LE QUATTRO BRACCIA DELLA DEA KALI’

Sbalordito come i compagni alla vista di quel che Avalon era diventata nei pochi giorni di regno di Erebo, neppure Phoenix si avvise dell’improvviso attacco infuocato di Surtur se non all’ultimo momento. Investito e spinto all’indietro, allungò istintivamente la mano verso Andromeda, che tra tutti gli era il più vicino, ma nuove onde d’urto lo sbilanciarono, allontanandolo dal fratello e facendolo precipitare verso il bordo più esterno della foresta, vicino alla scogliera e ad una piccola spiaggia. Adesso che l’isola era stata sollevata nel cielo dalla Prima Ombra, non erano più le onde che ne lambivano le coste, ma il vuoto ed uno strapiombo di migliaia di metri, una caduta che si sarebbe rivelata fatale persino per un cavaliere.

Maledicendosi per l’essere stato colto impreparato, l’eroe strinse i denti e reagì con un colpo di reni, ritrovando l’equilibrio e spiegando contemporaneamente le ali della sua nuova armatura divina, la Vampa di Guerra, nata dal sangue del bellicoso Ares. In pochi istanti, una corrente ascensionale gli permise di riprendere il controllo, e infine planare elegantemente a terra, tra gli scheletri degli ultimi alberi di quello che un tempo era stato il grande regno di Oberon e Titania.

"Era troppo sperare di poter arrivare fino ad Erebo senza alcun ostacolo…" pensò guardandosi attorno, vagamente seccato per essere stato sorpreso a quel modo.

Chiudendo gli occhi, si concentrò sui cosmi dei compagni, simili a sfere luminose nell’oscurità che era l’aura di Erebo, capace di ammantare l’intera isola coprendola di una sensazione quasi palpabile di malvagità. Sparse lontano, le energie dei suoi amici erano comunque ben visibili, anche se purtroppo non sole.

"Cristal è già impegnato in battaglia, i seguaci di Erebo non si sono fatti attendere!" comprese, localizzando il cosmo più vicino e muovendo un passo in quella direzione.

Poi però si arrestò di colpo e chiuse di nuovo gli occhi, mentre un sorriso di scherno gli compariva in viso. "Tsk, hai intenzione di restare nascosto per l’eternità?" domandò sarcastico.

Per alcuni secondi non giunse risposta. Poi, accompagnata da una risatina ironica, una figura emerse dagli alberi alle sue spalle, avanzando di alcuni passi verso di lui.

"Uh uh, sei riuscito a percepirmi nonostante avessi celato la mia presenza, ben pochi ci sarebbero riusciti…" esordì una voce femminile. Seppur giovanile e languida, era tinta da profonda cattiveria, mista a cinismo ed orgoglio. Ma vi era in lei anche qualcosa di suadente, un fascino oscuro difficile da definire, ma tale da far rabbrividire un guerriero minore, di spingerlo in ginocchio a supplicare per la propria vita.

Non Phoenix però. Il Cavaliere della Fenice rimase impassibile, continuando a dare le spalle all’avversaria.

"Dobbiamo a te quel benvenuto di fuoco?" chiese semplicemente, chinando leggermente il capo.

"Uhm… si, anche se non nel senso che credi. E’ stata di Surtur, demone del fuoco, la mano che vi ha abbattuto. Ma sono stata io a suggerire al sommo Erebo di concedere a noi, i suoi fedeli Imperatori, di sconfiggere voi invasori!" rispose con un sorriso. "I miei compagni presto finiranno i tuoi amici, ed io stessa porterò la tua testa alla corte del mio signore!"

"Le nostre teste? In tanti hanno provato a prenderle, tu non sarai che l’ultima a perire nel tentativo! La sorte non ti è stata amica, gli altri forse si sarebbero inconsciamente trattenuti di fronte ad una donna, ma io, Phoenix, non ho remore ad annientare chiunque si ponga sul mio cammino!" avvertì minacciosamente il Cavaliere, voltandosi di scatto.

Nel guardare per la prima volta colei che aveva di fronte però, persino la sua espressione sicura e determinata vacillò e scomparve, sostituita da una di sincero sbalordimento. Anni di battaglie lo avevano portato ad affrontare Dei e semidei, Cavalieri e ingannatori, ma non aveva mai visto niente o nessuno che potesse prepararlo all’aspetto dell’Imperatrice: la donna che lo fronteggiava, dalle labbra rosse come il sangue ed al cui collo penzolavano numerose teste umane inanellate in una collana, possedeva infatti quattro braccia, due per ciascun lato del corpo.

"Ah ah ah ah" scoppiò a ridere la sua avversaria, divertita dall’espressione incredula sul volto dell’eroe. "La sicurezza delle tue parole presto non sarà che un ricordo, perché non è semplice sgualdrina di una divinità inferiore colei che ora dovrai combattere, ma la grande Kalì, Dea della distruzione!"

"La Dea Kalì…!" realizzò Phoenix, accigliandosi e studiandola meglio. Aveva lunghissimi capelli di un nero corvino, che le scendevano fino alle ginocchia, ed occhi del medesimo colore. La carnagione era olivastra, e faceva risaltare ancora di più le labbra di un rosso acceso, i denti bianchissimi ed una pittura a forma di goccia di sangue che si trovava esattamente al centro della fronte.

Seppur di corporatura esile, c’era inoltre qualcosa di intrinsecamente minaccioso nella sua figura, resa ancora più macabra dalla collana che portava al collo. Il Cavaliere contò dodici teste umane, tutte recise di netto alla base del collo, e tutte accomunate da un’espressione di dolore, terrore o follia. O almeno in base a quel che il ragazzo poteva vedere, perché alcune teste erano in avanzato stato di decomposizione, scarnificate, con appena brandelli di pelle ancora visibili. Guardando con maggior attenzione, Phoenix si accorse che anche la loro disposizione non era casuale: le teste più integre erano sul lato destro, e diventavano sempre più vecchie e decadenti man mano che si andava verso la sinistra, fino alle ultime che non erano che teschi dalle orbite vuote e prive di luce. Un altro particolare rendeva più macabro quel monile, le teste erano piccole, troppo piccole per appartenere a uomini adulti: si trattava di bambini.

La collana copriva in parte un’armatura azzurro scuro, tendente al grigio, decorata attorno al collo, alle spalle, ai polsi ed alle caviglie da numerosi girocolli e bracciali d’oro, in alcuni casi ulteriormente ornati da grossi rubini. L’elmo era a diadema, anche se assomigliava più che altro ad una corona regale, che svettava fieramente sopra la testa restringendosi come un triangolo. Il pettorale copriva interamente il torso ed aveva forme palesemente femminili, accomodando i seni con incavi tondeggianti, mentre il cinturino era a gonnellino frangiato, reso ancora più inquietante dal fatto che le frange erano a forma di braccia umana, con le dita capovolte, fissate al gomito alla cintura e con quelle che sarebbero dovute essere le mani che penzolavano. Dal centro del collare partiva un vistoso fregio verticale rosso, a forma di lingua, che si srotolava scendendo in mezzo ai seni e terminando all’altezza dell’ombelico.

L’armatura non aveva dei veri coprispalla: il pettorale copriva la zona della clavicola, mentre erano i copribicipiti stessi ad allungarsi in modo da proteggere interamente la parte superiore dell’arto. O meglio, degli arti, visto che da ciascuna spalla spuntavano due braccia, una leggermente più avanti rispetto all’altra in modo da permettere ad entrambe di muoversi senza ostacolarsi a vicenda. Per qualche secondo, Phoenix si chiese se non fosse un inganno, se magari due di quelle braccia non fossero che pezzi di armatura vuoti, ma poi dovette ammettere che non era così.

Per di più, tre braccia su quattro impugnavano qualcosa: quella superiore destra stringeva una spada, simile ad una scimitarra ricurva; quella inferiore destra una specie di tridente corto, dalle lame laterali leggermente arrotondate; e quella inferiore sinistra un oggetto che sembrava una coppa d’osso, quasi una ciotola, vuota. Solo la mano superiore sinistra era vuota, con le dita sollevate ed il palmo aperto verso l’esterno, in una posa pericolosamente simile a quella della Volta di Minosse di Virgo.

"Uh uh uh, lo sgomento è dipinto sul tuo volto, hai un’espressione adeguata alla fine che ti attende!" sorrise Kalì, ridendo dello stupore sul viso del nemico.

Esso però non durò che pochi secondi, poi Phoenix chiuse un attimo gli occhi e scrollò le spalle. "Tsk… Megera sull’Olimpo, ed ora te qui. La sorte si diverte a riempire la mia strada con i nemici più strani! Ma ti serviranno ben più di quattro braccia per sconfiggere Phoenix!" tuonò, avvolgendosi dell’aura del suo cosmo.

"Povero sciocco, non sai a cosa stai per andare incontro. L’inferno che ti attende ti farà pentire di tanta tracotanza!" sibilò Kalì con un sorriso perfido prima di far scattare in avanti la mano libera e lanciare un fascio di luce.

Con un balzo, Phoenix lo schivò ed iniziò a correre verso di lei, ma in tutta risposta la Dea separò le dita della mano, lasciando partire da ciascuna un piano di energia in direzione del nemico.

"Non può illudersi di vincere con attacchi talmente prevedibili…" pensò Phoenix, muovendosi agilmente tra gli ostacoli e continuando ad avanzare. Ad ogni passo, il numero di piani di luce raddoppiava, formando un reticolato sempre più fitto e strisciando in qualche occasione sull’armatura della Fenice, ma non abbastanza da rallentarlo.

Alla fine, il Cavaliere arrivò a pochi passi da Kalì, pronto a colpire. Nello stesso momento però la Dea sorrise, saltò indietro e riunì le dita, congiungendo i fasci in un unico raggio di energia a distanza ravvicinata. "I colpi che hai visto finora non erano che un’esca per spingerti ad avvicinarti!" sibilò, lasciando partire il suo attacco, diretto al volto dell’eroe.

"Vicino ti sarò presto, ma per vincerti!" rispose Phoenix, intercettando il colpo con il palmo della mano ed iniziando a venir spinto indietro. Per alcuni istanti la spinta parve tale da sbalzarlo via, ma poi, sotto gli occhi intrigati della Dea, i piedi dell’eroe smisero di strisciare a terra e contemporaneamente il Cavaliere della Fenice serrò il pugno, annullando tra le dita il raggio di energia.

"Hai vanificato il mio assalto pur essendo solo un essere umano?!" esclamò l’Imperatrice.

"Proprio così: purtroppo per te l’unica Dea in cui ho fede è la grande Atena! In lei e lei sola ripongo la mia fiducia, ma una divinità malvagia come te non è che un altro nemico da abbattere!" ringhiò, scattando in avanti e sferrando un destro fiammeggiante, che raggiunse Kalì in pieno volto e la scaraventò per terra.

"Incredibile! Costui possiede uno spirito ardente come le fiamme della Fenice che rappresenta!" commentò l’Imperatrice, osservandolo con crescente interesse.

"Ed ora via dalla mia strada! Erebo mi preme, non certo i suoi scagnozzi!" esclamò Phoenix lanciando un potente fascio di energia.

"Ora non sopravvalutarti!" lo ammonì Kalì, rialzandosi in piedi di scatto e tagliando l’aria con la scimitarra. Con un solo tocco le fiamme del Cavaliere vennero tranciate di netto e si mutarono in vapore, scomparendo. Nello stesso momento la Dea alzò il pugno al cielo, facendo esplodere il suolo ai piedi dell’eroe e scagliandolo in aria di alcuni metri.

"Piccole creature come te non hanno ragione ne diritto di arrivare a cospetto del sommo Erebo! E’ per distruggere insetti come voi che il nostro signore ci ha investiti Imperatori, e non ho certo intenzione di deluderlo!" continuò, intercettandolo al volo con un colpo al fianco e sbattendolo contro un albero, che andò immediatamente in pezzi.

"Tu, giovane folle, non sarai che la mia vittima! Nè la prima, nè di certo l’ultima!" concluse, balzandogli sulla schiena con un calcio e cercando di farlo sprofondare al suolo.

Phoenix gridò di dolore, ma un istante dopo il suo cosmo avvampò, obbligandola ad allontanarsi con una smorfia di dolore, appena in tempo per schivare un montante, che sfrigolò su uno dei bracciali.

"Il calore della sua fiamma rivaleggia con quello di Surtur!" notò, accorgendosi che la corazza era leggermente annerita là dove Phoenix l’aveva sfiorata.

"Bada a te, Dea della distruzione! Scoprirai a tue spese che Phoenix non è avversario facile per nessuno!" avvertì l’eroe, correndole incontro e scagliando una serie di raggi di energia che la obbligarono sulla difensiva. Kalì infatti ne schivò alcuni con dei movimenti laterali, prima di intercettarne uno con la scimitarra, saltare all’indietro e contrattaccare con un nuovo reticolato di piani di luce.

I due assalti si incrociarono a mezz’aria senza contrastarsi, vista la loro differente natura. Passando tra le aperture dell’attacco di Kalì, il colpo di Phoenix raggiunse la Dea alla spalla e la sbalzò contro un albero, ma nello stesso momento anche l’eroe venne investito e si piegò in avanti con un grugnito di dolore.

Nel rialzarsi, vide lo sguardo adirato e colmo di odio della Dea, la cui mano libera stava massaggiando il punto ove era stata colpita. "Pagherai per aver osato levare la tua mano su di me! La tua testa presto si unirà alla collana delle mie vittime! Quanti ne hanno fatto parte… seguaci ed antichi avversari, come altri uccisi per diletto! Ma aggiungere te, Cavaliere della Fenice, mi darà una gioia innata!"

"Ti fai vanto delle stragi che compi, sei seguace degna di Erebo!" esclamò Phoenix con evidente disprezzo, prima di sollevare il pugno e sferrare un altro attacco.

"E’ una lode la tua, anche se inconsapevole! Per tutte noi divinità che prosperiamo nella morte e nella distruzione, lord Erebo è più di un semplice sovrano: è una leggenda vivente, un simbolo verso cui anelare! Lui che primo nella storia del creato ha osato sfidare l’ordine costituito in nome dell’oscurità, ci ha ritenuti degni di assurgere al suo fianco e accompagnarlo! E a tale onore io saprò attingere a piene mani…" rispose, sollevando la mano vuota e fermando il raggio di energia con il palmo. Più che questa mossa però, a Phoenix non sfuggì il sorrisetto sinistro che aveva accompagnato le sue ultime parole. Una smorfia in cui si leggevano non solo fedeltà o sicurezza, ma anche profonda ambizione.

"Hai in mente qualcosa, ma quali che siano i tuoi disegni non ha importanza, non quando è in palio la salvezza dell’intera umanità! Amici preziosi stanno rischiando la vita per offrirci una speranza, non la sprecheremo di certo!" esclamò il Cavaliere facendo esplodere il suo cosmo ed avvolgendosi nelle fiamme. "Prendi la mia tecnica più potente, il battito d’ali dell’uccello di fuoco! Ali della Fenice!!"

"Ricorrere già alla tua mossa migliore, quale impudenza!" lo derise Kalì parando anche questo assalto con la mano aperta, in un’esplosione di fuoco e scintille. Istante dopo istante però la sua espressione si mutò in una di fastidio e poi di dolore, mentre Phoenix continuava ad imprimere energia nel suo colpo segreto, avvolto da un vento fiammeggiante dalla violenza sempre maggiore.

Con una smorfia, l’Imperatrice si accigliò e bruciò allora il suo cosmo, concentrandolo nella mano, finché, con un’esplosione improvvisa, attacco e difesa si annullarono a vicenda, scaraventando indietro entrambi i contendenti, avvolti da una nube di polvere ed una pioggia di detriti.

Questa tregua forzata non durò che un istante, poi entrambi si rialzarono, gettandosi ancora l’uno contro l’altra. Il pugno di Phoenix impattò nella mano di Kalì, e le aure dei due combattenti ripresero a scontrarsi, talmente intense da elettrizzare l’aria circostante.

Bloccati, ciascuno apparentemente incapace di prevalere sull’avversario, i due si osservarono con attenzione, studiando in profondità i rispettivi sguardi, cercando di scorgere una debolezza o un tentennamento, ma non trovandone alcuna traccia.

"Dici di non credere in alcun Dio, eppure sento che l’armatura che indossi è rinata con il sangue divino!" disse alla fine l’Imperatrice, studiando le vesti della Fenice, brillanti e lucide come appena forgiate.

