I MITI DEI PROTAGONISTI: AIACE
By Death Mask e Dark Pisces
Aiace è una figura della mitologia greca, era figlio di Telamone e di Peribea. Era il re di Salamina, chiamato "il grande" (o Aiace Telamonio) per distinguerlo da Aiace di Locride anche lui presente all'assedio di Troia.
Omero lo presenta come uomo di alta statura e di grande vigore, sempre pronto a battersi, ma con scarsa intelligenza: riuscì a battere Ettore in duello, ma la lotta corpo a corpo con l'astuto Ulisse non diede ne vinti ne vincitori. Aiace non compare solo nell'Iliade, esistono parecchi racconti sulla sua nascita. Uno di questi, vede la presenza di Eracle. Il dio, che si trovava in visita a Telamone, stese alla vista del re la sua pelle di leone, augurandogli che il figlio che gli stava per nascere, fosse forte come un leone. Un'aquila, inviata da Zeus, annunciò che il voto sarebbe stato esaudito. Omero non accenna alle circostanze della sua morte, anche se nell'Odissea (libro XI), Aiace appare come un'ombra astiosa che si rifiuta di rivolgere la parola ad Ulisse nel mondo sotterraneo. Aiace ed Ulisse si erano disputate le armi di Achille dopo la sua morte, nella cosiddetta hòplon krìsis, il giudizio della armi. Questa leggenda, ripresa in particolare ed interpretata dal tragediografo greco Sofocle, testimonia il dibattito presente nel mondo greco classico sulle virtù guerriere più importanti, l'astuzia ed la forza indomita. E' un confronto fra il guerriero arcaico, preso da furia divina e mortifera in combattimento (lyssa in greco, furor in latino) ed un più moderno tipo di combattente, abile nelle armi ma sostenuto, oltre che dal favore divino (Ulisse è protetto da Atena) dalla saggezza e dalla malleabilità di fronte alle situazioni. La morte del grande eroe omerico Aiace è molto simbolica, rappresenta un cambiamento epocale nella guerra e nell'etica greche. E' finita l'era delle guerre combattute da singoli eroi di valore eccezionale ma isolati, capaci quasi da soli di salvare i compagni dalla disfatta, come ha fatto Aiace nel XII libro dell'Iliade. Aiace è la torre, l'estremo balurdo dell'esercito acheo e questo suo ruolo è indicato dal suo scudo, altissimo e rinforzato da sette pelli di bue. Ma non può prendere Troia: il coraggio non basta. Per vincere il nemico sono necessarie l'intelligenza e l'inganno. La sconfitta di Aiace è inevitabile e la vera causa della morte non sono la vergogna o l'odio verso Ulisse, sentimenti certo presenti ed importanti, ma la comprensione da parte dell'eroe arcaico che un mondo, quello di Achille, di Giasone, dei Sette re contro Tebe è finito. Aiace non può cambiare, non può accettare di rinunciare ai suoi principi ed ai suoi ideali per continuare a vivere accettandone dei nuovi; la morte è l'unica strada. Indicativo dei mutamenti mentali ed etici presenti nella società greca ed esternati dal mito è un particolare della leggenda della contesa delle armi, ossia il giudice che assegna le armi ad uno dei contendenti: sono i prigionieri troiani (o gli Achei stessi, nella tragedia Aiace di Sofocle) a dare la vittoria ad Ulisse, prima ancora che quest'ultimo architetti l'inganno del cavallo. Più che la virtù (aretè) è l'inganno astuto (me^tis) che fa vincere le guerre E' Aiace stesso a darsi la morte, folle di rabbia per la sconfitta subita. Della sua morte parlano Omero, Odissea, XI,541-564, Pindaro, Nem.VIII, 26 ed il mitografo Apollodoro, Epit.V,6. Venne seppellito sul promontorio di Reteo.
Aiace ebbe un figlio da Tecmessa: Eurisace.
C'è anche un altro Aiace che compare nell'Iliade, Aiace Oilide. Costui era un valoroso guerriero proveniente dalla Locride,piccola regione della Grecia centrale. Di carattere litigioso e crudele,agì con particolare empietà durante la distruzione di Troia: strappò dall'altare di Pallade Athena la profetessa Cassandra, figlia di Priamo.La dea si vendicò facendolo naufragare nel viaggio di ritorno; in un primo momento fu salvato da Poseidone, ma,rifugiatosi su uno scoglio, si fece incautamente vanto d'essere sfuggito all'ira di Pallade Athena; allorchè fu scaraventato in mare da Poseidone stesso, o, secondo un'altra versione, da un fulmine di Pallade medesima.