IL SANGUE E LA FURIA
Travolto dai globi fiammeggianti di Surtur, Cristal riuscì appena a scorgere con la coda dell’occhio i compagni che venivano sbalzati in opposte direzioni prima che le esplosioni, accompagnate da lingue di fuoco ed ondate di aria bollente, lo facessero precipitare a spirale verso il suolo, in direzione di una delle cime della catena montuosa di Avalon.
A differenza degli amici però, il Cavaliere del Cigno non cadde malamente al suolo, ma in pochi secondi riuscì anzi a ritrovare il controllo a mezz’aria. Un semplice gesto gli permise infatti di spiegare ancora una volta le ali di Luce dell’Aurora, e di planare su una corrente ascensionale in modo da frenare la caduta e mutarla in gentile discesa, fino a rimanere sospeso in aria alcuni metri sopra un costone roccioso.
Certo che anche i compagni fossero facilmente riusciti a fare lo stesso, ed ancora abbastanza in alto da poter avere una buona visuale, Cristal si guardò immediatamente attorno alla loro ricerca, solo per scoprire con un misto di dubbio e sorpresa che di loro non c’era alcuna traccia.
"Sono… precipitati. Ma come può essere? Quell’onda di fuoco mi ha appena sbilanciato, non era certo abbastanza forte da abbatterli…" riflettè pensieroso per qualche secondo, prima di lasciarsi la questione alle spalle e concentrarsi sui loro cosmi, in modo da trovarli. Nello stesso momento però, percepì anche altre aure in movimento ad altissima velocità, diverse tra loro per natura ed impronta, ma accomunate da una forza spaventosa, e soprattutto da un’oscurità ed un desiderio di distruzione quasi palpabili.
"Sono diretti verso di loro, presto li raggiungeranno!" realizzò preoccupato.
"Più che per i tuoi compagni, temi per te stesso, ragazzo…" esordì in quel momento una voce profonda e gutturale, ma nel contempo simile ad un sussurro nel vento, facendolo trasalire. Voltandosi di scatto, ancora a mezz’aria, Cristal fu sbalordito nel vedere una figura ad appena pochi metri da lui, coperta da un’armatura grigia, accovacciata su tutti e quattro gli arti sopra uno sperone roccioso, in una posa più simile a quella di una fiera che di un essere umano. La creatura lo fissava con occhi socchiusi in due fessure sottili, ma anche così non vi era dubbio sull’ostilità celata in quello sguardo. Reagendo d’istinto, il Cavaliere indietreggiò di scatto, ma il nemico rimase immobile ad osservarlo.
"Non l’ho sentito avvicinarsi, il suo cosmo era come invisibile… avrebbe potuto abbattermi con un colpo solo se avesse voluto!" pensò il Cigno, mentre un rivolo di sudore gli scorreva sul viso. Di fronte a lui, l’essere era ancora completamente fermo, talmente immobile che da lontano sarebbe stato possibile scambiarlo per una curiosa conformazione rocciosa visto anche il colore delle sue vesti. Eppure, c’era qualcosa di terribile nascosto dietro quella calma apparente, una sensazione di pericolo imminente che Cristal non sapeva spiegare, ma che lo spingeva a restare sulla difensiva come se un semplice movimento avrebbe potuto costargli la vita.
"E’ freddo il tuo cosmo, e dalle tinte simili a quella di Odino l’armatura, del colore dei ghiacci. Sei Cavaliere di Asgard?" domandò in quel momento la creatura, in un sussurro.
"Di Asgard e Odino sono fiero alleato, ma è alle schiere di Atena che appartengo! E’ Cristal il Cigno il mio nome, Cavaliere di Grecia!" rispose fieramente l’eroe, circondandosi del suo cosmo, candido come la neve.
La figura lo osservò ancora un attimo, poi chinò il capo.
"Come immaginavo, uno dei cinque invasori indicatici da lord Erebo. Tragico è il fato che ti ha posto sul mio cammino, ma ancor di più la risposta che mi hai dato… parole diverse ti avrebbero salvato" sospirò.
"Che intendi dire?" domandò cupamente Cristal, sollevando le braccia per alzare la guardia.
Prima che potesse completare quel semplice gesto però, prim’ancora che potesse anche solo percepire una parvenza di movimento, la figura scattò fulminea verso di lui, talmente veloce da non essere neppure visibile persino ai suoi occhi, ormai ben allenati ad affrontare nemici capaci di sfruttare la velocità della luce.
Il giovane eroe sentì appena qualcosa colpirlo in pieno al fianco, rimbalzando sull’armatura, poi un peso enorme calò su di lui bloccandogli le braccia e le gambe, abbracciandolo in modo da impedire i movimenti delle ali e spingendolo verso il basso, facendolo precipitare come una pietra contro la scoscesa parete rocciosa. Nell’istante dell’impatto, il seguace di Erebo si allontanò con un balzo. Preso di sorpresa da quel colpo improvviso, Cristal sentì l’aria uscirgli di forza dai polmoni e, incapace di trovare un appiglio, rotolò per alcune decine di metri sulle rocce, fino a schiantarsi malamente su un ampio costone, più o meno a metà del pendio. Con una perfetta capriola, il nemico atterrò di fronte a lui, ad alcuni metri di distanza.
"Il privilegio di una morte rapida sarebbe stato tuo se solo avessi negato qualsiasi legame con l’odiata Asgard. Ma visto che te ne sei detto fiero alleato, la tua sorte sarà terribile, per te non ci sarà pietà alcuna! Io, Fenrir, il Lupo dell’Apocalisse, uno dei sei Imperatori al servizio del sommo Erebo, divorerò il tuo cuore pulsante!" esclamò.
Sollevandosi su un ginocchio, Cristal si accorse che il nemico era finalmente in piedi, e potè osservarlo per la prima volta con attenzione. Alto e massiccio, aveva gambe visibilmente muscolose ed una costituzione che suggeriva grande agilità e non solo forza bruta, ma anche qualcosa di bestiale e ferino. Le braccia in particolare, seppur non deformi, erano più lunghe del normale e sembravano penzolare a pochi centimetri dal suolo, anche perché Fenrir non era completamente eretto, ma leggermente ricurvo in avanti, pronto a scattare. I piedi non erano poggiati sull’intera pianta, ma solo sulla parte anteriore, con il tallone sollevato, e la caviglia piegata in avanti.
La corazza che l’Imperatore indossava era grigio scuro con striature nere e ne copriva interamente il corpo senza lasciare scoperto neppure un lembo di pelle. Dalle palesi fattezze di lupo, aveva coprispalla orizzontali, vagamente triangolari, ed un collare quasi bombato, che si allargava in avanti sovrapponendosi al pettorale fino a metà del torace. Sul bracciale destro era avvolta una specie di fascia, disposta a spirale dalla spalla al polso ed apparentemente composta da migliaia di minuscoli aghi argentati. L’elmo era a casco e corrispondeva alla testa del lupo, con le lunghe zanne che facevano da cornice a volto, e le orecchie canine appiattite sul capo. Il viso di Fenrir però era per lo più celato nell’ombra, con la sola eccezione di due occhi gialli e sottili, e di arruffati capelli grigio pallido che scendevano sul collo.
Su entrambi i bracciali, gli schinieri ed i coprispalla erano visibili due coppie di artigli. Quelli sulle gambe erano semplicemente a rilievo, paralleli all’arto, all’altezza della coscia, ma quelli sui coprispalla erano posti sul bordo e spuntavano orizzontalmente verso l’esterno di diversi centimetri. Erano tuttavia quelli sulle mani i più pericolosi, e fu su di loro che Cristal concentrò la sua attenzione. Osservandoli bene, fu però sorpreso nell’accorgersi che non erano solo parte dell’armatura, ma che al loro interno nascondevano le lunghe unghie ricurve delle mani di Fenrir stesso, distinguibili perché la punta protrudeva di qualche millimetro.
Insieme agli artigli, l’armatura aveva solo un altro elemento davvero particolare, degli anelli dorati avvolti attorno ai polsi ed alle caviglie, ed uno particolarmente largo attorno alla base del collo. A differenza del resto della corazza, avevano un aspetto tutt’altro che minaccioso, innocuo, quasi delicato, ma ciononostante dovevano essere molto resistenti visto che, pur essendo visibilmente scheggiati e graffiati, come se fossero stati messi a dura prova, continuavano imperterriti a cingere la presa.
"Fenrir, il lupo del Ragnarok… colui che alla fine del tempo prenderà parte alla distruzione di Asgard, vendicandosi di un’eternità di prigionia! Possibile che sia davvero lui a sbarrarmi il passo?" si chiese preoccupato il Cavaliere, ripensando alla rapidità irreale con cui il nemico lo aveva colpito poco prima. "Dici di appartenere alla schiera degli Imperatori, chi sono costoro? Non v’è traccia di tale armata nel mito!"
"Non ve n’è traccia perché non siamo un esercito come voi Cavalieri, diverse sono le stirpi cui apparteniamo, come il credo che ci guida! Ma tutti noi siamo votati all’Apocalisse, ne siamo gli araldi e i portatori, e per questo siamo riuniti agli ordini del sommo Erebo, colui che condurrà finalmente le tenebre al trionfo! Per lunghi eoni abbiamo sofferto la prigionia delle divinità, i sigilli e le catene! Ora è giunto per noi il tempo della vendetta, berremo il sangue dei nemici e pasteggeremo sui loro cadaveri! I tuoi compagni già combattono, ma sarai tu il primo a cadere, i miei artigli non ti risparmieranno una seconda volta!" esclamò, sollevando ambo le mani.
A queste parole, Cristal ripensò al colpo che aveva subito un istante prima di cadere, ed istintivamente si sfiorò il fianco, sollevato nel sentire che l’armatura era ancora liscia e priva di crepe.
Il gesto non sfuggì a Fenrir, i cui occhi si socchiusero ulteriormente, mutandosi in sottili fessure nella penombra dell’elmo. "La forgia di quell’armatura è grande… ha resistito al tocco dei miei artigli, capaci di sfondare il più resistente metallo di Asgard! Solo Etri, il fabbro dei nani, è capace di creare oggetti di tal fattura!" affermò, malcelando una nota di rancoroso disprezzo.
"Vi è del vero in quel che dici, fu effettivamente Etri a riparare l’armatura divina del Cigno poco tempo fa. E dai resti di quella corazza è stata forgiata Luce dell’Aurora, che adesso indosso con orgoglio! Finchè ella proteggerà le mie carni, i tuoi colpi non mi raggiungeranno!" avvertì.
La risposta di Fenrir fu fulminea e improvvisa: senza quasi bisogno di prendere slancio, si gettò in avanti, gli artigli pronti a calare sul corpo dell’eroe. Stavolta però Cristal era pronto, e, pur non riuscendo a vedere i movimenti del nemico, reagì d’istinto e sollevò lo scudo del Cigno verso l’alto, intercettando gli artigli del lupo. Contemporaneamente, l’eroe spostò all’indietro il proprio baricentro e sfruttò la stessa spinta di Fenrir per cercare di afferrarlo, ribaltarlo e bloccarlo a terra.
In tutta risposta, Fenrir eseguì un’agile capriola a mezz’aria e sfuggì alla presa del Cavaliere, per poi darsi la spinta con le gambe sulla parete rocciosa e lanciarsi di nuovo in avanti, spazzando l’aria con gli artigli. Preso in controtempo, Cristal potè solo indietreggiare di un passo senza riuscire ad abbozzare una difesa. Gli artigli del lupo stridettero sulla protezione dell’addome e sul pettorale, sollevando scintille nell’aria, ma anche stavolta la corazza resse senza problemi, rendendo vano l’assalto. Fenrir tentò allora un affondo al viso, ma il Cigno, consapevole di quell’unico punto debole, sollevò lo scudo per pararlo, solo per essere centrato da un calcio alla bocca dello stomaco e da un altro alla spalla, venendo spinto malamente indietro.
"Nel corpo a corpo mi è superiore e non ho tecniche per contrastarlo, devo aumentare le distanze ed impedirgli di condurre lo scontro!" decise allora, sfruttando lo slancio del colpo subito per saltare indietro anzichè avanti ed infiammando il suo cosmo. Centinaia di cristalli di neve iniziarono subito a danzare attorno a lui, concentrandosi nel pugno destro.
"Su di te si scateni l’impeto dei ghiacci! Polvere di Diamanti!!" gridò, scatenando una corrente di aria gelida in direzione del nemico.
Invece di schivarla però, Fenrir si lanciò al suo interno a testa bassa, una luce minacciosa negli occhi. "Sei padrone dello zero assoluto, il tuo gelo sarebbe degno delle fiamme di Surtur! Ma a ben altre temperature sono state sottoposte le mie membra, all’inverno perenne di Asgard!" ritorse, facendo scattare il braccio in avanti e scagliando un getto d’aria che colpì in pieno il Cavaliere, sbattendolo contro la parete mentre un rivolo di sangue gli schizzava fuori dalla bocca.
Soddisfatto, Fenrir mosse un passo per proseguire l’assalto, solo per bloccarsi di colpo un istante dopo, sbalordito: il pettorale della sua armatura ed i bracciali erano coperti da uno strato di ghiaccio, sottile ma solido, ed altri cristalli circondavano le gambe e le caviglie.
"Hai sottovalutato la forza dei miei ghiacci… un errore che molti altri hanno commesso in passato, e pagato a caro prezzo! Se anche troppo debole per recarti danno, la Polvere di Diamanti ha bloccato i tuoi movimenti abbastanza da permettermi di colpire con maggior veemenza!" esclamò Cristal, facendo esplodere il suo cosmo. "Aurora del Noooord!!!"
Lanciata come un montante, l’Aurora del Nord colpì Fenrir in pieno mento, scaraventandolo in aria prigioniero di un tornado ghiacciato e sbattendolo contro la parete rocciosa, che franò in parte per la violenza dell’impatto.
Ansimando, Cristal rimase immobile in attesa, ben consapevole che la vittoria difficilmente sarebbe stata così semplice. Lontano, sparsi per Avalon, poteva sentire i cosmi dei suoi amici bruciare fino al parossismo ed esplodere in battaglia, segno che gli Imperatori non erano nemici che fosse possibile sconfiggere con un colpo solo. Come a conferma dei suoi timori, un istante dopo le rocce che avevano sepolto Fenrir esplosero, catapultate in aria dal cosmo dell’Imperatore. Subito, il Cigno sollevò la guardia, solo per scoprire con un misto di sorpresa e preoccupazione che non vi era nessuno di fronte a lui.
"Sono qui, Cavaliere! Dall’alto mi preparo ad abbatterti!" lo derise una voce sopra di lui, spingendolo ad alzare lo sguardo sbalordito. Accucciato su uno dei massi che egli stesso aveva scagliato via, Fenrir scattò in avanti, balzando di pietra in pietra in direzione del nemico, gli artigli spiegati pronti a colpire.