"Non paragonarti al nobile Zeus, tu che ti avvolgi dell’odore nauseante della morte! Neppure la malvagità di Ares era paragonabile a quella che leggo nei tuoi occhi. Essi tradiscono la tua vera natura persino prima della macabra collana che indossi!" ritorse il ragazzo, incapace di nascondere una smorfia alla vista delle teste scarnificate e putrefatte che componevano parte dell’orpello.

"Perché questo è il mio scopo nell’ordine del creato. Mio e del sommo Erebo!" rispose fieramente Kalì, stringendo la presa sul pugno dell’eroe. In quel momento i bracciali che portava al polso iniziarono a muoversi e cambiare forma, mutandosi in serpenti che strisciarono sinuosi e sibilianti lungo il braccio del ragazzo, alla ricerca di un punto scoperto in cui affondare le zanne.

"E per questo sarai sconfitta!" esclamò Phoenix, sferrando un improvviso calcio all’addome dell’avversaria. Per un istante la Dea barcollò, e subito il Cavaliere balzò indietro di qualche passo, spazzò via le serpi con un manrovescio e sollevò ambo le braccia.

"Non fermerai la nostra corsa! Ali della Fenice!!" tuonò, scatenando di nuovo il suo colpo segreto, l’uccello di fuoco pronto a ghermire la preda con i suoi artigli mortali.

Subito Kalì cercò di sollevare la mano per difendersi, ma si accorse con orrore che il palmo era ustionato e sanguinante, le dita annerite, il polso indolenzito. Consapevole di ciò, Phoenix sorrise, ma dopo una frazione di secondo di perplessità stessa cosa fece la Dea, e nella sua espressione l’eroe lesse una preoccupante sicurezza.

Ruotando su se stessa, Kalì sferrò un fendente con la spada, centrando il collo della fenice di fuoco. A contatto con la lama, l’animale parve gridare di dolore e contorcersi con il becco spalancato, per poi scomparire, dissolvendosi in innocuo vapore.

"N… non è possibile!" balbettò Phoenix esterrefatto.

"Impossibile non è che un termine coniato dagli esseri umani per descrivere quel di cui non hanno mai avuto esperienza. Come si può pensare che un Dio immortale sia incatenato dagli stessi limiti?" commentò ironicamente Kalì, prima di scattare a ridosso del nemico e vibrare un altro fendente.

Reagendo d’istinto nonostante la sorpresa, l’eroe balzò indietro, ma ciònonostante al passaggio della lama fu colto da un dolore acuto e intensissimo, come se il suo stesso corpo stesse venendo tranciato in due all’altezza dell’addome.

Trattenendo un rantolo, gettò un’occhiata là dove la scimitarra l’aveva sfiorato, solo per scoprire con enorme stupore che non c’era la minima ferita. Nè crepe nè rivoli di sangue macchiavano la Vampa di Guerra, essa era intatta come appena forgiata.

"Eppure il dolore che ho sentito era reale! Che sta succedendo?" pensò inquieto, concentrandosi maggiormente sull’arma di Kalì. Accorgendosi di ciò, l’Imperatrice sorrise e la sollevò sopra la testa.

"Non hai capito cos’è accaduto? Te lo mostrerò di nuovo!" sogghignò, avvicinandosi al nemico e calando la scimitarra diagonalmente dall’alto verso il basso, per poi ruotarla nella mano e tracciare il percorso inverso, disegnando una croce nell’aria. Phoenix incrociò subito le braccia per difendersi, ma anche stavolta il suo corpo venne attraversato da fitte lancinanti di dolore, tali da appannargli la vista e fargli girare la testa.

"Aaaarg!!" gridò barcollando all’indietro, prima che Kalì alzasse di nuovo l’arma colpendolo in pieno al centro del torace e facendolo cadere a terra.

"Uh uh, strisci agonizzante nella polvere, come meriti per aver osato ferirmi!" rise Kalì, sferrandogli un calcio al volto. Con un colpo di reni però Phoenix si girò sulla schiena e le bloccò al volo la caviglia, sbilanciandola e rialzandosi con uno scatto rabbioso.

"Strega!" gridò, colpendola all’addome con un pugno che la fece barcollare e sferrando subito dopo un raggio di energia.

"Che insolenza!" sibilò Kalì, intercettando il colpo con la scimitarra e dissolvendolo. Nel far ciò sfiorò con la punta anche il braccio teso del Cavaliere. Ancora una volta l’armatura respinse la lama senza fatica, ma il ragazzo ebbe quasi la sensazione che il polso gli fosse stato strappato dal corpo, e barcollò all’indietro stringendolo con la mano sinistra.

"Quella spada… qual è il suo segreto?!" si chiese Phoenix a denti stretti, mentre un rivolo di sudore gli scorreva sul volto sofferente.

"Se ci tieni a saperlo te lo rivelerò… mi hai accusata di gioire della sofferenza delle mie vittime, sarà un atto di pietà!" sorrise maliziosamente la Dea, prima di indicare il nemico con il piatto della lama e aggiungere "Ma per un uomo orgoglioso come te, le risposte non posso giungere solo con le parole!"

In quel momento la lama della scimitarra si illuminò di rosso ardente, ed un istante dopo una fenice di fuoco esplose fuori, abbattendosi sull’allibito Phoenix e scaraventandolo malamente a terra.

"Erano le Ali della Fenice… non può essere, che follia è mai questa?! Ha rivolto contro di me il mio stesso colpo segreto!" mormorò, serrando il pugno ed affondando le dita nella terra arida.

Issandosi su un gomito, osservò di nuovo la sua avversaria, ripensando a quel che era accaduto negli ultimi minuti. "Quella scimitarra ha disperso i miei attacchi e le Ali della Fenice… il suo tocco mi dà dolore ma non danneggia l’armatura… ah, possibile che?!" realizzò, spalancando gli occhi.

Sorridendo più apertamente, Kalì alzò l’arma sopra la testa. "Hai capito, finalmente. Questa lama non lacera le membra, ma il cosmo! Il dolore che senti è quello della tua stessa energia che ti viene strappata dal corpo, in fondo per un Cavaliere il cosmo non è come l’anima stessa?!" spiegò con un’espressione malvagia, confermando i timori del guerriero. "Ed ora che sai la verità, contempla la piena forza della mia arma! Danza di Kalì: Primo Passo! Manidurga!"

Una pioggia di affondi alla velocità della luce saettò attorno al Cavaliere, che si sentì come se il suo corpo stesse venendo fatto completamente a pezzi, lacerato e strappato da parte a parte.

Gridando impotente, Phoenix venne scaraventato contro alcuni alberi e crollò di nuovo a terra, agonizzante. Una vista che soddisfò particolarmente la sua avversaria.

"Resterei volentieri a vederti soffrire, ma devo finirti prima che gli altri Imperatori uccidano i tuoi compagni! Tornando per prima vittoriosa al sommo Erebo guadagnerò un posto d’onore tra le sue schiere! Il colpo di grazia, un atto magnanimo di cui raramente ho fatto dono alle mie vittime, ora calerà su di te!" sibilò sollevando la scimitarra.

Ma in quel momento il Cavaliere si scosse e lanciò all’attacco, prendendola in controtempo. "Per la gloria devi ancora attendere, Phoenix è tutt’altro che vinto! Fantasma Diabolico!" gridò, ferendola in pieno alla fronte e facendole volare via il diadema.

Barcollando incredula, Kalì chiuse un paio di volte gli occhi e si voltò alla ricerca del nemico. Phoenix però sembrava scomparso, il campo di battaglia era totalmente deserto. Persino gli alberi scheletrici sembravano essersi diradati, ed i pochi che ancora la circondavano ondeggiavano ritmicamente nel vento, quasi come esseri umani che barcollavano verso di lei.

O forse erano devvero esseri umani. Guardando meglio, Kalì si accorse che si trattava proprio di uomini, coperti di sangue e ferite, che avanzavano con le braccia tese trascinandosi verso di lei. Gli occhi vitrei o privi di orbita trasmettevano un senso di odio e disprezzo, un desiderio di vendetta verso colei che era stata loro carnefice.

Indifferente, Kalì alzò la scimitarra per falciarli, ma le braccia erano improvvisamente bloccate. Abbassando gli occhi, vide che la terra ai suoi piedi si era spaccata, lasciando fuoriuscire un lago di lava ribollente al cui interno le sue gambe affondavano scarnificandosi. Per di più, dall’interno stavano uscendo decine e decine di mani di fuoco che l’afferravano e stringevano, avvolgendosi anche intorno ai fianchi ed al torso, ustionandola e cercando di trascinarla con se nell’abisso.

"Gli incubi ormai attanagliano la tua mente, la scimitarra è inutile contro il Fantasma Diabolico! Presto il tuo spirito sarà distrutto grazie alla sete di vendetta delle tue antiche vittime!" commentò Phoenix, osservando la Dea gemere e singhiozzare.

Dopo qualche secondo però, quelli che erano sembrati singhiozzi si rivelarono essere risate, e Kalì alzò di nuovo la testa a guardare il Cavaliere. "Uh uh, un sogno eccitante, da tempo non provavo brividi di piacere come questi" sogghignò.

"Sei un illuso oltre che uno sciocco se pensi che basti una visione a fermarmi: uccidere è il mio ruolo nell’universo, ne sono fiera e orgogliosa, per me è naturale come respirare… ed infinitamente più piacevole!" esclamò felice, prima di socchiudere gli occhi in due fessure minacciose. "Ma ora ti farò pentire di avermi fatto volar via il diadema: la sofferenza del cosmo non è ancora abbastanza per te, patirai una tortura ben più profonda!"

Nel dire questo, Kalì sollevò la mano inferiore destra, nel cui pugno era stretto il tridente, e lo usò per sferzare l’aria. Tre raggi di luce saettarono verso Phoenix, che immediatamente balzò di lato per evitarli. Cercando di contrattaccare, l’eroe si gettò in avanti con un calcio, ma Kalì lo parò con il piatto della scimitarra e nello stesso momento sollevò il tridente dirigendolo alla testa del Cavaliere.

Con un colpo di reni, Phoenix saltò indietro, ma non riuscì ad evitare del tutto l’arma e ben presto un sottile rivolo di sangue iniziò a scorrergli sul volto, grondando sul mento e gocciolando a terra. Accigliandosi, il guerriero si preparò a fronteggiare una nuova offensiva e fissò Kalì, ma in quel momento la vista gli si appannò per un istante, confondendolo.

Accortasi di ciò, l’Imperatrice sorrise e sferrò un affondo con il tridente, colpendo Phoenix in pieno petto e scagliandolo a terra.

"Ah ah ah ah, è tutta qui la tua forza?" esclamò, fissandolo divertita. "E’ la prima volta che fronteggi un Dio? No, hai affrontato Hades ed Ares, Era e Zeus, eppure adesso sei impotente alla mia mercè? E’ paura di morire a frenarti? Insieme allo spirito della Fenice hai perso anche il coraggio?" lo derise, ma dietro alle sue provocazioni c’erano significati reali.

Spalancando gli occhi, Phoenix la fissò di nuovo. "Come fai a sapere dello spirito della Fenice?!" domandò perplesso. In tutta risposta, Kalì sorrise di nuovo e sferrò un altro affondo con il tridente, centrando la zona scoperta tra il bicipite e la spalla del Cavaliere.

Con un grido di dolore, Phoenix sentì le lame affondargli nella carne e barcollò indietro, ma quando guardò la ferita si accorse con immenso stupore che c’era soltanto un taglio, e non tre. Nello stesso momento, il suo equilibrio venne meno, ed il ragazzo barcollò e cadde contro il tronco di un albero. Osservando l’avversaria, si accorse che solo una delle tre lame del tridente era sporca di sangue, nonostante tutte e tre lo avessero trafitto.

"Come la spada, anche quel tridente non è un’arma comune!" realizzò preoccupato.

"Nulla di quel che appartiene alla Dea Kalì è comune…" rispose l’Imperatrice, sollevando l’oggetto. "Questo che chiami tridente è ben più di quel che sembra, è un Trishula, l’arma divina! Le sue lame, oh Cavaliere, dovresti temerle, perché i danni che causano vanno ben oltre le semplici ferite. Te ne darò dimostrazione!"

Prima che Phoenix potesse fare qualcosa, la Dea gli conficcò di nuovo l’arma nel braccio, decentrandola però in modo che una sola delle tre punte lo colpisse, strappandogli un sussulto di dolore.

"La lama destra distrugge il piano fisico dell’esistenza!" dichiarò Kalì, estraendola di scatto. Flotti di sangue iniziarono a grondare a terra, unendosi a quelli della ferita di poco prima, ma stavolta l’imperatrice li ignorò, sollevando di nuovo la propria arma, ruotandosela nella mano e calandola in un fendente obliquo.

"La lama sinistra mira invece al mondo della mente! Suo è il danno dei nove sensi, chi ne subisce troppo a lungo il filo è destinato ad essere ridotto a mera carcassa, priva di qualsiasi contatto con il mondo che la circonda!" proseguì, e nello stesso momento, Phoenix sentì un senso di vertigine, accompagnato da un appannamento della vista, e crollò su un ginocchio. Improvvisamente sentiva quasi mancare l’aria e faticava a deglutire, mentre rivoli di sudore gli scorrevano sul viso. Ma ancora Kalì lo ignorò ed alzò il tridente, avvicinandolo al proprio volto ed ammirandolo.

"La terza lama infine, la lama centrale, è quella che più di ogni altra dovresti temere. Essa è il vertice del Trishula, la più terribile delle tre!" commentò, prima di farla improvvisamente scattare in avanti, affondandola nel petto di Phoenix come se l’armatura non esistesse.

Stavolta il Cavaliere non avvertì alcun dolore o mancamento, ma ciònonostante sentì una sensazione strana, che non seppe spiegare, come se qualcosa che non sapeva neppure di avere gli fosse stato sottratto. Una sensazione che lo fece rabbrividire, perché simile ad un’altra soltanto che aveva provato in passato: la dimenticanza del Sacro Virgo, nel corso della battaglia alla sesta casa.

"Che cosa mi hai fatto?!" domandò, rialzandosi in piedi.

Fu in quel momento che avvertì un cosmo esplodere in lontananza, segno che una delle battaglie stava per raggiungere il suo epilogo. Era il cosmo di uno dei suoi compagni, brillante come mai, ma anzichè farlo sorridere la cosa lo preoccupò profondamente, permettendogli improvvisamente di capire cosa la lama gli avesse sottratto.

"I miei amici… i Cavalieri con cui sono venuto ad Avalon… non riesco a ricordare i loro nomi!" balbettò inorridito, un’espressione in netto contrasto con il sorriso che era disegnato sul volto di Kalì.

"Perché la memoria ti sta lentamente abbandonando. La terza lama carpisce o distrugge i ricordi, privandoti lentamente dei tesori del passato. Essa è la lama che lacera il mondo dello spirito! Ad ogni suo tocco, dei ricordi lasciano per sempre la tua mente, se tale è il mio volere. E’ bastato sfiorarti poc’anzi per scoprire quel che è successo nel tempio di Ares… è bastato invece trafiggerti e delle memorie sono state perse per sempre! Erano i nomi dei tuoi amici stavolta… cosa sarà la prossima? Neppure io lo so!" sorrise, preparandosi di nuovo a colpire.

Nel vedere la sua espressione sinistra e gaudente, in Phoenix la confusione fu sostituita dalla collera. "Maledetta!!" ringhiò, lanciandosi furiosamente in avanti con il pugno fiammeggiante.

"Uh uh, l’ira non ti salverà da me! Danza di Kalì: Secondo Passo! Mohini Pudi!" rispose estasiata l’Imperatrice, facendo ruotare il Trishula dinanzi a se e creando un vortice che spense interamente l’attacco dell’eroe e lo lanciò in aria di alcuni metri.

Prigioniero, Phoenix comprese che quella non era una semplice corrente d’aria e sentì una delle lame stridere più e più volte contro la sua armatura, riuscendo occasionalmente a trovare i punti indifesi ed aprire su di loro sottili tagli. Più della lama fisica però erano le altre due a preoccuparlo: quali sensi sarebbero stati indeboliti, quali ricordi sarebbero andati perduti si chiese. Sapeva di aver lasciato dei compagni ad Asgard, ma quali erano i loro nomi? Uno di loro era Ioria del Leone, di cui aveva anche indossato l’armatura un tempo, ma non riusciva a ricordarne i lineamenti, era come se una coltre di nebbia sempre più fitta stesse avvolgendo lui e tutti gli altri.

