
"Hai condotto bene il gioco, Dea delle Pecore! Ma spesso la tattica non basta, serve anche la forza!" –Sibilò il figlio di Ares, avvicinandosi al corpo inerme della Dea della Caccia, distesa in una pozza di sangue, dopo essere stata abbattuta dall’Apocalisse Divina. –"Che tu non hai più!"
"Dovessi morire nel tentativo, io ti fermerò, demone!" –Si limitò a rispondere Artemide, sputando sangue e risollevandosi a fatica, spingendo indietro il Flagello degli Uomini con un’onda di lucente energia.
"L’hai detto! E gli Dei mi siano testimoni se non hai appena firmato la tua condanna a morte!" –Esclamò Flegias a gran voce, volgendo leggermente lo sguardo verso il Comandante dei Capitani dell’Ombra, il possente Orochi, che osservava entrambi da poco distante. Aveva atterrato senza problemi gli ultimi Cavalieri Celesti, ma non si era azzardato ad interrompere lo scontro del Maestro di Ombre, per non incorrere nella sua ira. Del resto, si era detto Orochi, Flegias è ben in grado di eliminare quella rozza Divinità senza il mio aiuto, che potrebbe persino offenderlo!
"Taci, blasfemo! Non rivolgerti agli Dei, tu che hai tradito la loro stirpe, vendendoli all’ombra!" –Affermò Artemide, rimettendosi in piedi. –"Hai utilizzato Zeus, Crono, Ares, i tuoi fratelli, tutti coloro che ti hanno dato fiducia e che in te credevano! Te ne sei servito per i tuoi scopi, gettandoli via per non dover dividere il potere con loro!"
"Non sapevo che tu fossi una psicologa, Dea delle Pecore! Forse questo mi aiuta a capire come mai sei così scarsa in battaglia! Ah ah ah!" –Sghignazzò Flegias, bruciando il suo cosmo e avvolgendosi in esso, prima di dirigerlo contro la Dea, sotto forma di un vortice di fiamme e ombra. Ma Artemide, che ben si aspettava un nuovo assalto, fu svelta a contrattaccare all’istante, generando un dardo di puro cosmo lucente, che scagliò contro Flegias, penetrando il turbine di fuoco e tenebra e schiantandosi proprio alle spalle del figlio di Ares.
Sorpreso dalla repentinità di quell’attacco, e convinto che Artemide fosse ormai sul punto di cadere, Flegias sollevò il sopracciglio destro, sinceramente stupito.
"Dardi di luce!!!" –Gridò Artemide, scagliando contro il Flagello degli Uomini un nugolo di brillanti strali di energia cosmica, che obbligarono Flegias a scattare via, muovendosi continuamente per non essere raggiunto.
Il figlio di Ares cercò di pararli con la Spada Infuocata, rotandola continuamente e deviandone tantissimi con abilità e precisione. Ma la pioggia di frecce era così fitta, e così continua, che alcuni non riuscì a colpirli, osservandoli con rabbia mentre scheggiavano la sua Armatura Divina. Un dardo gli trafisse la mano destra, facendogli perdere la presa della Lama Infuocata e obbligandolo a muoversi indietro, venendo subito raggiunto da un secondo strale in cima al braccio sinistro, poco sotto la protezione del coprispalla.
Quello, per quanto Flegias non lo ammise, stringendo i denti con rabbia, gli strappò un gemito di dolore, costringendolo ad arretrare di qualche passo, prima che l’ira si impadronisse di lui. E la volontà di piegare la Mandriana dell’Olimpo che aveva osato recargli un simile oltraggio.
Sollevò un muro di fiamme e di ombra, su cui i dardi di luce si schiantarono, esplodendo al suo interno, per poi spingerlo verso Artemide con un movimento secco del braccio destro. La Dea si rannicchiò su se stessa, cercando di limitare al massimo i danni di quell’impatto, prima di far nuovamente esplodere il suo cosmo lucente, disperdendo il fuoco. Quando sollevò lo sguardo vide Flegias di fronte a lei, con il palmo della mano destra rivolto verso il suo viso, su cui una pietra nera brillava di riflessi oscuri.
"Assisti, Mandriana dell’Olimpo, alla fine di ogni forma di luce! La Maestria di Ombre, da me invocata, trova adesso completamento!" –Esclamò Flegias, sollevando la pietra sopra di sé e lasciando che esplodesse, liberando un’onda di energia nera che si abbatté su Artemide, scaraventandola indietro di parecchi metri, e obbligando persino Orochi a mettersi da parte, per non essere travolto. –"Rapsodia di Demoni!"