"Non ero riuscito a seguire i suoi movimenti, è ancora troppo veloce per me!" realizzò preoccupato l’eroe, saltando indietro e concentrando il cosmo nel pugno. "Polvere di Diamanti!!".
Stavolta però Fenrir non si gettò a testa bassa nella corrente ghiacciata, ma, dandosi la spinta su una delle rocce, cambiò direzione e ruotò sul proprio asse, saettando parallelamente al getto d’aria gelida e colpendo Cristal in pieno petto con un calcio, e poi al lato del collo con un altro a spazzare, sbilanciandolo e facendolo barcollare per qualche metro.
Il protetto di Atena tuttavia non era certo nuovo alla battaglia: nell’atto stesso di cadere, si voltò con un colpo di reni, lanciando una nuova Polvere di Diamanti a distanza ravvicinata, ed obbligando Fenrir ad interrompere l’offensiva e schivare con un istantaneo movimento laterale. Aspettandosi una tal mossa, Cristal sferrò una seconda Polvere di Diamanti, stavolta con la mano sinistra, ma, a causa del precario equilibrio, il nuovo getto d’aria gelida mancò il bersaglio, sfiorandolo di alcuni centimetri e perdendosi alle sue spalle.
Sogghignando di un tale marchiano errore, Fenrir sollevò la mano per colpire, quando improvvisamente un’onda alla schiena lo fece raggelare, imprigionando parte del busto nel ghiaccio. Voltandosi confuso, l’Imperatore vide quel che era accaduto e sbuffò con un misto di sarcasmo e vaga ammirazione: alle sue spalle, la seconda Polvere di Diamanti era stata riflessa da uno splendido telo di ghiaccio creato dalla prima, ed in tal modo lo aveva colpito di sorpresa.
"Consapevole che avrei schivato un attacco frontale, di proposito hai finto di mancarmi e congiunto le tue tecniche per raggiungermi alla sprovvista. L’invito alla prudenza del sommo Erebo era ben giusto… anche se figlio di Midgard, la tua abilità rivaleggia con i campioni del Valhalla!" si complimentò, gonfiando e torcendo contemporaneamente il busto per mandare in frantumi il ghiaccio che lo aveva imprigionato.
"Fenrir… anche tu abile e letale, per forza e agilità i tuoi movimenti non hanno nulla da invidiare ai racconti tramandati dal mito…" ammise Cristal, pulendosi un rivolo di sangue dalla bocca con il dorso della mano, e chiedendosi cosa fare per vincere quel duello. Il Lupo del Nord non sembrava curarsi particolarmente della difesa, ma era abbastanza veloce da schivare con facilità gli attacchi, ed i pochi che lo avevano raggiunto erano bastati appena a rallentarlo
"Nè la Polvere di Diamanti nè l’Aurora del Nord hanno sortito reale effetto… dovrò rischiare il Sacro Acquarius per avere una speranza di vittoria…" pensò, accigliandosi, subito consapevole delle difficoltà insite in quel piano "Ma affinchè il Sacro Acquarius abbia effetto, dovrei concentrarne il più possibile la forza, riducendone il raggio d’azione… ed in questo modo gli sarebbe facile evitarlo, ed approfittare della mia apertura per sferrare un colpo fatale! D’altra parte, un attacco dalla sfera più ampia avrebbe maggiori speranze di andare a segno, ma difficilmente gli arrecherebbe un grave danno. Che fare?" si domandò, soppesando ripetutamente le due opzioni di quel dilemma.
"Il dubbio vela il tuo sguardo, lo vedo. Stai pensando alla fuga? Ad una via di scampo? No… non sei un vigliacco, questo è evidente… è ad un piano d’azione che è rivolta la tua mente, ad una strategia che ti assicuri la vittoria!" intuì Fenrir, socchiudendo gli occhi e studiando la reazione del nemico. Quando il Cavaliere rimase in silenzio, lo sguardo cupo e le labbra serrate, l’Imperatore proseguì "Qualsiasi cosa tu abbia in mente, non ti permetterò di eseguirla, i tuoi piani non vedranno mai la luce! Già una volta in passato ho sofferto a causa di trame ordite da chi mi era nemico, stavolta non commetterò l’errore di sottovalutarle!" esclamò, scattando in avanti e portandosi a ridosso dell’eroe per sferrare un pugno alla bocca della stomaco.
Reagendo d’istinto, Cristal schivò lateralmente in qualche modo, afferrando il polso del nemico e cercando di sfruttarne lo slancio per sbilanciarlo. In tutta risposta, Fenrir ruotò sul proprio asse e calò gli artigli della mano libera verso il volto del ragazzo, obbligandolo a lasciare la presa ed indietreggiare di scatto. Subito, il Lupo di Asgard proseguì l’offensiva e si lanciò frontalmente in direzione del Cigno, che concentrò il cosmo nel pugno per tentare di nuovo la Polvere di Diamanti.
Con suo immenso stupore però, Fenrir eseguì un balzo fulmineo, accovacciandosi per un istante in perfetto equilibrio sul dorso del pugno teso dell’eroe, per poi far leva sulle braccia e colpirlo al volto con entrambe le gambe, sbalzandolo indietro e proseguendo con un montante, talmente potente da far strisciare il ragazzo contro la parete rocciosa e sollevarlo in aria di qualche metro, mentre flotti di sangue schizzavano dalle labbra.
"Lontano, devo tenerlo lontano!" pensò Cristal. Stringendo i denti, bruciò il cosmo in un lampo di luce e sollevò rapidamente le braccia "Aurora del Nord!!"
"Lento, troppo lento!" rise Fenrir, balzando indietro e lasciando infrangere l’attacco a terra, dove creò una sottile lastra di ghiaccio. Anzichè abbattersi però, Cristal sforzò un sorriso e, aprendo e richiudendo di colpo le ali dell’armatura divina, si lanciò in avanti in modo da scivolare sul suolo congelato, portarsi a ridosso dell’Imperatore ed afferrarne con forza le caviglie.
"Cosa speri di ottenere?!" sibilò Fenrir, sorpreso da quella mossa inattesa. Come a rispondergli, il cosmo del Cigno avvampò, abbassando l’aria circostante a temperature di molte decine di gradi sotto zero.
"Uaaahhhhh" quasi ringhiò Cristal, concentrando il gelo nelle mani e stringendo la presa sulle gambe del nemico, che immediatamente iniziarono ad essere avvolte da uno strato di ghiaccio sempre più spesso.
Grugnendo per il dolore, Fenrir cercò di liberarsi, ma la presa del Cavaliere era salda, e la morsa del gelo aveva già raggiunto le ginocchia e stava continuando a salire verso le anche.
"Una mossa coraggiosa… ma ti obbliga a restarmi troppo vicino!" disse tra i denti, prima di iniziare a tempestare la schiena del guerriero con centinaia di colpi alla velocità della luce, gli artigli che stridevano contro l’armatura con forza sempre maggiore.
"Resisti, Luce dell’Aurora, resisti qualche secondo ancora…" pensò Cristal, consapevole che, per quanto solida, l’armatura non avrebbe sopportato a lungo un tale sbarramento. Contemporaneamente bruciò ancora di più il suo cosmo, le mani luminose come piccole stelle mentre l’energia che fluiva al loro interno mutava la naturale umidità dell’aria in ghiaccio sempre più spesso.
Con un grido di dolore, Fenrir iniziò ad avvertire il gelo penetrare persino nella sua armatura, rendendo insensibile la carne sottostante. "Abbandona… la presa!" ringhiò allora, calando con violenza la mano nel punto in cui le ali si congiungevano allo schienale del cigno. Indebolita dalle artigliate precedenti, l’armatura si spaccò e cedette, abbastanza da permettere alle unghie del Lupo di penetrare nella schiena del ragazzo, strappandogli un urlo di sofferenza.
Rantolando, Cristal fu costretto a lasciare la presa e rotolò in qualche modo indietro, mentre flotti di sangue iniziavano a tingere di rosso la corazza che indossava ed il suolo sotto di lui. Una rapida occhiata però gli permise di tirare un sospiro di sollievo: lo stratagemma, seppur rischioso, aveva funzionato, ed adesso la metà inferiore del corpo di Fenrir era intrappolata in uno strato di ghiaccio allo zero assoluto, dal quale persino lui avrebbe avuto bisogno di tempo per liberarsi.
"E il tempo è un lusso che non ti concederò!" affermò l’eroe, alzandosi in piedi ansimante e facendo esplodere il suo cosmo mentre sollevava le mani sopra la testa.
Alzando lo sguardo, Fenrir vide l’anfora carica di energia cosmica comparire alle spalle del Cavaliere, e per un istante un brivido di una sensazione antica e quasi dimenticata, un brivido di paura, gli attraversò le membra.
Poi però gli occhi calarono sulla propria mano, ancora intrisa del sangue del ragazzo, ed uno strano sorriso gli si disegnò sul volto.
"Lupo dell’apocalisse, contempla il colpo supremo delle energie fredde!" gridò Cristal, pronto a sferrare il suo colpo segreto. Ma, di fronte a lui, vide Fenrir ignorarlo del tutto, portarsi la mano alle labbra e leccarne le dita, prima con esitazione, poi sempre più avidamente.
"Abbandonarti alla follia non ti salverà…" commentò perplesso, prima di abbassare le braccia "Per il Sacro Acquariuuuus!!!"
Con un bagliore accecante, la tecnica più potente dei ghiacci solcò l’aria, congelando allo zero assoluto tutto quel che incrociava sul suo cammino e saettando verso il bersaglio predestinato.
"E’ finita, non riuscirà a liberarsi in tempo!" sorrise il signore delle energie fredde, notando che Fenrir si era bloccato di colpo ed aveva smesso di dimenarsi.
Poi però accadde qualcosa che l’eroe non avrebbe in alcun modo potuto prevedere: un sorriso folle attraversò il volto di Fenrir, per una volta rischiarato dal bagliore del Sacro Acquarius, ed il Lupo dell’Apocalisse ululò.
Non un ululato comune, ma un grido assordante ed atavico, che sembrava contenere in se millenni di rabbia, odio, disprezzo e frustrazione. Un suono fragoroso, talmente potente da rimbombare tra le montagne e far tremare la terra. Il ghiaccio che imprigionava l’Imperatore andò in pezzi, e nello stesso momento l’onda sonica si scontrò con la furia del Sacro Acquarius, dissolvendolo come niente ed investendo Cristal.
Il Cavaliere del Cigno non aveva assistito al duello tra Kanon e Banshee, sulle coste d’Irlanda, ma in caso contrario avrebbe potuto avere almeno un punto di riferimento cui paragonare quel verso spaventoso. Il suo senso dell’equilibrio impazzì, le orecchie ed il naso sanguinarono, la vista si sdoppiò mentre tutt’attorno il mondo stesso sembrava distorcersi e ruotare vorticosamente. Un istante dopo, fu la volta del contraccolpo d’aria, che lo raggiunse con la forza di un maglio, accompagnato dal ghiaccio e dal gelo del Sacro Acquarius, improvvisamente ritortosi contro il suo creatore.
Del tutto privo di difese, l’eroe venne catapultato in aria e si schiantò contro il fianco della montagna, ruzzolando per alcuni metri prima di cadere finalmente di nuovo a terra, la corazza ed il viso ricoperti di brina e sangue.
"N… non è possibile… il Sacro Acquarius… ha distrutto il Sacro Acquarius… la mia tecnica più potente…!" riflettè stupefatto, cercando di scuotersi.
"Rialzati, Cristal, non cedere al torpore!" si disse disperato. In preda alla nausea, con la vista ancora annebbiata e la testa che gli girava, vomitò sangue, tentando con tutte le forze di sollevarsi almeno su un ginocchio.
Fenrir non era però intenzionato a dargli respiro. Per la prima volta circondato da un cosmo, dal colore grigiastro simile a quello dell’armatura, il flagello di Asgard sollevò entrambi i pugni al cielo. "Hai sentito il mio ululato, ora soffrirai il morso! Queste del grande Lupo sono le zanne!!" esclamò trionfante, unendo le mani e conficcandole al suolo.
Una frazione di secondo dopo, la terra ai piedi di Cristal esplose, catapultandolo di nuovo in aria in una nuvola di polvere e detriti. Al suo interno, l’eroe scorse quel che si stava per avventare su di lui, e non potè frenare un brivido.
"Il Lupo del Ragnarok… la sua mandibola scava la terra, la mascella sfiora la luna, tutto quel che nel mezzo intercorre è destinato ad essere dilaniato!" ricordò, memore delle descrizioni del mito. Con un ultimo, disperato colpo di reni, ruotò allora il proprio corpo, in modo da non subire l’assalto troppo frontalmente, e sollevò lo scudo a difesa del viso.
L’impatto fu comunque terribile: le fauci del lupo lo colpirono in pieno al pettorale, al braccio ed alla spalla sinistra, stridendo con pressione sempre maggiore su Luce dell’Aurora. Per qualche secondo, la divina armatura sembrò in grado di resistere persino ad un assalto come quello, di tener testa alla furia del Lupo del mito. Poi però, con un clangore sordo, si spaccò in diversi punti, aprendo crepe sottili ma sufficienti a far penetrare le zanne di Fenrir fino in profondità. Copiosi flotti di sangue schizzarono in tutte le direzioni, tingendo l’aria di tinte cremisi.
Con un grido di dolore, Cristal venne spinto oltre il bordo del costone e precipitò nel baratro lungo il fianco della montagna, troppo vicino alla parete per poter spiegare le ali della sua armatura, troppo veloce per potersi aggrappare. Senza esitare, Fenrir saltò dietro di lui, dandosi la spinta in modo da raggiungerlo e tempestarlo di pugni e calci all’addome ed al torace.
"Anelli… del Cigno!" disse Cristal a denti stretti, indicando il nemico con l’indice ed avvolgendone il corpo con numerosi cerchi di ghiaccio.
"Così fragili… non basteranno a darti respiro!" ritorse Fenrir, sogghignando. In un istante, la fascia metallica che aveva attorno al braccio si scosse e srotolò, spazzando l’aria con movimenti fulminei e frantumando gli Anelli del Cigno.
"Era una frusta?!" realizzò il Cavaliere, prima che quest’ultima schioccasse ancora una volta e lo colpisse verticalmente, dal basso verso l’alto, sfregiando il pettorale ed il collare ed aprendo un sottile taglio sulla guancia destra. Sbattuto con il fianco contro la parete, l’eroe continuò a precipitare, accompagnato da una cascata di scintille generata dall’attrito della corazza sulla roccia. Sopra di lui, Fenrir avvicinò le mani nella posa del colpo sferrato poco prima.
"No… non ora… non ho mezzi per difendermi!" tremò il ragazzo, la vista annebbiata dal sangue e dalla polvere, il corpo lento ed insensibile per il dolore.