Frustrato, strinse i denti e cercò di far esplodere il suo cosmo per liberarsi, ma proprio in quel momento il vortice cambiò direzione, facendolo precipitare verso terra. Soddisfatta, Kalì sollevò il tridente per trafiggerlo, e con un clangore metallico l’arma impattò a mezz’aria sul pettorale della sua armatura, all’altezza del cuore.

Crepe nere e sottili si allargarono là dove la lama destra cercò di affondare nella corazza, ma quest’ultima resse e Phoenix cadde di nuovo al suolo, sanguinante.

"Un’altra armatura e avresti smesso di soffrire, povero infelice…" commentò Kalì, ma senza traccia di pietà o compassione nella voce, ed a conferma di ciò iniziò a calpestargli la testa con il tacco.

"Uuh… che ti succede Phoenix, non è da te lasciarti andare in questo modo!" si disse il ragazzo, serrando il pugno e rotolandosi improvvisamente per terra, sotto lo sguardo divertito della Dea.

"Non hai ancora capito che è tutto inutile? Vuoi continuare a giocare?" lo derise, ricevendo in cambio uno sguardo stanco ma sprezzante.

"Non illuderti di aver già vinto! Finchè il mio cosmo continuerà a bruciare io resisterò!" esclamò l’eroe, facendo esplodere le forze che gli restavano ed avvolgendosi della loro luce ardente. "Ali della Fenice!!"

Subito Kalì sollevò la scimitarra per difendersi mentre, ricolmo di energia, il pugno del Cavaliere scattò in avanti.

Ma non accadde nulla.

Incredulo e sbalordito, Phoenix si guardò la mano, aprendo e chiudendo le dita quasi a volersi sincerare che fossero davvero le sue.

"Le Ali della Fenice… come può essere?!" balbettò, mentre Kalì scoppiava a ridere.

"Che ti succede, Cavaliere? Hai dimenticato come eseguire il tuo colpo segreto? Anche quello è un ricordo dopo tutto, un’abilità acquisita! Ma visto che sei ancora in grado di bruciare il cosmo fino a questo punto… Manidurga!"

Al nome del primo passo di danza, una pioggia di affondi si abbattè sull’eroe, facendolo gridare di agonia mentre la scimitarra lacerava e dilaniava il suo cosmo. "Le Ali della Fenice… non ricordo più come lanciare le Ali della Fenice!" pensò Phoenix, maledicendosi, prima di essere scaraventato contro una roccia.

"E ora muori!" sibilò Kalì, lanciandosi verso di lui.

Ma ancora una volta il guerriero la sorprese e, con un gesto improvviso, afferrò alcune delle piume metalliche delle sue code e le scagliò contro di lei.

"Cavaliere… sei ridotto a questi trucchetti ormai?" lo derise l’Imperatrice intercettandole con la scimitarra. In quella frazione di secondo però Phoenix la raggiunse, calpestandole il piede con il proprio per impedirle di allontanarsi e sferrando contemporaneamente un destro potentissimo al volto.

"Un Cavaliere non è solo cosmo e colpi segreti! Puoi privarmi dei ricordi… puoi dilaniare le mie carni e spegnere i sensi, ma non piegherai mai il mio spirito guerriero!" gridò, facendo esplodere un sinistro all’addome che quasi la piegò in due, e poi un altro destro al volto scoperto, facendole volare qualche schizzo di sangue dalla bocca.

"Maledetto! Mai fui percossa ed umiliata a tal modo!" rispose Kalì a denti stretti, sferrando con la scimitarra un fendente obliquo ed approfittando dell’attimo di dolore del nemico per liberare il piede ed indietreggiare di un passo con gli occhi ricolmi di odio. "Secondo Passo! Mohini Pudi!"

Un nuovo vortice lanciò in aria l’eroe, ma stavolta sentì appena il tocco dei tagli sulla carne.

"Sto perdendo il senso del tatto… pochi colpi ancora e sarò perduto. Non posso lasciarmi andare, devo fare qualcosa… già una volta in passato sono stato privato dei cinque sensi… lo so… lo sento… Allora seppi reagire, ma come? Come?!" si chiese, sforzandosi di ricordare. Ma, nonostante i suoi sforzi, la mente sembrava indifferente, chiazzata da vuoti sempre più grandi.

"Non ricordo neppure più perché stiamo combattendo… come posso vincere in queste condizioni?" pensò, prima di ricadere a terra. Stavolta il Trishula lo trafisse alla schiena, riuscendo a penetrare abbastanza in profondità da ferirlo, seppur non gravemente.

In quel momento, altrove su Avalon due cosmi esplosero bruciando con tutta la loro forza per alcuni istanti. Istanti dopo, uno di essi si spense, il più oscuro e freddo dei due.

"Un imperatore è caduto…" commentò Kalì, non preoccupata o rattristata, ma anzi con una punta di soddisfazione nella voce.

A terra, anche Phoenix sentì l’aura dissolversi.

"I miei compagni stanno combattendo… stanno vincendo! Uno di loro mi è particolarmente caro, questo lo rammento ancora… come posso essere da meno e restare qui nella polvere?" pensò, cercando di rimettersi in piedi. La vista però ormai era profondamente appannata, l’equilibrio precario, e persino il cosmo aveva perso la sua normale vitalità, riducendosi ad una luce flebile attorno a lui. Consapevole di ciò, Kalì usò la mano libera per alzarlo per la gola ed iniziò a tempestarlo di colpi, usando volontariamente l’asta del Trishula e il piatto della scimitarra.

"Dovrei affrettarmi a finirti, ma per avermi umiliato la tua sarà una morte lenta!" esclamò, lasciando la presa per poter usare anche la terza mano. Ma proprio in quel momento, sanguinante e con gli occhi chiusi, Phoenix schivò e la centrò alla spalla con un pugno, facendola barcollare all’indietro, sorpresa più che dolorante.

Anzichè proseguire l’offensiva, il Cavaliere restò immobile, con la guardia alzata. Incupendosi, Kalì scattò in avanti e sferrò una serie di affondi con la scimitarra, ma senza riuscire a mettere a segno alcun colpo.

"Come può continuare a combattere costui… il cosmo, i sensi, la memoria, ormai tutto dovrebbe essere alla fine, eppure continua a opporsi alla mia volontà!" pensò, cercando di scrutarne il viso, ma Phoenix sembrava imperturbabile.

Frustrata, eseguì un altro affondo, ma anche stavolta il guerriero la schivò con un passo laterale, lasciandola infrangere sull’albero alle sue spalle. Per di più, con un repentino doppio passo la superò, e contemporaneamente fece scattare il dito in avanti, raggiungendola in piena fronte.

"Fantasma… Diabolico!" sussurrò Phoenix sorridendo.

Incredula, Kalì si toccò la fronte, ora rigata da un sottilissimo rivolo di sangue. "Devi essere impazzito, usare di nuovo una tecnica che si era già rivelata inutile su di me!" esclamò sprezzante.

Ma Phoenix non rispose nulla, restando chiuso in un inquietante silenzio.

"Adesso basta! Manidurga!" gridò allora Kalì, visibilmente furiosa. Il primo passo, una serie di affondi ad una velocità superiore a quella della luce, esplose in tutta la sua forza.

Ma nonostante tutto, l’espressione di Phoenix rimase immutata, anzi se possibile il sorriso si accentuò leggermente.

Con una serie di movimenti laterali e diagonali, il Cavaliere schivò uno ad uno tutti gli affondi, riuscendo a restare appena abbastanza lontano dalla lama da impedirle di lacerare il suo cosmo. Sbalordita, Kalì intensificò l’attacco, solo per vedere Phoenix farsi sempre più vicino.

"E’ assurdo! Come puoi evitare la mia scimitarra mantenendo gli occhi chiusi?!" gridò incredula.

In tutta risposta, Phoenix, ormai a pochi passi da lei, si accovacciò per un attimo e poi fece esplodere il pugno in avanti. "Ali della Fenice!!!"

Sbalordita ed in controtempo, l’Imperatrice non riuscì neppure ad abbozzare una difesa e venne centrata in pieno petto, con una forza tale da crepare leggermente la sua armatura e scaraventarla a terra, dove strisciò per qualche metro prima di sbattere al tronco di un albero.

Aprendo gli occhi, con i lunghi capelli neri sporchi di terra e polvere, il labbro e la fronte ancora sanguinanti, fissò colma di odio e disprezzo l’avversario, che aveva a sua volta riaperto gli occhi ed ora la guardava con un sorriso di scherno.

"Come hai fatto, dannato? Come hai ricordato le Ali della Fenice?!"

"Tsk… non l’ho fatto…" rispose semplicemente Phoenix. "Per un Cavaliere la virtù in battaglia è ben più di una conoscenza… è parte di se, della propria natura! Mi è bastato smettere di pensare, affidarmi all’istinto, per riuscire a lanciare di nuovo le Ali della Fenice!"

A queste parole, Kalì lo fissò immobile per qualche secondo. Ogni traccia di odio era scomparsa dal suo sguardo, ma l’espressione era comunque intelleggibile.

In quel momento, altrove su Avalon un altro cosmo scomparve.

"Un altro dei tuoi compagni è caduto!" osservò Phoenix, chiedendosi segretamente se a sconfiggerlo fosse stato quel Cavaliere verso cui nutriva un affetto speciale, ed il cui nome o volto ormai non riusciva più a ricordare.

Annuendo, Kalì si fece improvvisamente seria e si rialzò.

"E’ così… e per te non avrebbe potuto esserci disgrazia maggiore!" commentò.

"Che intendi dire?" chiese Phoenix, accigliandosi. Non riusciva a vederla bene, ma sentiva che qualcosa in lei stava cambiando, diventando persino più minaccioso e mortale.

"La presenza degli Imperatori era la tua più grande difesa. Finchè loro fossero rimasti in vita, non avrei mai usato la mia arma più potente! Ma ora due sono morti e gli altri stanno dando tutto se stessi… non si accorgeranno di me!" spiegò, sollevando la spada e il Trishula.

"La fine terribile che ti avevo promesso all’inizio del duello presto sarà su di te… ben più atroce di quanto persino io mi sarei immaginata! I passi finali della danza di Kalì ti vedranno precipitare nell’abisso! I passi finali che mai nessun essere umano ha visto prima!" proclamò, espandendo il suo cosmo.

"I passi finali?!" ripetè Phoenix alzando immediatamente la guardia. "Vuol dire… che hai ancora colpi a tua disposizione? Perché tenerli segreti così a lungo allora?!"

"Perché grazie ad essi ucciderò gli altri Imperatori ed i Flagelli! Grazie ad essi assurgerò al ruolo di sovrana accanto al sommo Erebo!" rispose, prima di scoppiare a ridere, non riuscendo più ad impedire ad una gioia selvaggia di emergerle nella voce. "Sarò la sua consorte! Noi che siamo uniti dal caos domineremo insieme su un mondo in continua lotta! Su un mondo su cui scorrono fiumi di sangue e le tenebre dominano, indiscusse sovrane! Insieme, lui ed io lo stringeremo nel pugno! E’ questo il mio destino, Cavaliere! Nessun’altro è degno del sommo Erebo! Nessun altro condivide appieno il suo sogno di distruzione!

"Nè quell’arrogante di Apopi nè quello stolto di Surtur, nè quel folle di Fenrir nè Jormungander, e neppure Hela o i tanto esaltati Flagelli! Nessuno di loro sa cosa siano veramente le tenebre e il caos! Nessuno tranne me!" gridò, abbandonandosi per alcuni secondi a quella fantasia di potere. Poi i suoi occhi tornarono a fissarsi su Phoenix. "Ma sulla mia strada siete comparsi tu ed i tuoi amici. Dovrei esserne felice, state indebolendo o persino uccidendo gli Imperatori al posto mio, ma combattendo con te mi sono resa conto che siete pericolosi… troppo per essere presi alla leggera. E per questo, dovrò distruggervi! I tuoi compagni saranno di certo stremati per le battaglie sostenute… facili prede, ma per te è necessario qualcos’altro!"

Nel pronunciare queste parole, Kalì allineò la scimitarra e il Trishula in modo che formassero una croce, e fece strisciare le due lame una sull’altra. Contemporaneamente, il suo cosmo si espanse, avvolgendola come un mantello e vibrando di fronte alle energie sprigionate. Un sorriso fatale si allungò sul volto della Dea, che in un sussurro pronunciò "Danza di Kalì: Terzo Passo! Satvik Attam!"

Immediatamente Phoenix indietreggiò, temendo un nuovo attacco, ma accadde qualcosa di molto diverso. Dalle lame incrociate della scimitarra e del Trishula si levò un fumo rossastro, quasi una nebbia di sangue, che vorticò in aria per qualche istante, prima di spirare verso la mano superiore sinistra, quella ancora vuota.

"Credevi che questa mano mi servisse solo per i più basilari attacchi energetici… oh, quanto ti sbagliavi!" sorrise sinistramente Kalì, serrandone le dita. Sbalordito, Phoenix si accorse che il fumo si stava solidificando al suo interno, formando qualcosa. Prima una forma indistinta, poi sempre più dettagliata, finchè il ragazzo la riconobbe e non potè trattenere un grido di sorpresa.

"No… non è possibile… la vista mi inganna ancora, non c’è altra spiegazione!" esclamò inorridito, con il volto rigato da un rivolo di sudore. "E’ una testa umana!!"

Ed infatti, stretta per i capelli, nella mano di Kalì vi era proprio una testa, con gli occhi spalancati ed il volto deformato in un’espressione di dolore.

Ma non una testa qualunque.

"So… sono io!" balbettò Phoenix con la bocca aperta, sconvolto nel riconoscersi. "E’ la mia testa… santi numi, com’è possibile! E’ un’illusione! Deve esserlo!"

"E’ soltanto una parte del rito, un rito che non si è ancora concluso…" disse Kalì con voce colma di malvagità, facendo penzolare la testa del Cavaliere della Fenice.

"La scimitarra ed il Trishula assorbono il sangue, i sensi, il cosmo ed i ricordi di cui ti privano, accumulandoli fino a permettermi di compiere il terzo passo! Il penultimo, perché presto la danza sarà completa!" spiegò, avvicinando la scimitarra alla gola della testa mozzata di Phoenix.

"Ed ora, l’atto finale! Danza di Kalì: Quarto Passo! Kathakali Natyam!"

Con un gesto, la Dea sgozzò la testa, facendo grondare fiumi di sangue nella coppa sottostante. Goccia dopo goccia, flotto dopo flotto, Phoenix la vide riempirsi di linfa vitale. Ogni istinto del suo corpo gli gridava di fuggire, ma c’era qualcosa di ipnotico nella danza di Kalì, qualcosa che lo obbligava a continuare a guardare senza muovere un muscolo.

Alla fine, quando la coppa fu piena, la testa scomparve. Sorridendo sinistramente, Kalì lasciò cadere la scimitarra e il Trishula.

"La kapala, la coppa formata dal teschio di una vergine, è infine colma! Non mi resta che berne il contenuto!" sibilò, afferrandola con tutte e quattro le mani ed avvicinandola alle labbra.

Mentre il cosmo dell’Imperatrice si espandeva minaccioso, un suono di tamburi indiani iniziò a risuonare assordante nell’aria. Contemporaneamente, la collana di teste prese a ruotare attorno al collo della Dea, gli occhi illuminati, le bocche aperte, come se stessero cantando ed invocando il nome della loro carnefice. Sempre più veloci, fino a diventare una forma sfocata e indistinguibile.

"E’ un incubo… una maledizione… reagisci Phoenix, fuggi a questo maleficio!" pensò l’eroe cercando di scuotersi.

"Non puoi! Ormai è segnato il tuo destino, per sempre! Che la grande Danza della Dea Kalì si completi! Che la sua oscura malia annienti colui che è stato così stolto da sfidarmi credendosi invincibile!" proclamò la Dea, bevendo avidamente alla tazza di sangue.

Nello stesso momento, di fronte all’incredulo eroe, il suo aspetto mutò. Altre due teste le comparvero sul collo, e gli arti si moltiplicarono, fino a diventare dieci braccia e dieci gambe, cinque su ciascun lato del corpo. Le mani con le dita serrate o congiunte, i palmi rivolti verso l’esterno o uniti in preghiera.

