CAPITOLO DECIMO: METTERSI IN CAMMINO.
"Sei un fallimento!" –Esclamò la rude voce di Orochi, rivolgendosi a Menas, che piagnucolava sul terreno, trascinandosi a fatica verso l’alto corpo del suo superiore. –"Riferirò al Maestro di Ombre la tua condotta e non ne sarà affatto contento! Ho dovuto scomodarmi persino io, Orochi, per salvare il tuo insignificante posteriore!"
"Abbiate pietà, nobile Orochi, al mio compito ho saputo comunque adempiere! Stavo per tornare all’Isola delle Ombre, quando ho incontrato questo viscido Cavaliere di Atena!" –Disse Menas della Rosa, visibilmente intimorito dal Capitano dell’Ombra.
"Non di Atena sono Cavaliere, ma del Sommo Zeus, Signore dell’Olimpo!" –Precisò Ascanio Testa di Drago, con voce decisa.
"Per chiunque tu combatta, incontrerai la morte come tutti gli altri! Nessuno resisterà all’avvento dell’ombra!" –Sentenziò Orochi, invadendo l’altopiano con il suo esteso e oscuro cosmo.
"Questo è tutto da dimostrare!" –Esclamò Ascanio, espandendo il proprio cosmo e dirigendo il suo colpo segreto contro l’avversario. –"Attacco del Drago di sangue!" –Ma l’impetuosa corsa del dragone rossastro venne fermata dal palmo aperto della mano destra di Orochi, che il gigantesco guerriero mostrò ad Ascanio, continuando a fissarlo negli occhi, con aria di sfida. Quindi, sopraffacendo la sua energia cosmica con la propria, chiuse il pugno, spegnendo l’attacco del ragazzo, estinguendolo senza lasciarne traccia alcuna, di fronte ai suoi occhi sgranati. –"Incredibile!!! Mai nessuno era uscito indenne da un mio assalto frontale!" –E subito parve udire la voce del suo maestro, il potentissimo uomo che l’aveva addestrato negli anni della sua permanenza a Glastonbury, ricordargli di non sorprendersi mai, ma di aspettarsi sempre tutto.
"Poiché esisterà sempre qualcuno o qualcosa più grande di noi! Sii consapevole dei tuoi limiti, cosicché tu possa superarli!" –Amava ripetergli il suo mentore. E Ascanio, sorridendo, realizzò di non aver ancora messo in pratica quell’insegnamento.
Non ebbe il tempo però di pensare ad altro che venne avvolto da una massa indistinta di energia cosmica e sollevato da terra, mentre un fiume in piena ribolliva sotto di lui. Orochi sogghignò beffardo, scaraventando Ascanio in cielo e osservandolo esplodere in una bomba di luce. Quindi, soddisfatto per la sua azione distruttiva, compiuta con un minimo sforzo e senza sporcarsi troppo, afferrò Menas per una spalla, sbattendolo a terra e avvolgendolo nel suo cosmo, prima di scomparire con lui e fare ritorno all’Isola delle Ombre.
Ascanio, nel frattempo, stava precipitando dall’alto del picco roccioso, rotolando sui pendii scoscesi, con il corpo pieno di ferite, per l’attacco energetico di Orochi e per lo sbattere continuo lungo la pietra. Ma sembrava non riuscire a trovare la forza per reagire e fermarsi. Confuso, stava cercando di rimettere insieme i pezzi di quegli ultimi minuti, chiedendosi come era stato possibile che un avversario lo avesse travolto così facilmente, dopo averlo sorpreso con un attacco improvviso. I suoi sensi erano altamente sviluppati, grazie all’addestramento che aveva ricevuto ad Avalon, e mesi prima a Glastonbury era stato in grado di percepire persino la presenza di Phantom dell’Eridano Celeste, per quanto questi si celasse ad occhi umani grazie ad un talismano divino. Come era stato possibile che non avesse sentito l’arrivo di Orochi? E come aveva potuto questi colpirlo così velocemente? Rotolando lungo il pendio scosceso, Ascanio convenne che, nonostante avesse creduto di esserne immune, non doveva esserlo interamente e i velenosi rovi di Menas della Rosa dovevano aver indebolito i suoi sensi, rendendolo goffo e portandolo alla sconfitta.