All’ultimo momento però, Fenrir scorse la punta della frusta ancora bagnata di sangue e, interrompendo l’attacco, la ritirò a se, leccandola avidamente e permettendo a Cristal di continuare a precipitare, spezzando la caduta su numerosi spuntoni, fino a sbattere rovinosamente su un altro costone, ad un centinaio di metri da terra. Un istante dopo, Fenrir atterrò sui quattro arti, la frusta ancora in bocca.
A fatica, rallentato dal dolore e con il senso dell’equilibrio ancora danneggiato, il ragazzo si alzò su gomiti e ginocchia, lanciando un’occhiata al Lupo, che, smessa finalmente la frusta, lo stava osservando con malcelata impazienza. I suoi occhi non erano più la fessura vista all’inizio del duello, ma enormi voragini luminose, dilatate all’estremo, quasi prive del lume della ragione.
"Hai… fermato l’ultimo assalto… perché?" gli domandò.
"Il tuo sangue, pulsante di calore… il suo sapore m’è dolce! Voglio assaggiarlo ancora ed ancora, berne a sazietà, prima di strapparti il cuore dal petto e divorarlo come ti avevo promesso. Troppi secoli sono trascorsi dal mio ultimo pasto, finirti troppo presto mi priverebbe del piacere cui anelo…" sibilò minaccioso in risposta.
"Divorare i nemici che affronti… che razza di creatura… che mostro sei?!" domandò Cristal, rabbrividendo inorridito.
"Sono Fenrir, il flagello degli Dei, il Lupo del Ragnarok! E’ la sete di sangue, accesa dalla foga della battaglia, che scatena la mia vera forza, liberandomi da inutili remore e sciocchi scrupoli. Berserkergang, la furia cieca del guerriero, ammirata e temuta dalle genti di Midgard: io ne sono l’incarnazione, e come me tutti coloro che sono nati sotto la stella del lupo! Per questa mia brama di sangue venni allevato e poi allontanato dai miei stessi genitori, temuto e imprigionato dagli Dei miei compagni, condannato a trascorrere l’eternità in catene!" esclamò, guardando con disprezzo gli anelli dorati che cingevano i polsi e le caviglie. "Ora che gli odiati legacci sono finalmente in pezzi, distrutti dalla caduta di Odino e dal risveglio di Erebo, più nessuno potrà impedirmi di soddisfare le mie brame. Nel regno del mio signore, sarò il carnefice!"
"E’… disumano ciò di cui parli!" commentò con disprezzo Cristal, rialzandosi faticosamente in piedi con i pugni serrati. "Dei Berserk mi narrò il maestro nel corso dell’addestramento, additandoli a modello da evitare, tragico esempio di quel che può fare la forza se scevra da morale e giustizia! Guerrieri che non conoscevano amore o compassione, che nella loro sete di sangue non esitavano a massacrare persino gli innocenti, come puoi dirti fiero di esserne il simbolo?"
"E fiero invece sono, perché tale è la mia natura, sin dalla nascita! Per questa ragione soltanto fui concepito, per questo scopo solamente Loki ed Angrboda mi crebbero nelle sterili e fredde lande di Jotunheim, strumento di distruzione nelle loro mani in attesa del Ragnarok! L’amore di cui parli non l’ho mai conosciuto, e neppure mi interessa! Il sangue soltanto mi preme, e presto tornerò ad assaporarlo! Il tuo già mi bagna le labbra…" dichiarò, in apparenza trionfante. Cristal però scosse la testa corrucciato.
"Se questa è la tua storia, ho pena di te, Lupo del Nord, che non hai mai conosciuto amore o affetto. La tua vicenda è molto diversa dalla mia, non sei cresciuto riscaldato dal tenero calore materno, non hai incontrato sul tuo cammino amici leali in grado di farsi carico del tuo dolore, di trasformare le tue lacrime in sorrisi… Dovrei provar paura alle tue parole, ma è solo tristezza che sento nel cuore…"
Punto sul vivo, Fenrir strinse i pugni, socchiudendo gli occhi in una fessura minacciosa. "Non osare giudicarmi!" ringhiò tra i denti, lanciandosi all’attacco in linea retta.
"Come potrei giudicarti, io che così a lungo ho penato prima di trovare conforto…" sospirò malinconicamente Cristal, bloccando a fatica l’assalto nemico con lo scudo, ma venendo comunque spinto contro la parete dal suo impeto, l’equilibrio ancora precario per lo spaventoso ululato di poco prima. Avventandosi su di lui, Fenrir lo tempestò di pugni e calci al torace, i fianchi e l’addome, facendo schizzare gocce di sangue in tutte le direzioni dalle crepe nella corazza. Ad ogni secondo, la sua offensiva sembrava diventare più aggressiva e selvaggia, i gesti meno precisi ma più violenti, il respiro quasi affannoso. L’eroe vacillò, ondate di dolore provenienti dalle ferite ormai numerose gli strapparono un sussulto, ma cercò comunque di stringere i denti e tener testa alla nuova offensiva.
"Polvere… di Diamanti!" esclamò, gettandosi finalmente di lato per rotolare su un fianco e sferrando il suo colpo segreto. Senza neppure provare ad evitarlo, Fenrir si buttò a testa bassa nella corrente ghiacciata, attraversandola per tutta la sua lunghezza e cercando di avventarsi di nuovo sul Cavaliere, incurante della brina sulla sua armatura. Sorpreso da quell’atteggiamento, Cristal balzò indietro e ripetè l’attacco, solo per ottenere di nuovo la stessa risposta: nessun tentativo di difesa, soltanto una cieca furia offensiva e grida di rabbia e frustrazione.
Accigliandosi, il Cigno cercò di mantenere la distanza, ma all’improvviso la frusta di Fenrir saettò in avanti, strisciando lungo lo schiniere destro ed avvolgendosi attorno alla gamba.
Immediatamente, Cristal cercò di congelarla e liberarsi, ma Fenrir fu più rapido e lo tirò a se con uno strattone, facendolo roteare diverse volte in aria e sbattendolo al suolo, per poi balzargli sulla schiena e colpire a ripetizione, affondando gli artigli nel punto dove l’armatura era già stata spaccata in precedenza e ridendo nel vedere le proprie dita grondare del sangue del nemico. Tale fu ad un tratto la sua gioia che, anzichè sferrare quello che probabilmente sarebbe stato il colpo di grazia alla nuca scoperta dell’eroe, si portò una mano alle labbra per leccare ancora, avidamente, le dita.
"Uuuaaarh" gridò il Cavaliere, approfittando del momento per far bruciare al massimo il suo cosmo. La superficie dell’armatura divenne improvvisamente fredda come il ghiaccio, vicina quasi allo zero assoluto, al punto che il gelo iniziò a penetrare nella corazza di Fenrir, obbligandolo a saltare indietro. A causa del freddo però i suoi movimenti si erano rallentanti, l’agile incedere era mutato in un’andatura barcollante.
"Questo è il momento!" realizzò Cristal, facendo esplodere il suo cosmo e sollevando le mani al cielo. Una copiosa nevicata discese sul campo di battaglia, preludio al colpo segreto dell’eroe "Per il Sacro Acquarius!!!"
Pur stordito e con la vista offuscata dalla neve, Fenrir reagì d’istinto dando fiato ad un secondo ululato spaventoso, la cui onda sonica si scontrò ancora una volta con il Sacro Acquarius, disperdendolo.
Per una volta però il sorriso vacillò sul volto del Lupo del Ragnarok: stavolta Cristal era pronto, e, guardando a fatica tra le falde della tormenta di neve, Fenrir si accorse che il Cavaliere aveva eretto una spessa cupola di ghiaccio attorno a se, le mani nuovamente sollevate nella posa della tecnica suprema. Non appena anche quella protezione andò in frantumi, Cristal innalzò il suo cosmo fino alla piena forza del nono senso ed abbassò le braccia di colpo.
"Ancora una volta, nel nome di Atena! Per il Sacro Acquarius!!!".
Di nuovo il colpo segreto si scontrò con la furia dell’ululato dell’Imperatore, ma stavolta quest’ultimo, smorzato dal primo scontro, dalla tormenta di neve e infine dal muro di ghiaccio non riuscì ad avere il sopravvento.
Per alcuni istanti, il Sacro Acquarius sembrò quasi fronteggiare a mezz’aria quell’invisibile onda sonica, entrambe perfettamente bilanciate in un duello da cui non sembrava emergere vincitore. Poi le due energie esplosero, in una tempesta di ghiaccio e gelo che travolse ambo i combattenti e sollevò una tale quantità di neve da avvolgere il campo di battaglia in un fitto manto bianco.
Per diversi secondi, il soffiare del vento fu l’unico rumore a risuonare attorno a loro, poi la tormenta di neve iniziò ad affievolirsi, veloce com’era comparsa, fino a placarsi del tutto ed a far scendere sul costone di roccia un silenzio irreale.
A romperlo furono i passi di Cristal, il primo a rimettersi in qualche modo in piedi, scrollando la brina dal volto e l’armatura. Di fronte a lui, Fenrir era quasi completamente intrappolato in una rozza prigione di ghiaccio, da cui emergeva soltanto la testa, che invano cercava di dimenarsi e riconquistare la libertà.
"La tua armaturaaa…" sibilò a denti stretti, memore del gelo che lo aveva fatto barcollare.
"E’ sempre stato un potere delle vesti del Cigno quello di abbassare la temperatura dell’aria che mi circonda, agevolando l’utilizzo delle tecniche del ghiaccio. Tale capacità si è acuita con la trasformazione ad armatura Divina, permettendomi di renderla fredda fin quasi allo zero assoluto", spiegò Cristal, prima di sospirare "Non è stata però l’armatura a ribaltare la situazione, ma la tua stessa foga".
"La… mia foga?" ripetè Fenrir
"La sete di sangue di cui tanto ti vanti è una lama dal duplice taglio… Ti rende più forte, ma annebbia i sensi ed offusca la ragione. Rispetto all’inizio del duello, il tuo cosmo si è fatto progressivamente più oscuro e animalesco. E non solo questo… hai ormai messo da parte ogni difesa, persino il tuo parlare si è fatto più selvaggio e primitivo. La Berserkergang ti sta conducendo alla distruzione, abbandonala se puoi!" lo incitò, ripensando a tante piccole cose notate nel corso del combattimento.
Fenrir parve colpito e smise di dimenarsi, abbassando lo sguardo per qualche istante.
"Abbandonarla… come potrei, essa è parte di me… essa è me, è la mia natura! Un lupo non potrebbe mai mutarsi in agnello… neanche se lo desiderasse!" rispose, ma con una punta di malinconia che non sfuggì al ragazzo.
"Forse la natura non può essere cambiata, ma è possibile controllarla, dominarla con lo spirito! Brame e sangue sono legacci ben più stretti delle catene che per millenni ti hanno imprigionato, ma potresti non esserne più schiavo. Potresti essere libero…" esortò con rara enfasi. Per quanto cercare il dialogo con il nemico non fosse necessariamente una sua abitudine, c’era qualcosa in Fenrir che lo rattristava, una nota di tragico fatalismo celato dietro la violenza dei suoi gesti.
Come a conferma di ciò, l’Imperatore sembrò prendere in considerazione l’idea. "Libero… sarebbe… bello…" sospirò, prima di chiudere gli occhi "Ma è troppo tardi ormai, la sete di sangue non può essere placata che con la morte!" In un istante, il suo cosmo esplose, frantumando il ghiaccio ed obbligando Cristal a coprirsi gli occhi e balzare indietro. Prima ancora che potesse toccare terra, la frusta di Fenrir schioccò nell’aria e volò verso di lui.
"Ci dev’essere un modo per fermarla!" pensò il guerriero, investendola con una corrente di aria ghiacciata. Come in risposta, la frusta si irrigidì, mutandosi quasi in una lunghissima lancia e frantumando il ghiaccio che per un attimo l’aveva imprigionata. Sorpreso da quel cambiamento, Cristal fu preso in controtempo e l’arma lo centrò in pieno alla coscia destra, perforando l’armatura e sprofondando parzialmente nel muscolo sottostante.
Strozzando un grido di dolore, il Cavaliere la afferrò con la mano, stringendola con forza ed imprimendo in essa tutto il gelo dello zero assoluto. In pochi istanti, l’arma da argentata divenne bianca, poi trasparente come il cristallo, ed alla fine, con un rumore di vetro infranto, si spaccò e cadde in pezzi.
Quel momento di trionfo però permise a Fenrir di portarsi di nuovo a ridosso del nemico, ora zoppicante.
"Avresti dovuto finirmi prima… la tua generosità ti costerà la vita!" sibilò, in un tono in cui era possibile scorgere in egual misura minaccia e qualcos’altro..
"E’ rimpianto quel che odo nella tua voce? Se è così cedi il passo… non è troppo tardi, non deve esserlo!" esortò Cristal, prima di sollevare il pugno per difendersi.
"Lo è invece… lo è da troppo tempo… nessuno può opporsi alla propria natura… neppure un Dio. Avresti… dovuto finirmi…" rispose, permettendo per la prima volta al rammarico di emergere prepotentemente nella sua voce. Incrociandone lo sguardo per una frazione di secondo, Cristal si accorse che anche i suoi occhi erano tornati umani, e colmi di tristezza.
Poi, veloci com’erano comparse, quelle emozioni sparirono dagli occhi dell’Imperatore, ed essi tornarono ad essere fessure minacciose. Avvertendo il pericolo, il Cavaliere cercò di sferrare la Polvere di Diamanti a distanza ravvicinata, ma con un gesto fulmineo Fenrir afferrò il braccio destro, proteso in avanti, e se lo portò alle labbra, azzannandolo con furia animalesca. I suoi denti, degni dei racconti del mito, perforarono l’armatura del Cigno, i muscoli e le ossa, trapassando l’arto da parte a parte e facendo schizzare sangue in ogni direzione.
Il dolore fu accecante, superiore a qualsiasi altra cosa il Cavaliere avesse provato in passato, persino alla Cuspide Scarlatta: pur non essendo stato tranciato di netto, l’avambraccio sembrava bruciare e grondava sangue profusamente, annebbiando la vista ed i sensi dell’eroe. Immediatamente, Cristal cercò di fermare la perdita di sangue congelando la ferita con il braccio sinistro, ma Fenrir non gli concesse respiro e sollevò i pugni, portandoli a pochi centimetri dal torace del nemico e facendo esplodere il suo cosmo.
"Che le Zanne del Lupo ti accompagnino nel Valhalla!" disse soltanto, prima di scatenare il suo colpo segreto a distanza ravvicinata.
Ancora una volta, con il fragore del tuono, la furia selvaggia del Flagello di Asgard si abbattè sul Cavaliere, stavolta investendolo in pieno petto e spazzandolo via come una foglia nell’uragano. In procinto di perdere i sensi, Cristal non si accorse neppure di essere stato gettato oltre il bordo del costone, e precipitò inerte verso il suolo, nel cuore e sulle labbra un nome solamente.