"La mia forma finale, Cavaliere di Phoenix! Primo essere umano a contemplarla, imprimila nella memoria perché sarà l’ultima cosa che vedrai! Quando i tre mondi si uniscono, il risultato non è un universo di beatitudine, ma un abisso di oscurità! Mahakali!" esclamò Kalì, e da ciascuna delle dieci braccia partì un ventaglio di luce, che unendosi agli altri creò una spaventosa ondata di energia.

Una sfera nera che investì in pieno il guerriero con una forza inarrestabile, colpendolo contemporaneamente su tutti i piani dell’esistenza. Il corpo e la mente, lo spirito, il cosmo ed i sensi furono ugualmente inondati e sopraffatti, come se una marea nera si stesse abbattendo su di lui.

Con un ultimo grido di dolore, Phoenix precipitò nell’oblio, fluttuando rapidamente tra le tenebre.

Ad accoglierlo però non fu il vuoto che si sarebbe aspettato, o che raramente aveva già incontrato in passato nel corso di battaglie particolarmente difficili. Al contrario, le tenebre che lo circondavano erano costellate da immagini e scene evanescenti, immerse nel silenzio. Scene che, per quanto gli sembrassero vagamente familiari, non riusciva a riconoscere.

Vide un gruppetto di bambini senza volto giocare a pallone, ed un altro, timido e insicuro, essere spintonato e insultato da alcuni coetanei (lo conosco?); un’isola rocciosa e inospitale, su cui si ergeva minaccioso un uomo dal viso mascherato, ed una ragazzina bionda curare un giovane ricoperto di ferite (sono io?); dei guerrieri in armature nere, ed altri con vesti variopinte, ed un altro ancora, sconfitto dalle loro forze congiunte (qual è il suo nome?); un uomo d’oro, ammantato di potere, in qualche modo simile a… a colei che fino a pochi attimi prima aveva affrontato (chi era?);

le scene si fecero molto più veloci: paesaggi innevati e coralli multicolore, entrambi chiazzati dal sangue di combattenti senza nome o lineamenti (perché?); una fanciulla dai capelli neri, morta, le mani cinte in preghiera da qualcuno che si allontanava, volando via su ali splendenti (io… chi sono?); un monte, costellato di templi, da cui si levavano grida di guerra e urla di dolore, e poi un’isola, un mondo desolato e triste, e ancora neve e nubi e fiamme e dolore (io… chi sono?!).

Cercò di gridare, ma dalla bocca non uscì alcun suono. Cercò di portarsi le mani al viso, ma esse erano fredde e distanti, sorde ai suoi comandi. Non era più certo neppure di averle, non poteva sentirne il tocco sulla pelle.

Alla fine, tutto scomparve, con un’unica eccezione. Un ragazzo senza volto o lineamenti, immobile e parzialmente nascosto da veli di ombra, vestito di una corazza azzurra e blu, con tre lunghe code piumate.

"Chi è costui?" pensò, faticando a mettere insieme anche quelle poche parole. La mente si stava spegnendo, ed insieme ad essa svanivano la capacità di pensare e il raziocinio.

Quell’uomo era importante, ma perché? Non sapeva dirlo, ma nel veder dissolversi anche lui sentì un senso di abbandono, un vuoto più profondo di quello che ormai lo circondava.

Eppure, qualcosa dentro di lui rifiutava di lasciarsi andare. E, con la mente ormai in procinto di spegnersi, una domanda continuava a riverberare.

"Io… chi sono? Io… chi sono? IO… CHI SONO?!!!"

"Tu sei Phoenix, il Cavaliere della speranza!" rispose improvvisamente una voce candida, comparendo dinanzi a lui. Era la fanciulla bionda vista poco prima, in quel caledoscopio di immagini indistinte. Gli stava sorridendo, con dolcezza e calore.

"Tu sei Phoenix, il Cavaliere della Speranza!" gli ripetè, appoggiandogli le mani sul viso e chiudendo gli occhi, d’un tratto sofferente.

Ed in un lampo di luce, come se una diga fosse stata improvvisamente abbattuta, una marea di ricordi rifluì nella mente del ragazzo, con una forza tale da farlo quasi barcollare mentre anni ed anni di vita riemergevano, tasselli si posizionavano, domande trovavano risposta, colmando il vuoto creato dal colpo segreto di Kalì.

"E… Esmeralda!" esclamò Phoenix riconoscendola, guardandola di nuovo, felice di poterne di nuovo scandire il nome.

Ma, con suo enorme stupore, davanti a lui non era più l’amica d’infanzia ma una bambina, piegata su un ginocchio, il viso angelico deformato da spasmi di dolore.

"Chi… chi sei?!" domandò, prima di accorgersi delle sue condizioni e avvicinarsi a lei "Sei ferita?"

Scuotendo la testa, la bambina rifiutò il suo gesto. "Non temere per me" disse, con voce melodiosa, capace di trasmettere un senso di calma e purezza, ma anche venata da stanchezza e sofferenza.

"La tecnica della Dea Kalì aveva cancellato i tuoi ricordi, spento il cosmo ed i sensi. Ho risvegliato i primi… ora farò lo stesso con gli altri, che tu possa tornare a volare sulle ali della Fenice! La via della vittoria…" iniziò, tendendo una mano verso di lui.

Ma con un gesto deciso Phoenix la rifiutò, lo sguardo improvvisamente indurito.

"Fa silenzio, non dire altro!" esclamò, voltandosi e dandole le spalle. "Ti sono grato di quel che hai fatto… ma non non posso accettare altro. Non voglio il tuo aiuto! Non voglio l’aiuto di nessuno!"

Le sue parole risuonarono per qualche secondo, accompagnate da un flebile bagliore. Quando Phoenix si girò di nuovo, la bambina era scomparsa.

"Perdona la mia arroganza…" pensò, chiudendo gli occhi prima di dar fondo ad energie che sembravano sopite per avvolgersi di una nuova aura infuocata, flebile ma luminosa nell’oscurità.

Ad Avalon, la Dea, sbalordita e incredula, vide il Cavaliere rialzarsi a fronteggiarla, e non potè trattenersi dall’indietreggiare di un passo.

"Sei sopravvissuto…" commentò a denti stretti, senza però ottenere risposta. Solo allora, osservandolo meglio, aggiunse "appena". Il Cavaliere era infatti visibilmente scosso e barcollante, il cosmo che lo circondava quasi invisibile, gli occhi fissi nel vuoto, incapaci di metterla a fuoco. A conferma delle sue ipotesi, Kalì lanciò un raggio di energia, centrandolo in pieno petto senza che lui neppure provasse ad evitarlo.

"Ma ciònonostante la sua presenza ha del miracoloso…" ammise, osservando la kapala, ancora ricolma per metà della linfa vitale dell’eroe. "Bevendola fino in fondo avrei distrutto anche il suo corpo… ma non credevo fosse necessario…" pensò, prima di fissare il guerriero con occhi colmi di disprezzo.

"Non so quale divinità sia giunta in tuo soccorso, nessun mortale può sopravvivere alla mia tecnica suprema, è oltre ogni immaginazione! La tua resistenza e tenacia mi sorprende, devo ammetterlo… ma purtroppo per te non basterà! Lasciandoti così moriresti presto lo stesso, una fine misera e indolore, che però non ti concederò! Porrò termine io alla tua esistenza, anche se ormai non sei che un guscio vuoto privo di ogni umana parvenza, la tua stessa presenza è un’offesa alla mia grandezza!" esclamò, avvicinandosi di nuovo la kapala alle labbra.

"Stavolta non distruggerò solo la mente, i sensi e la memoria, ma anche il tuo corpo! Cavaliere della Fenice, diventa polvere e perditi nel vento! Mahakali!" proclamò, ingoiando il contenuto della coppa fino all’ultima goccia. Le dieci mani indicarono il bersaglio e si aprirono all’unisono facendo esplodere l’onda nera di energia in direzione di Phoenix.

Con gli occhi ormai quasi ciechi, l’eroe la sentì sopraggiungere, ma rimase immobile, alla ricerca di ogni granello di energia ancora nelle sue mani, di ogni traccia di cosmo, di ogni residua volontà.

"E’ più forte di me… questa è una vittoria che devo conquistare con le mie sole forze, senza alcun supporto! Non per vuoto orgoglio ma per necessità, perché sono convinto che solo così potrò affrontare di nuovo Erebo! L’amicizia e l’aiuto dei miei amici è un tesoro che ho imparato ad amare, e di cui sono fiero, ma è dal duello con Megera che non combatto da solo… ed è in solitudine che sono diventato quello che sono, facendomi strada tra le difficoltà! Da solo saprò trovare anche il modo di sconfiggere Kalì, o perirò nel tentativo!" si disse con i pugni serrati, i denti stretti, la fronte corrugata per lo sforzo.

"Brucia, mio cosmo! Brucia ancora una volta! Anche a costo della mia vita, brucia come ardente fiamma! Bruciaaaaa!!!" gridò con tutto il fiato che aveva in gola.

Per un istante una luce sfavillante come un sole sembrò avvolgerlo, abbagliando persino Kalì, prima che, simile ad un’onda del mare, l’oscurità del colpo segreto dell’Imperatrice si abbattesse su di lui, cancellandolo completamente.

Quando essa si fu dissipata, del Cavaliere non c’era più traccia.

"E’ finita!" sorrise Kalì, il cui aspetto era tornato quello originario non appena l’energia del Mahakali si era dispersa. Soddisfatta, mosse un passo per allontanarsi.

Ma improvvisamente una nuova aura si innalzò attorno a lei, facendola trasalire, e nello stesso momento un raggio di luce centrò la kapala, frantumandola tra le sue mani. "No!" urlò incredula la Dea.

"Finita? Quanto ti sbagli!" gridò allora una voce colma di vitalità, obbligandola ad alzare lo sguardo, e lasciandola senza parole. Di fronte alla pallida luce del sole e ben più luminosa, si stagliava in cielo la sagoma di un uccello di fuoco brillante di energia, le ali ampie e maestose, le code fluenti. Con una picchiata improvvisa, essa atterrò tra le rocce, liberando colonne di fuoco e fiamme. E, da esse, avanzando con passo sicuro, emerse Phoenix, nuovamente al pieno delle forze.

"Non è possibile!!" gridò Kalì. "Come puoi essere ancora vivo? Dovresti essere polvere ormai! Cenere di cenere!"

"Tsk, dalle ceneri la fenice è solita rinascere, non lo sapevi?" la schernì l’eroe.

"Vuoi dire… che lo spirito della fenice è ritornato in te? Come può essere… Ares lo aveva distrutto per sempre, l’ho visto con i miei occhi!"

"Chi può dirlo…" rispose Phoenix scrollando le spalle. "Forse è stato un miracolo, segno di un destino a te avverso, o forse la fenice è rinata insieme alla mia nuova armatura, grazie all’arguzia di Zeus, e bruciando il mio cosmo oltre ogni altro limite sono riuscito a risvegliarla ancora una volta! Non saprei… quel che è certo è che sono di nuovo nel pieno delle forze, pronto alla battaglia!"

"Dice il vero… il cosmo ed i sensi sono tornati quelli di prima, e le ferite non sono abbastanza gravi da finirlo!" realizzò Kalì, incupendosi. Un momento dopo però la sua espressione si rasserenerò.

"Ti ho sconfitto una volta, non devo far altro che sconfiggerti di nuovo!" minacciò.

"Forse, ma non credere che ti sarà facile!" ribattè Phoenix. "Ormai ho scoperto il tuo segreto… non è solo per fierezza che ritardi il Mahakali fino all’ultimo e desideri tenerlo nascosto ai tuoi nemici, ma anche per prudenza! E’ la tua arma più potente… ma senza quella fragile coppa d’osso non puoi più eseguirlo, l’essere tornata al tuo aspetto originario lo conferma!" notò, ottenendo in cambio uno sguardo colmo di odio.

"Dovrò solo procurarmi un’altra kapala… e quanto allo sconfiggere te, dimentichi che le mie risorse non sono certo esaurite!" sibilò, impugnando di nuovo la scimitarra ed il Trishula e lanciandosi all’attacco.

"Fatti avanti!" rispose Phoenix, facendo lo stesso.

I due si scontrarono a mezz’aria, fermandosi ciascuno a qualche metro alle spalle dell’altro. Vedendo un taglio sanguinare sulla guancia del nemico la Dea sorrise, ma una fitta di dolore al fianco ed alcune crepe sull’armatura le fecero notare che anche lei aveva subito il colpo.

"Non sei più così sicura?" la derise Phoenix, scagliando un raggio di energia. Kalì però gli scoccò uno sguardo sprezzante e lo intercettò con la scimitarra, dissolvendolo.

"Parli con molta sicurezza, ma le crepe sulla tua armatura non si sono risanate!" notò, alzando l’arma "Lo spirito della Fenice non è bastato a curarti del tutto, quanto resisterai prima che i miei colpi ti finiscano? Manidurga!"

La pioggia di affondi si abbattè sull’eroe, che ancora una volta sentì il proprio cosmo venir lacerato e indebolito mentre, colpo su colpo, la scimitarra gli saettava accanto. Stavolta però, anzichè cercare di schivarla, strinse i denti e balzò in avanti, gettandosi direttamente sulla lama e lasciandola conficcare nel fianco.

"Sei impazzito?!" esclamò Kalì, sorpresa da quell’atto suicida. Flotti di sangue ora scorrevano sulla sua arma, gocciolando a terra copiosi. Un’occhiata al volto di Phoenix tuttavia le fece capire che non era così. Non era affatto l’espressione di un folle, ma di un guerriero pronto a tutto pur di vincere.

A conferma di ciò, l’eroe sorrise e sollevò la mano destra, calandone il taglio sulla scimitarra. Con un assordante clangore metallico, essa andò in frantumi.

Leggendo lo sguardo inorridito dell’Imperatrice, Phoenix si strappò dal corpo la punta della scimitarra e la gettò a terra ai suoi piedi, espandendo il proprio cosmo. "Delle quattro danze ormai te ne è rimasta una sola, preparati alla sconfitta! Ali della Fenice!"

Investita in pieno a distanza ravvicinata, Kalì venne scaraventata a terra, e subito l’eroe si lanciò in avanti per finirla, ma improvvisamente venne raggiunto da un fascio di luce alla bocca dello stomaco e costretto a fermarsi. Anche negli occhi di Kalì brillava infatti la luce di chi è disperatamente teso alla vittoria. Pulendosi un rivolo di sangue dalla bocca, ella si rialzò quasi subito e sollevò il Trishula.

"Un passo è tutto ciò di cui ho bisogno quando contro di esso non esistono difese!" minacciò, sollevando l’arma "Mohini Pudi!"

Stavolta fu il turno di Phoenix di gettarsi sulla difensiva, timoroso soprattutto del tocco della lama centrale. Tuffandosi a terra e rotolandosi su un fianco, riuscì in qualche modo a schivare il colpo segreto riportando solo qualche scheggiatura sulla corazza, ma non a ridurre la distanza che lo separava dall’Imperatrice.

"Rassegnati, per te io sarò la fine della corsa!" disse Kalì.

"La mia corsa si concluderà solo nelle stanze di Erebo! Ali della Fenice!!" ribattè l’eroe lanciando ancora il suo colpo segreto, ma senza risultati. L’Imperatrice infatti stavolta era pronta, e lo annullò ruotando vorticosamente il Trishula davanti a se.

"E’ tutto inutile, siamo in fase di stallo!" pensò Phoenix preoccupato. "La sua difesa è solida, le Ali della Fenice si infrangono senza causare danni reali! Dovrò rischiare per trovare la vittoria… ma la lama centrale del Trishula è pericolosa, se dovessi perdere di nuovo la memoria sarebbe la fine! Che fare?"

Nel porsi questo quesito, rimase per diversi secondi immobile, con la guardia sollevata. Ma alla fine sospirando l’abbassò, fissando negli occhi la sua avversaria, leggermente sorpresa da questo cambiamento.

"Non pensare di ingannarmi fingendo la resa! Non sei guerriero che fugga via in battaglia, di questo ormai sono certa!" avvertì sospettosa.

"Non temere, non cerco di ingannarti, so che sarebbe inutile. Nel corso di questo duello ho imparato a conoscerti: la tua forza è grande, sorretta dall’ambizione, ma è anche accompagnata da giudizio e capacità di discernimento. All’infuori di Zeus e Oberon, mai nessuno mi ha messo in difficoltà a tal punto!" ammise.

