IL GRANDE AMORE DI ATENA
Questa storia, scritta da Yoshiyuki Suga ed illustrata dalla coppia Araki - Himeno, è la "side story" pubblicata sul libro Jump Gold Selection n°3. I tre libri "Jump Gold Selection" sono splendidi volumi originariamente scritti in Giappone e dedicati esclusivamente all'anime.
Su ciascun libro, oltre a vari articoli ed immagini, c'è una "storia mai narrata", ovvero la storia di avvenimenti che, pur essendo avvenuti, non sono stati trattati dettagliatamente dall'anime. La prima storia, che narra la vita di Andromeda e Phoenix, è stata scritta da Takao Koyama, lo sceneggiatore principale dell'anime, ed è stata illustrata da Nobuyoshi Sasakado, già disegnatore di alcuni episodi della serie. La seconda storia è stata scritta da Koyama ed illustrata dalla coppia principale di disegnatori, ovvero Shingo Araki e Michi Himeno. La storia narra i retroscena della morte di Micene, l'ascesa di Gemini come Grande Sacerdote ed il ruolo giocato da Capricorn nella vicenda. La terza storia, quella sulla quale è incentrato questo articolo, si intitola "Il Grande Amore di Atena" ed è ambientata tra la sconfitta di Gemini e l'inizio della saga di Asgard.Sia la prima che la seconda storia sono disponibili negli articoli del sito, con i titoli "Andromeda e Phoenix" e "La storia segreta di Capricorn".
Capitolo Primo
I dodici fuochi della meridiana che segnano il passaggio del tempo si sono già spenti. Nel cielo notturno la luce di un numero infinito di stelle risplende lievemente, come nel tentativo di alleviare le ferite dei ragazzi che per la prima volta nella storia hanno sconfitto il Grande Tempio, in quella che ora è chiamata "La battaglia delle dodici case".
La crudele battaglia che è durata più di 12 ore è giunta alla sua conclusione.
Persino dopo che i cavalieri d'oro sopravvissuti avevano preso Sirio ed i suoi amici per prestargli le prime cure, Isabel continuò ad abbracciare Pegasus ed a stringerlo al petto. Non importava quante volte lo chiamasse, Pegasus non aveva più la forza di rispondere, e lei non poteva asciugare le lacrime che le scorrevano sulle guance. Isabel continuò a chiamare Pegasus dal profondo del cuore
- Pegasus…-
Quante volte aveva già chiamato quel nome…
All'epoca in cui Isabel era una bambina testarda ed egoista, prima che conoscesse il suo destino come reincarnazione della Dea Atena, Pegasus era stato l'unico ad affrontarla apertamente.
Pegasus, che era stato separato da sua sorella, l'unica famiglia che aveva al mondo, che era stato candidato a diventare cavaliere e che era stato obbligato a subire un durissimo addestramento, aveva cercato con tutte le sue forze di sfogare la propria rabbia e la propria frustrazione su Isabel, come qualcuno che, sentendosi un giocattolo abbandonato al vento, odia il proprio destino e non da valore a nulla.
Isabel pensava che più si volgeva contro di lei e più la odiava, ma fin dalla gioventù aveva capito una cosa
Come unica ereditaria della Grande Fondazione, Isabel sembrava avere una vita senza preoccupazioni, ma in realtà non aveva nessuno di cui potersi fidare, era sola. Anche se aveva molti servitori ed aspiranti cavalieri in ginocchio ai suoi piedi, non era felice. Isabel sentiva che tutti piegavano il capo di fronte alla presidente della Fondazione Thule, non di fronte a lei. La sua era solitudine, impazienza, instabilità, rabbia… e quando si vedeva riflessa negli occhi di Pegasus, capiva quanto fossero simili. E mentre tormentava Pegasus, delle voci nelle profondità della sua anima gridavano
Non appena aveva scoperto il suo destino come Atena, Isabel aveva cercato di distruggere la parte umana in lei.
Erano passati 6 anni da quando Pegasus e gli altri erano stati inviati nei luoghi più sperduti del mondo per ottenere le loro armature. Quando erano tornati in Giappone, li aveva messi di nuovo alla prova, facendoli combattere nel Torneo Galattico. Avevano già dovuto soffrire molto per ottenere le loro armature, e lei, crudelmente, li aveva fatti combattere tra di loro. Isabel aveva agito come di quelle regine davanti alle quali gli schiavi si inginocchiavano fin dall'epoca dell'antica Grecia, non c'era dubbio che si fosse comportata in questo modo con Pegasus e gli altri.