"Fla… re…" sussurrò a stento, chiudendo gli occhi prima di cadere finalmente a terra, il corpo ormai insensibile. Lì giacque immobile, mentre un lago di sangue scarlatto si allargava sotto il suo corpo. Un’ultima lacrima di rammarico rigò il suo viso, un ultimo sussulto, poi il cuore di Cristal il Cigno smise di battere.
Un centinaio di metri più in alto, dal bordo del costone, Fenrir osservò l’eroe caduto, il cuore dilaniato da emozioni contrastanti. Da una parte, tristezza per la tragica fine di un guerriero così valoroso, e dubbio riguardo quel che gli aveva detto negli ultimi momenti del combattimento. Dall’altra, sete di sangue, così forte da roderlo dall’interno, da bruciargli la gola causandogli quasi dolore fisico, ed un ardente desiderio di scendere a divorare il corpo del nemico.
"Dio… o belva?" si chiese a voce bassa, stringendo il pugno con tanta forza da farlo sanguinare.
Intanto, Cristal sprofondava nell’oscurità, finalmente libero dal dolore e dalla fatica, gli occhi chiusi, la mente a stento aggrappata agli ultimi pensieri.
"Perdonami, Flare… avrei voluto trascorrere il resto dei miei giorni insieme a te… proteggerti e renderti felice… guardando insieme le candide nevi di Asgard… gioendo alla luce dei sorrisi che ti avrebbero illuminato il volto… ma non sarà mai purtroppo… non ho speranze contro costui… come potrei vincere colui che era destinato a privare della vita il grande Odino?" pensò rattristato.
Ad un tratto però, sentì un rumore a poca distanza dal viso, un battito di ali. Aprendo faticosamente gli occhi stanchi, vide una colomba volteggiare attorno a lui e fissarlo. I suoi però non erano occhi comuni, ma avevano la profondità di uno sguardo umano, colmo di malinconia e nel contempo puro e leggiadro.
Nello stesso momento, dalla direzione opposta, una luce soffusa e lontana rischiarò leggermente le tenebre. Il suo bagliore però era troppo distante per raggiungerlo, ed il ragazzo non aveva più forze per muoversi. Debole, troppo anche per chiedersi come potesse una colomba accompagnarlo sulla via per l’Ade, Cristal richiuse gli occhi.
Fu allora che una voce dolce lo chiamò, scandendo il suo nome con melodiosa armonia. Era una voce stanca e sofferente, ma nel contempo pura e candida, che richiamò alla mente del ragazzo l’immagine del primo fiocco di neve che, quasi timidamente, si poggia al suolo all’alba di una tormenta. Ma non solo, vi era in essa qualcosa della risata più cristallina di Flare, colma di speranza per il futuro, e dell’amore e della dolcezza di sua madre Natassia, quando intonava una ninna nanna per cullarlo.
Con uno sforzo supremo di volontà, il ragazzo riaprì gli occhi, scoprendo di trovarsi sdraiato su una distesa di neve, e vedendo che di fronte a lui non c’era più una colomba, ma una piccola sagoma femminile, quasi evanescente, difficile da mettere a fuoco.
"Chi sei tu, che chiami così dolcemente il mio nome?" domandò, tendendo istintivamente una mano verso di lei.
La fanciulla però si ritrasse, e scosse la testa sconsolata. "Non verso di me devi venire. La luce alle tue spalle… la luce che potrebbe darti la salvezza… perché non cerchi di raggiungerla? Preferisci il freddo dell’oblio al calore di chi ti ama ed attende sulla terra?" chiese rammaricata.
"Come puoi dirlo…?" rispose Cristal, stringendo il pugno addolorato "Darei tutto per poter trascorrere anche solo un altro momento con colei che amo… ma la battaglia è persa, non ho la forza di continuare a combattere… nè i mezzi per trionfare".
"Eppure trionfare devi! La salvezza di molti è nelle tue mani, primo fra loro è il nemico che hai di fronte!" esclamò la figura, con un’enfasi che sembrò quasi costarle sforzo.
"Io… salvare lui?" chiese sbalordito Cristal.
"Non hai udito la supplica d’aiuto del suo spirito in pena? Non senti il dolore che gli dilania le membra?" domandò in risposta la fanciulla, ora visibilmente sofferente, la voce sempre più flebile, la figura evanescente. "Non è per te abbandonarti al freddo dell’oblio… tuo compito e dono è risvegliare il tepore del cuore… il dolce calore che in tanti hanno dimenticato… tu hai saputo tenerlo vivo, mutarlo da pallida scintilla ad ardente fuoco…" disse, stringendosi il petto in uno spasmo di dolore.
"Come posso fare quel che mi chiedi… altri sono più adatti di me! Andromeda… o Phoenix…"
"Ad altro sono destinati… ad altro… Le sofferenze di una vita intera ti hanno preparato… a questa… sorte…" concluse la fanciulla, barcollando ed iniziando a scomparire.
"No! Non andare!" supplicò Cristal, alzandosi su un ginocchio e tendendo la mano verso di lei. "Come posso fare quel che mi chiedi? Come posso vincere?" ripetè.
"Esistono insegnamenti che a volte vanno ignorati, perchè il principio stesso della conoscenza risiede nel tentare sempre nuove strade…" rispose soltanto, prima di svanire tra le tenebre.
Immobile e sbalordito, Cristal chiuse gli occhi, stavolta non per abbandonarsi all’oblio ma per ritrovare determinazione e fiducia. In quell’ultima frase aveva riconosciuto le parole dettegli da Zeus subito dopo aver creato Luce dell’Aurora, parole che sul momento erano apparse sibilline, ma che adesso erano finalmente chiare.
Forte di una nuova sicurezza, il Cavaliere riaprì gli occhi ed avanzò finalmente verso la luce, accogliendo di buon grado il ritorno del dolore nel suo corpo malconcio.
Un istante dopo si svegliò, trovandosi nuovamente ai piedi della montagna. Istintivamente si portò la mano al petto, scoprendo con una certa sorpresa tracce del tocco di un cosmo divino sul torace, all’altezza del cuore. Alzando la testa, vide Fenrir che lo osservava a qualche passo di distanza, fremente, la mano destra bagnata di sangue, ancora avvolta da un alone di cosmo, stretta con forza dalla sinistra, quasi imprigionata all’altezza del polso. Spalancando gli occhi balordito, il ragazzo comprese quel che era accaduto.
"Il mio cuore aveva cessato di battere… sei stato tu a curarmi? Tua era la luce che mi ha ricondotto sulla terra?" domandò, colpito.
"E’ quell’armatura che devi ringraziare. Senza di essa, il tuo petto sarebbe stato smembrato dalla forza del mio colpo segreto, e nulla più avrebbe potuto salvarti… Invece, non ho dovuto far altro che usare il mio cosmo per riattivare il tuo cuore…" spiegò, quasi a fatica, prima di aggiungere in un sospiro "Adoperarlo per salvare piuttosto che per uccidere… è stata la prima volta… Ed eppure per qualche istante ho creduto che ormai fosse troppo tardi, che avessi accettato di morire…"
"Così era stato… finchè qualcuno non è giunto in mio soccorso" pensò Cristal, chiedendosi il significato di quella visione prima di domandare, ad alta voce "Perché mi hai salvato?"
"Per ricambiare una tua esitazione di poc’anzi… per dare risposta ad un dubbio, che hai risvegliato in me… o forse solo per prolungare il piacere della caccia, chi può dirlo? Molti sono gli eventi di questo giorno a cui non so dare spiegazione…" rispose, sibillino.
"Un dubbio?" ripetè Cristal.
"La Berserkergang, la sete di sangue, la furia omicida nata dall’odio e dalla rabbia… l’hai definita fonte di debolezza anzichè forza. Dimostramelo quindi! Questo nostro duello mi dirà la verità. Tu che proclami di serbare l’amore nel cuore, saprai sconfiggerla?" proclamò in tono di sfida, lasciando nello stesso momento la presa sul polso destro. Libera da costrizioni, la mano, ancora zuppa di sangue, tremò per qualche istante come in preda a delle convulsioni, poi si mosse di volontà propria, alzandosi verso il volto dell’Imperatore.
"Aspetta!" gridò Cristal, intuendo quel che stava per accadere "Non dev’essere così! Avresti potuto distruggermi e invece mi hai salvato! Se hai avuto la forza di trattenere la sete di sangue fino ad ora, puoi continuare a farlo! Abbandona il passato e scrivi il tuo destino… affrontami da divinità, piuttosto che da belva!"
A queste parole, la mano di Fenrir si fermò a pochi millimetri dalla bocca, ed il seguace di Erebo parve esitare, soppesare un’ultima volta la situazione, immaginare una via diversa, chiedersi cosa volesse davvero.
Poi però le narici percepirono l’odore del sangue, obbligando il volto a contrarsi in una smorfia di dolore e desiderio. Quando quest’ultima fu passata, Fenrir sorrise tristemente "Non posso affrontarti da divinità… la mia natura è quella di una fiera!"
La mano insanguinata toccò le labbra, gli occhi tristi si mutarono in tizzoni ardenti quasi privi del lume della ragione, il cosmo si infiammò ed esplose selvaggio.
"La Berserkergang… è di nuovo scesa su di lui!" commentò Cristal, espandendo a malincuore il proprio cosmo per preparasi alla battaglia finale. Scoccò un’occhiata al braccio destro: nonostante lo avesse avvolto in uno strato di ghiaccio per fermare l’emorragia, le ferite erano così numerose e profonde da renderlo quasi inutilizzabile. Strinse allora il pugno sinistro, mentre le parole di Zeus gli risuonavano nella mente, il loro significato più chiaro con ogni secondo che passava, ma legato a loro c’era anche una sorta di timore reverenziale all’idea di tentare una strategia mai osata prima, una strategia molto diversa dal suo tradizionale stile di combattimento.
In quel momento, con un ruggito furioso, Fenrir lo strappò dalle sue riflessioni e si lanciò all’attacco.
"Polvere di Diamanti!" tuonò il Cigno, sferrando frontalmente il suo colpo segreto. Ignorandolo, Fenrir attraversò di getto la corrente gelida, incurante del ghiaccio che gli si era formato sul pettorale, e centrò il Cavaliere con un preciso pugno all’addome, scaraventandolo indietro.
Con un colpo di reni, Cristal eseguì una capriola a mezz’aria, spiegò le ali dell’armatura e gridò ancora "Polvere di Diamanti!!" continuando a tempestare l’Imperatore di aria congelante prossima allo zero assoluto.
"Le punture di un insetto mi causerebbero più danno di questa brezza!" lo derise Fenrir, balzando in aria ed afferrandolo per l’addome, per poi tempestarlo di pugni e artigliate al torace e alle spalle. Dopo qualche secondo, poggiò le mani sul petto del Cavaliere, sorridendo sinistramente e concentrando in esse il proprio cosmo, ma stavolta Cristal fu più rapido e con un movimento a spazzare lo colpì alla tempia con lo scudo, scrollandoselo di dosso proprio nell’istante in cui il colpo segreto stava per esplodere, in modo da subirne solo una piccola parte, comunque abbastanza potente da sbatterlo a terra e fargli sputare sangue.
Ad alcuni metri, il Flagello di Asgard tornò al suolo con un agile balzo, in perfetto equilibrio, mentre il ragazzo si rialzava in qualche modo barcollante, l’armatura chiazzata da nuovi flotti di sangue la cui vista stuzzicò l’appetito del nemico.
Oramai quasi del tutto preda delle pulsioni della bestia, Fenrir corse di nuovo all’attacco, gli artigli spiegati, gli occhi dilatati, la bocca schiumante.
Guardandolo in quello stato, Cristal sospirò e concentrò ancora una volta il cosmo nel pugno sinistro. "Polvere di Diamanti!!"
Per la terza volta consecutiva, Fenrir ignorò il colpo segreto e vi si gettò dentro a capofitto, sferzando il ragazzo al fianco con gli artigli e penetrando in un punto in cui l’armatura era stata danneggiata dagli scontri precedenti. Flotti di sangue schizzarono in aria, mentre Cristal rotolava a terra con un grido di dolore. Soddisfatto, il Lupo toccò terra alcuni metri dietro di lui.
"Adesso basta giocare… manterrò la mia promessa, il prossimo attacco ti strapperà il cuore dal petto!" sibilò voltandosi.
Rialzandosi faticosamente in piedi, una mano sul fianco sanguinante, Cristal però lo guardò direttamente negli occhi, l’espressione sicura e determinata.
"Non ci sarà un prossimo attacco, i tuoi artigli hanno offeso la Luce dell’Aurora per l’ultima volta!" esclamò, con un misto di rammarico, orgoglio e fatalismo.
"Che vuoi dire?!" domandò Fenrir in tono di scherno.
"La risposta ormai ti circonda… guardati attorno!" lo esortò Cristal.
Per la prima volta, l’Imperatore distolse lo sguardo dal nemico per osservare lo spazio che li circondava, accorgendosi di qualcosa cui non aveva fatto caso: i cristalli di ghiaccio delle numerose Polvere di Diamanti non si erano dissolti, ma continuavano a danzare nell’aria, avvolgendola in una specie di foschia. E soprattutto, sparse in quel velo di ghiaccio sembravano brillare delle fiammelle evanescenti, rosse come tizzoni ardenti che bruciavano per un’istante prima di scomparire.
Sbalordito e confuso, Fenrir si guardò attorno. "Fiamme di ghiaccio?! Che follia è mai questa?!" gridò rabbioso.
"L’arma indicatami dal sommo Zeus: le Scintille nella Bufera!" rispose solennemente Cristal.
"Scintille nella Bufera?" ripetè Fenrir, indietreggiando istintivamente di un passo. L’istinto animale lo avvertiva del pericolo, anche se la ragione, sepolta e addormentata, ancora stentava a comprenderne la natura. "Non crederai che queste fiammelle tremule possano sconfiggermi?!"
"Non devi temerle, non ancora! Le Scintille non si sono ancora mutate in devastante incendio, quelle che vedi non sono che il preludio di ciò che verrà!" avvertì minaccioso il ragazzo, prima di aggiungere, in tono di rammarico "Maestro dei Ghiacci, perdonatemi se ora per la prima volta disobbedirò ad un vostro insegnamento!"
"Di che stai parlando!" insistette Fenrir.
"Della prima regola per chi fa uso delle energie fredde in battaglia: rallentare il moto degli atomi, fermarli persino, ma sempre senza mai intaccarne il nucleo, o ne risulterebbe una reazione a catena devastante, impossibile da controllare! Lezione fondamentale nei giorni dell’addestramento, ma che adesso dovrò ignorare per sconfiggerti… perchè in fondo il principio stesso della conoscenza risiede nel tentare sempre nuove strade!" sospirò, memore delle parole di Zeus. Di fronte a lui, altre scintille brillarono nell’aria.