"Ma adesso è arrivato il momento di concludere questa battaglia: continuare ancora all’infinito renderebbe inutile persino una vittoria. Sferra pure il Secondo Passo, io farò lo stesso con le Ali della Fenice, e che la vittoria vada a chi ha il cosmo più potente!"

"E così hai deciso di rischiare il tutto per tutto. Ma perché dovrei assecondarti? Non ho vincoli di tempo a trattenermi, posso finirti quando più mi aggrada!" disse Kalì.

Stavolta fu il turno di Phoenix a sorridere. "Non è così, è tu lo sai… lo sai molto bene! In questo momento due miei amici si stanno dirigendo da Erebo, e se lo raggiungeranno su tutti voi Imperatori cadrà l’onta del fallimento! Il vostro sovrano… non è essere tale da riconoscere i meriti personali" disse in tono arguto, e Kalì fu costretta ad ammettere la verità insita nelle sue parole. "Se vuoi raggiungerli, se vuoi conquistare il titolo e gli onori di cui mi hai parlato all’inizio di questo duello, allora devi finirmi adesso e correre da loro!"

Inspirando nervosamente, la Dea soppesò per qualche secondo il discorso del Cavaliere, poi sollevò il Trishula, avvolgendolo del suo cosmo.

"L’arguzia non ti fa difetto… è vero, tutto quel che hai detto è vero! Lord Erebo punirà ugualmente tutti noi se un solo invasore giungerà al cospetto dei Flagelli, ed una tale umiliazione porrebbe per sempre fine a tutti i miei disegni! Ma scegliendo questa fine hai firmato la tua condanna, il Secondo Passo ti priverà di tutti i ricordi che possiedi, rendendoti una larva, e privo della capacità di bruciare il cosmo non riuscirai più neppure a risorgere!" proclamò, sorridendo nel notare l’incupirsi dell’avversario.

"Non ci avevi pensato, forse la mia lode è giunta troppo presto… la fine che ti sei scelto è invero la più atroce! Ma non importa, una cosa che hai detto è vera: è tempo di porre fine a questo scontro! Danza di Kalì: Secondo Passo! Mohini Pudi!" concluse, sferrando frontalmente il suo colpo segreto.

"E sia, che questo duello decida la mia sorte! Ali della Fenice!!" urlò Phoenix, scatenando il suo colpo più potente.

In un’esplosione di luce e scintille, le due tecniche si scontrarono a mezz’aria, rimanendo in equilibrio per qualche istante. Ben presto però il Mohini Pudi iniziò a prendere il sopravvento, ed a spingere verso l’eroe, accompagnato dalla risata assordante ed estasiata di Kalì.

Sordo alle sue grida, Phoenix chiuse gli occhi.

"Ha detto che non avevo pensato alle conseguenze di questa sfida, ma non è così, è un rischio di cui ero pienamente consapevole… ma anche un rischio che devo correre! Solo così potrò sperare di vincere… solo così potrò raggiungere i miei amici!" pensò, aumentando l’ardore del suo cosmo. Il terreno ai suoi piedi si mutò in cenere e tizzoni ardenti, gli alberi incominciarono a bruciare, la temperatura si fece insostenibile, e lentamente la spinta delle Ali della Fenice aumentò.

"Eracle, Dio della Forza, un giorno mi disse che la battaglia più difficile da vincere è quella con se stessi! Consiglio prezioso, per cui non l’ho mai realmente ringraziato, né potrò farlo ora che il suo corpo giace privo di vita tra le rovine dell’Olimpo! Vincerò questa battaglia anche in nome suo, bruciando il cosmo della Fenice come non ho mai fatto prima!" disse, riaprendo gli occhi ed allargando di colpo le braccia.

"A costo di ardere tra le mie stesse fiamme, a costo di diventare cenere e scomparire nel vento, io non perderò questa battaglia! Bruciate, Ali della Feniceee!!!" gridò.

Con un’esplosione di fuoco, le Ali della Fenice presero improvvisamente velocità, come se l’uccello mitologico stesse non più volando, ma lanciandosi in picchiata sulla preda. In meno di un istante trapassò e disperse l’energia del Mohini Pudi, spezzando il Trishula e abbattendosi sull’incredula Kalì.

Quel che accadde dopo fu una sorpresa per entrambi: anzichè scontrarsi sull’armatura dell’Imperatrice, il colpo sembrò quasi venirne assorbito senza causar danno. Un sorriso di sorpresa misto a vittoria iniziò a disegnarsi sul volto della Dea, quando la sua corazza divenne improvvisamente incandescente, ed il corpo all’interno si mutò in una torcia di fuoco, un’orrenda pira fiammeggiante.

"Yaaaaarghh!!!" gridò Kalì in preda all’agonia, incapace di spegnere le fiamme che la consumavano. "Com’è possibile?! Che mi sta succedendo?!!"

Sbalordito, Phoenix osservò con gli occhi spalancati. "Quello… non è più il vento di fuoco generato dal battito d’Ali della Fenice! Bruciando il mio cosmo all’inverosimile ho creato qualcos’altro! Un calore troppo intenso… troppo concentrato per poter essere dissipato dall’armatura, e che così si propaga al suo interno! Ma il corpo di un essere vivente, anche quello di una Dea, non può sopportare una simile temperatura, e così viene arso vivo dall’interno, bruciando prigioniero della sua stessa armatura!" comprese, ripensando al modo in cui la Fenice si era lanciata sul bersaglio, non più come un uccello che ghermisce la preda, ma come uno che decide di gettarsi in un attacco suicida e consumarsi assieme a lei.

"Queste… non sono più le Ali… questo è il Rogo della Fenice!" esclamò, mentre Kalì continuava a bruciare in agonia. La collana di teschi si spezzò e cadde, i gioielli d’oro si fusero sulle braccia colando a terra, i capelli divennero una torcia incandescente.

"No… non sono finita!!!" gridò l’Imperatrice barcollando verso di lui con un braccio teso in avanti. "Io… diventerò la sovrana del mondo! Io regnerò accanto… al sommo Erebo…!" disse, raggiungendolo. Quando i loro sguardi si incrociarono, l’odio negli occhi della Dea era ancora evidente nonostante le fiamme che la divoravano.

"Io… ti… ucciderò!" disse alla fine, cercando di colpirlo al volto con la mano nuda, ma riuscendo solo a cadere in avanti, con il braccio ancora teso.

Le unghie delle dita graffiarono il volto dell’eroe, che rimase immobile, con gli occhi chiusi, facendolo sanguinare, ultimo atto di colei che aveva vissuto solo per portare dolore e morte.

Poi Kalì, danzatrice dalle quattro braccia e signora della distruzione, crollò a terra priva di vita.

Impassibile, Phoenix ne guardò il cadavere, ancora in preda alle fiamme.

"Continueranno a bruciare finchè non diverrai cenere e di te non resterà che un’armatura vuota. La fine atroce che mi avevi profetizzato alla fine è stata tua… ma non nutro pietà o rammarico per te… solo per coloro che sono stati così sventurati da diventare le tue vittime!" pensò, prima di sospirare e correre via, lasciandosi alle spalle quel teatro di distruzione.

*****

Nel palazzo di Erebo, Morte, che fino a questo momento era rimasto immobile in un angolo, come se la guerra in corso non lo riguardasse, si scosse di colpo e volse la testa in direzione della foresta.

***************

LA GRANDE GUERRA DI ASGARD

Orgoglio fatale

Mentre la battaglia infuriava davanti alle mura di Asgard e lo scontro tra Thor e Gunther entrava nella sua fase più cruenta, all’interno di un lungo passaggio scavato nella roccia due figure solitarie vegliavano in attesa di un grido di guerra o un rumore di passi. Un’attesa frustrante, che metteva a dura prova la loro pazienza.

"Bloccati qui mentre i nostri amici combattono a rischio della vita!" sbuffò Doko passeggiando nervosamente. Da quando l’effetto del Misopethamenos era scomparso, anche parte della sua indole battagliera e impetuosa era riemersa, acuita dalla drammaticità delle circostanze.

"E’ l’ordine di Ilda, e tutti noi abbiamo giurato di rispettarne l’autorità…" notò Mime, appoggiato alla parete con le braccia incrociate. Ma, a dispetto delle parole, anche la sua voce tradiva una punta di preoccupazione ed impazienza.

"Lo so, non dubito della sua saggezza. Ma ho già perso due compagni in questa guerra, ed un allievo che amo come un figlio sta combattendo ad Avalon mentre noi aspettiamo nemici che potrebbero anche non arrivare mai… forse non puoi capire, ma non posso… non riesco a mantenere la compostezza che dovrei!" disse con una certa frustrazione.

"Parli di Sirio, il Dragone… Luxor ed Orion mi hanno parlato di lui. Ma se può esserti di consolazione, anche io ho amici a me cari che ora rischiano la vita… qui, o ad Avalon" rispose Mime, con pacata fermezza.

Notandone il tono, Doko sospirò. "Perdonami, non intendevo essere scortese".

"Non scusarti, è la tensione a farti parlare così. Confesso che anche io vorrei abbattere la volta di questa caverna per sigillarne il passaggio e unirmi ai nostri compagni…" ammise il musico alzando lo sguardo al soffitto roccioso.

"Non possiamo. Ilda spera di usarlo come via di fuga per le donne ed i bambini di Asgard se la città dovesse cadere. Anche per questo dobbiamo presidiarlo… affinché resti un passaggio sicuro" disse, prima di aggiungere "Eppure… è davvero necessaria la presenza di ben due di noi? In quest’angusta galleria il peso dei numeri non ha valore, uno solo potrebbe bastare a impedire il passaggio ad eventuali armate del nemico!"

Annuendo, Mime deglutì nervosamente. "Chi può sapere quali forze stiano attaccando Asgard adesso… gli altri potrebbero aver bisogno, anche un solo Cavaliere in più potrebbe fare la differenza!"

In quel momento, di fronte alle mura della città il cosmo di Thor esplose, attirando l’attenzione di entrambi. Mime in particolare mosse inavvertitamente un passo verso l’ingresso del passaggio.

"E’ in difficoltà! Il cosmo che sento vicino al suo è potente, carico di astio e brama… forse dovrei…" pensò, dilaniato tra l’ordine ricevuto e l’amicizia che lo legava al parigrado.

Comprendendo il suo tumulto interiore, Libra abbassò un attimo lo sguardo, serrando il pugno. In passato lui stesso aveva impedito ai Cavalieri d’Oro di correre in aiuto di Pegasus e gli altri, nel corso della battaglia nel regno sottomarino di Nettuno. Una decisione difficile e tormentata, ma dettata dalla consapevolezza dell’imminente minaccia di Hades, e dalla necessità di non lasciare sguarnito il Grande Tempio. Stavolta però non c’erano pericoli all’orizzonte se non quello attuale, rappresentato da Hela e dal suo esercito. Non c’era motivo di esitare.

"Va!" disse alla fine, rialzando la testa. "E’ evidente che i guerrieri più potenti dell’esercito di Hela stanno attaccando direttamente le mura di Asgard, e lì il tuo aiuto sarà prezioso. Resterò io a difesa di questo passaggio!"

"Cavaliere…" mormorò Mime sorpreso, prima di sorridere e annuire. Voltandosi, iniziò a correre verso l’ingresso.

"Fermati!" risuonò improvvisamente una voce perentorea, riecheggiando attorno a loro e bloccando il guerriero sui suoi passi. Sorpresi, sia lui che Doko si voltarono verso l’altra estremità del passaggio.

"E’ comprensibile questo tentativo di fuga, dettato dal terrore che di certo ormai vi attanaglia! Ma purtroppo per te è troppo tardi, Fasolt ha fatto il suo ingresso in campo, ed egli non permetterà a nessun nemico di allontanarsi!" proseguì la voce, ora accompagnata da un rumore di passi.

Un istante dopo, di fronte ai due comparve un guerriero, dall’aspetto fiero e orgoglioso.

Alto e prestante, con capelli castani lunghi fino alla base del collo che spuntavano sotto l’elmo chiuso, indossava un’armatura color rame con venature biancastre. Era una corazza dalle forme semplici ma coprente, con grossi coprispalla rotondi obliqui, un pettorale che riproduceva la forma dei muscoli del torace, una cintura a piastre concave sovrapposte, sormontate da una grossa placca anteriore di forma esagonale, schinieri e bracciali tondeggianti ed un elmo liscio a casco, su cui svettavano due corna a forma di mezzaluna, una su ciascuna tempia. Al centro del pettorale era però presente un’inquietante maschera a forma di viso umano, con la bocca spalancata, gli zigomi alti e gli occhi privi di pupilla, fissi nel vuoto. Se si trattasse di un fregio, una piastra o altro, i Cavalieri non potevano dirlo.

"Sapevano del passaggio segreto… la regina Ilda aveva visto giusto, Megres è dalla loro parte!" pensò Mime, incupendosi al pensiero di dover probabilmente affrontare il compagno di un tempo.

"E’ Fasolt il tuo nome?" domandò Doko.

"Proprio così, Fasolt il Temerario! Il flagello dei Giganti, terrore di Jotunheim, nonchè Quinto Comandante dell’armata della regina Hela!" proclamò con evidente orgoglio.

"Sei solo…" notò Mime. "Non hai compagni o armate al tuo seguito?"

Un’espressione tra lo sprezzante ed il disgustato comparve sul viso di Fasolt. "Ho ordinato loro di restare indietro per un po’, arriveranno a battaglia già conclusa! Non ho bisogno nè degli uni nè delle altre per sconfiggere i miei nemici!" rispose, per poi aggiungere, di sottecchi "Specie se uno di loro è coperto di ferite e l’altro sembra più un musico che un guerriero… irrisoria sarà la soddisfazione che otterrò dallo sconfiggervi!"

Sia Doko che Mime si accigliarono, ma fu il Cavaliere di Libra il primo ad espandere il suo cosmo e farsi avanti.

"Sei molto sicuro di te, ma saprai sostenere tanta tracotanza con i fatti?" gridò, facendo scattare il pugno e lanciandosi all’attacco con una serie di pugni alla velocità della luce. Incurante, il Comandante ne schivò alcuni in maniera quasi seccata, e poi sferrò un destro a sua volta. Avvistosi del pericolo, Doko indietreggiò di un passo per evitarlo, ma ciònonostante un attimo dopo una leggera ferita si allargò sulla sua fronte.

"Le ferite di cui è costellato il tuo corpo sono gravi, come pensavo. Il tuo braccio sinistro in particolare è lento e impacciato, quasi inutilizzabile…" notò il suddito di Hela, indicandolo con il dito e centrandolo sull’arto con un raggio di luce, flebile ma sufficiente a strappare un grugnito di dolore al custode della settima casa. Lì infatti, meno di due giorni prima, Titania lo aveva colpito con la sua stessa spada, frantumando il coprispalla e lacerando i muscoli e le ossa sottostanti.

In tutta risposta a quel gesto del nemico però il cosmo d’oro del guerriero avvampò, con una lucentezza tale da sorprendere Mime. "Ha affrontato dure battaglie in questi giorni, fronteggiando persino la collera divina e sprofondando ad un passo dalla morte, ma nonostante tutto ha ancora la forza di bruciare la sua aura fino a questo punto! La fama che circonda i Cavalieri d’Oro di Atene è ben degna…" pensò, accorgendosi però anche che il Comandante non pareva affatto impensierito.

"Il peso delle ferite non basterà a frenarmi, la causa per cui lotto val bene il loro dolore!" esclamò a denti stretti, concentrando il cosmo nel pugno destro e attaccando di nuovo.

Una colonna di energia dorata saettò verso Fasolt, ma all’ultimo istante questi si spostò, facendola perdere alle sue spalle.

"Ha atteso l’ultimo attimo, il tempo di un respiro, e poi l’ha schivato con un semplice movimento laterale…!" notò Mime, studiando con attenzione il Comandante. Nello stesso momento, a qualche metro dietro quest’ultimo, Doko ruotò sul piede d’appoggio, mutò repentinamente la sua direzione e tornò a lanciarsi contro il nemico, sul cui viso comparve un sorrisetto.

"Mi sono degnato di evitare quel goffo tentativo di attacco nella speranza che avessi di meglio da mostrarmi, ma evidentemente ti avevo sopravvalutato! La tracotanza di cui mi hai accusato non era mia, ma tua che credevi di potermi sconfiggere con mezzi così patetici!" esclamò, voltandosi di scatto e parando l’assalto del Cavaliere con il palmo della mano, su cui invano si infrangeva il cosmo della Bilancia.

