SORPRESA AL TEMPIO DI ATENA
"Hanno sconfitto anche Apollo… il fiero e orgoglioso Apollo" pensò Zeus con un'espressione indecifrabile in viso.
Aveva seguito attraverso il cosmo la cruenta battaglia combattuta al decimo tempio, battaglia che Apollo era stato più volte vicino a vincere, ma che alla fine aveva perso a causa dell'insospettata determinazione del suo avversario, il cavaliere divino del Dragone. "Mancano solo due templi e poi avranno compiuto l'impossibile…diventare i primi esseri umani a mettere piede nelle mie stanze…ma i loro cosmi sono sempre più deboli, fiaccati dal dolore e dalla stanchezza, ed anche alla mia Atena ormai resta ben poco…" considerò la divinità.
"Quei cinque mortali stanno mostrando un'insospettata abilità, di questo passo i loro nomi saranno presto meritevoli di entrare nel mito al fianco dei nostri !" esclamò in quel momento una voce, e voltandosi Zeus vide avanzare verso di lui una donna il cui corpo era completamente ammantato in una tunica bianca, lunga abbastanza da toccar terra. I lunghi capelli castani spuntavano dal cappuccio della tunica e le scendevano sulle spalle, mentre sulla fronte brillava una corona d'oro d'alloro, che conferiva alla donna un aspetto solenne.
"Demetra…" mormorò Zeus riconoscendo la Dea, che però non si curò di lui e continuò "Hanno saputo sconfiggere la velocità di Ermes, il rancore di Hades, l'odio di Ares, l'abilità di cacciatrice di Artemide, le capacità di Apollo e qualsiasi altra cosa tu abbia messo sulla loro strada. Invero, imprese che sarebbero sorprendenti persino se compiute da un Dio…".
"E' vero, hanno mostrato doti… inattese. Ma la loro missione è lontana dall'essere compiuta, devono superare ancora due templi prima di poter arrivare fino a me !" tagliò corto Zeus, seccato dall'improvvisa intrusione di Demetra.
"Due templi… quello della fiera Era e quello di Atena, che di quei ragazzi è la Dea…" riflettè Demetra, ora a pochi passi dal signore dell'Olimpo.
"Esatto, il tempio di Atena, lo stesso tempio che ti sei rifiutata di difendere, disobbedendo ad un mio preciso ordine." Precisò Zeus, accigliandosi in volto "Devo forse interpretare questa tua visita come un tentativo di tornare sui tuoi passi ? Sei venuta ad avvisarmi che andrai a presiedere l'undicesimo tempio ?" chiese poi, ma Demetra scosse la testa.
"No, benché il tuo ordine fosse chiaro, non ho cambiato idea. Sai bene quanto io aborri la violenza, e per di più non ho ragioni per schierarmi contro Atena. I suoi cavalieri mi sono stati persino utili in passato… impedendo a Nettuno ed all'odiato Hades di portare a termine i loro piani, hanno salvato non solo l'umanità, ma anche le messi e la natura che a me sono sacre !" spiegò la Dea, sforzandosi di mantenere un tono calmo nonostante l'ovvio disprezzo per le azioni dei due fratelli.
"Dici di essere amante di pace, ma nonostante siano passati millenni è ancora vivo in te il rancore nei confronti di Hades per il ratto di Persefone…" commentò Zeus con un sorriso sarcastico.
"Neppure il tempo può far qualcosa per alleviare il dolore di una madre…" rispose Demetra con freddezza.
Zeus tuttavia si stava stancando di quell'inattesa conversazione, così chiese "Se non è per obbedire ai miei ordini, allora cosa ti ha spinto fin qui in un momento come questo, Demetra ?".
"Desiderio di sapere !" rispose seccamente la Dea, per poi continuare "In passato hai lasciato che Ares, Nettuno ed Hades mettessero in atto i loro piani di conquista, ti sei limitato ad osservare mentre scatenavano guerre sanguinose che avresti potuto facilmente fermare sul nascere… ora invece stai usando tutti i mezzi a tua disposizione, incluse noi Divinità, contro Atena e questi mortali. E tutto solo per vendicare il tuo orgoglio ferito ? io non lo credo !" dichiarò, in tono calmo ma allo stesso tempo accusatore, fissando negli occhi il suo interlocutore.
A queste parole, lo sguardo di Zeus si accigliò ulteriormente, ma la somma divinità non rispose nulla. Demetra quindi incalzò "Qual'e' il vero motivo per cui stai facendo tutto ciò ? Perché hai richiamato Eracle sull'Olimpo e permesso al cosmo di Hades di manifestarsi al quarto tempio ? Perché hai compiuto il rito ? Quali sono i tuoi piani ?".
Domanda dopo domanda, il tono di Demetra era cresciuto in veemenza, e con esso era cresciuta la collera di Zeus di fronte a tale insolenza. "Adesso basta ! Le ragioni che mi spingono ad agire non sono cosa che riguardino te o nessun altro ! Sei una delle più antiche fra noi e per questo ti ho concesso di disobbedire impunemente ad un mio ordine, ma nessuno, nemmeno tu, può interrogare in questo modo Zeus !" disse il Dio con fermezza.
"Ma…" iniziò la donna, prima di accorgersi dello sguardo ora torvo del suo signore. "Bada… ancora una parola sull'argomento ed incorrerai nella mia ira, signora delle messi !" minacciò Zeus, mentre un alone di energia cosmica gli balenava vicino al corpo e l'aria attorno a lui si elettrizzava.
Spaventata, Demetra abbassò lo sguardo ed indietreggiò di un passo. Benché fosse una tra le divinità più potenti dell'Olimpo, affrontare la collera di Zeus sarebbe equivalso a distruzione certa persino per lei. "Pe… perdonami…" balbettò.
Vedendo che le sue parole avevano sortito l'effetto voluto, Zeus placò il suo cosmo "Hai capito, vedo. Ora lasciami solo, i cavalieri sono vicini all'undicesimo tempio e devo approntarne le difese !" disse il Dio, con voce fiera ma più calma di prima.
"Come desideri…ma prima che vada concedimi ancora una domanda, te ne prego: perché vuoi impedire loro a tutti i costi di attraversare il tempio di Atena… prima di queste sale vi è ancora Era, e lei non sarà certo avversario da poco per quei mortali." Chiese Demetra, stavolta con tono mite.
"E' vero, Era potrebbe facilmente annientarli tutti da sola, ma non dimenticare che l'undicesimo tempio contiene una reliquia tra le più preziose…" rispose Zeus, ed alle sue parole la Dea spalancò gli occhi con stupore.
"Ti riferisci…"
"Si, all'anfora che contiene l'Ichor di Atena… il suo sangue divino!" concluse il signore del cielo.
"Uuh… grazie al sangue del corpo mortale di Atena, quei cavalieri sono riusciti ad evolvere le loro normali corazze in armature divine ed a compiere incredibili miracoli… se ora che sono vicini al nono senso venissero in contatto col vero sangue divino, potrebbero diventare una minaccia ancora maggiore !" riflettè Demetra, mentre una goccia di sudore le scorreva sul viso.
"No, la situazione non è così grave…" la corresse però Zeus, per poi spiegare "Non dimenticare che l'Ichor non è che un tramite per i nostri cosmi divini, ed ora il cosmo di Atena è impercettibile, vicino allo svanire. In queste condizioni, anche i poteri dell'Ichor sono molto ridotti…"
Demetra annuì pensosa, poi aggiunse "E tuttavia, semplicemente toccandolo, quei mortali potrebbero recuperare parte delle loro forze… alleviare il dolore delle ferite… è questo che cerchi di evitare, non è così ? Ma chi manderai, quasi tutte le divinità maggiori sono già scese in campo, non vi è nessuno che…"
"Credi forse che alle sole divinità sia limitata la mia autorità ? Gli anni passati a soffrire per la lontanana di Persefone ti hanno fatto dimenticare che Zeus è uno dei signori della terza razza ? illimitate sono le mie risorse, come illimitato è il numero di creature che possiedo al mio comando ! Guarda ora, e contempla !" dichiarò Zeus espandendo il suo cosmo, ed immediatamente cinque sfere di luce si materializzarono davanti a lui, per poi svanire ancora una volta nel nulla.
"Loro… " commentò sbalordita Demetra, ed il signore degli Dei annuì. "Se i cavalieri sperano di trovare riposo al tempio di Atena, amara sorpresa li attende !"
Ma Zeus e Demetra non erano gli unici a star parlando dell'Ichor in quel momento. Nel salone dell'undicesimo tempio infatti, anche Andromeda aveva pronunciato quel nome ai compagni.
Dopo la gioia per l'essersi ritrovati, i cinque cavalieri avevano deciso di proseguire insieme, consapevoli che, con soli due templi ancora da superare, sarebbe stato pericoloso dividere ancora una volta il gruppo e correre il rischio di raggiungere singolarmente Zeus. Pegasus aveva ceduto la guida ad Andromeda, che dei cinque era quello più fresco di forze, preferendo sistemarsi in coda per aiutare Dragone, gravemente ferito a causa del duello con Apollo ed incapace di correre da solo. Cristal e Phoenix si erano automaticamente posizionati al centro, e, entrambi immersi nei propri pensieri, avevano percorso i gradini della scalinata in assoluto silenzio.