Ma non accadrà una seconda volta! Si disse, aggrappandosi ad una sporgenza rocciosa, poco prima di rotolare di sotto da uno strapiombo. No, non gli permetterò di accadere! Maestro, abbiate fiducia, ho imparato la lezione! La superbia in battaglia non aiuta, e anche quando siamo certi di essere in vantaggio è sciocco abusare della propria superiorità! E nel dir questo si tirò su, cercando di rimettersi in equilibrio, prima di iniziare a scalare il ripido pendio, fino a raggiungere un piccolo sentiero su un fianco della montagna. Si riposò per pochi istanti, giusto il tempo di scuotere via le gocce di sudore che colavano sulla sua fronte abbronzata, prima di lanciarsi in una rapida corsa verso la residenza del Cavaliere di Libra, sicuro che lui e Sirio avessero bisogno del suo aiuto.
Quando arrivò alla pagoda, trovò tracce di sangue disseminate su tutto il terreno attorno e pezzi di roccia franata, simboli evidenti di uno scontro che aveva assunto dimensioni preoccupanti. Chiamò Sirio e il Maestro a gran voce, guardandosi attorno con circospezione, lasciando che i suoi sensi prestassero ascolto al vento e al richiamo della natura, di cui quel luogo, così semplice e al tempo stesso così immortale, era profondamente intriso. Infine li trovò. Deboli e affaticati dal brutale scontro, che doveva essersi protratto fino ad esaurirli entrambi, giacevano lungo le rive del fiume, le cui limpide acque erano macchiate dal sangue di quel delirio. Dal sangue che così tanto li aveva inebriati. Ascanio vide i loro corpi dall’alto della rupe e balzò verso il basso, saltando di sporgenza in sporgenza, fino ad atterrare sul bordo del fiume, a pochi passi dai due Cavalieri stremati. I tatuaggi sulla schiena ben in mostra, i visi scorticati dalle unghiate a cui erano abbandonati, numerosi lividi ed escoriazioni sul corpo. Ascanio sospirò, preoccupato per le loro condizioni, e mosse un passo avanti, prima che i sensi lo avvertissero di stare in guardia.
Sirio e Libra si rialzarono infatti di colpo, quasi dimenticando di essersi affrontati fino ad allora, e si lanciarono sul Cavaliere Celeste, con gli artigli sguainati e pronti per affondare dentro di lui. Ascanio fu abile ad evitare entrambi, scivolando in mezzo ai due e portandosi alle loro spalle, abbattendoli poi con un’onda di energia. Non erano davvero in sé, con quegli occhi indemoniati, carichi di sangue e di follia, tutto l’opposto della pacata consapevolezza che li aveva sempre contraddistinti. Ma erano comunque due Cavalieri dotati di immani poteri, e Ascanio non poteva rischiare di affrontarli direttamente. Ne andava della sua, e della loro, immunità.
Così si lasciò cadere sulle ginocchia, di fronte agli sguardi incuriositi dei due uomini, socchiudendo gli occhi e lasciando che il cosmo fluisse dentro di lui, entrando in comunione con la natura circostante, con l’energia mistica che da millenni risiedeva in quel luogo. Sirio e Libra rimasero per qualche momento ad osservarlo, quasi assaporando la preda che, ormai vinta, si offriva per saziare la fame di sangue che stava divorando la loro anima. Ma quando fecero per lanciarsi contro di lui, si accorsero che Ascanio stava facendo dei cerchi sul terreno, prima di stringere un mucchio di terra nel pugno e scagliarla contro di loro, con tutto il suo cosmo. Una pressione micidiale fermò i movimenti di Sirio e di Libra, bloccandoli a mezz’aria, mentre una corrente di energia lambiva i loro corpi, schiacciandoli ogni volta che tentavano di muoversi.
"Maestro!" –Lo chiamò Ascanio, sollevando lo sguardo verso di lui. –"Risvegliate la vostra vera essenza! Cacciate il demone annidato dentro di voi! Vincete la demoniaca fragranza della Rosa di Rabbia! Potete farlo! Ne sono certo!"