Per quanta energia Libra cercasse di imprimere nel suo attacco, Fasolt non vacillò minimamente, sembrando anzi pienamente a suo agio. Solo dopo diversi secondi, con un sorriso compiaciuto, alzò di colpo il braccio, prendendo il controllo dell’attacco del Cavaliere e travolgendolo contro il soffitto roccioso.

Un attimo dopo con un gesto fluido incassò il pugno nel fianco per colpire di nuovo, ma contemporaneamente Mime avanzò di un passo, sferrando una fitta tempesta di sottili raggi di energia. Voltandosi di scatto, Fasolt si piegò su un ginocchio, alzando nello stesso momento il dorso del braccio per proteggersi.

"Ora capisco! Sapendo di essere ferito il tuo compagno ha attaccato per primo nella speranza di distrarmi e permettere a te, più fresco di forze, di superare le mie difese!" intuì, senza però che la sua voce tradisse alcun timore.

Facendo leva sul piede d’appoggio, ruotò il corpo come in una piroetta, tendendo il braccio destro in avanti. "Una strategia coraggiosa ma ingenua, troppo per poter sperare di cogliermo in fallo!" esclamò, spezzando letteralmente i piani energetici dell’incredulo avversario e correndo verso di lui.

"Credevi li avrei evitati? Purtroppo per te preferisco un approccio più diretto!" continuò, portandosi in un attimo a ridosso di Mime. Il ragazzo fece appena in tempo a indietreggiare di un passo che un pugno tremendo esplose in pieno addome, sbalzandolo indietro nella scia di un’esplosione di energia.

Sbattendo con violenza contro la parete, Mime sentì il fiato uscirgli dai polmoni ma riuscì comunque a restare in piedi e sollevare la mano per un altro attacco, stavolta a distanza quasi ravvicinata. Un fittissimo reticolato di energia bianca, talmente concentrato da assomigliare quasi ad un fascio di pura luce, saettò a più riprese sul bersaglio.

Obbligato alla difesa, il Comandante incrociò le braccia davanti al corpo, non potendo però evitare di venir spinto indietro di qualche passo dalla crescente energia dei colpi del guerriero del Nord. "Il tuo cosmo è molto potente…" ammise, prima di socchiudere gli occhi in due fessure "ma purtroppo per te la forza da sola non basta contro chi, come me, è nato per la lotta!"

Sfruttando la spinta dell’ultima scarica energetica di Mime e poi la frazione di secondo che le intervallava, Fasolt sollevò il dorso del braccio e ruotò su se stesso, affiancandosi al ragazzo e colpendolo con forza alla tempia.

Scontrandosi con la protezione del diadema, la botta sollevò un clangore assordante, tale da stordire per un istante l’eroe e fargli chiudere gli occhi. Approfittandone subito, il quinto Comandante sferrò una tremenda ginocchiata all’addome, facendogli sputare un flotto di sangue e crollare in avanti.

Senza neppure concedersi un momento per vederlo cadere, Fasolt balzò in alto, ruotando di nuovo su se stesso e sferrando un calcio a spazzare in direzione di Doko, che aveva cercato di soccorrere il compagno, e che venne raggiunto in pieno alla base del collo e catapultato a terra sanguinante.

"La vigoria di costui è grande, ma stiamo combattendo con troppe esitazioni, frenati dal timore di far crollare la volta rocciosa e inesperti sui rispettivi stili di lotta! Non è certo così che si conduce la battaglia…!" pensò a denti stretti, dandosi un colpo di reni per atterrare sul palmo aperto della mano ed espandendo di nuovo il suo cosmo.

"Hai deriso l’attacco di poco prima fermandolo con una sola mano! Preparati allora a ricevere il Colpo Segreto del Drago Nascente, che ti sia di ammonimento!!" gridò, scatenando le fauci imperiose del dragone dei Cinque Picchi.

Neppure questa visione però fece titubare Fasolt, che anzi sorrise divertito. "Se usando una sola mano per bloccare il tuo precedente attacco ti ho offeso, allora concedimi di fare ammenda adoperandole entrambe per annullare il tuo colpo segreto!" disse, incrociando le mani davanti al petto, i palmi rivolti verso l’esterno.

Con suo immenso stupore, Libra vide l’energia del Drago Nascente venir arrestata in una cascata di bagliori, senza riuscire neppure a spingere indietro il Comandante. Al contrario, dopo alcuni istanti di equilibrio quest’ultimo fece scattare improvvisamente le braccia in avanti, ribaltando il colpo segreto sullo sbalordito Cavaliere.

"Che l’energia del tuo stesso attacco si abbatta su di te!" proclamò Fasolt, investendolo in pieno petto e scagliandolo contro la parete a pochi passi da Mime, che si stava cercando di rialzare. Accortosi di ciò, Fasolt li raggiunse con uno scatto, afferrando entrambi per la gola e sollevandoli di alcuni centimetri a mezz’aria, impotenti.

"Oh, com’è vuoto il trionfo che giunge troppo facilmente! E’ incredibile che Asgard abbia resistito all’assalto del nostro esercito anche solo per pochi minuti! Forse coloro che la difendono sono padroni di una maggiore virtù guerriera rispetto a voi… se così è spero di trovare avversari maggiormente alla mia altezza nella vostra cittadella!" commentò, sbattendoli entrambi contro la roccia senza però allentare la presa, incurante dei loro tentativi di spezzare la sua stretta o liberarsi.

Fissandolo con disprezzo, ulteriormente accentuato da queste parole trionfe, Mime iniziò a espandere il suo cosmo ed abbassò le braccia.

"Asgard… non sarà mai… profanata dai tuoi passi…!" sibilò, iniziando a far scorrere le dita sulla lira che stringeva in mano. Una melodia dolce e melodiosa risuonò ben presto nella caverna.

"E’ la tua nenia funebre?" rise Fasolt. Un momento dopo però, la sua vista vacillò, le palpebre si fecero pesanti, e la figura del Cavaliere parve sdoppiarsi e moltiplicarsi sotto i suoi stessi occhi.

"Quale maleficio…?!" mormorò, lasciando involontariamente la presa su entrambi e indietreggiando di un passo. Nello stesso momento la musica si fece più decisa, mentre decine e decine di Mime apparivano ovunque attorno a lui.

"Poc’anzi mi hai deriso chiamandomi musico… ma la musica non è cosa da poco, essa ha il dono di superare le difese più impenetrabili e ammansire i nemici più potenti!" sorrise il Cavaliere, la cui voce si era adattata alla melodia, diventando ritmica e cadenzata.

"Non senti la stanchezza scendere sul tuo corpo? È una ninna nanna quella che sto componendo per te… lasciati andare! Addormentati, ed avrai sogni lieti! Dimentica le battaglie, addormentati! Addormentati!" ripetè da tutte le direzioni, mentre la sua immagina danzava nella caverna, comparendo e dissolvendosi in più punti attorno al Comandante.

Suo malgrado, Fasolt sentì il proprio corpo iniziare ad obbedire al comando del nemico, ed indietreggiò ancora, strofinandosi gli occhi e cercando di mettere a fuoco.

"Straordinario! La sua melodia rivaleggia con quella del leggendario Orfeo!" pensò Libra, osservando le dita di Mime continuare a sfiorare la lira con inquietante delicatezza, mentre le sue immagini multiple continuavano a danzare attorno al nemico, sempre più vicine e minacciose.

Alzando lo sguardo, il musico si accorse che la guardia di Fasolt si stava lentamente abbassando, e si concesse un sorriso, aumentando la frenesia della musica.

"Fatale la melodia si avvicina all’ultima nota, la nota di requiem!" sussurrò.

In quel momento però il cosmo di Fasolt iniziò a bruciare, avvolgendolo di un’aura rossastra. "La nota di requiem risparmiala per il tuo canto funebre, perché il quinto Comandante Fasolt non sarà sconfitto da queste canzonette da villaggio!" ringhiò, sollevando torvo la mano.

Di fronte agli sguardi sbalorditi dei due Cavalieri, dal cosmo alle sue spalle si innalzò una figura enorme e maestosa, dal corpo muscoloso, che li indicò con l’indice destro. Nello stesso momento, Fasolt esclamò "Tocco Purpureo del Re dei Giganti!!".

Partendo dall’indice della figura, un immenso raggio rossastro di energia saettò contro i due, dissolvendo in una frazione di secondo le immagini multiple del guerriero di Asgard e riflettendo bagliori minacciosi sulle pareti del cunicolo.

"Mimeeee!!" urlò allarmato Libra, lanciandosi con un balzo di fronte al compagno e facendo esplodere il suo cosmo. "E’ troppo potente, ci annienterà! Devo cercare di respingerlo!" pensò nel sollevare le braccia e scatenare la sua arma più forte.

"Colpo dei Cento Draghi Nascenti!"

I dragoni di Cina esplosero con tutta la loro furia contro il raggio di energia, spalancando le fauci e cercando di avvolgerlo nelle loro spire. Stringendo i denti, Doko ignorò il sangue che sprizzava dalle ferite alla spalla ed al fianco e si sforzò di aumentare la forza del suo colpo segreto. Per alcuni secondi i due poteri parvero in equilibrio e sembrò persino che i draghi potessero prendere il sopravvento e stritolare la tecnica di Fasolt.

Dopo un istante però la luce purpurea li dilaniò completamente, allontanandoli come se non fossero che mosche sulla sua strada ed abbattendosi sui due eroi. Reagendo d’istinto, Doko sollevò l’unico scudo rimastogli, appena in tempo prima dell’impatto.

In un bagliore accecante, i Cavalieri vennero travolti e scomparvero, avvolti nella luce che illuminò l’intera galleria di bagliori scarlatti, come se la lava della caverna vulcanica l’avesse completamente invasa.

Quando la luce si fu dissolta, Mime e Doko erano riversi al suolo, circondati da chiazze di sangue. Il Cavaliere della Bilancia in particolare era quasi immerso in un lago della preziosa linfa vitale, che grondava copiosamente attraverso l’armatura. Per di più, lo scudo era andato totalmente in frantumi, e con esso il bracciale sottostante, lasciando il braccio sinistro ustionato e annerito.

"L’energia di quel colpo era spaventosa… nè i Cento Draghi nè lo scudo di Libra sono bastati ad arrestarlo…" pensò, sforzandosi di sollevarsi di nuovo in piedi, ma non riuscendo neppure a issarsi su un ginocchio.

"Se non fosse stato per lui saremmo morti… ma non può continuare così, le ferite della guerra di Avalon si sono riaperte!" notò Mime, stringendo i denti e rimettendosi in piedi. La sua armatura, priva dei danni delle vesti della Bilancia, lo aveva protetto maggiormente, permettendogli ancora di muoversi in qualche modo.

Accorgendosi di ciò, Fasolt, che finora era rimasto immobile a contemplare la devastazione del suo colpo segreto, avanzò di un passo, visibilmente perplesso.

"Sei sopravvissuto al Tocco del Re dei Giganti, impresa in cui nessun mortale era riuscito prima! Anzi no, non tu solamente… entrambi siete sopravvissuti!" commentò, accorgendosi che anche Doko si muoveva ancora. "Avreste dovuto fingervi morti… ma vi capisco. Rialzandovi avete gettato le vostre vite in cambio di altri pochi secondi di gloria in battaglia, una scelta condivisibile!"

"Non per gloria ci siamo rialzati, ma per difendere Asgard! Della città siamo i difensori, non la condanneremo di certo per salvarci la vita!" rispose Mime, ottenendo in cambio un gesto sprezzante.

"Asgard è già condannata! La sua presa è questione di ore, nessuna roccaforte può resistere ai Comandanti di Hela! La domanda è: chi sarà il primo a prenderne possesso? Chi ne massacrerà i difensori? Fama e gloria attendono il guerriero che saprà coglierle!" disse orgoglioso.

"E vorresti essere tu?" domandò retoricamente Mime, leggendo ben chiara la risposta nell’espressione del guerriero.

"Io, e io solamente, si. Adeguatamente sfruttata, questa gloria mi permetterà di rivaleggiare con Sigmund… forse persino con il sommo Fafnir per il seggio di primo Comandante! Una simile occasione è degna di me, il Flagello dei Giganti, non me la lascerò sfuggire! Voi piccoli ostacoli sul mio cammino, preparatevi ad essere distrutti!" esclamò, espandendo il suo cosmo.

"Futile e sciocca brama di gloria ti muove, lo vedo chiaramente! Non conosci la virtù di chi lotta per difendere la propria patria!" criticò Mime con disprezzo, portando le mani alla lira che ancora stringeva e sfiorandone le corde.

"Sciocco, la tua musica non ti salverà stavolta!" avvertì Fasolt sollevando il braccio "Tocco Purpureo…"

In quel momento però si accorse di non poter più muovere l’arto. Voltandosi sbalordito, si accorse che esso era avvolto in numerosi fili sottilissimi, quasi invisibili in quell’ambiente appena illuminato. Fili che provenivano da Mime.

"Non solo la musica devi temere della mia lira! La fatale Melodia delle Tenebre è già su di te, ascoltala!" disse il musico in tono suadente, sfiorando il suo strumendo. Obbedendo al suo comando, le corde parvero prendere vita e scattarono verso l’incredulo Comandante, stringendolo con forza prima che potesse liberarsi. Contemporaneamente, Mime iniziò di nuovo a suonare, creando stavolta una melodia triste ed oscura, di cui ogni nota stringeva la presa sul nemico.

"E’ questa la tua arma segreta, Cavaliere?"

"E’ questa… l’arma che mai più avrei voluto usare. Il dolore che provoca risveglia in me i ricordi di un’altra vita. Una vita in cui odio e rancore il cuore mio avvolgevano! Ma devo farlo, per Ilda e per Asgard!" esclamò, continuando a suonare.

"Tanto tieni a quel cumulo di pietre innevate?" domandò Fasolt.

"Asgard non è per me semplice roccaforte… nè è la terra di conquista che tanto brami! E’ la mia patria, e prima ancora è la terra che un uomo di nome Folken ha amato e protetto! E’ il luogo dove il maestro Syria mi ha insegnato l’arte dell’unire la musica alla lotta, e quello che mi ha visto crescere e diventare Cavaliere! Non importa quali siano la sua storia e le sue convinzioni, è sommo dovere di ogni uomo difendere la propria terra contro qualsiasi invasore, fino all’ultimo afflato di vita!" dichiarò con trasporto.

"Che ingenuità!" ribattè il Comandante. "Giovane ragazzino, ignaro della realtà! Lascia che ti riveli una profonda verità: non esiste patria per chi come noi ha votato la propria vita alla battaglia! Più la sua forza cresce e più egli sarà odiato e temuto, allontanato dagli stessi concittadini che tanto ha difeso! E’ nella natura degli uomini temere ciò che non possono controllare, ed i compatrioti non fanno eccezione! E’ molto meglio lasciarseli alle spalle, abbandonarli e pensare solo a se stessi!"

Un’ombra di tristezza velò gli occhi scarlatti del Cavaliere. "Cinica esistenza la tua, che hai scelto di vivere una vita vuota e priva di supremi ideali, un’esistenza sterile scevra di significato! L’armatura che indossi già sta per cedere, porrò fine al tuo tormento! Preparati all’ultima nota!" dichiarò, notando le crepe che erano comparse sulle vestigia di Fasolt.

A queste parole però un sorriso di scherno comparve sul viso del guerriero. "Tsk, non sarà certo un bambino come te a porre fine alla mia esistenza! Le crepe sull’armatura le accetto ben volentieri, testimoniano che ho combattuto con avversari degni di stima, e ciò accrescerà la gloria della vittoria! Ma danno più grave non potrai arrecarmi!" esclamò, facendo esplodere il suo cosmo. Una dopo l’altra, le corde della lira si spezzarono, avvolte e consumate da un potere superiore.

Mime cercò subito di espandere il proprio cosmo per contrastarlo, ma Fasolt afferrò una delle corde spezzate e strattonò con forza, trascinando il ragazzo a pochi passi e vibrando un colpo con il taglio della mano nella fessura tra il coprispalla sinistro ed il collo. L’armatura si spaccò per il colpo lasciando volare schizzi di sangue mentre il ragazzo sentiva la clavicola spezzarsi e barcollava cercando di restare in equilibrio.

Senza un’esitazione, Fasolt lo afferrò per il polso per non farlo cadere, e contemporaneamente sferrò un secondo attacco nello stesso punto, e poi un terzo, mentre il musico cercava invano di liberarsi.