Non volendo distanziarsi troppo da Pegasus e Sirio, Andromeda aveva tenuto basso il ritmo della corsa, e così gli erano stati necessari svariati minuti prima di arrivare all'ingresso dell'undicesimo tempio. Raggiuntolo, il ragazzo si era fermato per aspettare gli altri, e nel frattempo aveva osservato con attenzione l'aspetto dell'edificio, che gli era immediatamente parso molto familiare. Era stato però Pegasus a dar forma ai suoi ricordi, affermando "E' praticamente identico alla tredicesima casa del Grande Tempio !".
A sentir questa frase, Andromeda si era dato dello sciocco per non averci pensato prima, in effetti quel tempio era quasi la copia di quello che per secoli aveva ospitato le stanze del Grande Sacerdote di Atena, e che lui aveva visitato molte volte sin dai tempi della guerra con Arles. Unica differenza, due statue poste sui lati dell'ingresso, raffiguranti la Dea con la lancia in una mano e l'altra vicino alla testa, chiaramente atte a simboleggiare il suo doppio ruolo di guerriera e stratega.
Giunti sulla soglia, i cavalieri erano rimasti immobili per qualche secondo, con i sensi tesi al massimo nella speranza di percepire la presenza di un possibile nemico nascosto all'interno. L'esperienza ai templi inferiori infatti li aveva resi diffidenti anche nei confronti di un edificio che sarebbe dovuto essere privo di guardiani. Nessuno di loro però aveva avvertito nulla, e neanche la catena di Andromeda aveva segnalato alcuna presenza, così alla fine Pegasus aveva fatto loro cenno di proseguire "Coraggio, entriamo… ma state in guardia, in fondo anche i templi di Hades e Nettuno sarebbero dovuti essere vuoti !".
Senza ulteriori esitazioni, i cinque erano entrati nel tempio, addentrandosi sempre di più al suo interno. Privo del cosmo di Atena, l'edificio non aveva assunto forme particolari, e la sua semplice struttura, un'unica grande navata centrale priva di stanze o diramazioni laterali, aveva permesso agli eroi di avanzare senza mai avere dubbi sulla via da prendere.
Dopo alcuni minuti di cammino, i cinque erano arrivati in quella che era chiaramente la stanza principale, un ampio salone rettangolare. Al centro della stanza vi era una splendida statua di Atena, del tutto identica a quella che che si trovava cima del Grande Tempio, il cui candido marmo bianco sembrava brillare di luce propria e rischiarava l'ambiente circostante. Ai piedi della statua, posta sopra un'altare d'oro, vi era una grande anfora chiusa, ed era stato proprio quell'oggetto a risvegliare in Andromeda un ricordo, che per anni era stato sepolto nella sua memoria, il ricordo di un racconto fattogli molto tempo prima dal suo maestro Albione. Avanzando di un passo ed avvicinandosi all'oggetto, Andromeda disse "L'Ichor".
A questa parola, tutti i cavalieri si voltarono verso il compagno. "Di che cosa stai parlando ?" gli chiese Phoenix, con un'espressione confusa sul viso. Per alcuni secondi, Andromeda non rispose, impegnato a ricordare più dettagli possibile, poi disse "Credo che in quest'anfora si trovi l'Ichor, il sangue divino di Atena !".
"Ora che ci penso… il Maestro dei Ghiacci mi aveva parlato dell'Ichor, il sangue divino capace di curare ogni ferita o malattia, ma credevo fosse solo una leggenda…" intervenne allora Cristal fissando l'amico, ma Pegasus lo contraddisse "No, l'Ichor esiste davvero… o almeno esisteva. Durante l'addestramento Castalia mi raccontò che per secoli era stato custodito all'interno del Grande Tempio come un tesoro, finché, più o meno una ventina d'anni fa, un servitore, sperando di poterne usare le proprietà curative, lo rubò."
"E' così." - concordò Sirio a voce bassa - "L'uomo restituì presto l'anfora contentente il sacro liquido, ma alcuni giorni dopo essa svanì dal Grande Tempio, e da allora non se ne seppe più nulla."
"Ci avrebbe risparmiato qualche problema durante la guerra con Hades…" sbuffò tra se e se Pegasus, prima di rivolgersi di nuovo ad Andromeda "Cosa ti fa pensare che si trovi proprio qui ?"
"E' il posto più logico in cui potrebbe essere… dopotutto Atena costruì il Grande Tempio proprio ispirandosi all'Olimpo, e, come tu stesso mi hai fatto notare, questo edificio ricorda molto la tredicesima casa, nelle cui stanze l'Ichor era un tempo custodito !" rispose il ragazzo, spostando lo sguardo verso il corridoio da cui erano venuti.
"Voglia il cielo che tu abbia ragione… mai come ora avremmo bisogno di nuove energie…" sospirò Pegasus avvicinandosi ad osservare l'anfora, ma facendo anche attenzione a non toccarla.
Senza dir nulla, Andromeda si fece da parte, e nello stesso istante osservò Phoenix con la coda dell'occhio. Durante la conversazione, il ragazzo non aveva detto praticamente nulla, limitandosi a restare in silenzio, con lo sguardo fisso nel vuoto. Andromeda sapeva bene che, a differenza di Albione e degli altri istruttori, il maestro di suo fratello non era stato uomo da considerare i racconti e gli insegnamenti importanti nell'addestramento, ma non potè fare a meno di chiedersi se il ragazzo li avesse ascoltati, o se invece avesse passato il tempo a pensare a quel qualcosa che lo turbava, e di cui non gli aveva voluto far parola. Per un attimo Andromeda considerò ancora una volta l'idea di chiedergli spiegazioni, ma poi decise di rimandare, pensando che, se Phoenix non aveva voluto confidarsi con lui quando erano soli, difficilmente l'avrebbe fatto davanti agli altri.
"Sembra una comunissima anfora…non emana alcun cosmo o energia…" disse in quel momento Pegasus, le cui parole riportarono Andromeda alla realtà. "Cosa pensi di fare allora ?" gli chiese l'amico, ma il cavaliere scosse il capo.
"Non so… proprio non so. Se fosse davvero il sangue di Atena, toccarlo ci darebbe nuove energie, permettendoci di affrontare Zeus in condizioni migliori…ma se così non fosse…" disse dubbioso il ragazzo.
"Capisco… temi un tranello !" intervenne Cristal, intuendo cosa stesse facendo esitare l'amico "se non fosse l'Ichor ma una trappola posta da Zeus, i suoi effetti potrebbero rivelarsi mortali !".
"Già… Zeus non dovrebbe avere motivo di ricorrere all'inganno per liberarsi di noi… ma chi può saperlo…" rispose Pegasus, continuando ad osservare pensosamente l'anfora.
Il suo sguardo però parve troppo dubbioso a Sirio, che chiese "C'è anche qualcos'altro, non è così ?".
"Mpf… non ti si può nascondere niente, eh ?" disse Pegasus abbozzando un sorriso "In effetti ho anche un altro dubbio… se pure questo fosse l'Ichor, il sangue divino di Atena… avremmo il diritto di usarlo per i nostri scopi ? Certo, siamo cavalieri di Atena, e per lei stiamo combattendo, ma non equivarrebbe forse a sacrilegio bagnarci del suo sangue per recuperare le forze ?"
A queste parole, i cavalieri rimasero in silenzio, consapevoli che i timori di Pegasus non erano infondati. Poi però Dragone si avvicinò al compagno "Il tuo dubbio è legittimo…siamo cavalieri della Dea ed i nostri scopi sono giusti, ma, secondo il mio maestro, anche quel servitore che anni fa tentò di rubare l'anfora era devoto ad Atena, ed anche lui era mosso da nobili intenti… e tutto ciò non gli bastò ad evitare una dura punizione per il suo gesto. Tuttavia…"
A queste parole Sirio si voltò verso gli amici, cercando nei loro volti la conferma di quel che stava per dire. Phoenix aveva lo sguardo abbassato, ma negli occhi di Andromeda e Cristal era evidente la determinazione, così il ragazzo riprese "Tuttavia noi siamo giunti fin qui, affrontando tutte le divinità che ci hanno sbarrato il passo, e sicuramente compiendo numerosi sacrilegi. Al tempio di Nettuno eravamo pronti a sacrificare tutto e lanciare l'Atena Exclamation contro Eracle… se aprire quest'anfora potrà aiutarci nella missione di salvare Atena e l'umanità, allora credo dovremmo farlo, qualunque sia il prezzo che dovremo pagare alla fine!".
"Hai ragione…" sospirò Pegasus chiudendo per un attimo gli occhi "e poi… un giorno avremo così tante punizioni da affrontare, che una in più non sarà certo un problema !" esclamò, strappando una risata ai compagni ed un sorriso tirato persino a Phoenix.
Con uno sguardo ora più sereno, Pegasus si voltò allora verso l'anfora e, lentamente, mosse la mano verso il coperchio. Alle sue spalle, i quattro cavalieri rimasero tesi e immobili, con lo sguardo fisso sul manufatto, pronti ad intervenire in caso di bisogno. Deglutendo nervosamente, Pegasus appoggiò finalmente la mano sul coperchio dell'anfora, stringendolo per sollevarlo.