"Io…" –Balbettò Libra, per un momento colpito dalle parole di Ascanio. Ma subito gli istinti animaleschi presero il sopravvento, inebriati dall’odore del sangue attorno, dalla nuova preda che avrebbero sventrato entro pochi minuti, e spinsero Libra a dimenarsi furiosamente, cercando di estirpare quella corrente di fuoco fatuo che lo teneva prigioniero. Stessa cosa fece Sirio, e ad Ascanio sembrò che, in virtù del maggior livello raggiunto, il ragazzo fosse sul punto di riuscirvi. Per questo decise di agire, senza perdere altro tempo. Concentrò il cosmo dentro al cuore, lasciandolo fluire all’esterno sotto forma di un drago di luce bianca, il drago della vita, proprio mentre Sirio e Libra si liberavano dalla sua prigionia mentale.
"Nella cultura celtica i draghi o serpenti sono il simbolo del duplice potere della creazione! Mantengono le forze in equilibrio dinamico, rappresentando la potenza dell’universo! Un potere capace di dare vita e morte! Contro i nemici, che alla guerra soltanto anelano, Avalon solleva il drago rosso, intinto di sangue e distruzione, ma verso gli amici, per purificare il vostro animo infetto, rivolgerò il dragone bianco, i cui poteri, come quelli del Pozzo del Calice di Glastonbury, sanano le ferite e donano la vitaaa!!!" –Gridò Ascanio, liberando il suo potere cosmico. –"Attacco del Drago Bianco!!!" –E la maestosa sagoma di un drago di energia, risplendente di vivida luce bianca, travolse Sirio e Libra, intenti a scagliare i loro colpi segreti.
Gli attacchi dei due Cavalieri, portati confusamente e senza concentrazione, svanirono all’istante, fagocitati dal lucente sfolgorio del Dragone bianco, che trapassò i loro corpi, scaraventandoli a terra. In quel momento arrivò correndo Fiore di Luna, piangendo e chiamando Sirio a gran voce. Anche nei suoi occhi brillava una luce sinistra, un fuoco infernale, a causa degli effluvi della rosa di rabbia.
"Che cosa gli hai fatto? Come hai osato colpire Sirio?!" –Gridò, avventandosi su Ascanio e iniziando a tempestarlo di schiaffi e di colpi, finché il ragazzo non la interruppe, afferrandole le braccia, senza stringere troppo, e fissandola con il suo sguardo, quasi volesse leggerle nell’anima. Lentamente Fiore di Luna iniziò a tranquillizzarsi, mentre un’angelica presenza pareva fluire dentro di sé, una voce lontana, un sospiro nel vento, che la spinse a farsi forza e ad aggrapparsi all’unica cosa che potesse cancellare la rabbia dal suo cuore. La preghiera.
Soffocando le lacrime, la ragazza cadde a terra, rannicchiandosi e iniziando a mormorare parole che Ascanio non riuscì a comprendere interamente, ma che sembravano il Padre Nostro della religione cristiana. Tra le mani, scintillò un crocifisso d’argento, l’unico legame che la ragazza aveva ancora con i suoi genitori. Tutto ciò che aveva in tasca quando il Vecchio Maestro l’aveva trovata anni addietro. Ascanio sorrise, prima di chinarsi sui corpi dei due uomini, avvolgendoli entrambi in un confortevole abbraccio con il suo cosmo curativo.
Sirio fu il primo a risvegliarsi, scuotendo la testa stordito, ed ebbe bisogno di qualche minuto per riordinare i confusi frammenti del suo passato recente. Per un attimo le immagini di Libra che si lanciava contro di lui ad artigli sguainati lo invasero, piegandolo in due dal dolore, e Ascanio dovette incitarlo a far appello a tutta la sua energia interiore, a tutta la saggezza accumulata negli anni, affinché l’istinto bestiale di nuovo non lo sopraffacesse.
"Resisti, Sirio! La tua sapienza lo vincerà!" –Commentò Ascanio, mentre anche Libra si risollevò, guardandosi attorno confuso. Ascanio sorrise ad entrambi, prima di crollare sulle ginocchia, stanco per il lungo sforzo mentale. –"Non ho cacciato del tutto l’ombra dai vostri cuori, perché essa è anche parte di voi! L’istinto è delle bestie come è dell’uomo, ma il nostro raziocinio, il nostro controllo, deve saperlo dominare senza estirparlo completamente!"
Libra si mise in piedi, osservando le ferite sul suo corpo e su quello dei suoi allievi, e sentendosi tremendamente in colpa per l’accaduto. Allungò una mano verso Sirio, accennando un sorriso e aiutandolo a rialzarsi, proprio mentre Fiore di Luna si riscuoteva dalla sua preghiera, voltandosi verso di loro. Arrossì non appena incrociò lo sguardo del Cavaliere di Libra, e spostò lo sguardo, per nascondere gli occhi rossi dalle lacrime. Ma l’uomo le si avvicinò, prendendole una mano e costringendola a voltarsi e a fissarlo negli occhi. In occhi sereni, adesso.