In quel momento, un’aura dorata si accese luminosa, seguita un istante dopo dal sollevarsi di fauci minacciose.

"Colpo Segreto del Drago Nascente!!" gridò Libra nello sferrare il suo attacco, sperando sia di cogliere il Comandante di sorpresa che di separarlo dall’alleato.

"Una strategia così trasparente…" commentò Fasolt senza fare una piega. In un movimento fluido, la mano con cui finora aveva colpito Mime si alzò ad intercettare l’assalto del dragone, bloccandolo con il palmo e spegnendolo, fino a stringere saldamente il pugno del Cavaliere d’Oro.

"Entrambi nelle mie mani vi ho, deboli e impotenti!" commentò, guardando in particolare alle numerose ferite sanguinanti di Libra. "Mi duole che la sorte abbia messo sulla mia strada un nemico già sfinito da precedenti battaglie! Il coraggio non vi manca… se fossi stato nel pieno delle forze forse, insieme, avreste avuto una speranza, ma così… Porrò fine alla vostra sofferenza!"

Con un’onda di energia, Fasolt scaraventò entrambi per terra ad alcuni metri, e contemporaneamente bruciò il cosmo e sollevò il braccio verso il soffitto. "Tocco Purpureo del Re dei Giganti!!"

Nel vedere questo gesto, Mime compì un movimento quasi scoordinato, strattonando la lira, e contemporaneamente si gettò verso Doko, schiacciandolo a terra con il proprio corpo una frazione di secondo prima che il colpo segreto li investisse, facendoli scomparire all’interno della propria luce scarlatta.

Accorgendosi di qualcosa di strano, Fasolt stavolta rimase immobile ad attendere che il bagliore si dissolvesse. Quando ciò accadde, non fu troppo stupito nel vedere Doko e Mime ancora lì per terra, sebbene lo schienale di quest’ultimo fosse andato completamente in pezzi insieme ai bordi più esterni del coprispalla destro, lasciando la schiena sottostante ustionata e sanguinante.

"Quanta ostinazione…" commentò il Comandante, alzando il proprio braccio destro, quello con cui aveva lanciato il suo colpo segreto. Avvolto attorno ad esso c’era una singola corda di lira, circondata da un flebile cosmo bianco.

"L’hai avvolta del tuo cosmo per impedirle di essere spezzata, e poi tesa per modificare lievemente la mia mira…" disse nel reciderla, mentre Mime si voltava, chiaramente sofferente.

"Tanto dolore per rimandare un destino già scritto… tanto dolore per proteggere una città già perduta…" sospirò Fasolt scuotendo la testa in segno di disapprovazione.

"E’ mio dovere… di difensore!" rispose Mime.

"Difensore… avresti potuto conquistare una fama notevole se avessi usato la tua forza per motivi più sensati, invece di sprecarla dietro futili ideali!"

"Perché tanto disprezzo? Anche tu sei un uomo del Nord in fondo, lo vedo! Asgard è anche la tua patria, Odino è anche il tuo Dio…!" notò il musico, ottenendo in cambio solo uno sguardo infastidito.

"Non ho patria, te l’ho già spiegato, ne fede in Odino! Entrambe erano illusioni di gioventù, chimere che l’età adulta ha svelato!" esclamò con convinzione.

"Spiegati…" chiese allora Mime.

"Vi è ben poco da spiegare…" ribattè Fasolt, deciso a farla finita. Poi però lo sguardo sofferente dell’avversario lo spinse a riconsiderare, ed infine ad esaudire questa sua richiesta.

"Parlerò, in rispetto al valore che hai mostrato" sospirò. "Hai detto che anche io sono abitante di Asgard ed è vero… ma da vivo ho calcato questa terra in un’epoca ben più remota, distante millenni! Allora le barriere tra i nove mondi di Yggdrasill erano flebili, e le creature potevano muoversi più agevolmente da uno all’altro. I giganti di Jotunheim in particolare vedevano in Midgard una facile preda, popolata da esseri deboli e solo occasionalmente protetta dagli Dei. Più e più volte varcarono i nostri confini, uccidendo e massacrando senza pietà, per puro divertimento!

"Non era però mia intenzione essere un inerme giocattolo nelle loro mani. Iniziai ad allenarmi insieme a mio fratello minore Donner, e ben presto entrambi acquisimmo la piena padronanza del cosmo, che in quelle epoche antiche era ben più facile da ottenere e controllare di quanto non lo sia oggi. Fianco a fianco, cominciammo così ad opporre resistenza alle razzie dei giganti, a contrattaccare obbligandoli prima a combattere, poi a fuggire! La nostra gente ci festeggiò e portò in trionfo, ricoprendoci di doni e lodi. Oh, se fossimo stati più maturi ci saremmo accorti della paura nascosta dietro i loro sguardi ed i loro sorrisi… ma eravamo giovani, giovani e ingenui!

"Fu solo quando uccidemmo per la prima volta un gigante che i loro pensieri furono chiari! Iniziarono a trattarci con cordialità… ma anche freddezza, spaventati all’idea che usassimo su di loro la nostra forza! Fidarsi non gli bastava… desideravano controllarci, ma non avevano i mezzi per farlo! E quando Donner morì…" ricordò, interrompendosi un attimo e serrando il pugno con rabbia "Quando Donner morì, vittima di un vile agguato, non uno di loro accettò di accompagnarmi a Jotunheim per vendicarlo! No, neppure uno, miseri codardi! In cuor loro erano quasi sollevati della sua caduta, ormai temevano più noi che i giganti stessi! Questa è la terra che difendi con tanto ardore, questi gli uomini per cui rischi la vita!" esclamò.

"Come avrebbero potuto aiutarti, se privi dei poteri del cosmo…" pensò Mime, senza però dir nulla. Nonostante quest’obiezione, poteva iniziare a capire le ragioni del suo avversario, seppur non a condividerle.

"E così andai da solo! Attraverso Bifrost raggiunsi Asgard, e poi Jotunheim, annientando tutti i giganti che trovavo sulla mia strada, massacrandoli senza pietà! Non so bene quanto tempo passai a in quei luoghi, i giorni sono diversi lì, difficili da discernere. Anni comunque… e con il passare del tempo il mio nome divenne per loro foriero di morte. Prima sussurro, poi leggenda, ed infine un incubo con cui spaventare i bambini e mettere in guardia i giovani più avventurosi contro i rischi del viaggiare da soli. Divenni per loro quel che loro erano stati per me, nei giorni della fanciullezza, e la mia fama crebbe a dismisura, valendomi il titolo di Flagello, e poi di Re dei Giganti! Nel regno dei miei nemici, scoprii la vera gloria.

"Finchè un giorno… Odino in persona non comparve sulla mia strada, ordinandomi di porre fine al mio agire. Disse che le mie azioni stavano turbando l’equilibrio dei nove mondi ed i trattati di pace tra i due regni… dovevo smettere, o affrontare la sua ira! Dopo la mia patria terrena, anche i miei Dei mi avevano voltato le spalle…" sospirò.

"Mi propose di venire con lui nella fortezza del Valhalla, dove aveva da poco iniziato a riunire gli spiriti dei guerrieri più valorosi. Ma rifiutai sprezzante, perché fra loro non avrei trovato Donner! Essendo stato ucciso alle spalle mentre tentava la fuga, non era stato ritenuto degno di quei saloni, poco importava che fosse caduto solo in evidente inferiorità! Hel era il suo destino… e decisi che sarebbe stato anche il mio! La regina Hela mi accolse con rispetto, donandomi l’armatura del Gigante che indosso, a memoria del terrore che il mio nome incute, e rendendomi parte di quella che sarebbe diventata la sua schiera più potente: i dieci Comandanti! Fui il terzo ad unirmi a loro, ritrovai mio fratello e per qualche tempo mantenni persino il secondo seggio, prima che l’arrivo di altri guerrieri, dalla cui forza persino io ero ammirato, mi spingesse verso il quinto che tuttora possiedo" concluse, tornando a concentrarsi sui nemici ai suoi piedi.

"Capite ora perché trovo assurdi i tuoi discorsi sull’amor di patria? Quand’anche rischiassi la vita per difenderla, come stai facendo tu ora, ella non muoverebbe un dito in tuo aiuto nel momento del supremo bisogno!" affermò.

Pensieroso, Mime non disse nulla, e Fasolt interpretò quell’atto come un modo di ammettere la sua ragione, concedendosi un sorriso.

"Che… stolto…" intervenne allora Doko, ancora prono per terra, girando faticosamente la testa verso il Comandante e guardandolo con uno sguardo in cui non c’era ironia o disprezzo, ma qualcosa di molto peggio per un guerriero: pietà.

"La difesa della patria… come della giustizia e dei deboli, non è uno scopo ma una causa! Un bene superiore, una bandiera ben più grande e importante di quella rappresentata dai desideri individuali, dalle brame e dalle passioni" sussurrò.

Punto sul vivo da queste parole, Fasolt lo afferrò per la gola, sollevandolo da terra e stringendo la presa tanto da far sanguinare il collo. Dopo un istante però il suo sguardo adirato si placò, sostituito da un sorriso di scherno.

"Cercare di indurmi all’ira per distrarmi… una tecnica antica come il mondo! C’eri quasi riuscito, ma per tua sfortuna sono ben avvezzo alla battaglia. Ed è davvero ora di porre fine a questa, che anche troppo a lungo è durata. Il mio esercito ormai sarà qui a momenti, è tempo di invadere Asgard!" esclamò, preparandosi a colpire.

Ma in quel momento il cosmo di Mime si accese luminoso, ed il Cavaliere del Nord si rimise in piedi.

"Non di tattica per distrarti si trattava, Libra ha ragione! Era legittimo il desiderio di vendicare tuo fratello, ma non altrettanto l’essere pronto a condurre al massacro uomini innocenti… non a meno che siano loro a volerlo! Chi difende il prossimo non agisce per ottenere gratitudine da sfruttare al momento opportuno, ma per nobiltà d’animo e senso di giustizia!" dichiarò, portando le mani alla lira ed iniziando a suonare la sua melodia.

"Hai… ben detto!" sorrise Doko, espandendo a sua volta il suo cosmo e facendo improvvisamente leva sul braccio teso di Fasolt per sollevare le gambe e centrarlo con una ginocchiata, che gli fece perdere la presa.

"Ancora mi resistete! Ormai dovreste aver capito che vi sono superiore!" gridò il Comandante, cercando di contraccare, ma la musica si fece più intensa e veloce, frenandolo.

"Superiore, si, ma solo in battaglia! La tua virtù guerriera è enorme, ma priva del supporto di nobili ideali è come un palazzo su fondamenta d’argilla! Solo di te stesso ti preme, non sei sostenuto dalla disperata determinazione di chi ha qualcosa di più grande da proteggere! Risuona, dolce melodia di requiem!" ordinò Mime, ed al riecheggiare della sua musica i sensi di Fasolt impazzirono, sdoppiando e moltiplicando le immagini dei due guerrieri.

"Non ne ho bisogno!" rispose comunque sprezzante, sferrando un raggio di energia che però si perse sulle pareti della caverna, in una pioggia di polvere e frammenti.

"Ed è questa convinzione che ti perderà!" esclamò Mime, comparendo innanzi a lui, smettendo per un istante di suonare e centrandolo all’addome con un pugno carico di energia, che lo fece barcollare in avanti.

"Non avresti dovuto venirmi così vicino!" minacciò Fasolt furioso, allungando il braccio verso di lui. Ma in quel momento si accorse di non potersi più muovere: un fittissimo groviglio di fili, quasi una ragnatela lo aveva nuovamente imprigionato.

"Melodia delle tenebre!" disse Mime, stringendolo nelle corde della lira. Crepe sempre più profonde comparvero sulla sua armatura, scheggiando e deturpando la maschera che aveva sul petto, e facendolo sanguinare per la prima volta. L’espressione rabbiosa si fece incredula, poi oltraggiata. I pugni si serrarono con forza.

Dopo alcuni istanti il cosmo purpureo iniziò ad avvolgerlo. "Usare di nuovo armi che hanno già fallito… questa non è determinazione ma stupidità!" esclamò, strappando i primi fili nonostante fossero avvolti dall’aura del Cavaliere. Anzichè preoccuparsi tuttavia Mime sorrise, muovendosi lateralmente di un passo per lasciare spazio a Doko, il cui cosmo d’oro brillava adesso intensissimo.

"Sbagli, la tua forza ormai la conosciamo troppo bene per sottovalutarla! Ma soprattutto adesso conosciamo l’un l’altro… noi che non avevamo mai lottato fianco a fianco prima di trovarci qui, ai confini settentrionali del mondo, uniti da una causa comune! La stessa che detterà la tua sconfitta! Colpo dei Cento Draghi!!" gridò, scatenando il suo colpo segreto.

Con un’esplosione tremenda, tale da far tremare la volta rocciosa ed aumentare il crollo di pietre e polvere, i Cento Draghi raggiunsero in pieno il Comandante, sbattendolo contro la parete e strappandogli un grido di dolore, il primo da quando il duello era iniziato. Quasi contemporaneamente, Doko crollò su un ginocchio, ansimando profondamente. Subito Mime mosse un passo verso di lui, ma il Cavaliere d’Oro rialzò la testa facendogli cenno di non distrarsi.

"Non è ancora finita la battaglia…!" avvertì, stringendo i denti e guardando in direzione di Fasolt, che era emerso dalle rocce, anche se sanguinante e con l’armatura in frantumi in più punti.

"Sono furbi come demoni costoro! Hanno rafforzato le corde della lira con il cosmo per rallentarmi, e sfruttato quell’istante per colpirmi con la tecnica più distruttiva in loro possesso!" pensò, sentendo numerose fitte di dolore attraversargli il corpo.

"Se solo avessi avuto con me le mie legioni, avrebbero potuto farmi da scudo o tenerli impegnati!" si disse, alzando rabbiosamente la testa in direzione dell’ingresso e gridando "A me, armate di Hela! Obbedite al richiamo del quinto Comandante Fasolt!"

Immediatamente Mime alzò la guardia allarmato, ponendosi a difesa di Libra, ma il richiamo di Fasolt fu seguito solo dall’eco della sua voce e dal rumore di altre pietre che cadevano. "Sarebbero già dovuti essere qui, avevo ordinato loro di aspettarmi solo per alcuni minuti, come mai questo ritardo?" si chiese il Comandante, prima di voltarsi e gridare ancora "A me, mie armate!!"

Ma quando anche questo richiamo sprofondò nel silenzio, un’improvvisa ombra di consapevolezza attraversò il volto di Fasolt, facendogli spalancare gli occhi. Ed un nome gli comparve sulle labbra, distorcendole per l’odio. "Megres!!"

"Serpe traditrice, avevi organizzato tutto!" gridò, ripensando alle circostanze precise in cui gli era stata affidata la missione, e alla rapidità con cui il settimo Comandante aveva accettato di restare indietro per concedere a lui solo, certamente più degno e meritevole come lo aveva definito, la gloria della vittoria. Percosso da un brivido di rabbia, si voltò di nuovo verso Libra e Mime, bruciando al massimo il suo cosmo. "Parlate di causa e valori superiori, ma la vostra città è un nido di vipere infide! La brucerò fino alle fondamenta!" minacciò, alzando il braccio.

"Bada a te! Il Tocco del Re dei Giganti segnerà la tua rovina, troppe volte lo hai usato!" avvertì Mime.

"Fa silenzio! Non è che un trucco per ingannarmi, siete senza difese ormai! E anche se non fosse, Fasolt, quinto Comandante dell’esercito di Hela, non ha bisogno dei consigli di nessuno! Tocco Purpureo del Re dei Giganti!!" urlò, sferrando il suo colpo segreto. Carico di tutte le sue energie residue, il colpo segreto saettò spaventoso verso i due Cavalieri.

E li attraversò come se fossero fantasmi.

"Ma… ma che cosa…" balbettò l’uomo, osservando allibito la sua tecnica abbattersi sulla parete alle loro spalle. Un impatto che fu troppo per la già malconcia caverna, il cui soffitto crollò, sigillando il passaggio. Un rumore fragoroso, ma non tale da coprire del tutto un altro, che finora Fasolt non aveva per qualche motivo percepito.

"Musica di cetra…!" realizzò.