Persino quando Seiya indossava l'armatura di Pegasus ed il suo volto, vigoroso e sicuro di se, del cavaliere che era diventato, la fronteggiava, Isabel vedeva in lui il bambino del passato.
Isabel fermò le parole di ringraziamento verso Pegasus prima che le uscissero dalle labbra, non gli sarebbero state di alcun aiuto
Il cosmo di Atena si stava risvegliando dentro di lei, Isabel aveva sentito chiaramente che la Guerra Galattica sarebbe stato solo un semplice preludio, e che da quel giorno in avanti molte battaglie avrebbero atteso Pegasus ed i cavalieri.
Dopo di allora vi erano stati tempi difficili, ed in alcuni momenti la freddezza tra Isabel ed i cavalieri era scomparsa. Ogni volta che avevano affrontato una dura prova o una terribile battaglia, ogni volta che avevano superato un ostacolo, la distanza tra loro si era ridotta.
Isabel non era più Isabel, era Atena… Pegasus e gli altri cavalieri l'avevano protetta, ed ora anche lei voleva proteggerli.
Nonostante tutte le battaglie, il sorriso di Pegasus, capace di attraversare le barriere del tempo, la sbalordiva. Ovviamente Pegasus non l’offriva a Lady Isabel, ma ad Atena, ed al simbolo di pace sulla terra che la Dea rappresentava. Ciononostante, Isabel era felice di riuscire a rispondere col cuore a quel sorriso. Quando erano bambini, chiamava Pegasus dal profondo del cuore, e la risposta a quella preghiera era nascosta in quel sorriso. Quando quella sensazione di calore le bruciava nel cuore, improvvisamente smetteva di essere Atena e diventava di nuovo una ragazza comune.
Per di più, ora che sentiva contro il suo petto il tepore del volto di Pegasus, ferito ed esausto, il dolore della ferita provocata dalla freccia d'oro di Beteljuse spariva e diventava gioia. Ora desiderava che le cose restassero per sempre così, che i cavalieri non dovessero più affrontare dure battaglie e portare sulle loro spalle la responsabilità della vita di Atena. Sollevò il viso, come per chiedere una risposta alla statua di Atena che svettava davanti a lei. L'espressione sul suo volto era quella di Lady Isabel, una ragazza spaventata come un uccellino che sta imparando a volare.
Solo un uomo era rimasto ad osservare i movimenti di Lady Isabel, Mur, cavaliere d'oro d'Ariete.
Capitolo Secondo: Atena, un amore che cresce
La mattina dopo, un grande clamore scosse il silenzio del Grande Tempio. Era il rumore di tutti coloro che erano accorsi a glorificare Atena ed a celebrare la sua venuta. A causa della cospirazione di Gemini, la figura della Dea era stata per lungo tempo coperta da un velo di mistero, e molti dubitavano persino della sua esistenza, ma ora Atena si mostrava a loro in tutta la sua bellezza e nobiltà. Tutti gli abitanti del Grande Tempio gioirono del risultato della battaglia e della vittoria della giustizia, e iniziarono a pregare, a credere che la ritrovata pace sarebbe durata per sempre.
La stessa speranza albergava nel cuore di Lady Isabel. Il Grande Tempio, che era un punto chiave per il mantenimento della pace sulla terra, si era trasformato in un campo di battaglia sul quale era stato versato il sangue di molti uomini. Il sorriso di Atena, dolce ed allo stesso tempo pieno di forza, era diretto a tutti coloro che erano di fronte a lei, uomini il cui cuore era privo di malvagità.
Eccetto uno…
Ai confini del Grande Tempio, in una fitta foresta, si trovava un antico tempio che nessuno aveva mai notato. Era conosciuto come "La fonte di Atena", non perché lì si trovava una splendida sorgente, ma perché l'aria che lo circondava da migliaia di anni sembrava come trapassare, congelare la pelle. Persino nel Grande Tempio, quasi nessuno sapeva di quel posto, che era come un miracoloso luogo di cura per i cavalieri. Tuttavia Pegasus e i suoi compagni erano agonizzanti per le gravi ferite ricevute in battaglia, quindi si decise di portarli lì per non lasciare nulla di intentato.
Tra le fronde della foresta, con la bianca gonna del vestito che ondeggiava davanti a lei, Isabel camminava rapidamente.
Mur apparve davanti a lei, tagliandole la strada. Il cavaliere notò la paura che per un attimo attraversò il viso della fanciulla, la paura di chi si sente colpevole di un terribile crimine, una cosa che non era tipica di Atena.
Mur stava leggendo nel suo cuore, ed aveva capito subito che la donna di fronte a lui non era Atena, era Lady Isabel.