Non appena le sue dita sfiorarono l'oggetto, la statua di Atena iniziò a brillare di una luce intensissima, e contemporaneamente un cosmo caldo e rassicurante avviluppò i cinque eroi. Ai piedi del primo tempio, il corpo di lady Isabel ebbe un sussulto, ed il suo cosmo, oramai flebile e spento, avvampò per un attimo. Nello stesso istante, la figura della fanciulla comparve di fronte agli esausti cavalieri.
"Lady… Isabel !" esclamarono quasi in coro gli eroi, sbalorditi di fronte a quell'inattesa apparizione. Col passare delle ore, avevano avvertito il cosmo della loro Dea affievolirsi sempre di più, al punto che non aveva neppure potuto soccorrerli o incoraggiarli nei momenti di difficoltà, quindi vederla ora davanti a loro, seppur come semplice illusione, gli riempiva i cuori di gioia.
Lentamente, Isabel aprì gli occhi e sorrise loro "Miei cavalieri, siete riusciti ad arrivare fin qui senza alcun aiuto, trovando dentro di voi la forza per risollevarvi dopo ogni caduta, per affrontare qualsiasi nemico vi abbia sbarrato il passo. Mai divinità è stata più fiera dei suoi guerrieri come me in questo momento !".
A queste parole, i cavalieri sorrisero, commossi dalla generosità della loro Dea, che nonostante l'estremo pericolo esprimeva parole di gratitudine per loro anzichè preoccuparsi per se stessa. Poi, Isabel riprese "Ma almeno qui, in questo tempio che io dovrei custodire, potrò portarvi aiuto. In quest'anfora si trova il mio sangue divino. I suoi poteri sono ridotti per la debolezza del mio cosmo, ma anche ora vi basterà toccarlo perché il dolore delle vostre ferite sia lenito, e parte delle vostre energie ripristinate. Questo vi permetterà di affrontare Era e Zeus con rinnovato vigore… non è molto, ma è tutto quel che posso fare per voi".
Isabel si fermò un attimo, la sua immagine parve vacillare, tremolare come una debole fiamma scossa dal vento, poi però riprese a brillare e la fanciulla disse "Prima però prestate ascolto… poco è il tempo che mi resta, ma c'è qualcosa che dovete sapere ! Attraverso il cosmo di Zeus posso… leggere nel suo cuore ! Lui…"
In quell'istante, un cosmo potentissimo invase l'undicesimo tempio, un cosmo che i cavalieri avevano già incontrato nei campi Elisi.
"Zeus !" gridò Pegasus guardandosi attorno. Il tempio tremava come scosso da un terremoto, inondato dalla terribile energia della divinità. L'immagine di Atena non riuscì a sostenere il cosmo del padre e scomparve, ma prima che i cavalieri potessero fare qualcosa, il suolo si aprì sotto di loro, ed i cinque precipitarono nell'abisso.
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Andromeda aprì stancamente gli occhi e si guardò attorno. Era in una specie di caverna sotterranea, simile a quelle che aveva visto alla casa di Sagitter. Un senso di vertigine lo avvolse non appena cercò di rimettersi in piedi e lo fece barcollare, ma il ragazzo riuscì ad appoggiarsi alla parete, evitando di cadere di nuovo. Non appena la vista gli si schiarì, potè esaminare meglio la zona. Piuttosto che una caverna, quello in cui si trovava sembrava un corridoio naturale, con pareti e pavimenti di roccia. La luce, da qualsiasi parte venisse, era appena sufficiente a permettergli di vedere alcuni metri intorno a lui, ed il soffitto era invisibile a causa del buio.
"Ma in che razza sono capitato ?" pensò, prima di rendersi improvvisamente conto di essere solo, degli altri cavalieri non c'era traccia. "Phoenix ! Pegasus !" gridò allora, ma l'unica risposta fu l'eco delle sue stesse parole. "Eravamo tutti insieme… non possono essere caduti tanto lontani !" riflettè il ragazzo, per poi gridare di nuovo "Cristal ! Sirio ! Riuscite a sentirmi ?"
Stavolta il cavaliere ebbe una risposta, ma non quella che si aspettava. Una fragorosa risata infatti proruppe dal buio "Ah ah ah ah… non temere per i tuoi amici, ragazzino ! Presto altri si prenderanno cura di loro, ma per allora, tu sarai già morto !".
Colto di sorpresa, Andromeda fece un salto indietro e si voltò verso la fonte della voce, stupito che la catena non l'avesse avvertito della minaccia. Dall'oscurità, emerse un uomo dai corti capelli azzurri e la carnagione abbronzata. Era più alto di lui, al punto da essere paragonabile a giganti come Toro o Docrates, ed indossava un'armatura blu notte ed oro. La corazza ricopriva quasi interamente il suo corpo, lasciando scoperti solo i fianchi e la parte superiore delle gambe. L'elmo era a maschera ed era ornato sulla fronte da un fregio dorato, mentre una fascia dello stesso materiale collegava il pettorale al cinturino. La cosa più impressionante era però l'immenso scudo che il guerriero portava al braccio destro, alto quasi quanto l'uomo stesso. Lo scudo sembrava formato da quattro piastre circolari, le tre più esterne erano d'oro, mentre quella centrale era del medesimo colore dell'armatura ed era ornata da un fregio raffigurante un astro stilizzato.
"Atlante, Titano del cielo, ti porge i suoi saluti, ragazzino !" si presentò il gigante, sorridendo nell'enfatizzare il suo nome.
All'apparire del guerriero, Andromeda sollevò immediatamente le difese, ma non potè evitare un'esclamazione di stupore nel sentire il nome del suo nuovo nemico "Atlante… colui che nel mito venne condannato da Zeus a sorreggere il peso del cielo !".
Nel vedersi riconosciuto, Atlante sorrise leggermente, ma non disse nulla.
"Ma non è possibile… secondo il mito dovresti avere un corpo gigantesco, al punto che Perseo ti mutò in montagna usando la testa della Medusa…" ricordò allora Andromeda, e stavolta le sue parole fecero sorridere apertamente il Dio.
"A volte le leggende esagerano un pò… gli uomini sono sempre stati facilmente impressionabili ! Ma bada, anche se quel che si dice sulle mie dimensioni non corrisponde al vero, i racconti sulla mia forza sono reali !" affermò Atlante scattando in avanti. Andromeda sollevò immediatamente la catena di difesa, tendendola con emtrambe le mani per proteggersi, ma il gigante mosse repentino lo scudo dal basso verso l'alto, usandolo come una mazza. La catena resse all'impatto senza spezzarsi, ma Andromeda non riuscì a mantenere la stretta sull'arma, che gli sfuggì di mano, e venne raggiunto dal colpo contemporaneamente sia sul petto che sull'addome. La violenza dell'attacco fu tale da far sputare sangue all'eroe, che venne lanciato indietro di alcuni metri e sbattè con violenza contro la parete.
"Dunque anche tu ci sei ostile !" commentò con amarezza il cavaliere, sollevandosi in ginocchio e pulendosi con una mano la bocca sporca di sangue. "E sia allora ! Catena di Andromeda !" urlò poi, scagliando la catena d'attacco contro il nuovo avversario. Non appena la vide arrivare però, Atlante sollevò lo scudo, in un movimento non particolarmente rapido ma comunque sufficiente, grazie alle immani dimensioni dell'oggetto. Con un clangore metallico, l'arma venne deviata, senza riuscire neppure ad intaccare l'enorme scudo.
Stupito dalla resistenza di quella difesa, Andromeda rimase interdetto per un attimo, e subito Atlante fu su di lui, calando un possente pugno verso il suo volto. Con un'agile capriola laterale però l'eroe schivò il colpo, che frantumò la roccia del suolo come se fosse cristallo, poi attaccò di nuovo con la catena, stavolta da posizione più defilata nella speranza di poter superare lo scudo. Atlante tuttavia non si fece cogliere impreparato e, dopo aver piegato la schiena all'indietro abbastanza da schivare la catena, l'afferrò con la mano sinistra e produsse un violento strattone, che sollevò Andromeda da terra come fosse un fuscello.
Memore di essere stato già colpito altre volte in passato in questo modo, il cavaliere diede un colpo di reni e, piegando la testa in avanti, eseguì una capriola a mezz'aria. Il gesto atletico quasi gli slogò la spalla, tesa a causa dello strattone sulla catena, ma gli permise anche di sorprendere il nemico, impattando con i piedi invece che con la nuca e centrandolo in pieno viso con un doppio calcio. Preso in controtempo ed incapace di bilanciare il suo stesso slancio, Atlante barcollò all'indietro, ma riuscì comunque a piantare i piedi al suolo senza cadere, al punto che Andromeda quasi rimbalzò indietro. Ciononostante, il cavaliere era in vantaggio e non intendeva sprecare quel momento, così si rialzò quasi subito e scagliò le "Onde del tuono !" contro il Titano.