"Perdona le mie parole, Fiore di Luna! Sono state dettate soltanto dalla rabbia!"
"No, Maestro! Perdonate voi questa stupida ragazza! Per un attimo, accecata dai miei sentimenti, ho dimenticato la riconoscenza che provo per voi, e l’abnegazione con cui da anni servite la giustizia! Sono stata molto infantile, vi prego di scusarmi!"
"Credo che tutti dovremmo un po’ scusarci, prima di tutto con noi stessi!" –Intervenne Sirio, avvicinandosi e abbracciando entrambi.
Ascanio si risollevò in quel momento, attirando gli sguardi su di lui. Sirio avrebbe voluto ringraziarlo ma il Cavaliere di Zeus con un gesto lo pregò di non parlarne più. Non era ancora finita. Doveva distruggere le rose fuori dalla pagoda e poi tornare sull’Olimpo ad informare Zeus. E c’era un’altra cosa che si stava chiedendo da un’ora ormai, cosa fosse quell’Isola delle Ombre di cui Orochi e Menas avevano parlato? Forse il luogo ove Flegias si era rifugiato? Non aggiunse altro e iniziò a correre verso il sentiero, raggiungendo in fretta l’abitazione del Cavaliere di Libra. Là, con un veloce attacco energetico strappò via tutte le rose di rabbia, ma sgranò gli occhi quando vide che nuovi fiori sorgevano dal terreno appena estirpato.
Maledizione, Menas aveva ragione! È un cerchio senza fine! Commentò Ascanio, osservando il fallimento di un nuovo attacco. Ed io sono pure stanco! Non aggiunse altro e tornò indietro, ai piedi della montagna, dove Sirio e Libra stavano pulendo le loro ferite con l’acqua del fiume dei Cinque Picchi. Spiegò loro la situazione, pregandoli di andarsene quanto prima, per non essere nuovamente infettati.
"Trovate un riparo, Maestro, per voi e per Sirio e Fiore di Luna, una sistemazione qualunque! Ma lasciate la Cina! Finché le rose di rabbia non saranno estirpate i vostri istinti bestiali potrebbero riprendere il sopravvento in qualsiasi momento! Andate al Grande Tempio, io mi recherò ad Avalon! Il mio Maestro forse conoscerà un modo per risolvere questa fastidiosa situazione!" –Spiegò Ascanio, preparandosi per partire. Libra gli si avvicinò, con aria piena di orgoglio per la maturazione del discepolo, e gli mise una mano sulla spalla.
"Come già ebbi modo di dire a Sirio, durante il suo scontro con Arge lo Splendore… non sono più il tuo maestro, Ascanio! Adesso sono un amico! Un compagno al cui fianco combattere!" –Sorrise il Cavaliere d’Oro, commuovendo il ragazzo.
Ma quando Ascanio concentrò i propri sensi per raggiungere l’Olimpo, percepì un’oscura perturbazione nel cosmo. Un’immensa ombra che pareva sopraffare corpi di uomini straziati dal dolore. Tra le grida, riconobbe quelle di Gwynn, Cavaliere Celeste del Biancospino, e la voce solida di Phantom, che lo incitava a resistere, nonostante la ferita al petto. In mezzo al sangue, e al delirio di mille uomini in fuga, strati di ombre avanzavano inghiottendo ogni forma di luce. Il tempo era infine scaduto e la grande oscurità era arrivata. Ascanio scosse la testa, cercando di liberarsi da quel mistero che aveva appena vissuto, da quella strage di eroi a cui aveva appena assistito. Libra si accorse del turbamento del ragazzo e avrebbe voluto chiedergli qualcosa, ma quando fece per parlare Ascanio era già scomparso. Svanito in una nube di luce.
Anche se non era riuscito a distinguere il luogo, Ascanio aveva compreso dove si trovavano Gwynn, Phantom e gli altri Cavalieri Celesti. Sull’Isola delle Ombre, ove Flegias aveva aperto le porte dell’inferno. Avvolto nel suo mantello scarlatto, nella caverna sotterranea dell’isola dell’Egeo, il Gran Maestro di Ombre aveva ascoltato con attenzione il resoconto di Orochi, che si era lamentato con Menas per essersi lasciato scoprire.