"Il mio controllo è ancora insufficiente, le scintille che vedi non sono altro che minuscole esplosioni che non riesco ad evitare… piccole per ora, ma presto la loro potenza devastante ti travolgerà!" annunciò l’eroe, alzando solennemente le braccia nella posa del Sacro Acquarius. Il destro gli doleva, ma era una sofferenza necessaria, da sopportare.
"Quanto spreco di inutili parole, non devo far altro che uscire da questa nebbia di ghiaccio… uscire e strapparti il cuore dal petto!" schernì Fenrir facendo esplodere il suo cosmo e lanciandosi in avanti. Cristal però rimase impassibile
"Se avessi badato ad evitare gli attacchi precedenti forse ora avresti una speranza, ma la tua stessa furia ti ha perduto! Il ghiaccio che sulla tua armatura è ammassato ti condanna alla fine!" A queste parole, l’Imperatore avvertì una fitta di dolore al petto. Abbassando la testa, scoprì con orrore che non solo l’aria, ma anche il ghiaccio sulla sua armatura brillava delle medesime tinte rossastre.
Alzando la testa, incrociò lo sguardo di Cristal, colmo di amarezza, e comprese che per lui era giunta la fine.
"Bruciate sotto l’impeto del Sacro Acquarius, Scintille nella Bufera!!" esclamò il Cavaliere del Cigno abbassando le braccia.
Conscio del pericolo, l’Imperatore sollevò le mani a difesa del volto, ma ormai era troppo tardi. Risplendendo di venature scarlatte, il colpo sovrano delle energie fredde si abbattè su di lui, e al suo passaggio i cristalli di ghiaccio sospesi in aria si illuminarono come tizzoni ardenti, esplodendo all’unisono con una forza devastante, il cui boato fu eguagliato solo dal grido di dolore del Flagello di Asgard.
Quando la polvere si fu diradata, Cristal osservò amareggiato la devastazione che aveva di fronte: dello splendore dei ghiacci non era rimasto niente, le rocce erano in frantumi, la terra spaccata, costellata di frammenti di corazza.
Al centro di un piccolo cratere, Fenrir giaceva immobile in un lago di sangue. Ora che l’armatura era andata in pezzi, Cristal potè finalmente vederne il viso, e fu sorpreso e addolorato nel trovarsi di fronte ad una figura smunta, quasi ossuta, con le guance scavate dalla fame, i capelli corti e diradati, gli occhi prominenti, le costole ben visibili lungo il petto, lo sterno infossato.
"La sorte è stata crudele con te, Fenrir di Asgard…" commentò amareggiato.
"Non… rattristarti per me…" sussurrò in quel momento l’Imperatore, aprendo a fatica gli occhi. La luce della Berserkergang era scomparsa, lo sguardo era nuovamente umano, seppur ormai quasi vuoto.
"Fenrir!" esclamò Cristal, chinandosi su di lui e sollevandogli delicatamente la testa.
"Perdonami… Cavaliere di Atena… per quel che ho fatto… la rabbia mi dominava… non potevo… controllarla…" disse a stento, sforzandosi di tenere gli occhi aperti.
"No… non parlare, risparmia le forze! Il fato ci ha resi nemici sul campo di battaglia, ma non deve finire così!" disse con enfasi l’eroe.
Fenrir però scosse il capo "La mia fine… è arrivata… ma sono felice che sia… per mano tua. Il calore… durante il nostro duello… l’ho sentito radiarsi da te… un tepore rassicurante… che scalda le membra ed il cuore… mi ha ricordato… sensazioni perdute. Non essere triste… tu mi hai salvato… Ho vissuto da bestia… ma… grazie a te… muoio da Dio…" sorrise chiudendo gli occhi, e spegnendosi tra le braccia di Cristal.
Amareggiato, il ragazzo ne poggiò delicatamente il corpo a terra e si rialzò. In quel momento, un lampo di comprensione gli attraversò la mente, spingendolo a guardare la propria armatura, scheggiata, spaccata e danneggiata in più punti, ma sostanzialmente integra.
"Luce dell’Aurora, dono di Zeus ed Estia, impervia al gelo come al fuoco incandescente… è stato grazie a lei che non ho subito la furia dell’esplosione che mi ha separato dagli altri… ma ora capisco che non è solo questo il calore di cui il sommo Zeus parlava. Estia, Dea del Focolare, patrona della famiglia… sua era la capacità di scaldare e intenerire i cuori induriti degli uomini, liberandoli dal gelo dell’odio e dell’indifferenza.
"Grazie al suo sangue, ora è a Cristal che è stato affidato quest’incarico, non come fardello, ma come atto di fiducia. In questa battaglia spietata per il destino del mondo… saprò essere degno di tal compito!" si promise, prima di correre via in direzione del cosmo più vicino.
***************
LA GRANDE GUERRA DI ASGARD
I Comandanti di Hela
Asgard, forse l’ultima roccaforte degli uomini liberi in grado di resistere alla conquista delle armate di Erebo, si stagliava drammaticamente nel paesaggio innevato. Sulle mura esterne, i difensori della città scrutavano cupamente l’avanzare dell’esercito nemico: un’armata sterminata, composta da migliaia e migliaia di guerrieri che marciavano caoticamente ma senza fretta, battendo le spade sugli scudi in modo da sollevare un’inquietante cadenza ritmica.
Il cielo, normalmente lattiginoso per le nubi cariche di neve, era costellato da decine e decine di sagome in movimento. Le Naglfar, imbarcazioni costruite con le unghie dei defunti, non potevano sorvolare direttamente la cittadella a causa del cosmo di Ilda, ma ne affollavano comunque il cielo, pronte a far scendere a terra nuove orde votate alla conquista ed alla distruzione del santuario di Odino.
Seppur circondata però, Asgard non era terra di razzia facile. La posizione della cittadella obbligava il nemico ad attaccare praticamente da una sola direzione, il fronte meridionale, ed era proprio in cima alle mura a Sud ed attorno al cancello d’ingresso che i guerrieri a difesa del luogo erano disposti nelle posizioni precedentemente convenute.
Thor, Artax, Mizar, Orion, Mur, Toro, Ioria e Syria capitanavano l’esercito di guerrieri Asgardiani ed Einherjar pronti alla battaglia. Nonostante appartenessero a fedi diverse, nonostante avessero in passato combattuto tra loro da nemici, adesso erano pronti a lottare spalla a spalla fino alla fine, consapevoli che ogni minuto di resistenza avrebbe dato una piccola speranza di vittoria in più a Pegasus e gli altri eroi partiti per sconfiggere Erebo.
Al centro delle mura, Ilda di Polaris, con indosso le vesti di guerra ed in mano la lancia, svettava tra tutti per carisma e determinazione. Persino i Cavalieri d’Oro erano rimasti impressionati dalla sua attitudine al comando, in netto contrasto con l’aspetto quasi delicato dei suoi lineamenti, e la sua forza d’animo era fonte di ispirazione per i soldati che, privi della capacità di usare il cosmo, sapevano bene di aver ben poche speranze di salvezza. Nonostante in battaglia fosse ad Orion che guardassero come punto di riferimento, il rispetto e la fedeltà ad Ilda erano assoluti.
Come consapevole di ciò, la donna si voltò e, salita sul merlo delle mura, sollevò la lancia al cielo e si rivolse a tutti coloro che la circondavano.
"Difensori di Asgard! Sudditi di Odino! Valorosi alleati! Il momento della grande battaglia è giunto, il destino che ci ha voluti testimoni del Ragnarok sta per compiersi! Di fronte ad un esercito che vuole piegarci sotto il giogo delle tenebre, siamo qui riuniti non come Asgardiani o Greci, scandinavi o stranieri, ma come uomini liberi! In questo giorno, leveremo le spade non solo per la nostra patria, il nostro popolo o il nostro Dio, ma per tutte le genti della Terra! In questo giorno, mostreremo al nemico che gli esseri umani non sono pavide creature che in silenzio attendono il tramonto, ma guerrieri che gli vanno incontro con la spada stretta nel pugno! In questo giorno, in questa ora suprema, noi combatteremo!!" gridò a piena voce, alzando ancora la lancia. Attorno a lei, l’esercito gridò all’unisono, pronto allo scontro, e per qualche istante il suono fu tale da coprire completamente quello delle armate nemiche.
"E’ degna regina costei, dotata nel contempo di spirito saldo e cuore misericordioso…" pensò Ioria, trovandosi suo malgrado a fissarla e memore sia dell’abilità mostrata nel disporre le truppe che della celerità nell’ordinare agli abitanti dei villaggi vicini di entrare al sicuro nella cittadella. Adesso quei villaggi erano in fiamme, i fumi neri che si innalzavano verso il cielo, ma grazie alla rapidità di giudizio della Celebrante non una sola vita era andata persa, e tutto sarebbe potuto essere ricostruito un giorno. "Se Asgard esisterà ancora dopo questa guerra…" aggiunse sospirando, prima di pensare a coloro che non erano lì in quel momento: Libra e Mime, impegnati a difendere il passaggio segreto sotterraneo, e Scorpio, Luxor ed Alcor, in missione al Grande Tempio per recuperare la daga del Grande Sacerdote, arma con il raro e prezioso potere di uccidere gli Dei.
Improvvisamente, una voce lo strappò dalle sue riflessioni, tuonando da un punto imprecisato del cielo. Una voce di donna, al suono della quale l’esercito invasore si fermò di colpo, facendo calare sulla zona un silenzio irreale.
"Guerrieri di Asgard, ascoltate la voce di Hela, sovrana delle profondità infernali! La vostra sorte è già scritta, nessuna difesa o resistenza potrà salvarvi dal potere del sommo Erebo! Arrendetevi, e la vostra sarà una morte rapida. Combattete, e questa è la fine cui andrete incontro!" esclamò.
Non appena ebbe finito di parlare, un assordante grido di dolore risuonò nell’aria, ed un istante dopo una lancia cadde dal cielo, conficcandosi al suolo esattamente a metà strada tra l’esercito e la città. Non si trattava però di una lancia qualsiasi, su di essa era impalata una testa umana parzialmente scarnificata, la barba bionda zuppa di sangue.
"Heimdall!" lo riconobbe Orion, stringendo il pugno addolorato, mentre un brivido di paura si spargeva incontrollabile persino tra le file dei soldati di Asgard. Nessuno di loro aveva assistito personalmente alla caduta di Odino, Zeus, Atena o qualsiasi altra divinità, per cui adesso la vista del custode di Bifrost, del valoroso difensore del Ponte dell’Arcobaleno, ridotto a quel modo era tale da far venir meno anche il coraggio dei guerrieri veterani. Per alcuni secondi, ognuno vide se stesso steso a terra in una pozza di sangue, la testa decapitata e usata a mo’ di trofeo proprio come quella del Dio.
Dall’altra parte del campo di battaglia, quasi capaci di percepire il timore che si diffondeva tra i difensori di Asgard, le armate invasori iniziarono a ridere e gridare, urlando improperi e minacce atte a minare ulteriormente lo spirito dei guerrieri.
Resasi conto della situazione, Ilda aprì la bocca per incoraggiare di nuovo i suoi uomini, ma prima che potesse farlo Thor, che era in piedi dietro di lei, le poggiò una mano sulla spalla e sollevò la propria ascia al cielo.
Con voce profonda e tonante, più forte secondo dopo secondo, il Cavaliere del Nord iniziò a cantare. Non una melodia comune, ma un canto di guerra vichingo nella lingua del mondo antico, inneggiante al valore ed al coraggio, alla gloria ed all’onore.
Pian piano, gli altri Cavalieri di Asgard si unirono a lui, poi gli Einherjar, ed infine i soldati semplici, finchè l’intera cittadella non sembrò parlare con una sola voce, salda e priva di timore. Una voce che ripetè con orgoglio le parole conclusive della canzone: "Morte! MORTE! MORTE!!!".
Sbattendo un’ultima volta le spade contro gli scudi, i guerrieri di Hela misero allora finalmente da parte le parole e si lanciarono verso le mura di Asgard.
******
Più o meno un’ora prima, mentre i difensori di Asgard iniziavano a prendere posizione, Scorpio, Alcor e Luxor solcarono il cielo alla velocità della luce, comparendo in pochi istanti al Grande Tempio di Atene.
Il sorriso di Scorpio per l’essere di nuovo, brevemente, a casa però gli morì sulle labbra di fronte allo spettacolo che si trovò davanti.
"Le Dodici Case… sono in rovina!" esclamò inorridito, alla visione dei primi quattro templi ormai ridotti in macerie. Guardandosi attorno, vide con orrore i corpi di decine e decine di soldati semplici, praticamente l’intero corpo di guardia. Alcuni stringevano ancora in mano le armi, altri dovevano essersi voltati per tentare la fuga, ma sui volti di tutti loro era marchiata per sempre un’espressione di terrore.
"Maledizione… con la morte di Atena, anche le barriere che proteggevano il Grande Tempio sono crollate e noi lo avevamo lasciato totalmente sguarnito! Se avessimo fatto ritorno, o ordinato ai soldati di evacuare la zona sacra, questo massacro sarebbe stato evitato…!" pensò Scorpio, serrando il pugno per la rabbia e il senso di colpa.
"Sono stati abbattuti con un colpo solo, senza possibilità di difendersi…" commentò Alcor, osservando uno dei cadaveri. Nel ripoggiarlo a terra, gli chiuse gli occhi in segno di rispetto.
"Questo posto odora di morte…" disse Luxor, i cui sensi erano stati affinati da anni di vita nella foresta "C’è nell’aria la traccia di due cosmi immensamente potenti, superiori persino a quello di Odino… ma il loro passaggio è vecchio di ore. Che ci abbiano preceduti?" domandò, rivolto a nessuno in particolare.
"Se così fosse, la nostra missione sarebbe fallita prima ancora di cominciare!" aggiunse preoccupato Alcor.
"E’ presto per dirlo… se fosse stato un vero attacco, l’intero Grande Tempio sarebbe stato messo a ferro e fuoco, invece soltanto le prime quattro case… quelle dell’Ariete, del Toro, dei Gemelli e del Cancro sono state abbattute. Sembra che qualsiasi cosa cercassero l’abbiano trovata alla quarta casa, ma la daga del Sacerdote è custodita alla tredicesima, in un anfratto sotto il trono regale" intervenne Scorpio.
"Credi che si trovi ancora lì?" domandò Alcor, ricevendo in risposta un sospiro.
"Lo scopriremo presto, andiamo!" esclamò, facendo loro cenno di seguirlo e iniziando a correre sui gradini del Grande Tempio. In pochi secondi, oltrepassarono quel che restava delle prime case, oltre alla quinta del Leone ed alla sesta della Vergine.