A quell’invocazione, migliaia e migliaia di ombre fuoriuscirono dalla pietra nera, fluttuanti spiriti in quel cielo tetro, liberando i loro angosciosi lamenti, prima di abbattersi su Artemide e sui Cavalieri Celesti ancora in vita, che cercavano di rimettersi in piedi e reagire. Ma non appena volsero lo sguardo al cielo, videro quelle figure evanescenti piombare su di loro e penetrarli da parte a parte, succhiando via la vita e la loro energia. Cibandosi della luce del loro cosmo.
"Che Zeus ci protegga!" –Mormorò Artemide, inorridendo alla vista dei Cavalieri Celesti che crollavano a terra, senza più un alito di vita, privati della brillantezza del loro cosmo e ridotti a meri gusci vuoti.
In quella un turbine di ombre si abbatté su di lei, che cercò di difendersi con i suoi Dardi di Luce, prima di accorgersi, con disperato stupore, che gli spiriti di tenebra sembravano correre verso i suoi attacchi per cibarsene, per annientarli, per sovrastarli con l’oscurità del loro potere.
"Quale incantesimo malvagio hai evocato, figlio di Ares?!" –Gridò Artemide, bruciando ancora il proprio cosmo per generare onde di luce con cui travolgere e annientare le ombre. Senza però riuscirvi.
"Ti restituisco l’energia che anche tu, combattendo sull’Olimpo, mi hai prestato! L’energia che lo Scudo di Ares ha assorbito, concentrandola nella Pietra Nera e fornendomi un potenziale immenso, con cui generare l’Esercito di Ombre che invaderà la Terra, assorbendo ogni forma di luce!" –Sibilò Flegias, mentre Artemide veniva sopraffatta, intrappolata in un groviglio di ombre, che continuamente penetravano il suo corpo, prosciugandola sempre un po’ di più. Fino a prostrarla a terra, con il volto pallido e lo sguardo spento, mentre la linfa vitale della sua Divina Essenza scivolava via. –"Muori, Dea delle Pecore!!!" –Ringhiò Flegias, balzando su di lei, con la Lama Infuocata in mano. E affondando nel ventre della Dea.
Non riuscì neanche a parlare Artemide, tanto debole si sentiva, mentre la Spada Infuocata sfondava la Veste Divina, e il corpo di donna che non aveva mai cercato di nascondere, orgogliosa della propria selvaggia femminilità. Le si chiusero gli occhi poco dopo, mentre rivedeva frammenti della sua esistenza sull’Olimpo, momenti di caccia nella Foresta Sacra, assieme ad Atteone e ai suoi Cacciatori, e banchetti di prede di fronte alla caverna ove riposava. Poi, d’un tratto, l’immagine cambiò e una fiamma immensa divorò la Foresta, trasformando gli alberi, gli animali e i suoi ricordi in cenere.
"Avrai la mia vita! Ma non il mio onore!" –Sentenziò, concentrando quel che restava del suo cosmo divino in un unico dardo di luce, che scagliò contro Flegias, ancora intento ad affondare la Spada Infuocata dentro di lei.
La freccia di energia scaraventò il figlio di Ares indietro, sbattendolo contro una parete rocciosa e schiantando il pettorale della sua Armatura scarlatta, fino a farlo ricadere a terra, tra imprecazioni e macchie di sangue.
Orochi, a tal vista, corse verso il Maestro di Ombre, per aiutarlo a rimettersi in piedi, ma questi lo scansò in malo modo, rialzandosi, ansimando a fatica, e toccandosi il petto insanguinato. Tirò un’occhiata verso il corpo esanime di Artemide, e capì che la Dea era morta. E perché Phobos e Deimos avessero incontrato così tante difficoltà.
Proprio in quel momento, Ermes, il Messaggero degli Dei, percepì una violenta fitta al cuore, che lo prostrò a terra, sul tappeto rosso della Sala delle Udienze, al Grande Tempio di Atena. La Dea della Giustizia e i suoi Cavalieri furono subito su di lui, per porgergli aiuto, ma questi si limitò a ringraziarli con un sorriso affettuoso.
"Un’amica! Un’amica ci ha lasciato!" –Mormorò, tra le lacrime.
Anche Phantom dell’Eridano Celeste percepì la scomparsa del cosmo di Artemide, crollando sull’arido suolo dell’Isola delle Ombre e tenendosi la testa tra le braccia. Pianse, sbattendo i pugni sulla polvere, colpevolizzandosi per l’accaduto, mentre la voce di Matthew cercava di consolarlo e al tempo stesso di incitarlo a reagire.
Ascanio lo raggiunse proprio in quel momento, felice di vederlo ancora vivo.