"Così adesso i Cavalieri staranno all’erta, impedendoci nuove incursioni! Razza di incapace, avresti dovuto farlo fuori quel galoppino di Zeus!"
"Non è delle incursioni che mi preoccupo!" –Lo interruppe Flegias, meditando attentamente sul da farsi. –"Avvolti nelle ombre che ho generato, potremmo raggiungere ogni angolo di questa sporca terra! Ma è della tua livrea che mi dispiaccio! Cosa ne è della nera corazza che Athanor aveva forgiato per te? Ne restano pezzi sparsi sul tuo inutile corpo, macchiati di sangue e vergogna!"
"Pietà, Grande Maestro di Ombre! Ho cercato di oppormi, ma il potere di quell’uomo mi ha sovrastato! E l’armatura nera è andata subito in frantumi!" –Esclamò Menas.
"Bugia!!!" –Intervenne Athanor, che stava origliando la conversazione.
"Devo dunque dedurre che le tue corazze valgano meno della tua vita, Alchimista Oscuro?!" –Ringhiò Flegias, sfoderando gli artigli della mano destra, su cui concentrò il cosmo, prima di sferzare Athanor in pieno viso, gettandolo a terra, con la veste tinta di sangue e il volto sfregiato.
"No, no!!! La corazza di Menas era la prima, la prima che ho creato! Era ancora imperfetta, come le armature dell’Isola Nera! Ma grazie al sangue del Dio Asclepio e al potere della pietra nera ho potuto migliorare la loro resistenza, ho potuto…"
"Prega che la mia corazza non subisca danno alcuno, viscido servitore, o pulirò i graffi con il tuo sangue!" –Esclamò Orochi, stizzito. –"Non vorrei che costui fosse ancora legato ad Atena, mio Signore! Potrebbe venderci ai greci!"
"Fa silenzio, Orochi! Sei un guerriero, non un filosofo, e non ti ho chiesto di pensare!" –Lo zittì Flegias, avvicinandosi poi a Menas e a Athanor, rintanati in un angolo della caverna. –"Parlami di quel Cavaliere di Zeus! Chi era? Qual era il suo nome?"
"Non lo so, non conosco il suo nome, non l’avevo mai visto! Emanava una potenza mistica, un cosmo intriso di storia e leggenda, ed ha nominato Avalon! Sì sì, l’Isola Sacra! Diceva di essere immune agli effluvi della mia rosa, ma credo comunque che abbia risentito del veleno dei rovi!" –Spiegò Menas, con agitazione.
"Avalon?!" –Gridò Flegias di scatto, avvampando di fuoco e di ombra. –"Quei bastardi!!! Sanno dei talismani e vogliono impedirmi di trovarli! Vogliono raggiungerli prima di me, ma glielo impedirò!!! Sì, glielo impedirò!" –Ringhiò, sfoderando la spada infuocata, che portava alla cinta della lunga veste, e mozzando con un secco colpo la testa di Menas. –"Il tuo ruolo nella storia è concluso! Hai finito di servirmi, inetto!"
Athanor e Orochi non dissero niente, limitandosi ad un breve sguardo di intesa. Il silenzio era per loro l’arma migliore da usare, ne convennero entrambi, seppur Orochi mantenesse il fiero e composto atteggiamento di un guerriero, mentre Athanor arrancasse ancora, accanto al corpo sanguinante di Menas. Un’occhiata di Flegias lo fece impallidire.
"Cosa aspetti, alchimista? La benedizione degli angeli e di tutto l’Olimpo?! Aspetteresti invano, perché presto li caccerò tutti nel Tartaro, sprofondando ognuno di loro in una tenebra senza fine!!! Ah ah ah!" –Rise Flegias, nel cosmo che avvampava attorno a sé. –"Prendi il sangue di quell’inutile bestia e fanne buon uso, di modo che possa almeno servire a qualcosa da morto! Che non si dica che il Gran Maestro di Ombre non rende omaggio ai suoi fedeli!!! Ah ah ah!" –Rise ancora, mentre Athanor sollevava, con un certo ribrezzo, il corpo mutilato di Menas e lo portava via, verso le grandi fornaci, scomparendo nell’ombra dei sotterranei. –"Idiota! Quanto ancora credi che mi servirai?" –E sghignazzò, voltandosi verso Orochi, ed osservandolo compiaciuto ridere a sua volta.