"Ti ho lasciato giocare anche troppo, ragazzino !" esclamò determinato il gigante scattando in avanti quasi a quattro zampe e sollevando lo scudo in modo che gli coprisse la testa e la schiena come se fosse il guscio di una tartaruga. A causa della particolare angolazione dell'arma, la catena vi scivolò sopra senza causare alcun danno, e nello stesso istante Atlante si portò davanti al nemico. Conscio di avere la guardia scoperta, Andromeda tentò di indietreggiare, ma stavolta Atlante fu più rapido e sollevò lo scudo in un montante, raggiungendolo in pieno col piatto e lanciandolo in aria sanguinante.
Determinato a portare un assalto definitivo, il Dio non interruppè l'attacco, ma anzi bloccò l'ascesa di Andromeda afferrando una delle catene, e tirandolo ancora una volta a se. Stavolta incapace di reagire, il cavaliere non potè far nulla per difendersi dal successivo attacco, che il gigante eseguì spazzando l'aria da sinistra a destra con lo scudo e colpendolo quasi fosse una pallina da tennis.
Fortunatamente, la violenza del colpo raggiunse Andromeda al braccio destro, dove potè essere attutita dal bracciale e dall'ampio coprispalla, e non al petto o al volto, ma anche così l'eroe non potè trattenere un grido di dolore prima di cadere rovinosamente a terra.
"Sa usare quello scudo con maestria sia per attaccare che per difendersi ! Devo assolutamente trovare un modo per fermarlo, o per me è finita !" pensò il cavaliere cercando di rimettersi in piedi nonostante il senso di vertigine ed il dolore al braccio. Atlante però era già su di lui, e lo colpì in pieno zigomo con un calcio a spazzare, rilanciandolo a terra a qualche metro di distanza.
"La tua armatura è resistente… se non fosse stato per lei quel calcio ti avrebbe sfondato il cranio…. Ma forse non dovresti esserle grato ! Saresti morto, è vero, ma almeno avresti finito di soffrire, visto che nulla può cambiare il destino che ti attende !" dichiarò il Dio, con un tono che andò variando dal pensieroso al gioioso.
"F… fino a tal punto sei desideroso di prendere la mia vita ?" domandò ancora a terra il cavaliere, mentre il sangue gli scorreva copiosamente dall'angolo della bocca.
"Uh uh, nulla di personale, ragazzino, ma il premio che mi è stato promesso in cambio della tua vita è qualcosa cui anelo da secoli e secoli ormai, quindi non voglio sprecare neanche un secondo !" rispose Atlante, sorridendo ed avanzando verso di lui.
"Un premio… per la mia vita ?!" esclamò Andromeda, preoccupato più dallo sguardo di giubilo del suo nemico che dai suoi gesti.
"Si… da parte di Zeus ovviamente ! Ha ordinato lui a me ed agli altri di eliminarvi, e, anche se comunque non avrei mai potuto oppormi ad un suo ordine, deve aver pensato che un premio così ambito mi avrebbe… motivato !" affermò il gigante sorridendo sinistramente.
"«Gli altri»… quindi anche i miei amici potrebbero essere in pericolo in questo momento…" riflettè Andromeda, prima che le sguardo confuso che il fratello aveva mostrato ultimamente gli balenasse improvvisamente davanti agli occhi. "Phoenix ! Nelle sue condizioni potrebbe non farcela… devo… correre in suo aiuto !" si disse l'eroe, prima di rialzarsi di scatto e affermare a voce alta "Non so cosa ti abbia promesso Zeus, ma anch'io ho un valido motivo per non lasciarmi andare: la salvezza di chi mi è caro !"
"Chi ti è caro ? Lo rivedrai nell'aldilà !" urlò di rimando Atlante, per poi abbattere lo scudo sul nemico a mò di fendente. Ancora una volta però Andromeda si rivelò più agile, e riuscì a saltare in tempo, lasciando affondare l'arma nella pietra. Atlante tuttavia non interruppe l'attacco, e con un gesto improvviso, usò lo scudo per spaccare la terra, e lanciare una pioggia di pietre contro il ragazzo. Colto di sorpresa, Andromeda venne raggiunto al viso ed al corpo da vari sassi, che, pur non ferendolo, lo obbligarono ad indietreggiare. Approfittando del momento, il Dio si gettò nuovamente su di lui, stavolta cercando di abbatterlo spazzando l'aria col bordo dello scudo.
Fortunatamente, Andromeda riuscì ad abbassarsi in tempo, ed il colpo spezzò solo la punta di una delle corna del diadema. "Ha una forza terribile… se non mi fossi abbassato mi avrebbe decapitato ! Non ho mai affrontato un nemico così aggressivo e determinato… " pensò il cavaliere prima di fare una capriola all'indietro e scagliare entrambe le catene contro il Titano, che subito ruotò lo scudo per difendersi.
La catena di difesa in effetti si infranse sull'arma, rimbalzando senza provocare alcun danno, ma la catena di attacco mancò il bersaglio, e sembrò destinata a centrare la parete alle spalle del nemico. Improvvisamente però, la traiettoria dell'arma cambiò e la catena tornò indietro come un boomerang.
"Ce l'ho fatta !" esultò tra se e se Andromeda, ma nello stesso istante anche Atlante sorrise e, con un gesto rapido, ruotò su se stesso di 180°, intercettando la catena con lo scudo. Contemporaneamente, il gigante sferrò un calcio all'indietro, centrando Andromeda in pieno addome e lanciandolo contro una parete con un grido di dolore.
"Non avrai pensato che bastasse un trucchetto del genere per battermi ?" ridacchiò Atlante avanzando verso di lui.
"Ha una tecnica perfetta… sa usare quello scudo sia per difendersi che per attaccare ! Ma dovrà pur avere un punto debole… devo riuscire a trovarlo !" pensò Andromeda dolorante, e nello stesso momento Atlante sollevò lo scudo per il colpo di grazia.
Nell'osservare quel gesto, Andromeda spalancò improvvisamente gli occhi "Ma certo ! E' lì la chiave !" si disse sbalordito "E' pericoloso, ma è la mia unica speranza ! Devo tentare !".
"Cadi !" gridò Atlante con un misto di entusiasmo e decisione nell'abbattere l'arma sul nemico.
"Catena, disponiti a difesa !" urlò di rimando Andromeda, sollevando attorno a se la spirale difensiva che tante volte in passato l'aveva salvato.
L'impatto tra le due armi fu terribile e produsse un clangore assordante. Scheggie di metallo e scintille volarono in aria, e per un attimo la catena sembrò cedere, ma alla fine resse, nonostante la violenza del colpo di Atlante.
"Abbandona… le tue difese !" ringhiò Atlante, mettendo tutte le sue energie nel braccio destro, ma col passare dei secondi la catena, anzichè cedere, iniziò a ruotare sempre più vorticosamente, ed alla fine fu il gigante ad essere respinto e lanciato indietro barcollante.
"Questo è il momento ! Vai, catena di Andromeda !" gridò allora l'eroe, scagliando la catena di attacco. Ancora stordito, Atlante riuscì comunque a reagire istintivamente ed a muovere lo scudo per difendersi, ma all'ultimo istante l'arma cambiò traiettoria e schizzò zidzagando non verso di lui, ma verso lo scudo stesso, infilandosi nello spazio tra l'oggetto ed il braccio del Dio.
Con un rumore di metallo infranto, la catena raggiunse il suo obiettivo, ed un attimo dopo lo scudo cadde al suolo, intatto ma circondato da frammenti metallici.
Con uno sguardo sorpreso dipinto sul viso, Atlante commentò a voce bassa "Sei riuscito… a frantumare il gancio che fissava lo scudo al bracciale ! Ora è inutilizzabile…"
"L'hai detto ! E privo della tua arma sei come un lupo senza zanne, quindi abbandona la battaglia, te ne prego ! Non c'è motivo per ulteriore violenza !" supplicò Andromeda, nella speranza di porre fine al combattimento senza ulteriori spargimenti di sangue e di poter correre a cercare Phoenix.
Le sue parole però ebbero l'effetto opposto su Atlante, che con un'espressione rabbiosa guardò il ragazzo negli occhi e gridò "Nessun motivo ?! Dovrei dunque rinunciare in questo modo alla ricompensa promessa da Zeus ?! Mai ! Scoprirai ben presto che anche senza lo scudo sono tutt'altro che inerme !"
"A tal punto desideri questa ricompensa ? Che cosa ti ha promesso Zeus in cambio di tanta fedeltà e determinazione ?" chiese allora il cavaliere, facendo comunque attenzione alle mosse del nemico, nel caso stesse per tentare un attacco a sorpresa.
A questa domanda, Atlante esitò per qualche secondo, poi, osservando le catene del ragazzo, sorrise amaramente e disse "E' buffo che sia proprio tu, che usi delle catene come armi, a chiedermi cosa mi sia stato offerto in premio da Zeus, ma visto che ci tieni tanto a saperlo, te lo mostrerò !". Il Dio si sfiorò i polsi, e come dal nulla apparvero su di essi delle catene, lunghe meno di una decina di anelli ma saldamente bloccate da spesse fasce di metallo, simili a quelle con cui venivano tenuti fermi i prigionieri. Nel vederle, Andromeda sbarrò gli occhi e sussurrò "Ma che cosa…"
"Quando mi sono presentato a te, mi hai riconosciuto come «colui che nel mito venne condannato da Zeus a sorreggere il peso del cielo». Seppur falsa nell'apparenza, tale affermazione è tristemente vera nella sostanza: queste catene, opera di Efesto, pesano infatti centinaia e centinaia di tonnellate…" spiegò con amarezza il Titano.