Non appena ebbero messo piede nella settima però, avvertirono con orrore la comparsa di altri tre cosmi, ed un attimo dopo altrettante colonne di luce perforarono il soffitto del tempio, sbarrando la strada agli eroi, che furono obbligati a fermarsi e sollevare la guardia.
Dalla luce emersero tre guerrieri, diversi per aspetto e portamento ma palesemente intenzionati a fermarli. Quello al centro, il più alto tra i tre, aveva occhi di un azzurro pallido e capelli biondi ondulati lunghi fino a metà della schiena. A differenza dei compagni, indossava un mantello bianco, piegato attorno alle spalle in modo da coprire anche la parte anteriore del corpo, quasi come una tunica, e cinto al collo da una catenina d’oro. Più degli altri, il suo sguardo emanava calma e serenità, ma anche cieca sicurezza.
Alla sua destra, vi era un ragazzo dai lineamenti marcati ed i folti capelli scuri, con indosso un’armatura nero cenere, dalle palesi forme di volatile. Piegate sulla schiena vi erano infatti due grosse ali piumate, lunghe fino alle ginocchia ed abbastanza alte da spuntare verticalmente oltre la testa del guerriero. Le piume che le componevano erano nere e relativamente larghe, simili a quelle di un corvo imperiale, anche se in alcuni punti sembravano danneggiate. Guardando con maggior attenzione, i Cavalieri si accorsero che in realtà non solo le ali, ma l’intera corazza, priva di elmo o diadema, era costellata di crepe, sfregi e piccole spaccature. Sul pettorale, dalla forma cilindrica, e sugli schinieri, lunghi da metà coscia fino alla pianta del piede, le decorazioni sembravano essere state strappate con forza, ed al loro posto vi erano solo spaccature o incavi vuoti. Il cinturino era a mo’ di gonnellino, con frange formate da piume identiche a quelle delle ali, mentre i bracciali erano rettangolari e su ciascun polso erano ripiegati due artigli adunchi. L’elemento più inquietante però erano i coprispalla, piccoli e tondeggianti, con il bordo rialzato. A differenza del resto della corazza, erano biancastri, con al centro una specie di pupilla nera perennemente dilatata, come se si trattasse di occhi che scrutavano tutto con morbosa attenzione.
Il terzo membro del gruppo era a sua volta abbastanza particolare. Di corporatura minuta, indossava una maschera integrale che ne nascondeva interamente il volto e riproduceva appena le sagome degli occhi e della bocca. Al collo portava una vistosa collana di pietre preziose, e sotto di essa vestiva un’armatura blu zaffiro con fregi dorati, decorata quasi alla rinfusa di placche e pietre preziose rosse, verdi e argentate, e, al centro del torace, dalla figura di un volatile con le ali spiegate. Il capo era protetto da un elmo integrale a forma di casco, che copriva interamente la nuca e le tempie, lasciando intravedere appena le punte di capelli nero corvino. Il pettorale e la cintura erano un blocco unico, su cui erano scolpite le forme dei muscoli principali. Il cinturino in avanti terminava all’altezza del bacino, ma sul fondoschiena si allungava in una vistosa coda biforcuta, concava attorno alle gambe e lunga fino a metà del polpaccio. I coprispalla erano tondeggianti e bombati, in modo da allungarsi verso il basso fino quasi al gomito, dove si sovrapponevano a copribicipite e bracciali, cilindrici proprio come le ginocchiere e gli schinieri, e privi di particolari elementi distintivi.
L’aspetto particolare e vistoso dell’armatura però faceva nettamente da contraltare all’atteggiamento remissivo e schivo del guerriero che la vestiva. Rispetto agli altri due, costui si manteneva quasi timidamente un passo indietro, visibilmente esitante.
"Un Cavaliere d’Oro e due Cavalieri di Asgard: a quanto sembra la nostra piccola caccia ha avuto un esito persino migliore del previsto!" commentò soddisfatto il capo del gruppo, scrutando i tre.
Alcor e Luxor si misero subito in posizione da combattimento, ma Scorpio li superò di un passo portandosi davanti a loro.
"E’ buona norma per un guerriero presentarsi prima di dar battaglia, o voi sudditi di Erebo non conoscete neppure le più elementari norme di buona creanza?" disse, schernendo i nemici. A queste parole l’uomo mascherato rimase del tutto immobile, mentre il guerriero alato fu visibilmente infastidito e mosse un passo in avanti. Il capo del gruppo però si limitò ad accigliarsi per un attimo, prima di sorridere.
"E’ giusto, la cavalleria prima di tutto… E’ Sigmund il mio nome, secondo Comandante di Hela! Al mio fianco sono Semargl e Seven Macaw, del medesimo esercito rispettivamente nono e decimo Comandante!" disse, indicando con un gesto prima il compagno alato e poi quello mascherato.
"Comandanti di Hela? Che schiera è mai questa?!" inquisì Alcor.
"Hela, sovrana di Hel, guida le sue armate grazie all’apporto di dieci guerrieri. Dieci Comandanti a lei fedeli, e per estensione leali al grande Erebo, classificati in base a forza e virtù guerriera. La maggior parte di loro in questo momento si sta recando verso Asgard, per ridurla a cumulo di macerie fumanti, ma noi siamo stati inviati qui per intercettare e abbattere chiunque stesse tentando la fuga!" spiegò Sigmund, prima di aggiungere, a voce più bassa ma comunque chiaramente udibile "anche se a quel che sembra ci siamo preoccupati per niente inviando ben tre Comandanti a caccia di due moribondi ed un ragazzino… i soldati semplici sarebbero bastati"
A questa provocazione, Alcor e soprattutto Luxor spalancarono gli occhi e serrarono i pugni. Scorpio però li anticipò ancora una volta.
"Il massacro di soldati che ci ha accolto al nostro ingresso… è opera vostra?" chiese, mantenendo gli occhi chiusi.
"E se lo fosse?" rispose Sigmund, sogghignando.
"Se lo fosse, di voi non avrei pietà! Il veleno dello Scorpione vi annienterebbe tra tremende sofferenze!" dichiarò Scorpio, riaprendo gli occhi ed espandendo minacciosamente il suo cosmo d’oro, al punto che Semargl sollevò di scatto la guardia.
Sigmund però rimase impassibile ad osservarlo per qualche istante, prima di scrollare le spalle "Siamo fortunati allora ad essere innocenti… al Grande Tempio giungiamo ora per la prima volta, il massacro è opera del sommo Erebo in persona, altro non so…"
"Erebo…!" sussurrò Scorpio, preoccupato da quella nuova rivelazione.
Intanto, Sigmund lanciò uno sguardo di sottecchi alle sue spalle, accigliandosi leggermente. "Vai da qualche parte, Seven Macaw? Questo scambio di parole ti è giunto a noia?" domandò, con un’ironia solo superficiale.
Il decimo Comandante, che all’espandersi del cosmo di Scorpio aveva mosso silenziosamente un paio di passi indietro, scosse subito la testa e si riavvicinò a Sigmund. "Certo che no, mio signore! Era solo mia intenzione farmi da parte… per non esserle d’intralcio in battaglia!" disse contritamente.
"D’intralcio? Ammiro la tua… dedizione, Seven Macaw, ma questo scontro sarete voi i primi a combatterlo. Non si addice al secondo Comandante affrontare nemici così malridotti…" esclamò, facendo un cenno anche a Semargl, che si fece subito avanti.
In tutta risposta, Scorpio espanse il suo cosmo, facendo allungare l’unghia della mano destra fino a mutarla in un aculeo scarlatto. Prima che potesse muoversi però, Alcor e Luxor si scambiarono un cenno d’assenso e lo superarono, disponendosi davanti a lui e fronteggiando i nemici.
"Placa il tuo cosmo, è a noi che Ilda ha ordinato di scortarti, e quindi saremo noi a combattere per primi!" dichiarò Luxor, facendo scorrere la visiera a protezione del viso.
"E poi… tu hai già una missione… una missione di cui costoro non sembrano essere a conoscenza!" aggiunse Alcor in un sussurro nello scivolargli accanto.
Notando le vistose crepe ed i danni sull’armatura della tigre del Nord, Semargl sogghignò ed avanzò apertamente verso di lui. "Mi occuperò io di te… a quanto vedo hai già un piede nella fossa!"
"Tsk… accomodati! Ma forse dovrei ricordarti che gli uccelli come te sono il pasto preferito dei felini…" lo schernì Alcor di rimando.
Dal canto suo, Seven Macaw non parve molto contento di dover combattere con l’avversario apparentemente in condizioni migliori, e sollevò la guardia senza dir nulla.
"Uh uh uh… è da molto tempo che i miei artigli non calano su una preda, dovresti ritenerti onorato…" commentò Luxor.
In un istante, quattro cosmi si accesero brillanti, pronti allo scontro. Il candido bianco di Alcor contro il grigio cenere di Semargl, il violetto di Luxor contro il pallido rosso di Seven.
Fu proprio Luxor il primo ad attaccare, lanciandosi avanti con un balzo felino. "Colpite, Denti del Lupo!" gridò, scagliando una tempesta di colpi luminosi alla velocità della luce. Reagendo con altrettanta rapidità, Seven Macaw sollevò le braccia per difendersi e ne parò alcuni, ma secondo dopo secondo la pressione dell’assalto di Luxor si fece sempre più intensa, accompagnata dalla risata del guerriero dei boschi.
"Uh uh uh, è tutto qui quel che sai fare? Denti del Lupo, azzannate!" esclamò, aumentando la forza del colpo segreto con una nuova scarica. Quasi subito, Seven Macaw venne travolto e scaraventato contro una colonna, dando a Luxor l’opportunità per balzare in avanti e tentare un affondo all’addome del nemico.
All’ultimo momento però, il Comandante in qualche modo recuperò l’equilibrio, schivando l’attacco di Luxor con un passo laterale e portandosi alle sue spalle. Sorpreso da quel movimento, il Cavaliere fece appena in tempo a voltarsi e sollevare la guardia per intercettare un colpo a spazzare del braccio dell’avversario ed indietreggiare, con il volto distorto in una smorfia di fastidio più che dolore. Ora in vantaggio, Seven Macaw bruciò il suo cosmo e lanciò una cascata di raggi di luce rossastri, obbligando Luxor ad un paio di balzi indietro per allontanarsi ulteriormente.
Poi però l’espressione del Cavaliere di Asgard divenne una di ironico disgusto. "Uh uh uh… con colpi così lenti cosa speri di fare?" sottolineò, iniziando a schivare i fasci luminosi con una serie di salti ed agili movimenti, riguadagnando in pochi secondi il terreno perduto e tornando ad avvicinarsi.
Seven Macaw scoccò allora un’occhiata di sottecchi al suo superiore Sigmund, sempre immobile con le braccia incrociate sul petto, lo sguardo fisso su di lui. Indecifrabile, il decimo Comandante abbassò leggermente il capo, prima di interrompere di botto l’offensiva e tuffarsi di lato, appena in tempo per schivare un improvviso affondo di Luxor, che si infranse sulla parete alle sue spalle.
"E’ questa tutta la tua forza, Seven Macaw…?" pensò Sigmund accigliandosi e riflettendo sul compagno d’armi. "Dei dieci Comandanti è il più misterioso… sempre servizievole e pronto ad obbedire, ma spesso in disparte, a volte introvabile, raramente coinvolto nelle conversazioni e sempre attento a non schierarsi. Sono passati molti mesi da quando è giunto al cospetto della regina Hela, apparendo dal nulla, supplicando di unirsi alle nostre schiere e giurandole fedeltà. Ma nessuno di noi ha mai visto il volto che si cela sotto quella maschera inespressiva, e nessuno sa come abbia sconfitto Donner, che prima di lui vestiva il manto di decimo Comandante. La rete di spie che ha saputo imbastire si è rivelata utile, ma sono in molti a corte a non fidarsi di un uomo così enigmatico… Sarebbe meglio per tutti se in questa battaglia trovasse la morte…" concluse, concedendosi un sorrisetto.
Intanto, dall’altro lato della navata centrale, Alcor e Semargl erano a loro volta impegnati in duello, e correvano parallelamente uno all’altro alla ricerca di aperture nella guardia avversaria.
"Yaaa!" gridò Semargl, nascondendosi dietro una colonna ed abbattendola un istante dopo con un fascio di energia, nella speranza di cogliere di sorpresa il nemico. Sempre attento, Alcor balzò diagonalmente in avanti e scavalcò le macerie, dandosi la spinta sulla colonna cadente per portarsi a ridosso del Comandante e calare la mano, le cui unghie erano diventate artigli affilatissimi.
Con una finta, Semargl si spostò allora di lato, afferrando al volo la mano protesa del Cavaliere e sfruttandone lo slancio per catapultarlo contro la parete. In tutta risposta, con un colpo di reni Alcor ritrovò l’equilibrio a mezz’aria, toccando terra subito prima dell’impatto e spingendo Semargl a digrignare i denti infastidito. All’accendersi del suo cosmo, le ali dell’armatura che indossava si spiegarono, illuminandosi di una luce grigiastra.
"Ecatombe di Piume!!" gridò, anticipando una pioggia di dardi neri che schizzarono fuori dalle ali spalancate, dirette verso Alcor. Il Cavaliere di Asgard si accigliò per una frazione di secondo, poi saltò agilmente verso la colonna più vicina, eseguendo un salto mortale a mezz’aria in modo da toccarla con i piedi ed usarla per darsi ancora la spinta in avanti, incassando contemporaneamente il pugno nel fianco, carico di energia cosmica.
"Stolto sei tu che credi di poter fermare la tigre con delle semplici piume! Bianchi Artigli della Tigre!!" tuonò aggressivo.
"Non sottovalutarmi! Ecatombe di Piume!" sibilò Semargl, ripetendo il suo colpo segreto.
I bianchi artigli e le piume nere si scontrarono a mezz’aria, contrastandosi ed annullandosi a vicenda per diversi secondi. Poi però Semargl fece un cenno con la mano e le piume cambiarono disposizione, allargandosi lateralmente a ventaglio attorno ad Alcor, e rimanendo sospese in aria. Seppur sorpreso, il guerriero decise di non abbandonare l’offensiva, ed infatti, finalmente privi di resistenza, gli artigli della tigre furono liberi di affondare in avanti e colpire, frantumando il suolo ai piedi del Comandante e scheggiando in più punti gli schinieri già malridotti, facendo schizzare qualche goccia di sangue e strappando un grugnito di dolore al combattente.
Prima che l’assalto potesse colpire parti più vitali, Semargl saltò in aria, improvvisamente sospeso dalle ali della sua armatura. Contemporaneamente, serrò la mano destra a pugno, e le piume che avevano circondato Alcor volarono all’unisono verso di lui da tutte le direzioni.