In quella, sentì decine di cosmi lucenti apparire nelle lande di quell’isola brulla, e sogghignò, pronto a scendere in campo. Gettò via il nero mantello che lo rivestiva, sfoderando la sua scarlatta Armatura, i cui oscuri riflessi parevano fondersi con la tenebra circostante.
"Che si facciano avanti, i prodi difensori delle stelle! Li osserverò cadere uno ad uno, decomporsi sul terreno, fino a diventare cibo per le mie ombre! Fino a diventare l’esercito silenzioso con cui invaderò il mondo!" –Declamò a gran voce, sollevando la Pietra Nera verso l’alto e lasciando che liberasse un’immensa nube di energia nera. Una nuvola tetra, quasi indistinguibile in quell’antro oscuro, da cui Orochi vide fluttuare via centinaia e centinaia di ombre, neri spiriti vaganti che traboccarono all’esterno, per oscurare la luce delle stelle e di tutti coloro che l’avrebbero difesa.
Che vi fosse movimento, sull’Isola delle Ombre, era evidente anche per le decine di giovani imprigionati nelle caverne, costretti a lavorare nella grande fucina e sorvegliati a vista dai servitori del figlio di Ares. Feriti durante l’assalto dei berseker al Grande Tempio, erano stati sequestrati e condotti in quell’oscuro antro, impossibilitati a scappare a causa della paura che il solo sguardo di Flegias pareva incutere nei loro cuori. Erano orfani, erano smarriti, erano solo dei ragazzini arrivati in Grecia alla ricerca della Terra Promessa, di uno scopo nella vita, sulla scia delle leggende udite sui Cavalieri di Atena. E adesso erano degli schiavi, che lavoravano da settimane nelle prigioni sotterranee dell’isola, trasportando materiale e fondendone altro, sotto lo sguardo attento di Athanor e di Flegias. Denutriti e debilitati, dormivano solo quattro ore a notte, costretti a mangiare pane raffermo e pezzi di carne cruda, di chissà quale animale, e a sorseggiare sporca acqua, che periodicamente gli veniva fornita. Qualcuno era pure morto per denutrizione, ma questo non impediva a Flegias di diminuire le scorte per gli schiavi, tanto poca era la considerazione che aveva di loro, dettata soltanto dall’utilitarismo.
Avevano provato una sola volta a ribellarsi, approfittando dell’assenza del figlio di Ares, impegnato a massacrare Asclepio a Pergamo, ma il tentativo era finito in un bagno di sangue. Ne erano morti tredici, e i loro corpi erano stati gettati nell’immonda fornace, che era parsa saziarsi di quel giovane sangue, allungandosi verso la sommità del vulcano con sinuose lingue di fuoco nero. Da allora avevano abbandonato ogni proposito di fuga, continuando a servire Flegias passivamente, come fossero automi, contando i minuti che li separavano da una fine che a tutti pareva inevitabile. Come i loro compagni, anch’essi sarebbero divenuti cenere.
"Stai attenta, Miha!!!" –Esclamò un ragazzo, dai biondi capelli sfilacciati. –"Non farti vedere in terra, rialzati, presto!"
"Io… non ci riesco, Matthew… Non ho più forze!" –Mormorò la ragazza, crollata sotto il peso di lastre di metallo che non riusciva più a portare, stanca e sfinita.
"Coraggio, Miha! Alzati!!!" –Cercò di incitarla Matthew, prima che la cavernosa voce del loro sorvegliante li richiamasse.
"Cosa fate, schiavi? Osate interrompere la catena di produzione? Alzati, inutile femmina!!!" –Esclamò rozzamente il carceriere, avvicinandosi ai due e schioccando una lunga frusta fiammeggiante sul suolo. Bastò quel rumore, agli altri schiavi, per scuotersi e ricominciare a lavorare, dimenticando quella scena che li aveva distratti per un momento. –"Alzati, ti ho detto! Flegias vi ha risparmiato la vita, abbiate almeno il buon senso di rendergli grazie!" –E la sferzò sulla schiena, bruciandole la maglietta strappata che indossava, e sbattendola a terra, mentre la ragazza gridava di dolore. –"Non ho capito le tue parole!" –E la colpì di nuovo. E di nuovo ancora. Fino a scavare lunghi solchi di fuoco sulla sua giovane schiena.