"Dunque… quelle catene sono la punizione di Zeus… il castigo per esserti opposto agli Dei ! E' per questo che i tuoi movimenti erano rallentati durante il combattimento…" comprese Andromeda sbalordito.
"Esatto… nonostante la mia immensa forza, mi ci vollero secoli per riuscire di nuovo a muovermi… millenni per riacquistare una parvenza di agilità ! Io, che potevo toccare il cielo con un dito, venni condannato ad un'esistenza di frustrazione ! Puoi immaginare che cosa significhi vivere quando ogni azione è uno stento, perennemente obbligato a trattenermi ?!" chiese Atlante, nel cui sguardo ora si leggevano evidenti rabbia e dolore.
A tale domanda, Andromeda sospirò, poi rispose "In verità, Titano del cielo, ti capisco. Anch'io trattengo dentro di me la mia forza, non per obbligo ma per scelta… e per rispetto della vita !"
"Che razza di folle sei tu, che di tua volontà hai posto un limite al tuo potere ?" domandò allora il Dio, guardando il cavaliere con sconcerto.
Di fronte a questo quesito, l'eroe abbassò lo sguardo con tristezza, per poi affermare con convinzione "Dunque, nonostante sia passato tutto questo tempo, non hai compreso il motivo che spinse Zeus a punirti millenni or sono ? La forza… non deve essere usata per soddisfare il proprio orgoglio, ma solo in difesa del più nobile degli ideali, la giustizia "
"Mpf… chiacchiere su nobiltà e giustizia… cos'altro avrei potuto aspettarmi da un essere umano ?" rispose però Atlante con malcelato disprezzo "Magari c'è del vero in quel che dici, ma, se ti sconfiggerò, Zeus mi ricompenserà restituendomi la libertà, ed è qualcosa che agogno da troppo tempo per poter esitare !" gridò poi, e con un gesto sorprendentemente veloce sollevò il braccio destro, usando la catena che vi era fissata come una rozza frusta.
Agendo di riflesso, Andromeda si mosse di lato, ma la catena lo raggiunse comunque al coprispalla sinistro, frantumandone la parte inferiore come se fosse vetro. Prima che il cavaliere potesse reagire, il Titano mosse poi il braccio sinistro, spazzando l'aria con la seconda catena. Anche stavolta l'eroe reagì in tempo, e con un balzo all'indietro evitò di essere colpito, ma l'ultimo anello lo sfiorò all'addome.
Per l'eroe fu come essere colpito da un treno in corsa, l'armatura divina, già danneggiata in quel punto dallo scontro con Efesto, andò quasi in pezzi ed il cavaliere venne catapultato ad altissima velocità contro una parete, abbattendola per la violenza dell'impatto e cadendo prono tra le rocce. Immediatamente, Atlante fu su di lui.
"Come vedi, ho saputo fare di necessità virtù, imparando a mutare queste odiate catene in letali armi ! Sei un uomo nobile, cavaliere di Andromeda, ma devo finirti, mi dispiace !" dichiarò il Titano prima di calare il piede sul cranio del nemico, facendolo sprofondare tra le pietre e cercando di schiacciarlo.
Sempre più debole, Andromeda si sentì mancare. Aveva in gola il sapore del sangue, e poteva quasi udire le ossa del cranio scricchiolare, mentre lentamente la sua mente stava scivolando nell'oblio. Attimi prima che l'oscurità fosse su di lui però, il ragazzo vide balenare davanti ai suoi occhi i volti di Pegasus, Sirio e Cristal. "Loro… non si sono arresi. Anche da soli hanno continuato ad andare avanti, affrontando una dopo l'altra tutte le divinità, incuranti della stanchezza e delle ferite! Pegasus mi aveva chiesto di guidare il gruppo perché ero quello in migliori condizioni… come posso essere proprio io il primo ad arrendermi ?!" pensò, e lentamente la luce violetta del suo cosmo iniziò a circondarlo.
"Atlante ha una forza terribile, alimentata dall'orgoglio e dal desiderio di essere libero… ma non è la forza pura a stabilire il vincitore di un duello tra cavalieri… è il cosmo, che arde nelle profondità dell'anima ! Devo smettere di trattenermi… dar fondo a tutte le mie energie ! Brucia, rilucente cosmo di Andromeda !" si disse, iniziando a bruciare l'energia che gli era propria.
Improvvisamente, Atlante avvertì una leggera brezza provenire dal corpo dell'eroe, ma, prima che potesse cercare una spiegazione, la brezza divenne vento, ed il vento uragano, finché il gigante venne sollevato in aria e lanciato indietro dall'esplosione del cosmo dell'eroe.
Sbalordito, Atlante vide Andromeda rialzarsi, sanguinante ma circondato dalla luce sfavillante del suo cosmo. "E' questa dunque la tua vera forza ? l'energia che ti eri proibito di usare «in nome della vita» ?" domandò sprezzante rimettendosi a sua volta in piedi.
"E' questa, e proprio in nome della vita ti chiedo di non affrontarla, o gli esiti potrebbero essere infausti." Rispose l'eroe con gentilezza ma anche determinazione, per poi continuare "La tua forza è grande, ma non basterà a sconfiggermi, perché con quelle catene Zeus non ti ha privato solo della libertà, ma anche del tuo cosmo, non è così ?"
Punto sul vivo, Atlante spalancò per un attimo gli occhi, prima di sorridere amaro "Hai capito, dunque. Quando mi mise queste catene, Zeus appose su di loro il suo sigillo, annullando il mio cosmo e lasciandomi solo la forza di cui andavo tanto fiero…"
"E' per questo che la mia catena non aveva avvertito il tuo arrivo…" commentò Andromeda, ripensando all'improvvisa apparizione del nemico. Atlante annuì, ma poi, anzichè arrendersi, gridò "Anche se hai scoperto il mio segreto, non credere di aver già vinto. Neanche il tuo cosmo potrà contrastare la mia forza !" e si lanciò contro Andromeda.
"Non ho scelta dunque…" sospirò addolorato l'eroe, e nello stesso istante fece esplodere il suo cosmo, scatenando contro il nemico il pieno potere della Nebulosa.
Investito dal vento, Atlante barcollò e sembrò cadere, ma poi urlò con voce quasi disperata "Non… basterà !" e, afferrate le sue stesse catene, iniziò a ruotarle il più velocemente possibile, cercando di creare un mulinello per disperdere il potere del nemico.
"E' incredibile… anche in condizioni estreme continua a lottare, ha una determinazione sorprendente !" pensò Andromeda, ammirato e sbalordito. Poi però il cavaliere chiuse gli occhi e, con voce segnata dal dolore, disse "Devo vincerti… perdonami !"
Ad un comando del cavaliere, il vento cambiò direzione, mutandosi in una corrente ascensionale che sollevò Atlante da terra. Nello stesso momento, Andromeda gridò "Catena di Andromeda: Tela del ragno !" e la sua arma si dispose a ragnatela, bloccando il gigante nelle sue maglie.
"Che significa ?!" ringhiò Atlante, incapace di liberarsi.
"Bloccato a mezz'aria, non puoi esercitare abbastanza forza per liberarti dalla mia catena, mi dispiace!" spiegò amaro l'eroe, per poi sollevare la catena di attacco.
"No, non farlo !" gridò disperato Atlante nell'intuire cosa il cavaliere stesse per fare.
"Devo !" rispose Andromeda, mentre una lacrima gli rigava il viso.
La catena di attacco venne lanciata e calò come un fendente sul pettorale di Atlante, frantumandolo. Seppur non mortale, la ferita fu tale da far perdere i sensi al titano, che crollò al suolo non appena Andromeda ebbe ritirato la catena di difesa, sciogliendo la ragnatela.
Nonostante la vittoria, il cuore di Andromeda era colmo di amarezza e non di gioia. "Eri un guerriero incredibile… se i sigilli di Zeus non avessero annullato il tuo cosmo, questa battaglia avrebbe avuto un esito diverso. Ed invece ho vinto io… e così facendo ti ho privato della libertà che tanto a lungo hai desiderato… forse per sempre. Pur non volendolo… mi hai insegnato l'importanza della determinazione sul campo di battaglia… il valore di una volontà disperata, che non teme nulla pur di raggiungere lo scopo che si è prefissa. Ti giuro che è una lezione che porterò per sempre dentro di me. Addio, titano del cielo !" pensò il cavaliere prima di voltarsi e correre via, alla ricerca del fratello e degli amici.
Dopo soli pochi passi però, il labirinto di pietra sembrò tremolare, ed improvvisamente il cavaliere si ritrovò di nuovo nella stanza principale del tempio di Atena, solo.
"Sono di nuovo qui… chiunque ci abbia separato evidentemente non vuole che ci riuniamo. Phoenix, non posso correre in tuo aiuto come avrei voluto, ma sono certo che anche da solo uscirai vincitore contro qualsiasi nemico ti troverai davanti !"