Impossibilitato a muoversi a mezz’aria, il Cavaliere notò preoccupato le prime piume stridere sulla sua armatura, scheggiandola e sollevando scintille in più punti. Stringendo i denti, allargò allora di scatto le braccia, facendo esplodere il suo cosmo in un’onda d’urto che deviò le piume rimanenti, disperdendole.
Tornato a terra, Alcor tastò il braccio sinistro sul quale scorreva un copioso flotto di sangue, là dove le piume avevano trovato alcuni dei numerosi varchi aperti sulla sua armatura dalla lancia di Lugh e ferito la carne sottostante. Di fronte al Cavaliere, anche Semargl era di nuovo a terra, le gambe grondanti sangue da numerose piccole ferite.
"Sembra che il primo scontro sia terminato alla pari…" commentò Alcor, rialzandosi e mettendosi di nuovo in posa da combattimento.
Semargl però continuò a guardare per qualche secondo il sangue che gocciolava dalle ferite, e serrò adirato il pugno.
"Ancora una volta provo dolore! Ancora una volta sangue e polvere mi rammentano a chiare lettere quel che ero e quel che ho perduto!" esclamò con vistosa frustrazione.
"Perduto? Il tuo parlare non è chiaro, a cosa alludi? Per un guerriero le ferite in battaglia sono fedeli compagne, non certo straniere…" disse Alcor incuriosito.
"Non per me!" rispose subito Semargl, i muscoli del collo vistosamente tesi, gli occhi spalancati. "Non per me, che un tempo vegliavo sull’albero della vita! Il dolore e le ferite erano straniere alle mie membra… felice agli ordini del sommo Perun compivo il mio dovere, allietato dalle rime di Veles, rinfrescato dalla prole di Stribog…" affermò, concedendosi una punta di malinconia.
"Di che stai parlando? Perun… Siborg… sono nomi che non ho mai udito… come il tuo!" commentò Alcor accigliandosi. "A che stirpe appartieni tu che ora servi nelle armate di Hela?"
"Agli antichi Dei slavi, che un tempo felici regnavano sulle steppe del Don, in quelle che oggi vengono chiamate terre di Russia" rispose secco, ma queste parole fecero solo approfondire l’espressione dubbiosa del Cavaliere.
"Gli Dei di Russia sono ormai un’antica leggenda, una storia lontana, persino per noi gente di Asgard!" sottolineò.
"Oggi forse! Ma non un tempo… no, non un tempo" rispose sconfortato, visibilmente lacerato tra il ricordo di un passato glorioso e la realtà di un grigio presente. "Vi fu un’epoca in cui i grandi Dei regnavano sovrani, ed alla corte del grande Perun della Folgore io ero Sem R’gl, il guardiano dell’albero dell’immortalità, munifico portatore di doni, e vivevo giorni lieti, privi di qualsiasi tormento! Giorni che credevo sarebbero durati per sempre… oh, quanto mi sbagliavo!" commentò mestamente.
"Lento ma inesorabile, giunsero anche per noi il cambiamento e il dubbio, fino all’oblio dell’essere giorno dopo giorno dimenticati. Perun decise così di condurre la sua corte altrove, lontano da questo piano dell’esistenza che più nulla aveva da offrirci, ma io scelsi di rimanere, convinto che un giorno saremmo tornati all’antica grandezza! Tragico errore fu quello… privo della mia immortalità, per secoli vagai in solitudine… sempre più debole… sempre più stanco, pallida ombra dello splendore di un tempo, spirito in pena costretto a chiedere aiuto e conforto a chiunque potesse offrirlo, donando in cambio i miei servigi di guerriero. Coinvolto in battaglie che non mi riguardavano, provai sulla mia carne i morsi della fame ed il dolore della lotta, ricevendo le ferite che vedi…" concluse.
L’espressione dura di Alcor però gli fece subito intuire che il suo racconto non aveva sortito l’effetto sperato di spingere il nemico ad abbassare la guardia. Il Cavaliere di Asgard infatti era esattamente nella stessa posa di prima, pronto allo scontro.
"E’ una storia tragica la tua, ma che comunque non giustifica la tua attuale scelta di campo! Entrando nelle schiere di Hela hai giurato fedeltà ad Erebo, rendendoti complice della sua opera di distruzione! Gli uomini che il vostro esercito massacra non avevano davanti che una breve esistenza, un battito di ciglia a confronto dei tuoi secoli di vita, ma ciò non è bastato a farti esitare. La pietà che hai avuto per loro sarà la stessa che io riserverò a te, sta pronto!" dichiarò, espandendo il suo cosmo. In risposta, Semargl sollevò la guardia, approfittandone anche per celare il sorriso che gli era comparso in viso.
"Non è la tua pietà che mi interessa, Cavaliere… tesoro ben più prezioso hai da offrirmi…" pensò.
Nel frattempo, Luxor e Seven Macaw erano ancora in fase di stallo. Per quanti assalti sferrasse, il Cavaliere di Asgard sembrava non riuscire mai a sferrare il colpo decisivo. D’altra parte però, il Comandante non aveva tentato una sola vera offensiva, limitandosi a difendersi e schivare, o al più a blandi contrattacchi privi di vero ardore guerriero.
"Ah ah ah, che ti prende, ‘comandante’, è così che vinci le tue battaglie? Annoiando a morte gli avversari?" lo derise Luxor, anche nella speranza che un orgoglio malriposto o un gesto di stizza gli permettessero di concludere al più presto quel duello ed affrontare Sigmund, nemico molto più di suo gusto, e senza la cui inquietante presenza Scorpio avrebbe potuto proseguire e portare a compimento la missione.
Seven però era sordo a queste provocazioni, e talmente concentrato sulla difensiva da non offrire mai a Luxor reali aperture da sfruttare per vincere.
"Di questo passo la guerra sarà finita prima che io riesca a sconfiggere costui…" pensò stizzito il Cavaliere, rammaricandosi di aver dovuto lasciare ad Asgard i suoi lupi, con i quali avrebbe potuto probabilmente metterlo con le spalle al muro in pochi secondi. Poi bruciò il cosmo, caricandone l’energia nel pugno destro.
"Denti del Lupo, azzannate!" gridò, lanciando una tempesta di colpi a distanza ravvicinata. Come nelle offensive precedenti, Seven Macaw balzò indietro e lateralmente, cercando di allontanarsi dalla traiettoria degli taglientissimi raggi luminosi, ma stavolta Luxor si aspettava questa mossa e, balzando in avanti, si portò a ridosso del nemico e lo centrò all’addome con un pugno, bloccandolo contro il muro.
"Stavolta non ti lascerò sgusciare via!" sibilò, sferrando una serie di diretti contro il torso e l’addome del guerriero, e facendo stridere gli artigli dei suoi bracciali sulla corazza del Comandante, che parve incapace di difendersi in maniera adeguata e barcollò vistosamente in avanti.
"E adesso vediamo il volto sotto questa maschera…!" schernì allora il Cavaliere, sollevando gli artigli verso il viso del nemico. In quel momento però, le pietre preziose di cui era tempestata l’armatura di quest’ultimo si illuminarono all’unisono, risplendendo di una luce abbagliante delle tinte dell’arcobaleno, i cui raggi formarono come un reticolato tra i due contendenti. Un istante dopo, i sette colori si fusero in una sola luce argentea, formando una sfera tra Luxor e Seven, che esclamò "Luna del Tramonto!"
Con un’esplosione improvvisa, il Cavaliere dei boschi venne travolto e scaraventato indietro, sbattendo duramente a terra e strisciando per qualche metro, mentre già Seven Macaw si lanciava su di lui.
"Allora sei capace di attaccare dopo tutto…" commentò Luxor, rimettendosi subito in piedi e schivando l’attacco con un salto, per poi tentare un calcio a spazzare alla tempia del nemico. Nel farlo però avvertì una fitta di dolore all’addome, che lo costrinse ad abortire quel tentativo di offesa e tornare sulla difensiva.
Controllando con una rapida occhiata, si accorse che il punto dell’armatura dove la Luna del Tramonto era esplosa era adesso coperto da un sottile strato di ghiaccio azzurro, che sembrava espandersi ed allargarsi sul suo corpo istante dopo istante. Accigliandosi, il Cavaliere lo colpì subito con i propri artigli, frantumandolo completamente, e scoprendo anche, con una certa sorpresa, che l’armatura sottostante era coperta di crepe.
"Ti avevo sottovalutato! Non sai solo scappare, non l’avrei detto!" disse, apparentemente a metà tra la constatazione e lo scherno, ma in realtà più attento ai gesti ed alle azioni del nemico. Stessa cosa faceva Sigmund, decisamente più interessato a questo scontro che a quello tra Alcor e Semargl, mentre Scorpio seguiva entrambi con la stessa attenzione, alla ricerca di un attimo di cui approfittare per proseguire la corsa.
Alle parole di Luxor, Seven Macaw rimase completamente fermo per diversi secondi, più simile ad una statua che ad un guerriero, un’impressione acuita dall’immobilità della maschera che indossava. Poi, quando Luxor stava per riprendere il combattimento, finalmente rispose, con parole sorprendentemente orgogliose.
"La sicurezza che mostri è figlia dell’ignoranza, povero sventurato che non sai contro chi levi il pugno! Io sono Seven Macaw, lo splendente! E’ alla stirpe delle terre d’America che appartengo. Mio è il potere del sole, che caldo risplende nel cielo, e della luna, che gelida rischiara le notti. Nella mia grandezza io brillo, rifulgo, sfavillo!" dichiarò impettito.
La sua proclamazione non potè che strappare un risolino sarcastico al Cavaliere di Asgard. "Uh uh uh, la luce della luna ben la conosco, tante volte mi è stata compagna cullandomi nelle fredde notti nella foresta. Ma il sole pare averti dato alla testa se pensi di intimorirmi con frasi così vanagloriose!" rispose, espandendo il suo cosmo. "Denti del Lupo!!"
"Vanagloria? Sciocco, la tua arroganza ti perderà, nessuno può paragonarsi all’astro splendente!" rispose Seven, e sulla sua armatura le gemme rosse, arancioni e gialle si illuminarono, creando un reticolato di luce. "Labirinto del Sole!"
Simile al Sacro Leo di Ioria, il Labirinto del Sole disegnò una ragnatela rossastra, solo in parte tranciata dalle artigliate di Luxor. Dopo un istante di equilibrio, entrambi gli assalti andarono a segno, anche se parzialmente frenati dalla tecnica avversaria: i denti del lupo stridettero sull’armatura di Seven Macaw, scheggiandola e incrinandola in diversi punti, mentre i raggi solari strisciarono sul corpo del Cavaliere, ustionandolo e strappandogli un grugnito di dolore.
Sbalzati indietro, i due guerrieri caddero malamente sulla schiena e strisciarono indietro per qualche metro, rialzandosi un istante dopo per riprendere il duello. Un sorriso però comparve sul volto di Luxor, la cui mente stava iniziando a formulare un piano.
Intanto, Alcor, balzando di colonna in colonna, schivò un nuovo attacco delle piume di Semargl e si scagliò con crescente aggressività contro di lui, investendolo in pieno con i Bianchi Artigli della Tigre ed aprendogli nuove ferite sanguinanti sul torace.
"Non c’è spazio per pietà o esitazioni in battaglia, sono emozioni che un guerriero deve lasciarsi alle spalle!" dichiarò, affondando gli artigli nel fianco del nemico, per poi scaraventarlo in aria e balzare a sua volta, ferendolo di striscio al fianco e poi alla schiena con una serie di calci.
"Non è pietà che cerco!" ribattè rabbiosamente Semargl, voltandosi con un colpo di reni ed agitando le ali, che investirono Alcor con una violenta folata di vento, tale da sbilanciarlo a mezz’aria.
Approfittando del momento favorevole per ribaltare le sorti del duello, il Comandante bruciò il suo cosmo, sferrando l’Ecatombe di Piume. Lanciati dal basso verso l’alto, i dardi tempestarono Alcor di colpi, obbligandolo a proteggere il viso con le braccia, ma anche in questo modo il protetto di Odino non potè evitare di essere scagliato contro il soffitto del tempio, sbattendo duramente con la schiena.
Planando sulle sue ali, Semargl volò verso di lui, il pugno carico di energia cosmica, e sferrò una serie di attacchi in modo da impedirgli di cadere a terra, consapevole di essere nettamente avvantaggiato dalla maggior mobilità in aria.
"Non è pietà che cerco!" ripetè con foga "Ma gloria e fama, per me e per la mia stirpe, che il mondo ha dimenticato! Privi di un Santuario come la tua cittadella di Asgard o il Grande Tempio, io ed i miei compagni siamo stati condannati all’oblio, ricordati solo dagli anziani in poche case cadenti ai confini del mondo! Le mie gesta risolleveranno il nome di noi tutti!" proclamò.
"Un… desiderio legittimo!" ammise Alcor, a denti stretti "la brama di gloria, il desiderio di emergere alla luce del sole per poter gridare al mondo della propria esistenza… io li conosco bene! Molto a lungo hanno dominato la mia vita, rodendomi la mente ed avvelenando lo spirito! Però…" iniziò, prima di interrompersi ed intercettare ambo i pugni di Semargl, dandosi la spinta sul soffitto con le gambe in modo da precipitare a terra insieme a lui.
"Però neanche questo può giustificare un giuramento di fedeltà ad Erebo, un aver mano nelle stragi di cui si è macchiato e continua a macchiarsi! La gloria avresti potuto conquistarla combattendo al nostro fianco, il tuo nome sarebbe stato lodato e cantato anzichè disprezzato e sussurrato!" lo accusò, colpendolo con un calcio all’addome a pochi metri dal suolo e facendolo sbattere duramente, mentre lui si allontanava con un’agile capriola all’indietro.
"Perché dovrei aiutare le genti che ci hanno tradito e dimenticato?" domandò il Comandante con disprezzo, lanciandosi all’attacco.
"Perché questo è il dovere di un Dio! Le tue azioni testimoniano la tua decadenza ben più dell’armatura che indossi!" ribattè Alcor, gettandosi a sua volta in avanti illuminato dal bagliore del suo cosmo. "Bianchi Artigli della Tigre!!"
Una serie di affondi investì il Comandante, spaccando la sua corazza in diversi punti e facendo volare schizzi di sangue in tutte le direzioni. Alcor però non frenò l’assalto, continuando a spingere con tutto se stesso. "La sorte non ti è stata amica facendoci incrociare sul campo di battaglia! Un altro al mio posto avrebbe forse frenato il pugno di fronte alla tua storia… ma ai miei occhi non c’è redenzione per te, non nel furore di una guerra che tutto travolge! Per il bene degli uomini, per mio fratello che adesso combatte a rischio della vita, devo vincerti! Bianchi Artigli della Tigre!" dichiarò, sferrando un’altra scarica dalla forza devastante.