"Miha!!!" –Gridò Matthew, di fronte a quell’orribile visione. E gettò via il materiale che stava trasportando, lanciandosi sul carceriere, per fermare quella tortura. Ma l’uomo non si fece sorprendere, colpendo Matthew in pieno viso e sbattendolo a terra.
"A cuccia, ragazzino!" –Ringhiò il sorvegliante, stringendo con fierezza la frusta nelle sue mani. L’unica arma che lo poteva realmente far sentire uomo, che lo poteva realmente far sentire interessante e utile. Poiché senza quella, che Flegias gli aveva dato affinché tenesse d’occhio quella mandria di mocciosi, non sarebbe stato nessuno, e di questo era consapevole anche lui. E in tal caso, semplicemente uno tra i tanti, sarebbe finito in schiavitù proprio come loro. –"Non accadrà!" –Mormorò, stringendo i vecchi denti gialli. –"Non accadrà!!!" –E colpì di nuovo Miha, che stava cercando di rimettersi in piedi, sbattendola nuovamente a terra, in un lago di sangue.
A tale vista, tutti gli altri schiavi si abbandonarono ad espressioni di disgusto e di paura, dispiaciuti per la sorte della ragazza ma troppo impauriti per muovere un dito per salvarla. Tutti tranne Matthew, che si rimise in piedi, pulendosi con un braccio il sangue che gli colava dal labbro rotto e fissando il carceriere con immenso disprezzo.
"Abbassa quello sguardo, moccioso!" –Esclamò l’uomo, sbattendo la frusta nel terreno di fronte a lui, e gettando contro Matthew schizzi di terra. Ma il ragazzo non si mosse, e continuò deciso a fissarlo, mostrandogli tutto il suo disprezzo. –"Abbassa lo sguardo, hai capito?!" –Ringhiò, facendo schizzare la frusta nell’aria, diretta verso il volto di Matthew, ma questi fu abile a chinarsi e a evitarla, afferrandola poi con un braccio. –"Come osi, lurido orfano bastardo?! Rimpiangerai quest’arroganza!"
"E la tua non è arroganza, Bahrein?! Un uomo che non vale niente e fa bella mostra della sua presunta superiorità agitando una frusta avuta in dono da un Dio crudele!" –Lo derise Matthew, stringendo la frusta con forza. –"Ho pietà di te, perché sei un debole! Un debole che ha bisogno di un’arma per farsi rispettare!"
"Maledetto cane! Ti taglierò quella lingua saccente!" –Ringhiò Bahrein, tirando la frusta a sé e caricandola di fiamme oscure, che avvolsero l’arma, ustionando le mani di Matthew, che fu obbligato a lasciare la presa. Questo permise all’uomo di richiamare a sé il suo scudiscio, prima di lanciarlo di nuovo contro Matthew, sbattendolo a terra e avvolgendolo in una stretta presa, con la sua frusta di fuoco. –"Stringe, vero, ragazzo? Adesso non sputi più sentenze, ma ti contorci dal dolore, e ne godo! Sì, trabocco di goduria nel vederti dimenare quel tuo esile corpo! Soffri, cane! E voialtri guardate i segni dell’infamia, impressi dalla mia frusta! Stessa sorte subirete voi se oserete ribellarvi a me!!!" –Esclamò Bahrein, mentre gli altri schiavi indietreggiavano intimoriti. –"E adesso…" –Aggiunse, stringendo ancora la presa su Matthew, ma accorgendosi che il ragazzo non si dimenava più. –"Sei già morto?!" –Si disse, non capendo cosa stesse accadendo, come potesse non provare più alcun dolore sottoposto alla stretta ustionante della sua frusta.
"Bahrein!" –Lo chiamò Matthew infine, mentre tutto il suo corpo veniva avvolto da un sottile strato di luce bianca. –"Il segno dell’infamia… lo proverai tu, sul tuo corpo!" –Gridò il ragazzo, allargando improvvisamente le braccia, facendo forza, e strappando i lacci della frusta che lo imprigionavano, di fronte agli occhi stupefatti di Bahrein e degli altri schiavi. Quindi, a fatica, Matthew si rimise in piedi, ancora avvolto in quella nube di luce bianca. –"Hai calpestato la dignità degli uomini troppo a lungo! Devi pagare, adesso!" –E si lanciò contro di lui, con il pugno destro avanti, colpendo l’uomo in pieno volto e spingendolo indietro, fino a farlo accasciare a terra.