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Phoenix stava correndo praticamente alla cieca nel labirinto di pietra già da svariati minuti ormai. Non sapeva bene cosa fosse successo dopo che il cosmo di Zeus aveva invaso la stanza dell'Ichor, nè quanto a lungo fosse rimasto svenuto in seguito, ma di una cosa era certo, ovunque si trovasse, era solo, e la cosa lo turbava.
In passato, ritrovarsi ad affrontare da solo un nemico ignoto sarebbe stato per lui fonte di sollievo piuttosto che di preoccupazione, ma, da quando Ares l'aveva privato dello Spirito della Fenice, la sua tradizionale fiducia in se stesso era come svanita, sostituita da dubbi ed incertezze.
Andromeda aveva capito subito che c'era qualcosa che non andava in lui, ma nonostante l'affetto che lo legava al fratello, Phoenix non se l'era sentita di confidarsi con lui. Dopo tutte le volte che in passato lo aveva rimproverato di esitare troppo, non poteva ammettere di trovarsi lui stesso in quella situazione. In realtà, non poteva ammetterlo neppure a se stesso, ed era questo a turbarlo maggiormente.
"Possibile che tutta la sicurezza, tutto il coraggio e la determinazione… venissero solo dai poteri di resurrezione della Fenice ? Possibile che senza di essa io sia solo un guscio vuoto, un fantoccio minato dal dubbio e dalla paura ? No, non è così… so che non è così ! Eppure… non mi ero mai sentito così indifeso e vulnerabile… così… mortale" pensò il cavaliere avanzando nei corridoi, segretamente consapevole di aver fatto questo ragionamento praticamente ogni minuto sin da quando era uscito dal tempio di Ares, ma anche di aver provato un misto di ansia e paura all'ingresso di ogni singolo tempio successivo.
Aveva esitato ad entrare nei templi di Artemide e Dioniso, e spinto per uscire non appena aveva visto le rispettive divinità prive di sensi. Aveva cercato di convincersi di averlo fatto solo per raggiungere più in fretta Pegasus, Sirio e Cristal, ma, per quanto si fosse sforzato, non era riuscito a scacciare il pensiero che in realtà a motivarlo maggiormente fosse stato il timore che le divinità si risvegliassero.
La cosa peggiore però era successa nel tempio di Nettuno, ad Eracle infatti era bastato un solo sguardo per accorgersi dei suoi dubbi, ed anche se il Dio non si era rivelato ostile, le sue parole avevano colto nel segno, mettendolo drammaticamente di fronte alla paura che aveva cercato di nascondere anche a se stesso. Sulle scale per il decimo tempio aveva persino preso in considerazione l'idea di provare ad usare ancora una volta il Fantasma Diabolico su di se, ma poi aveva desistito, comprendendo che stavolta la paura era dentro di lui, e non il frutto di influenze esterne.
"Ares, maledetto ! Non solo mi hai tolto lo Spirito della Fenice… ma anche di quello di Phoenix ! Cosa ne sarà di me ora ?" si chiese il cavaliere, mentre il sorriso malvagio del Dio della guerra gli riappariva davanti agli occhi.
Quasi in segno di risposta, in quel momento una folata di energia cosmica gli apparve davanti, accompagnata da una sensazione di gelo che lo fece rabbrividire. Il cavaliere si bloccò e sollevò le difese, cercando di ignorare il cuore che gli batteva all'impazzata nel torace.
Di fronte a lui, circondata da un cosmo rosso come il sangue, apparve una donna, priva di armatura e coperta soltanto da una veste paludata completamente nera, che le lasciava scoperte le braccia e si stagliava su una carnagione spaventosamente pallida e spettrale. Gli occhi, iniettati di sangue, ardevano come bracieri, e sulla sua testa i capelli corvini sembravano sibilare come serpenti ed avere una volontà propria. Nella mano, le cui unghie sembravano artigli acuminati, la donna stringeva una frusta nera.
Di fronte a tale visione, Phoenix restò impietrito, e non fece nulla mentre la nuova arrivata avanzava verso di lui, non camminando, ma fluttuando a pochi centimetri da terra. "C… chi sei ?" riuscì a chiedere infine.
"Delle tre divinità infernali vendicatrici, io sono Megera,!" si presentò la donna, continuando ad avanzare, lenta ma inesorabile, verso il cavaliere.
Nel sentirne il nome, Phoenix impallidì "Megera, una delle Erinni o Furie, Dee della vendetta la cui missione è punire senza pietà chi si macchia di delitti di sangue…" pensò, mentre un rivolo di sudore gli scorreva sul volto.
"E' tempo che tu paghi per tutte le colpe di cui ti sei macchiato, mortale!" esclamò la Furia con voce profonda, che riecheggiò nel labirinto.
A queste parole, Phoenix tentò di ribattere in tono sprezzante, ma, quando cercò di parlare si accorse di avere la gola completamente secca.
"Coraggio, Phoenix, scaccia da te questa malia !" si disse il ragazzo cercando di allontanare la paura, e, quasi a voler provare a se stesso che le sue non erano solo vuote parole, si lanciò in avanti sferrando un pugno contro Megera. La Dea però lo fermò senza sforzo con la mano, bloccandolo nella sua stretta, e con un sorriso sibilò "E' inutile ogni difesa, presto le profondità infernali ti accoglieranno !".
Con facilità irrisoria, Megera lanciò il cavaliere in aria, facendolo ricadere malamente al suolo a qualche metro di distanza, e poi riprese ad avanzare verso di lui. I suoi occhi da demone raggelarono il sangue nelle vene di Phoenix, che indietreggiò fino a trovarsi con le spalle al muro.
"Devo sconfiggerla subito, o mi ucciderà !" pensò il guerriero provando a bruciare il suo cosmo, la cui luce apparve però fioca e debole. "Non importa… non ha armatura, non potrà difendersi dalle Ali della Fenice !" di disse allora Phoenix scatenando il suo colpo segreto, che volò contro il bersaglio, come sempre aveva fatto in passato.
"E' fatta !" esultò nel rendersi conto che la Dea non avrebbe potuto in alcun modo evitare l'assalto, ma, con sua enorme sorpresa, Megera non se ne preoccupò minimamente, si limitò a srotolare la frusta e ad usarla per sferzare l'aria, trapassando la fenice, che svanì quasi fosse un miraggio, e avvolgendosi attorno al polso sinistro dello sbalordito cavaliere.
Senza alcun preavviso, la frusta iniziò a bruciare come un tizzone ardente, attraversando il bracciale dell'armatura e raggiungendo la carne del ragazzo, che cadde in ginocchio urlando per il dolore.
Sorridendo sinistramente, Megera riprese ad avanzare verso la preda, che si stava contorcendo per il dolore. Nel vederla avvicinarsi, Phoenix strinse i denti e gridò disperato "Fe…fermati ! Fantasma Diabolico !".
Stavolta Megera non tentò neppure di difendersi, continuando ad avanzare con snervante lentezza si lasciò semplicemente colpire dal Fantasma Diabolico, che però non sortì alcun effetto. "Speri di poter spaventare una divinità infernale ?" disse soltanto, mentre il suo sorriso sembrava mutarsi in un ghigno malefico.
Ora sull'orlo del panico, con la carne del polso quasi sfrigolante, Phoenix sferrò un colpo col taglio della mano destra, sperando di spezzare la frusta, ma anche questo tentativo fallì miseramente. Con uno strattone, Megera tirò il cavaliere verso di se, facendolo cadere davanti ai suoi piedi, poi ritirò la frusta, liberando il polso del nemico, e nello stesso momento usò la mano libera per afferrarlo alla spalla destra e sollevarlo. Gli artigli della Dea affondarono nel braccio del guerriero, trapassando i muscoli quasi fino all'osso. Il cavaliere gridò di dolore, mentre il sangue scorreva copiosamente sul bracciale e sul lato del pettorale.
"Ora vedrai l'Inferno che ti aspetta !" sibilò Megera, avvicinando il volto di Phoenix al proprio. Gli occhi della Furia brillavano come tizzoni ardenti, ed in essi Phoenix poteva scorgere le fiamme di Ade.
Cedendo al panico, col cuore che gli martellava nel petto e rivoli di sudore freddo sul volto, Phoenix iniziò a scalciare e dimenarsi, lacerandosi la pelle del braccio. Fortunatamente, uno dei suoi calci riuscì a spezzare la presa di Megera, permettendo al ragazzo di svincolarsi.
"E' troppo forte ! Non posso fermarla… devo fuggire !" pensò, cercando di scappare.
Per alcuni secondi Megera rimase immobile, guardando il nemico fuggire, poi sorrise e si portò la mano alla testa, strappandosi dei capelli, che ricrebbero istantaneamente. "Nessuno può sfuggire alle Dee della vendetta !" mormorò lanciandoli contro il cavaliere. A mezz'aria, i capelli divennero serpi nere, che strisciarono fulminee verso Phoenix, avvolgendosi attorno alle sue caviglie e facendolo inciampare. La Furia rimase ferma in attesa, mentre i serpenti iniziarono a trascinare il prigioniero verso di lei, nonostante gli sforzi del guerriero di liberarsi. Terrorizzato, Phoenix guardò la nemica, i suoi occhi ardenti, il suo sorriso satanico e mormorò "Non è un avversario qualsiasi… è la morte stessa !".