Il fianco sinistro e l’ala di Semargl andarono in pezzi, permettendo agli artigli di affondare e lacerare la carne sottostante. Con un grido di dolore, Semargl sbattè al suolo, strisciando per vari metri fino a sbattere contro una colonna, immobile, immerso in un lago di sangue.
"La tua abilità guerriera non rispecchiava il desiderio di rivalsa che dicevi di portare. Non eri granchè come nemico…" commentò Alcor, avvicinandosi per il colpo di grazia.
Ma improvvisamente, i coprispalla del Comandante ruotarono, proprio come degli occhi nelle orbite, fissandosi sul Cavaliere. Contemporaneamente, gli artigli ripiegati sui bracciali divennero sottili lance, che scattarono verso Alcor trapassandone il petto e la spalla, mentre un’ombra nera dalle sembianze di oscuro uccello si levava dal corpo di Semargl, che in tono trionfante sussurrò "Abbraccio del Corvo!"
Immediatamente, Alcor sentì la vista annebbiarsi, le forze scivolare via dal suo corpo e venirgli meno, mentre le lame che lo avevano trafitto risplendevano di energia. Tossendo sangue, il Cavaliere del Nord tentò di liberarsi, solo per scoprire di non poter muovere un solo muscolo.
"C… che tecnica è mai questa… è come se la mia stessa vita fosse succhiata via…!" disse a fatica.
"E’ proprio quel che sta accadendo…" ridacchiò Semargl, rimettendosi in piedi. "Sei stato troppo sicuro di te, non hai prestato attenzione alla mia storia. Ti ho detto di aver perso la mia immortalità molti secoli fa, ma non ti sei chiesto come potessi essere ancora in vita! Questa è la risposta: a sostenermi è la linfa vitale dei nemici che ho incontrato, la loro stessa vita, che ho rubato e fatto mia! Donandomi la tua, mi permetterai di continuare a combattere ancora a lungo, nel nome di lord Erebo!" spiegò eccitato, mentre Alcor gridava di dolore.
Nel frattempo, Luxor e Seven Macaw si fronteggiavano di nuovo, entrambi decisi a chiudere al più presto la questione. Prendendo l’iniziativa, il Cavaliere di Asgard attaccò per primo, lanciandosi ancora una volta in avanti. "Colpite, Denti del Lupo!"
"Continui a combattere anche dopo aver visto la mia forza? Hai proprio deciso di morire?" esclamò Seven, sforzandosi di schivare i numerosi affondi e facendo contemporaneamente risplendere le gemme della sua armatura. "Labirinto del Sole!"
Il reticolato luminoso si disegnò nell’aria, volando in direzione di Luxor, il cui sorriso si accentuò, mentre la posa si faceva ferina e ricurva in avanti.
"La morte mi è buon’amica, già una volta ho avuto il piacere della sua compagnia! Ma contro avversario di ben altro spessore!" esclamò, sorprendendo Seven Macaw e gettandosi all’interno del reticolato. Con enorme stupore del Comandante, Luxor riuscì a districarsi abilmente tra i raggi di luce, avvicinandosi sempre di più al nemico subendo appena leggere ferite di striscio. "I raggi di cui ti fai tanto vanto sono appena vicini alla velocità della luce, schivarli è misero sforzo!" sibilò.
Indietreggiando di un passo, Seven parve in preda al panico per un secondo, prima di ritrovare la calma e far risplendere tutte le gemme della sua corazza. "Luna del Tramonto!!"
A questa visione, il sorriso sul volto di Luxor si allargò. Ruotando sul piede d’appoggio, il Cavaliere girò attorno al proprio asse e si spostò lateralmente di qualche centimetro, abbastanza da schivare la sfera ghiacciata e portarsi sul fianco del nemico.
"Come sospettavo, il Labirinto del Sole sacrifica la potenza pura a favore di un ampio raggio d’azione. D’opposto, la Luna del Tramonto concentra l’energia in un globo più piccolo, ma dalla sfera limitata! E’ stato un errore mostrarmi entrambi i tuoi colpi segreti così presto nello scontro…" sibilò, facendo esplodere il suo cosmo e sollevando entrambe le mani. "Un colpo finale… va messo da parte per un momento decisivo. Come questo! Lupi nella Tormenta!!"
Esplodendo a distanza ravvicinata, l’attacco rotante di Luxor travolse in pieno Seven Macaw, facendolo gridare di dolore e scagliandolo indietro di molti metri, mentre numerose gemme ormai in frantumi volavano via dalla sua armatura, risplendendo alla luce delle torce che illuminavano la settima casa.
Soddisfatto, Luxor si preparò a finire il nemico indifeso a mezz’aria con i Denti del Lupo, quando un secondo grido di dolore attirò la sua attenzione, e, voltandosi, vide Alcor ormai in ginocchio, sanguinante dalla bocca, mentre Semargl troneggiava su di lui estasiato, la mano sollevata per il colpo di grazia.
"Non te lo permetterò!" gridò allora il guerriero dei boschi, correndo verso Semargl con un urlo rabbioso, dimentico di Seven Macaw e del duello finora sostenuto.
Colto di sorpresa dal suo arrivo, Semargl riuscì appena a lanciare un pugno di piume, ma Luxor le schivò con un solo balzo e rispose con la furia dei Denti del Lupo.
Ululando assetate di sangue, le fiere si gettarono sulla preda, tranciando e frantumando gli spuntoni che imprigionavano Alcor, dissolvendo la sagoma nera che lo circondava ed investendo in pieno il nono Comandante, che venne scaraventato contro una colonna, abbattendola per la forza dell’impatto.
Afferrato Alcor prima che cadesse a terra, Luxor aprì la visiera del proprio elmo e cercò di accertarsi delle sue condizioni. Le ferite che lo avevano trapassato da parte a parte sanguinavano copiosamente, ed al torace in particolare l’artiglio di Semargl doveva aver perforato un polmone, visto il respiro irregolare e debole della Tigre del Nord. Per di più, il suo cosmo sembrava aver improvvisamente perso vigore e vitalità, e brillava tenuamente attorno a lui, una luce fioca appena distinguibile al bagliore delle torce.
"Coraggio, Cavaliere! Non è ancora il tempo di lasciarsi andare, tuo fratello ti aspetta tra le mura di Asgard! Riapri gli occhi!" lo esortò scuotendolo preoccupato, finchè Alcor non incominciò lentamente a riaversi.
Sollevato, Luxor si concesse un sorriso sereno, quando una voce alle sue spalle lo riportò alla realtà, obbligandolo a voltarsi di scatto.
"E’ a te stesso che dovresti pensare, dare le spalle al nemico è una leggerezza imperdonabile per un guerriero!" disse Seven Macaw, davanti al quale già brillava la luce della Luna del Tramonto.
"Se lo schivo, Alcor sarà perduto, non ha la forza di resistere ad un altro attacco!" realizzò Luxor, maledicendosi per aver abbassato la guardia ed incrociando disperatamente le braccia a difesa di se stesso e del compagno ferito.
Ma in quel momento, una luce dorata si frappose tra lui e Seven Macaw, serrando il polso di quest’ultimo in una stretta d’acciaio.
Alzando la testa, Luxor vide Scorpio ritto davanti a lui, avvolto nei bagliori del suo cosmo.
"Rischiare la vita per proteggere un compagno… a quel che vedo hai trovato la tua determinazione" gli sorrise.
Ricordando la conversazione della notte precedente, Luxor abbassò il capo, sorridendo a sua volta. "Chi non ha cura della morte è solo chi non ha niente di importante per cui vivere…" ripetè, guardandolo negli occhi.
Annuendo, Scorpio si voltò verso Seven Macaw, liberandone il polso e fissandolo minaccioso. "Colpire un nemico mentre è impegnato a prestare soccorso è gesto indegno di un guerriero! E’ tempo di porre fine alla tua esistenza!" esclamò.
Subito, il decimo Comandante balzò indietro di qualche passo e fece brillare le gemme sulla sua armatura. "Non mi fai paura, di fronte al signore degli astri la tua sorte è già scritta! Luna del Tramonto!"
"Tsk, attaccarmi con un colpo segreto che ho già avuto ben modo di vedere! Contro un Cavaliere, tecniche sì deboli sono efficaci solo la prima volta! Cuspide Scarlatta, che la tua puntura non abbia pietà!!" tuonò Scorpio, sferrando in un colpo solo tutte e quindici le punture del suo aculeo scarlatto.
Di fronte agli occhi inespressivi di Seven, la Cuspide Scarlatta trapassò senza alcuno sforzo la sfera della Luna del Tramonto e si abbattè sul Comandante, facendolo gridare di dolore e scaraventandolo contro la parete più esterna del tempio, che franò per l’impatto e lo seppellì completamente.
Soddisfatto, Scorpio si guardò attorno: accanto a Luxor, Alcor aveva ripreso sensi ed era di nuovo in piedi, anche se a fatica, mentre dall’altro lato della navata Semargl si stava in qualche modo rialzando, ma era visibilmente malconcio. Soddisfatto, il custode dell’ottava casa si voltò verso Sigmund, che per tutto il tempo era rimasto immobile a guardare, quasi indifferente.
"Se questa è la forza dei Comandanti di Hela, abbiamo ben poco da temere! Resti tu solo a sbarrarci la strada… e non per molto tempo ancora!" esclamò, scattando all’attacco alla velocità della luce, l’artiglio cremisi sollevato e pronto a colpire. "Cuspide Scarlatta!!"
A queste parole, anzichè sollevare le difese, Sigmund sorrise sarcastico. "Resto io solo, e per vermi come voi è persino troppo!" rispose, espandendo improvvisamente il suo cosmo con un’onda di luce accecante. Un cosmo immenso, di rara lucentezza e forza, come Scorpio mai aveva visto in guerrieri di natura umana.
"La sua aura… rasenta il divino!" realizzò sbalordito il difensore dell’ottava casa.
Un istante dopo, la Cuspide Scarlatta si abbattè sull’uomo, riuscendo però solo a strapparne il mantello. Sotto di esso, comparve un’armatura d’oro, ma dalle tonalità diverse rispetto a quelle dei custodi del Grande Tempio, più scura e opaca, venata di nero. Sul fianco sinistro pendeva una spada, mentre sotto il braccio destro il guerriero stringeva un sottilissimo elmo a diadema, quasi un cerchietto per capelli.
"E’ Sigmund dei Nibelunghi il mio nome dorato!" proclamò sicuro di se, sfoderando con un solo gesto la spada e rilasciando un’onda di energia dorata.
Preso in controtempo, Scorpio non potè far niente per evitarla e venne colpito in pieno e scagliato indietro. Con suo immenso orrore, l’armatura d’oro, già pesantemente danneggiata nel duello con Dinann e poi contro Titania, andò in pezzi sul lato sinistro del pettorale e del coprispalla, mentre un taglio profondo si apriva sul torace sottostante.
Nello stesso istante in cui Scorpio cadde a terra, Alcor e Luxor, consapevoli del pericolo, scattarono in avanti all’unisono, tentando disperatamente di aiutare il compagno d’armi a riprendere il controllo.
"In nome di Odino, Bianchi Artigli della Tigre!!"
"Denti del Lupo, che la vostra foga non abbia pietà!!"
"Stolti!" li derise Sigmund "Foste anche cento o mille, contro di me, secondo Comandante di Hela, non avreste scampo! Esiste un solo guerriero a questo mondo in grado di piegarmi, e non si trova certo tra le vostre schiere!" esclamò, schivando ambò gli assalti con un solo balzo e colpendo il suolo in mezzo agli avversari con un fascio di energia. L’esplosione che seguì travolse in pieno entrambi i guerrieri, sbattendoli a terra sotto una pioggia di polvere e detriti.
Tornato al suolo, il Comandante fece appena in tempo a guardarli per un attimo che avvertì alle sue spalle l’esplodere del cosmo dello Scorpione, luminoso e forte nonostante le ferite del Cavaliere.
"Cuspide Suprema!!" gridò l’eroe, balzando in avanti e sfoderando il suo nuovo colpo segreto.
"Una tecnica interessante… La guerra di Avalon ha accresciuto la tua abilità, un colpo del genere è raro a vedersi!" ammise Sigmund, accigliandosi "Ma qualsiasi tecnica per essere efficace deve raggiungere il bersaglio… ed io non ho alcuna intenzione di restare ad aspettarla!"
Saltando in avanti alla velocità della luce con la spada in pugno, il Comandante scavalcò l’assalto del nemico e lo centrò al volto con un calcio, facendolo sanguinare e scaraventandolo di nuovo per terra. Subito dopo, Sigmund fece ruotare la lama, calando un affondo mortale verso la nuca del Cavaliere, ancora intontito.
Con un gesto velocissimo però, Alcor si gettò in aiuto del compagno, afferrandolo e rotolando via insieme a lui appena una frazione di secondo prima che la spada si conficcasse nel pavimento, affondando come niente nei lastroni di pietra fin quasi all’elsa.
"La virtù guerriera di costui è grande, e noi non siamo nelle migliori condizioni…!" pensò Alcor a denti stretti, la bocca ancora chiazzata da sottili tracce di sangue.
Solo in quel momento, il Cavaliere si accorse che, al lato opposto della stanza, dietro le spalle di Sigmund, Luxor si era rialzato, l’espressione straniata, il volto rigato di lacrime.
"Oh no…" balbettò la tigre del Nord, intuendo quel che stava per accadere e non riuscendo a trattenere un brivido.
******
Sulle mura di Asgard, i difensori della cittadella respingevano con forza le orde di invasori che cercavano di arrampicarsi con scale e rampini, tentando in questo modo di sfuggire alla piogga di lance e frecce che si abbatteva su di loro e di conquistare un fondamentale vantaggio strategico.
Cavalieri, soldati ed Einherjar però opponevano fiera resistenza, abbattendo chiunque riuscisse ad issarsi oltre la cima con fasci di luce e colpi di lancia, ascia o spada.
Thor in particolare sembrava inarrestabile e secondo dopo secondo calava con letale precisione Mjolnir, facendo volare ovunque schizzi di sangue. Sollevato un nemico per il collo, lo gettò rabbiosamente oltre le mura, poi, alzò al cielo la sua arma.
"A me, difensori di Asgard!" gridò con foga, saltando oltre la cinta muraria ed atterrando in mezzo ad un gruppo di nemici, che non fecero neppure in tempo ad allontanarsi prima di essere falciati come niente.
Rispondendo al suo grido di guerra, un manipolo di soldati ed Einherjar sbattè le spade e le asce sugli scudi e lo seguì, balzando giù con le armi tra i denti e spostando la battaglia alla base delle mura.
"Per la gloria e l’onore eterno! Per Asgaaard!!" urlarono a squarciagola.
Tra le schiere di Hela, un guerriero li notò, si accorse di Thor e sorrise, soddisfatto di aver finalmente trovato un nemico da affrontare.