"Afferra la mia mano, Phantom! Dobbiamo andarcene da quest’Isola maledetta! O i nostri compagni saranno caduti invano!" –Esclamò Ascanio, mentre il Luogotenente allungava la mano verso quella del compagno, facendosi forza per rialzarsi.
"Forse dovremmo morire con loro…" –Mormorò Phantom, a testa bassa.
"In tal caso li uccideresti una seconda volta!" –Commentò Ascanio, avvolgendo Phantom e Matthew nel suo cosmo ed invocando l’aiuto del suo maestro, lo stesso che gli aveva permesso di raggiungere l’Isola delle Ombre, nonostante le resistenze della cortina di tenebra.
"Ascanio!" –Parlò improvvisamente una voce al suo cosmo. E anche Phantom la sentì, e gli parve di riconoscerla nella figura ammantata che aveva salutato Ascanio in cima al Tor, quel giorno in cui si era recato a Glastonbury per risvegliare l’Ultima Legione. –"Getta via le lacrime, per cui adesso non c’è tempo! Ti porterò sull’Olimpo! Zeus ha bisogno del suo Comandante!" –Nient’altro aggiunse, il Signore dell’Isola Sacra, prelevando Ascanio, Phantom e Matthew e portandoli via da quell’isola di morte.
La momentanea presenza di Avalon fu avvertita anche da Flegias, che sbuffò inviperito, maledicendolo assieme a tutti i druidi e ai suoi Cavalieri delle Stelle. Ma neanche ciò lo fece desistere, alimentando ancora di più la fiamma dell’ira nei suoi occhi. Orochi lo avvicinò in quel momento, mentre il vulcano sbuffava fumo nero e scintille piovevano sull’intera landa desolata.
"I preparativi per il grande rito sono stati compiuti!" –Mormorò infine il figlio di Ares, sollevando la pietra nera al cielo che liberò un arco di oscura energia, con cui invase l’isola, travolgendo le ombre, inglobando le evanescenti figure che vagavano erranti. –"Adesso è il momento di celebrarlo! Di rendere onore alla grande ombra!!!"
L’onda di luce nera che travolse le ombre parve dare una nuova linfa vitale a quelle figure fluttuanti, modellando le loro forme e sagomandole in modo da renderle simili a uomini. A uomini armati, di nero vestiti, con gli occhi iniettati di sangue.
"L’esercito delle ombre, che invaderà la Terra, estirpando ogni forma di luce, è infine nato! Ah ah ah!!!" –Esclamò Flegias, ridendo come un pazzo, mentre ovunque attorno a lui le ombre prendevano forma, inginocchiandosi ai piedi di colui che le aveva risvegliate, donando loro un proprio destino.
In quel momento arrivarono anche Siderius della Supernova Oscura, cavalcando un disco di energia violacea e sfrecciando sul terreno, balzando a terra poco distante da Flegias, di fronte agli occhi di Orochi, scocciato per tanto manifesto esibizionismo, e il Licantropo, che gettò con noncuranza i resti di un corpo massacrato sopra i cadaveri dei Cavalieri Celesti. Forse avrebbe dovuto informare Flegias dell’attacco a sorpresa ricevuto nella caverna, ma preferì inginocchiarsi di fronte a lui, come fecero Orochi e Siderius, e tacere, onde evitare di essere punito per la sua sconfitta.
"Il mio lavoro è terminato, Gran Maestro di Ombre!" –Esclamò una stridula voce, anticipando l’arrivo di Athanor, l’ultimo Alchimista della Regina Nera, avvolto nelle sue vecchie e tenebrose vesti. Dietro di lui un carro contenente armature dalle forme inquietanti, spinto a fatica da un gruppo di schiavi. –"Bagnate col sangue della Dea della Caccia e degli Olimpici Difensori, piegato al nostro volere dall’avvento dell’ombra, le nere corazze da me forgiate diverranno solide come quelle dei Cavalieri nostri rivali! Forse anche superiori!"
E nel dir questo Athanor si avvicinò ai corpi di Artemide e dei Cavalieri Celesti caduti, intingendo nel sangue la rachitica mano e macchiando con esso le Armature costruite nei sotterranei dell’Isola delle Ombre. Flegias sogghignò soddisfatto, osservandole brillare di una tetra luce di morte, mentre la pietra nera inquinava la loro linfa vitale, come aveva fatto con l’Ichor di Asclepio per le corazze dei Capitani dell’Ombra. Quindi le osservò scomporsi in numerosi pezzi, aderendo al corpo di una quindicina di uomini incolonnati di fronte a lui. Uomini come era stato Menas della Rosa, decisi a servire il Maestro di Ombre, aiutandolo nella sua missione. I sottoposti dei sette Capitani, che lo avrebbero aiutato a sconfiggere i Cavalieri di Atena.