Quando i serpenti le ebbero riconsegnato la preda, Megera lo fissò negli occhi con uno sguardo gelido e spaventoso, sollevò la mano e dichiarò "Il tempo per la tua punizione è giunto. Addio, mortale !", poi calò gli artigli verso il suo volto.
Ad una frazione di secondo dall'impatto mortale però, una luce dorata invase il labirinto, fermando la mano assassina. Nello stesso momento, la vista di Phoenix si annebbiò, le immagini si sfocarono, e quando il cavaliere riaprì gli occhi, si accorse di essere in un luogo diverso.
Confuso, il ragazzo si guardò attorno. Si trovava nella sala di un tempio greco, non era quello di Atena, o alcun altro tempio divino, ma ciononostante il posto gli sembrava vagamente familiare, anche se non riusciva a ricordare le circostanze in cui lo aveva visitato. Non sapendo cosa fare, Phoenix si rimise lentamente in piedi. Il polso era chiaramente ustionato sotto l'armatura, e la spalla continuava a sanguinare, ma a parte questo non aveva altre ferite nuove. Per un attimo si chiese se Megera l'avesse ucciso e se questo fosse una qualche sorta di aldilà, ma respinse rapidamente l'idea. Dopotutto, aveva visitato di persona sia l'Ade che i Campi Elisi, e nessuno dei due assomigliava ad un tempio greco.
Improvvisamente, le sue riflessioni furono interrotte dal rumore di uno scontro in corso. Esitante, ma anche consapevole di non avere alternative, Phoenix seguì i suoni fino alla fonte, e quel che trovò lo lasciò senza parole. Davanti a lui, grondante sangue, vi era Cristal, con indosso non l'armatura divina del cigno, ma la sua prima armatura di bronzo. Ritto di fronte a Cristal, con uno sguardo indecifrabile in viso, vi era Scorpio. Nel vedere i due, Phoenix finalmente comprese "Questo… è l'ottavo tempio dello zodiaco ! Sono… nel passato ! Ma… com'è possibile ?!".
Completamente spiazzato, e con un'espressione inebetita dipinta sul volto, Phoenix rimase immobile per svariati secondi, alla ricerca di una spiegazione plausibile. L'unica che gli venisse in mente era che si trattasse di un'illusione, anche perché nè Cristal nè Scorpio avevano reagito minimamente al suo arrivo nonostante fosse nella loro sfera visiva, ma non riusciva a comprenderne il senso. Improvvisamente, Scorpio disse qualcosa e si girò, dando le spalle a Cristal ed allontanandosi, ma dopo pochi passi il cavaliere del cigno lo richiamò dichiarando "Come potrei essere in pace con me stesso se abbandonassi ora gli amici che hanno saputo combattere per salvarmi, amici con cui ho condiviso timori, che ormai considero alla stregua di fratelli ! Li lascerei a se stessi per il solo scopo di avere salva la vita ? No, Scorpio, non lo farò ! Sopravvivere a questo prezzo non mi interessa, a chi interesserebbe ? L'amicizia che lega è un vincolo che non si disonora ! La storia dei cavalieri di Atena al Grande Tempio narra episodi di altruismo e di spirito di sacrificio senza precedenti, narra gesta di generosa amicizia e di nobiltà d'animo ! Mai lealtà ed audacia avevano albergato qui al Grande Tempio come in questi gloriosi giorni, ed io dovrei abbandonare tutto questo per sopravvivere ? No, cavaliere, la vita di un traditore è un peso insopportabile, se fuggissi ora sarebbe anche peggio di un tradimento !"
A queste parole, Phoenix rabbrividì. Andromeda gli aveva raccontato che, nel corso del duello con Scorpio, Cristal aveva avuto la possibilità di scappare salvandosi la vita, e l'aveva rifiutata, ma non aveva mai sentito le accorate parole dell'amico, parole sincere, che evidentemente gli venivano dal cuore, con le quali il cavaliere del cigno aveva deciso di anteporre l'amicizia verso i compagni alla propria incolumità.
"Cristal…" balbettò colpito Phoenix, nel vedere l'amico lanciarsi contro Scorpio, incurante delle proprie ferite, e venire facilmente respinto.
Pur sapendo di non poter fare nulla per lui, Phoenix sentì l'impulso di correre in suo aiuto, ma in quel momento, una sfera di luce delle dimensioni di un fiocco di neve gli apparve davanti ed iniziò a ruotargli attorno. Confuso, Phoenix si fermò a guardarla, e dopo qualche attimo la sfera iniziò tenuamente a brillare. Contemporaneamente, l'ottava casa svanì, e Phoenix si ritrovò su una specie di spiazzo roccioso, limitato da un crepaccio da una parte e da un altro tempio in stile greco dall'altra.
"Ed ora dove…" iniziò il cavaliere, quando quella che sembrava una forte scossa di terremoto fece tremare la terra. Voltandosi, Phoenix vide Sirio, aggrappato al cavaliere d'oro di Capricorn. Entrambi erano circondati da un'immensa spirale di energia ed attorno a loro la terra si spaccava e l'aria sembrava crepitare.
"La Pienezza del Dragone !" commentò sbalordito Phoenix, che non aveva mai visto di persona la tecnica più potente del Drago. Dopo un attimo di stupore però, il guerriero si ricordò dei drammatici effetti che quella tecnica aveva su chi lo lanciava e corse verso l'amico per fermarlo. La sua mano però passò attraverso il corpo di Dragone, come se fosse un fantasma. Improvvisamente, Sirio gridò "E' tardi ! E' tardi per tutto ! Pegasus, Andromeda, Cristal, affido a voi la missione di Micene ! Salvate Atena e voi stessi ! E voi stessiii !", poi l'energia esplose, frantumando il suolo e facendo crollare il tempio. Indietreggiando, più per istinto che per necessità, Phoenix vide un'altra toccante scena che Andromeda gli aveva raccontato, Dragone salire in cielo e scomparire in un lampo di luce.
"Avrebbe potuto fermare l'ascesa verso le stelle, salvarsi… ma non l'ha fatto… non ha neanche considerato farlo !" mormorò il cavaliere, guardando con malinconia il punto nel cielo in cui Sirio era scomparso. "Non capisco… Anch'io feci qualcosa del genere un tempo, alla sesta casa unii il mio cosmo a quello di Virgo ed entrambi ci perdemmo nell'immensità dello spazio… Avevo perso la mia armatura, non sarei potuto tornare indietro da solo… ma allora perché il gesto di Sirio mi sembra… così diverso adesso ?!" si chiese il ragazzo abbassando lo sguardo.
In quel momento, accanto a lui apparve di nuovo il fiocco di luce, e la scena cambiò ancora una volta. Stavolta Phoenix si accorse di essere nel Regno degli Abissi, ai piedi di una delle sette colonne. Di fronte a lui, vi erano Syria delle Sirene ed Andromeda, appena giunto sul posto. Nel vederlo, Phoenix corse verso di lui, ma si fermò a pochi passi, oramai ben consapevole di non poter far nulla.
"Non hai più forze, a stento ti trascini ! E' così flebile in te il soffio della vita che non vorrei neanche combattere, quindi, ti prego, vattene !" disse in quel momento Syria, esortando il cavaliere alla fuga, ma Andromeda, nei cui occhi brillava la luce della determinazione, rispose "Non posso, e nemmeno lo vorrei questa volta ! E' ormai finito il tempo delle mie indecisioni ! Combatterò fino all'ultimo !".
A queste parole, lacrime di commozione velarono gli occhi di Phoenix. Andromeda gli aveva accennato al suo duello con Syria, ma mai gli aveva parlato dell'offerta del generale, e del modo in cui l'aveva rifiutata. "Oh, fratello… ti ho rimproverato così tante volte… ma pur non essendo costretto… e benché ti ripugnasse farlo… hai combattuto, senza esitare a mettere a rischio la vita !" balbettò nel guardare Andromeda che lanciava la sua catena contro Syria.
"Ora muori per gli uomini !" gridò in quel momento una voce, e nel momento in cui Phoenix si voltò, il suolo del regno sottomarino divenne un pavimento di marmo e granito. Accanto a lui ora vi era Hades, in procinto di calare la sua spada su Lady Isabel.
Stavolta Phoenix non ebbe bisogno di far riferimento ai racconti di Andromeda, aveva già vissuto quel terribile momento e lo ricordava bene. Davanti ai suoi occhi infatti, Pegasus frantumò la sfera di luce con cui Atena lo aveva protetto e si scagliò contro il sovrano dell'aldilà, venendo trafitto in pieno petto dalla sua spada.
Pur sapendo che, grazie all'intervento di Zeus, Pegasus si sarebbe ripreso da quella ferita mortale, Phoenix non potè impedire alle lacrime di scorrere ancora più copiose. Ma non si trattava solo di lacrime di commozione per il gesto dell'amico, ma anche di lacrime colme di frustrazione, legate alla consapevolezza che un tempo lui non avrebbe esitato a fare lo stesso, e non perché lo Spirito della Fenice lo avrebbe riportato in vita, ma perché era la cosa giusta da fare.