Al sol pensiero il suo autocontrollo divenne più fragile del vestito che indossava.
Isabel cercò di allontanarsi da Mur, ma per qualche motivo le sue gambe erano come bloccate, e non poté muoversi.
Isabel ebbe la sensazione di poter sentire i lamenti ed i deboli battiti cardiaci di Cristal, Sirio, Andromeda e Phoenix, che, insieme a Pegasus, erano sdraiati sulla Fonte di Atena, come se stessero tentando con tutte le loro forze di far ardere di nuovo la fiammella delle loro vite, ormai quasi estinta. E non si trattava solo di loro, Atena si commosse al pensiero di tutti i cavalieri a lei fedeli che erano caduti in battaglia.
Di fronte a questa situazione, Mur le spiegò l'origine del nome "Fonte di Atena".
Sin dalle epoche mitologiche, ogni volta che scoppiava una guerra sacra, i cavalieri feriti venivano portati in quel tempio. Si diceva che il pugno di un cavaliere potesse fendere l'aria, che un suo calcio potesse frantumare il suolo. I cavalieri di bronzo in un secondo possono lanciare più di 100 colpi, ad una velocità superiore a quella del suono. I cavalieri d'argento possono lanciare il doppio, a volte anche il triplo, mentre i cavalieri d'oro possono lanciare più di 100 milioni di colpi e raggiungere la velocità della luce. Per questo motivo, i combattimenti tra cavalieri sono qualcosa di inimmaginabile, e le ferite riportate in battaglia non sono di poco conto. La struttura stessa della materia di chi subisce un colpo viene danneggiata, e quindi i medici non possono curare la maggior parte delle ferite riportate in questo genere di combattimenti. Molti cavalieri feriti aspettavano rassegnati che la morte venisse a prenderli in questo tempio, che per loro era come una seconda casa. La leggenda però narra che un giorno cadde una lacrima dal volto della statua di Atena. Una lacrima che era come un cosmo dorato, capace di trasformare un asciutto deserto in un’oasi verdeggiante. Questo cosmo avvolse il tempio e la zona circostante, e si narra che i cavalieri guarirono dalle loro ferite ed ebbero salva la vita.
Isabel, nonostante il dolore, capì bene quello che Mur aveva voluto indirettamente dirle con questa storia. Quando si volgeva a guardare il cielo, attraverso le fronde degli alberi poteva vedere l’espressione nobile ed al tempo stesso dolce della statua di Atena.
Stavolta non guardò Isabel direttamente, ma anzi rimase con lo sguardo perso in lontananza, forse per rispetto, come se quello fosse il modo per riconoscerla e venerarla come Atena, oppure per via di uno strano presentimento che sentì nell’accorgersi che la lontana stella polare aveva cominciato ad emanare un cosmo minaccioso.
Finalmente, dopo aver fatto un rispettoso inchino a Lady Isabel, Mur sparì tra gli alberi. Poco dopo, Isabel decise di seguire il suo consiglio e tornò alla villa di Nuova Luxor portando con se Asher, Kiki e gli altri.
In contrasto col suo cuore tormentato, il mar Egeo, che la fanciulla ammirava dall’aereo, brillava di una soave luce verde smeraldo.
Capitolo terzo: Un attacco misterioso
Erano passati diversi giorni da quando Isabel aveva abbandonato il Grande Tempio, ed anche se ormai la stagione temperata era arrivata, le giornate lì restavano chiare e fresche, come se anche il tempo stesse celebrando il ritorno di Atena.
Tuttavia, per qualche ragione quella mattina c’erano momenti in cui si avvertiva un’intensa corrente gelida. Alla Fonte di Atena, Pegasus e gli altri non si erano ancora svegliati e, nonostante stessero ricevendo tutte le cure possibili, le loro anime erano ancora in bilico tra vita e morte. Possibile che i loro corpi, così come le loro armature, non fossero sopravvissuti alla battaglia delle dodici case ? L’ansia dei cavalieri d’oro aumentò considerevolmente quando ricevettero da Mur la notizia che le armature di Pegasus ed i suoi compagni erano morte.
Quella notte…
I due soldati di guardia alla Fonte di Atena si stavano annoiando a parlare dello strano freddo che c’era lì quella notte e sbadigliarono all’unisono. Improvvisamente furono scossi da un tremito, e subito spalancarono con attenzione gli occhi stanchi per il sonno. Ebbero solo il tempo di gridare "C’è qualcuno ?" che caddero entrambi privi di vita al suolo, ai piedi di quattro o cinque ombre maschili che, senza fare rumore, si stavano introducendo nel tempio.