"Risvegliatevi, costellazioni dimenticate!!!" –Gridò Flegias infine, mentre gli uomini, appena investiti delle loro nere corazze, osservavano il tetro splendore di tali manufatti, sogghignando al pensiero del male che avrebbero adesso potuto compiere. –"Sorgete a nuova vita, astri dell’ombra! Stelle che la storia ha confinato all’oblio! Uomini che Atena ha dimenticato, cancellando le gesta che in passato avevano compiuto per lei, ripulendo le cronache dai loro nomi! Tornate a vivere, tornate a camminare su questa sterile Terra, costellazioni dimenticate!!!"
Di fronte a lui, dietro a Orochi, Siderius e al Licantropo, e ad Athanor inginocchiato alla sua destra, ricomposero le fila gli uomini che avevano ricevuto le Armature di Cavalieri che Atena aveva sconfessato nel corso dei secoli. Cavalieri che l’avevano tradita, o che non erano stati all’altezza. Cavalieri i cui simboli erano stati soppiantati dalla modernità, che del loro antico splendore aveva fatto strage.
Il Vendemmiatore, il Sudario di Cristo, la Tartaruga, lo Scettro di Brandeburgo, l’Ape nera, le Spade Incrociate, il Quadrante Oscuro, il Galletto e altri simboli, le cui corazze erano state forgiate nuovamente da Athanor, sugli schemi degli Alchimisti che molte volte vi avevano provato in passato, senza riuscirvi.
"Voi esistete ancora, stelle estinte! E Atena, che è stata vostra carnefice, accettando il destino d’oblio che la storia vi fu imposto, pagherà in prima persona l’errore di cui si è macchiata! Sentirà sul suo fragile collo di donna l’alitare furioso delle costellazioni dimenticate!!!" –Ringhiò Flegias, infiammando i cuori dell’esercito inginocchiato di fronte a lui. L’Esercito delle Ombre, che presto avrebbe invaso il mondo.
"Ho un’altra buona notizia, mio Signore!" –Sibilò Athanor, con il capo chino, attirando l’attenzione del Maestro di Ombre. –"Ikki di Phoenix! È stato trovato! Non era poi così distante da noi, anche se prima non avevamo posto lo sguardo su quella vecchia isola!"
"Molto bene, mio viscido servitore! Questa notizia forse mi farà dimenticare i ritardi con cui non hai rispettato le consegne! Ah ah ah!" –Sghignazzò Flegias, tirando un calcio sul viso ad Athanor e sbattendolo a terra, prima di voltarsi verso i tre Capitani dell’Ombra. –"Orochi! Ho una missione per te! Conducila come vuoi, ma il risultato dev’essere uno! Voglio la testa dell’Araba Fenice servita su un piatto di tenebra! Voglio appenderla nella sala del trono e guardare il suo volto ogni giorno, per ricordarmi la sua sconfitta!"
"Come comanda!" –Affermò semplicemente Orochi, mettendosi in piedi e facendo per muoversi, prima che una voce squillante lo distrasse.
"Inviate me, Maestro di Ombre!" –Esclamò uno dei Cavalieri investito poco prima della sua nera armatura. –"Ucciderò io Ikki di Phoenix!"
"Tu, Scettro? Neanche sei uno dei Capitani dell’Ombra, e dovrei essere così sciocco da inviarti ad affrontare un uomo capace di tenere testa persino a me?!" –Domandò Flegias, disturbato ma al tempo stesso incuriosito da quell’intrigante personaggio. In fondo, conosceva bene la sua storia, per averlo lui stesso preso con sé anni addietro, e conosceva l’uomo che aveva avuto come maestro.
"Avrei potuto tranquillamente essere l’ottavo! O prendere il posto di uno di loro!" –Esclamò fiero il Cavaliere nero dello Scettro di Brandeburgo, incontrando lo sguardo ostile di Orochi e di Siderius. –"Vi porterò la testa di Phoenix in poche ore! Ho una motivazione in più rispetto a chiunque per confrontarmi con lui! Una motivazione che mi permetterà di vincere!"
"E sia, Scettro! Occupatene tu! Torna con la testa di Phoenix o non tornare affatto!" –Esclamò Flegias, dando le spalle al Cavaliere Nero e agli altri Capitani dell’Ombra e incamminandosi verso i sotterranei dell’Isola. Blindato nella sua caverna, dall’alto del suo trono di amianto, avrebbe assistito alla trionfale marcia dell’Esercito delle Ombre, una marcia destinata ad annientare la Terra intera.