"Proprio così…" sussurrò Mime, comparendo alle sue spalle. "Troppo a lungo hai ascoltato la mia melodia… dopo aver subito i Cento Draghi hai creduto che vi fosse silenzio, ma non ti sei accorto che già la musica suonava sublime, insinuandosi nel tuo essere ad una frequenza troppo bassa per essere consciamente percettibile, la stessa che sin dall’inizio ti ha lentamente indebolito! Non erano che illusioni quelle che hai colpito… lanciando il Tocco del Re dei Giganti alle tue spalle, e abbattendo l’ingresso del passaggio!"

"Ma… maledetto!" urlò Fasolt voltandosi, ma nel farlo si accorse di essere bloccato, mentre il cosmo di Mime brillava intensamente, ben più di quanto fatto finora. Le corde della lira, normalmente sottili ed invisibili, risplendevano attorno a lui come raggi di sole.

"Non vorrei porre fine alla tua vita, ma non ho scelta. Che la nota fatale della Melodia delle Tenebre ti accompagni nell’oblio!" disse, pizzicando per l’ultima volta il suo strumento. In un lampo di luce, le corde frantumarono l’armatura già danneggiata, penetrando nelle sue carni.

Un attimo dopo, Fasolt crollò a terra in un lago di sangue.

Osservandolo mestamente, Mime chiuse gli occhi amareggiato.

"Comandante, hai detto che non esistono ideali da difendere nè patrie da proteggere… che bisogna combattere solo per se stessi e la propria sete di gloria… ma io, che proprio dall’insensata follia della guerra sono stato privato dell’amore dei genitori, non posso accettare che si prendano le armi per così futili ragioni. Forse è ingenuità la mia… ma sono convinto che sia giusto privare della via solo per il più nobile degli ideali, la libertà!" commentò, prima di tornare da Libra, che nel frattempo si era rialzato.

"E’ ancora vivo…" notò il Cavaliere d’Oro, ma Mime scosse il capo, limitandosi a rispondere "Non è più in grado di combattere, altro non conta…"

Pur non concordando del tutto, Libra annuì in segno di rispetto, osservando nel frattempo la frana che aveva fatto seguito all’impatto del Tocco del Re dei Giganti sulla parete rocciosa. La galleria era completamente sigillata da tonnellate di roccia.

"Nessuno passerà più di qui. Nel bene o nel male, l’unico campo di battaglia è Asgard!" dichiarò.

"Facciamo ritorno dunque! I nostri amici hanno bisogno di noi!" esclamò il Cavaliere del Nord, ed dopo essersi scambiati un cenno di assenso i due si incamminarono più velocemente possibile verso l’ingresso da cui erano venuti.

Nel correre, Mime ripensò alla sorpresa di Fasolt nell’essere stato abbandonato dal suo esercito, e soprattutto al nome che era emerso sulle labbra del Comandante. Un nome appena sussurrato, ma che egli aveva riconosciuto subito, perché fin troppo evidente era la mano di quell’uomo nella tragedia appena conclusasi.

"Megres, non possono esserci più dubbi ormai, suo era l’inganno che ha mandato Fasolt allo sbaraglio! Ma perché… che cosa avrà in mente questa volta?" si chiese, adombrandosi ed accellerando il passo.

*****

In quello stesso momento, nella striscia di terra ai margini della foresta sul lato opposto della cittadella rispetto al cancello d’ingresso dove infuriava la battaglia, l’oggetto dei timori di Mime sorrise soddisfatto.

"Uh uh uh, la giusta fine per quello sciocco arrogante! Come immaginavo ha voluto guidare da solo la battaglia… ma ero certo che il passaggio segreto sarebbe stato sorvegliato, Ilda non è così sciocca da lasciare sguarnita una via d’accesso così preziosa! Peccato per lei che non sia l’unica…" pensò compiaciuto.

"Lord Megres!" disse in quel momento un soldato avvicinandosi. "L’armata è qui, come desiderava!"

"Lord Megres… quanto ho atteso questo momento!" pensò soddisfatto, prima di indicare un sottilissimo pendio nascosto tra gli alberi, appena abbastanza largo da permettere ad un solo uomo alla volta di salire. Celato tra gli alberi, esso risaliva la ripida scarpata alle spalle del palazzo e conduceva sin sotto le mura. "Troverete una grata di scarico, nascosta da muschio e cespugli, usata in epoche remote per buttar via le carcasse ed altri rifiuti. E’ abbastanza ampia da permettere il passaggio di un uomo e conduce ad una zona vicino alle vecchie cucine della cittadella, lontano dalle torri di guardia e sicuramente sguarnita. Basteranno pochi minuti per far entrare l’intera armata!"

Annuendo, il soldato fece cenno ad alcuni di seguirlo e superò gli ultimi alberi. Non appena ebbero mosso un passo nella direzione indicata da Megres però, un vortice di fuoco comparso apparentemente dal nulla si abbattè su di loro, annientandoli senza pietà.

"Ma che cosa?!" mormorò Megres, alzando lo sguardo in direzione delle mura. Alla base, in piedi proprio sull’altra estremità del pendio che il guerriero aveva appena indicato, si stagliava una figura orgogliosa, la cui armatura cremisi e argento risaltava sullo sfondo innevato.

"Chi di voi… vuole essere il prossimo a morire?" domandò fieramente Artax alzando la visiera e bruciando il suo cosmo.

***************

Nel frattempo, in Grecia, Scorpio ed Alcor erano finalmente in vista della tredicesima casa. Le numerose ferite li avevano rallentati notevolmente obbligandoli a risalire le scale del Grande Tempio ben più lentamente del previsto. Alcor in particolare respirava irregolarmente, indebolito dall’emorragia interna, ma Scorpio aveva rifiutato ogni richiesta di andare avanti da solo, insistendo che avrebbero proseguito insieme.

Con un sorriso di sollievo per il non aver incontrato altri nemici sulla loro strada, i due entrarono così nella residenza del Sacerdote, attraversandone i lunghi corridoi fino alla sala del trono.

"E’… è lì?" domandò Alcor, ricevendo un cenno di assenso.

"Sotto il trono, in un cofanetto d’oro e velluto! La daga deicida di Crono… l’arma che potrebbe darci la vittoria contro Hela!" spiegò, spingendo con tutto il suo peso l’enorme porta d’ingresso che tante volte in passato aveva varcato, annunciato da soldati e servitori, avanzando elegantemente con un mantello bianco sulle spalle fino al seggio del Sacerdote o, in tempi recenti, di Atena in persona. Stavolta invece entrava sporco di sangue e sudore, coperto di ferite e con l’armatura in pezzi, ma anche con la consapevolezza che nessuna delle sue visite precedenti aveva avuto un’importanza lontanamente paragonabile.

Con un sospiro di sollievo, Scorpio notò che anche la sala del trono era rimasta intatta, neppure sfiorata dalla precedente visita di Erebo, i tappeti di velluto ed i tendaggi memoria di giorni più lieti. Senza esitare, condusse Alcor fino al seggio, spostandolo di lato per rivelare la nicchia in cui si trovava il cofanetto della daga. Sollevatolo con entrambe le mani, lo aprì immediatamente.

E la disperazione calò su di lui. Il cofanetto era vuoto, la daga era scomparsa.

"Non… non è possibile!" balbettò il Cavaliere d’Oro, strappando il velluto del contenitore.

"Credi… credi che sia stata spostata altrove, forse per nasconderla ad Erebo?" domandò Alcor allarmato.

"Non ha senso, è sempre stata qui, dove solo ai Cavalieri è concesso entrare! E poi nessuno oltre ad Atena e noi Cavalieri d’Oro sapeva della sua esistenza!" rispose preoccupato Scorpio, guardandosi attorno alla ricerca di una qualche traccia. Ma la sala del trono era proprio come l’aveva notata al suo ingresso, inviolata e tale e quale a come la ricordava.

"Deve essere qui! Deve!" disse, lasciando cadere a terra il cofanetto e guardando di nuovo nella nicchia, mentre Alcor capovogeva il trono e sollevava i cuscini di velluto che lo adornavano.

Tutti i loro sforzi però si rivelarono infruttuosi, e dopo alcuni secondi i due dovettero ammettere quell’evidente quanto spaventosa verità. "Qualcuno è stato qui prima di noi… l’arma di Crono… la daga capace di uccidere una divinità… forse la nostra unica speranza contro Hela è stata trafugata!" esclamarono, vedendo ciascuno la propria paura e preoccupazione riflessa negli occhi dell’altro.

In quel momento, un cosmo potentissimo comparve a pochi metri di distanza, ed un istante dopo le porte della sala del trono esplosero, divelte ai cardini da un potere superiore. Un’onda di energia travolse i due, facendo volare via il trono contro la parete e sbattendoli a terra. Nello stesso momento, avvolto nell’aura del suo cosmo, Sigmund arrivò di fronte a loro, il braccio destro ferito e sanguinante.

"Oh no!" mormorò Alcor, non riuscendo a trattenere un brivido. "Allora Luxor è…"

"Caduto, si. Ma se può esservi di consolazione, è morto da vero guerriero, combattendomi fino all’ultimo afflato di vita. Mai in passato avevo visto tanto valore e coraggio!" ammise Sigmund, fissandoli in tono duro ma solenne.

"Luxor…" mormorò Scorpio, ripensando ancora una volta alla conversazione avuta nella foresta, e vergognandosi adesso di aver pensato che volesse fuggire e abbandonarli.

Con un peso sul cuore, strinse il pugno e si rialzò, fronteggiando a viso aperto il Comandante. "Non ci resta che vendicarlo!"

Intuendo le sue intenzioni, Sigmund annuì. Entrambi i guerrieri si avvolsero dei loro cosmi, pronti alla battaglia. Ma, guardandoli, era ben chiaro quanto la differenza di valori in campo fosse evidente: l’aura d’oro dello scorpione era pallida e flebile a confronto con l’enorme cosmo del secondo seggio.

Accortosi di ciò, e con un’ultima occhiata alle proprie ferite sanguinanti, Alcor si alzò a sua volta ed afferrò il polso del compagno.

"Affronterò io costui! Luxor era mio compagno, non tuo, ne ho più diritto! Tu… devi fare ritorno ad Asgard!" disse, superandolo di un passo.

Con gli occhi spalancati, il Cavaliere d’Oro lo fermò poggiandogli una mano sulla spalla ed obbligandolo a girarsi.

"Hai completamente perso la ragione? Le tue ferite sono troppo gravi per combattere ancora, e il tuo cosmo è vicino allo sfinimento! Se affronti costui adesso…!" iniziò. Poi però si accorse dell’espressione negli occhi della tigre del Nord e le parole gli morirono sulle labbra. Proprio come negli occhi di Luxor quando aveva detto loro di proseguire, vi era in essi risoluzione, ma anche consapevole certezza e calma rassegnazione.

"Lo tratterrò… finchè avrò forza!" rispose, prima di abbassare la voce in un sussurro. "Ma tu devi tornare ad Asgard, ed avvertire Ilda di quel che è accaduto! Qualcuno è in possesso di un’arma deicida che può cambiare le sorti della guerra, è necessario che lei sappia! Il futuro di tutti potrebbe dipendere da quest’informazione!"

"E’ giusto… ma lascia che sia io a combattere… fai tu ritorno ad Asgard!" cercò di convincerlo il Cavaliere d’Oro, ottenendo però in cambio solo un cenno del capo.

"Non ne ho… più la forza!" disse, indicando la ferita sanguinante al torace. Respirare era ormai quasi impossibile, e ad ogni esalazione sentiva in bocca il sapore del sangue. "Per me è finita, manca molto poco… lascia che anch’io, come Luxor, assapori la fine combattendo fino all’ultimo!"

Deglutendo, Scorpio chiuse gli occhi ed annuì solennemente. Sorridendo grato, Alcor si girò di nuovo verso Sigmund, mentre il Cavaliere d’Oro si voltava senza aggiungere altro ed iniziava a correre verso la statua di Atena, da cui sarebbe potuto partire per far ritorno ad Asgard.

Dopo alcuni passi però Alcor lo richiamò, parlandogli senza girarsi.

"Se mi è concesso chiederti un ultimo favore… abbi cura di mio fratello Mizar. La stessa sorte che ci aveva finalmente riuniti ora ci separerà nuovamente… per sempre. Digli soltanto… digli soltanto che mai ombra è stata più fiera del corpo che l’ha generata!"

Senza rispondere niente, senza neppure voltarsi o annuire, Scorpio riprese la corsa, lasciando Alcor da solo di fronte a Sigmund.

"Non hai intenzione di fermarlo?" domandò il Cavaliere di Asgard, notando come l’avversario fosse rimasto immobile durante il loro scambio di parole.

"Potrei farlo… ma, anche se ne ignoro le ragioni, tu sei pronto a dare la vita per permettergli di proseguire, proprio come Luxor prima di te! Anzichè lasciarti morire lentamente per le ferite, hai deciso di spegnerti combattendo. E scegliendo me come tuo esecutore, mi hai fatto dono del riconoscimento più grande che un guerriero possa desiderare da un nemico. In segno di rispetto non vanificherò i vostri sacrifici: inseguirò quell’uomo solo dopo averti sconfitto!" disse il Comandante, guardandolo fisso negli occhi.

"Sei… diverso da Semargl. C’è fierezza nel tuo cosmo, ma non malvagità!" notò allora Alcor. "Perché… perché un uomo come te ha giurato fedeltà a divinità oscure come Hela o Erebo, che bramano solo potere e distruzione?"

Sigmund chiuse gli occhi per un istante. "Esiste soltanto un uomo cui è votata la mia fedeltà, ed uno solamente: il nobile Fafnir del Dragone, primo Comandante d’armata, verso cui sono legato da un debito di profonda gratitudine! Finchè sarà suo desiderio aiutare la regina Hela, anche Sigmund combatterà al fianco delle sue legioni, altro non conta!" affermò con semplice fermezza, riaprendo gli occhi ed avvolgendosi della luce del suo cosmo.

"Il tuo compagno ha lasciato queste rovine…" disse poi, sentendo il cosmo di Scorpio allontanarsi, anche se a velocità molto inferiore a quella della luce.

"Gli permetterai di tornare ad Asgard?"

"Finchè non sarà entrato nella cittadella, non lo attaccherò!" promise Sigmund.

"Ti ringrazio…" disse Alcor in tono di sincera gratitudine, chinando il capo e dando fondo alle sue ultime energie. Le unghie delle mani si mutarono in artigli felini, mentre un cosmo bianco lo avvolgeva completamente, bruciando con più vigore di quanto Sigmund avrebbe creduto possibile.

Bagliori candidi come la neve e riflessi dorati danzarono nell’aria, riflettendosi sulle pareti della sala del trono del Grande Tempio.

"Bianchi Artigli della Tigre!!"

"Flutti del Reno!!"

*****

In volo sopra la Grecia, Scorpio strinse il pugno addolorato, il viso rigato da fiumi di lacrime che non riusciva più a trattenere.

"Alcor… Luxor… il vostro sacrificio non sarà vano, giuro sul mio onore che sarete vendicati!" promise.

*****

Ad Asgard, Mizar rabbrividì, sbiancando e barcollando come se fosse stato colpito fisicamente, il viso distorto in un’espressione agonizzante.

*****

Al Grande Tempio, Sigmund guardò per un istante appena la nuova ferita sanguinante che aveva sul fianco sinistro, dove i Bianchi Artigli erano riusciti a spaccare la sua armatura e raggiungere la carne.

Poi, avanzando con passo lento ma risoluto, andò verso una delle tende, strappandola di netto dagli anelli che l’ancoravano al soffitto. Con essa in mano, si avvicinò al corpo senza vita di Alcor, che giaceva immobile al centro della sala, immerso in un lago di sangue.

"Che cosa vi spinge… a lottare fino a questo punto?" si chiese, fissandone con espressione indecifrabile il viso.

Malinconicamente, si piegò in ginocchio e ricoprì il cadavere con la tenda, chiudendo gli occhi e chinando il capo in segno di commiato. "Manterrò la promessa che ti ho fatto, Cavaliere. Il tuo amico giungerà ad Asgard sano e salvo!".

Rimessosi in piedi, si guardò attorno, focalizzando l’attenzione sul trono rovesciato.

"Erano venuti in cerca di qualcosa… qualcosa che era già stato portato via… ma da chi?" concluse, avvertendo distintamente un’ombra calargli sul cuore insieme a quella domanda.

Sospirando di fronte a quegli enigmi privi di risposta, si avviò verso l’uscita del Grande Tempio.