Come se stessero cacciando nella loro terra natia, eternamente coperta di neve, i cinque controllavano la loro respirazione e trattenevano l’energia nel tentativo di avvertire l’odore della preda.
I cinque uomini attraversarono correndo gli ampi corridoi, ed arrivarono senza la minima esitazione di fronte alla porta della stanza in cui i cavalieri di bronzo si trovavano. Con un potente calcio, abbatterono la porta, e all’interno trovarono Pegasus e compagni, ancora nei loro letti.
Uno dei cinque letti era vuoto.
Uno dei sicari volse la testa verso le tenebre del corridoio e nello scorgere la spettrale figura di un uomo trattenne a stento un grido.
Privo della sua energia vitale, con le guance affossate ma avvolte da una terribile aria di collera, Phoenix abbandonò le tenebre e si mostrò ai sicari.
Rispondendo alla provocazione lanciata da Phoenix, i sicari distrussero la finestra e si lanciarono all’inseguimento.
In condizioni normali, Phoenix sarebbe stato capace di liberarsi dei nemici con un solo colpo. Ora però era riuscito ad alzarsi dal letto solo grazie al suo istinto, che aveva percepito il cosmo degli assassini che si avvicinavano, e non si era affatto ristabilito dalle sue ferite mortali. Se il combattimento si fosse prolungato, non solo lui, ma anche i suoi amici sarebbero rimasti vittima del gruppo di sicari.
Senza curarsi di quanto il suo corpo potesse soffrirne, Phoenix aumentò il suo cosmo e lanciò il suo attacco più potente.
I sicari, che per la prima volta vedevano un attacco di fuoco così potente, spalancarono gli occhi dal terrore prima di crollare esanimi al suolo. In quel momento però, in corpo di Phoenix tremò per qualcosa di diverso dal dolore delle ferite. Era un cosmo gelido, dotato di grande potere ed inondato da un terribile istinto assassino, un cosmo che non poteva assolutamente essere paragonato a quello dei sicari di prima. L’ombra bianca che uscì dal bosco lanciò un colpo troppo veloce perché fosse visibile.
Phoenix rimase pietrificato di fronte al potente attacco di ghiaccio che si avvicinava rischiarando il posto con una luce azzurrina, come se stesse lacerando la notte. Un brivido gli percorse la schiena.
E non solo questo. Non aveva neanche l’armatura, era a corpo scoperto. Phoenix, che fino a quel momento non aveva mai avuto veramente paura di morire, vide un malizioso sorriso di vittoria sul volto dell’ombra, e si chiese se non fosse quello il sorriso col quale il Dio della morte invita i defunti.
Improvvisamente ebbe la sensazione di sentire da lontano la voce del fratello, ma ormai si era già rassegnato a morire e non c’era nulla che avrebbe potuto fare. Chiuse gli occhi e sentì il potente cosmo di ghiaccio esplodergli di fronte, poi si accorse di essere avvolto da un enorme energia.
Nell’aprire gli occhi vide che Shaka di Virgo si era posto davanti a lui, difendendolo dal colpo di ghiaccio. A quella visione, l’ombra bianca scomparve nella notte.
Grazie all'emblema di Odino inciso sulle armature dei sicari, fu subito evidente la loro origine: provenivano dal nord, erano soldati di Asgard.
Virgo rifletté su quella domanda. In realtà, se qualcuno voleva minacciare il Grande Tempio, quello era senza dubbio il momento migliore. La guerra intestina causata dalla ribellione di Gemini era finita e l'intero Grande Tempio si era riunito attorno ad Atena, ma in così poco tempo le cose non si erano ancora assestate, e Pegasus ed i suoi compagni, che durante la battaglia delle dodici case avevano mostrato una capacità superiore a quella dei cavalieri d'oro, stavano morendo in agonia ed erano senza dubbio un bersaglio facile.
Prima che Virgo potesse finire le sue parole, Phoenix gli si avvicinò.
Phoenix non poté far altro che accettare le parole di Shaka. D'un tratto, notò che l'armatura d'oro di Virgo era coperta di brina dopo aver subito l'attacco di ghiaccio, mentre in passato i suoi attacchi più potenti non erano stati capaci di farle neanche un graffio.
Per un attimo, nelle profondità della sua anima, Phoenix ebbe la sensazione di vedere uno strano bagliore provenire dalla stella polare e dalle sette stelle dell'Orsa. Fu soltanto molti mesi più tardi che Phoenix capì che colui che l'aveva attaccato quella notte era Bud di Alcor, cavaliere della stella Zeta.