Il servitore di Flegias si tastò la guancia distrutta, sputando sangue e qualche vecchio dente giallo, prima di rimettersi in piedi a fatica, afferrando quel che rimaneva della sua lunga frusta, ormai ridotta a un misero scudiscio di mezzo metro. Ma Matthew non gli diede possibilità di utilizzarlo, lanciandosi contro di lui e colpendolo con una spallata decisa in pieno petto, sbattendolo contro il muro, prima di iniziare a tempestarlo di pugni. Uno dopo l’altro, destro e sinistro, sinistro e destro, con una compostezza formale che non aveva niente di improvvisato, ma era il frutto di due anni di addestramento. Anni che Matthew aveva creduto di aver dimenticato per molto tempo e che adesso aveva improvvisamente riscoperto. Con un ultimo affondo gettò Bahrein a terra, il volto trasfigurato dalla violenza dei pugni, il sangue che colava copioso dalla bocca e dagli occhi. Il vecchio aguzzino arrancò per qualche metro sul suolo, allungando la mano verso lo scudiscio, prima di spirare.
Un attimo dopo Matthew venne circondato da un gruppetto di schiavi, che si congratularono con lui per la splendida azione. Ma il ragazzo non diede loro troppo ascolto, preoccupato per le condizioni di Miha. Si chinò su di lei, debole e febbricitante in un lago di sangue, e le sfiorò la fronte, incrociando il suo sguardo spento. Miha sorrise, e in quel gesto parve comunicare molte cose, ricordare tutto ciò che lei e Matthew avevano vissuto negli ultimi anni, da quando si erano conosciuti.
"Hai ritrovato te stesso!" –Mormorò la ragazza a fatica, sollevando una mano verso il viso di Matthew. Stanco come il giorno in cui l’aveva incontrato per la prima volta, al porto di Atene, intento a scaricare merci da un battello per guadagnarsi da vivere. –"Ma in fondo al cuore, credo che tu non l’avessi mai dimenticato! Sono stata felice… di assistere… alla tua rinascita!" –Tossì Miha, parlando con difficoltà, mentre Matthew cercava di sollevarla, per portarla via. Ma lei lo fermò, fissandolo un’ultima volta, prima di parlare direttamente al suo cosmo. –"Sii onesto con te stesso, Matthew, e non aver mai paura di essere quello che sei!"
"Miha!!!" –Gridò Matthew, osservando la ragazza chiudere gli occhi. –"Miha!!!" –La scosse, quasi per ridestarla dal sonno in cui era precipitata e per non ammettere che l’aveva lasciato. Anche lei. Come i suoi genitori e il suo maestro prima di lei. Pianse, chino sul corpo straziato della ragazza, prima che un gruppo di schiavi gli si avvicinasse.
"Vattene, Matthew! Almeno tu!" –Gli dissero. –"Noi siamo stanchi e deboli, non faremmo molta strada! Ma tu hai dimostrato di avere un fuoco dentro, un fuoco che non si spegnerà mai, perché arde per la giustizia e per le stelle! Lascia che il tuo cosmo ti guidi via da questo inferno!"
"Voi… verrete con me!" –Esclamò Matthew, rimettendosi in piedi e cercando di incitare gli altri ragazzi a seguirlo.
"E dove? Verso la morte?" –Ironizzò qualcuno, proprio mentre il vulcano rombò, sbuffando fumo nero dalla sua cima e facendo tremare le profondità delle caverne, strappando grida di terrore a tutti gli schiavi rinchiusi. Matthew abbassò di nuovo lo sguardo verso Miha, e la vide dormire con un sorriso sereno sul volto, che le ricordò quello in cui si era specchiato per mesi. E che gli aveva dato la forza di andare avanti, e tornare al Grande Tempio. Strinse i pugni, sospirando, prima di annuire con il capo e correre via, lanciandosi verso le scale scavate nella roccia che conducevano in superficie. Si fermò un’ultima volta, ad osservare i compagni che abbandonava nella fornace, promettendo loro di fare ritorno.
"Per salvarvi!" –Si disse. –"Per salvare tutti noi!" –E si lanciò nell’ombra a capofitto.