Improvvisamente, la scena cambiò ancora, ed una cascata di immagini passò davanti agli occhi di Phoenix. Attimo dopo attimo, vide i suoi amici lottare con divinità che non conosceva, e con altre che aveva intravisto svenute. Vide Andromeda abbattere la sua catena contro Hades, Cristal scatenare tutte le sue energie contro un nemico dall'armatura azzurra, Pegasus lanciarsi contro Artemide incurante di una grave ferita al fianco, Sirio lasciarsi ferire al costato da Apollo per avere una possibilità di sconfiggerlo, e molto altro ancora.
"Amici miei…" sussurrò il guerriero, restando per molti secondi immobile con gli occhi sbarrati. Poi, in un gesto rabbioso, si portò le mani alla testa e gridò "Cosa sono tutte queste visioni ?! Che cosa significano ?".
Quasi in risposta, la pioggia di immagini cessò, e Phoenix si ritrovò in un tempio buio, freddo e silenzioso. Prima che potesse anche solo provare ad orizzontarsi, la quiete venne spazzata via da un grido di agonia che invase la sala, e dall'ombra emerse lui stesso, con un'espressione di puro dolore sul viso.
Comprendendo cosa stesse rivedendo, Phoenix rimase immobile, ed accanto al suo doppio apparve l'odiato Ares, con in mano una fenice di flebile luce. Dopo essersi dimenata per alcuni attimi, la fenice scomparve, ed Ares scoppiò a ridere malignamente.
Tale risata risvegliò in Phoenix la rabbia, davanti a se poteva vedere la fonte di tutti i dubbi e le esitazioni che ultimamente lo avevano tormentato.
"Ares !!!" gridò, lanciandosi furioso contro di lui, ma prima che potesse raggiungerlo l'immagine cambiò di nuovo, ed il cavaliere si ritrovò davanti ad Eracle. Il Dio della forza lo guardò negli occhi e disse "Per un guerriero, sia egli cavaliere o Dio, lo spirito è la cosa più importante. Sento che ora il tuo spirito vacilla ed i dubbi ti attanagliano, ma ricorda: la vittoria più gloriosa è quella che si ottiene nella battaglia con se stessi, e che si raggiunge dopo essere risaliti dagli oscuri abissi della sconfitta. Se riuscirai ad ottenerla allora i dubbi scompariranno, e diverrai un Dio tra gli uomini !"
A queste parole, Phoenix spalancò gli occhi, poi chinò il capo e nuove lacrime presero a scorrergli sul volto.
Dopo alcuni minuti, il fiocco di luce gli apparve accanto, ma stavolta il ragazzo aprì la mano sinistra e singhiozzò "Finalmente ho capito".
A queste parole, il fiocco gli si poggiò delicatamente sul palmo, e la scena cambiò per l'ultima volta.
"Un cosmo divino ha fermato la mia mano ! Ma non sono riuscita a riconoscerlo… a chi apparteneva ? Era brillante, ma anche debole, vicino a svanire…" commentò Megera guardandosi attorno sospettosa. La Furia poi rivolse di nuovo l'attenzione a Phoenix, ancora fermo ai suoi piedi, e si accorse che aveva il volto rigato dalle lacrime.
"Uh uh, piangere non ti salverà ! Quel cosmo era troppo debole, non giungerà di nuovo in tuo aiuto ! La tua ora è arrivata !" dichiarò allora, calando la mano su di lui con un ghigno malefico.
Non appena lo sfiorò però, dovette ritrarsi in un urlo di dolore.
Guardandosi la mano, la Dea si accorse che era completamente ustionata, e la pelle lacerata stava grondando sangue. Nello stesso momento, le serpi che bloccavano le caviglie di Phoenix presero fuoco, e caddero contorcendosi nelle fiamme. Senza dir nulla, il cavaliere si rimise in piedi.
"Ma com'è possibile ?!" esclamò sbalordita la Furia, senza ottenere però alcuna risposta.
Solo dopo alcuni secondi, Phoenix sollevò la testa e, guardando verso l'alto con sguardo triste, affermò "Queste… non sono lacrime di paura o dolore… sono lacrime di commozione !"
"Commozione…?" ripetè confusa Megera.
"Sin da quando Ares mi ha tolto lo Spirito della Fenice, privandomi della capacità di risorgere, mi sono sentito perso e spaventato. Ho esitato di fronte ai nemici, convincendomi che tutto il mio coraggio venisse solo dalla mia immortalità… ma ora so che non è così ! Tutte le volte che ho richiato la vita… tutte le volte che mi sono gettato incontro a quella che sembrava morte certa… non l'ho fatto perché sapevo che prima o poi sarei tornato, ma perché era necessario, in nome della giustizia ! Se anche non avessi mai avuto lo Spirito della Fenice, avrei agito esattamente nello stesso modo… perché questo è nello spirito di Phoenix !" esclamò il cavaliere, parlando più a se stesso che alla nemica.
"Non crederai che questo basti a impressionarmi ?! Il tuo destino è segnato da quando hai sfidato il sommo Zeus !" urlò allora Megera, lanciando la sua frusta contro di lui. Phoenix però non si voltò neppure, si limitò a disegnare un fendente in aria col taglio della mano, e la frusta cadde al suolo spezzata in due, sotto gli occhi inorriditi della Furia.
"Bada, donna ! Quando sono finito qui, ero così confuso da credere che tu fossi la morte stessa, giunta finalmente a prendermi dopo tutte le volte che le ero sfuggito. Ma ora… ora che ho ritrovato fiducia e determinazione… ora il mio cosmo ha ripreso ad ardere… finalmente ti vedo per quella che sei veramente: un demone insignificante che gioca con la morte ! Ben altri nemici ho saputo affrontare in passato ! Se tieni alla tua vita, fatti da parte e lasciami passare !" dichiarò con durezza Phoenix, mentre il cosmo ardente della Fenice lo circondava.
"Credi che basti così poco a sfuggire alle Dee infernali della vendetta ?" gridò di rimando Megera, avventandosi su di lui.
"E sia ! Ali della Fenice !!" rispose semplicemente l'eroe, chiudendo gli occhi e scatenando il suo colpo devastante.
"Non basterà, ho già visto questo colpo !" affermò con un sorriso malvagio Megera, ma improvvisamente si accorse che le fiamme della fenice la stavano avvolgendo e gridò di dolore e paura.
In pochi attimi, la Furia venne completamente devastata dall'attacco del cavaliere, ed il suo corpo divenne polvere e scomparve.
Rimasto solo, Phoenix aprì il pugno sinistro. Sul palmo, il fiocco di luce brillava debolmente.
"Lady Isabel…lei mi ha salvato ! Nonostante poco le restasse, non ha esitato ad usare l'ultimo afflato di vita per venirmi in aiuto! Lei… sapeva che nessun discorso o incoraggiamento avrebbe potuto scuotermi dal torpore in cui ero caduto, e per questo mi ha messo di fronte al nudo coraggio dei miei compagni. Pegasus, Sirio, Cristal… e anche Andromeda… loro, non hanno mai avuto uno Spirito della Fenice… eppure non hanno mai esitato a rischiare la vita in nome di un sogno di giustizia !" singhiozzò il cavaliere, guardando il fiocco di luce spegnersi e svanire dal suo palmo.
Attimi dopo, Phoenix si ritrovò nel salone dell'undicesimo tempio.
"Fratello ! Che sollievo, allora stai bene !" gridò subito Andromeda con gioia, correndo verso di lui.
Vedendolo arrivare, Phoenix gli sorrise e annuì "Si… sto bene !".
A queste parole, Andromeda guardò il fratello negli occhi e ricambiò il sorriso, ogni traccia di esitazione o malessere era infatti scomparsa dal suo volto.
"Andiamo ! Il dodicesimo tempio ci aspetta !" disse ad un tratto Phoenix.
"E gli altri ? Quando mi sono ritrovato qui, ho deciso di restare ad aspettarvi, così da arrivare insieme al prossimo tempio, come aveva detto Pegasus !" rispose allora il ragazzo, ma Phoenix scosse la testa "Pegasus, Sirio e Cristal hanno affrontato molti nemici mentre noi tardavamo nei templi inferiori ! E' ora di render loro il favore, li aspetteremo dopo aver sconfitto Era !"
"Finalmente ti riconosco !" esclamò gioiosamente Andromeda.
Senza rispondere, Phoenix si avvicinò all'anfora dell'Ichor e disse solennemente "Atena ci ha offerto il suo sangue, facciamo si che tale dono non vada sprecato !", poi mise la mano all'interno, subito imitato dal fratello. Ai due bastò sfiorare il sangue divino perché una sensazione di benessere li avvolgesse. Il profondo dolore delle ferite divenne più tenue, i muscoli stremati ritrovarono vigore, e la stanchezza scomparve dalle loro menti.
"Ed ora andiamo !" esortò Phoenix ritraendo la mano e scattando verso l'uscita.
"Si !" rispose subito Andromeda, correndo al suo fianco.
Nel guardare il fratello, Phoenix sorrise "«Diverrai un Dio tra gli uomini» aveva detto Eracle… ma io per anni ho combattuto al fianco di quattro Dei… e solo nel loro eroismo ho potuto ritrovare me stesso ! Anche senza lo Spirito della Fenice, sarò sempre Phoenix !"