NEBULA CHAIN
In quella che un tempo era stata la sala del trono di Avalon, ora adibita a punto nevralgico del regno di Erebo, dieci figure, equamente divise in due gruppi negli angoli opposti della stanza, attendevano pazientemente il ritorno della Prima Ombra.
Le somiglianze tra loro però finivano qui. Il primo gruppo, composto dai cinque Imperatori restanti, osservava in timoroso silenzio i cinque Flagelli, le cui sembianze erano ancora nascoste dai manti neri che li coprivano. Pur avendo fatto il loro ingresso solo in un secondo momento, ed uno alla volta, i Flagelli non li avevano degnati di uno sguardo o una parola, riconoscendo appena la loro stessa presenza, e si erano semplicemente posti in un punto dell'ampio salone, rimanendo immobili come statue senza emettere un sussurro nemmeno all'arrivo dei loro presunti parigrado. Solo all'ingresso degli ultimi due, i primi tre si erano vagamente scossi, salutandoli rispettosamente con un minimo cenno del capo, senza peraltro ricevere evidente risposta.
Se però i loro corpi erano immobili, altrettanto non si poteva dire dei loro cosmi, che pur senza bruciare in maniera evidente colmavano la stanza con la loro mera presenza. Cosmi gelidi e oscuri quasi quanto quello di Erebo stesso, capaci di far sentire a disagio persino gli Imperatori e di produrre una sensazione di tensione anche in un luogo popolato solo da alleati.
Ad un tratto, i Flagelli si inginocchiarono all'unisono, senza alcuna ragione apparente. Istanti dopo, la nera aura della Prima Ombra comparve nel palazzo, anticipando di un attimo l'ingresso di Erebo nel salone. Immediatamente, gli Imperatori imitarono i compagni, prostrandosi a terra senza emettere un suono.
Senza degnare di uno sguardo alcuno dei suoi dieci sottoposti, il più antico tra gli Dei raggiunse il centro della stanza ed indicò il pavimento con un leggero cenno della mano. La roccia, divenuta nera e spoglia a contatto con il suo cosmo, si alzò e deformò, lasciando emergere il trono della Prima Ombra. Non uno scranno comune, ma uno formato dalle ossa e dai resti di Oberon, su cui in diversi punti erano ancora attaccati lembi di carne e pelli o frammenti del vestito. Solo la testa però era ancora facilmente riconoscibile, e svettava sulla cima del seggio con occhi vitrei e guance scarnificate.
Sedutosi, Erebo guardò finalmente i dieci seguaci, squadrandoli uno ad uno.
"Agonia, Violenza, Colpa, Guerra, Morte, Fenrir, Kalì, Surtur, Apopi e Jormungander… voi dieci ed Hela costituite il mio fiero esercito, che porterà l'oscurità sul mondo!" esclamò soddisfatto. Poi, i suoi occhi si fermarono sul quarto tra i Flagelli, il penultimo ad aver fatto il suo ingresso, e per la prima volta l'ombra di un sorriso gli comparve sul volto.
"Alzati, Guerra!" comandò, facendogli cenno di raggiungerlo accanto al trono "A te, che, che nell'arte suprema della battaglia sei secondo a me solo, affido il comando del mio esercito, e la missione di annientare chiunque osi opporsi! Seguirete i suoi ordini come se fossero i miei, senza alcuna esitazione, anche a costo della vita! Disobbedite e sarà considerato un atto di tradimento… disobbedite, e tutti i vostri poteri non vi salveranno dalla mia ira!"
A queste ultime parole, dirette ai nove guerrieri restanti, Agonia e Colpa chinarono immediatamente il capo, seguite un istante dopo da Violenza, che pure parve muoversi con meno convinzione. Morte invece rimase del tutto immobile, come se la questione non lo riguardasse direttamente, mentre un brusio di disapprovazione si levò dalle fila degli Imperatori.
Seppur nessuno avesse osato parlare apertamente, Erebo si voltò subito verso di loro, fissandoli con occhi di ghiaccio. Prima che potesse dire qualcosa però, cinque cosmi comparvero, lontani e celati il più possibile ma palesemente diretti verso Avalon ad enorme velocità.
Con un gesto della mano, Erebo spazzò l'aria facendo comparire come un velo di tenebra, attraverso il quale scrutare il mondo esterno. Con la sola eccezione di Morte, il cui sguardo era sempre come disinteressato, quasi perso nel vuoto, tutti si voltarono ad osservare.
In un istante, cinque figure apparvero delineandosi tra le ombre, e, nel vederle, per la prima volta la traccia di un dubbio si materializzò sul viso della Prima Ombra.
"I Cavalieri di Atena… dovrebbero essere morti! Sono scomparsi, caduti sotto i miei colpi proprio qui, ad Avalon, meno di un giorno fa!" sibilò il Dio, alzandosi dal trono "Eppure sono loro, non c'è dubbio! Indossano nuove armature ed i loro cosmi brillano di rinnovata vitalità… non solo, sono stati bagnati da sangue divino, lo sento scorrere e fluire sui loro corpi attraverso le corazze! Ma come può essere? Gli Dei sono un mero ricordo ormai!!"
Queste parole furono accompagnate dal vorticare del cosmo color ebano del tiranno, e, dopo aver osservato i cinque eroi ancora per un momento, Erebo si avviò verso l'uscita della sala del trono "Qualsiasi miracolo li abbia salvati, non si ripeterà! Le loro teste si uniranno a quella di Oberon sul mio trono, e ridurrò i loro corpi in cenere di cenere con le mie stesse mani!" esclamò.
"Mio signore…" lo chiamò rispettosamente Kalì, facendolo fermare e voltare con sguardo adirato.
"Non è necessario che si sporchi lei stesso le mani, non ora che tutti noi siamo riuniti qui al suo comando!" iniziò la Dea, badando bene a non incrociarne gli occhi per timore che la paura le facesse tremare la voce "Lasci a noi Imperatori il compito di sbarazzarsi di questi intrusi, come prova del nostro valore!"
"Kalì ha ragione, o sommo sovrano! Il sangue di Hypnos e degli altri traditori non è bastato a ripagarci da un sonno troppo a lungo durato! Noi creature dell'Apocalisse bramiamo altre vittime, e costoro che, sfidando la sua augusta volontà, vengono a noi come agnelli al sacrificio, sono più che mai adatti!" l'appoggiò Fenrir, sorridendo sinistramente al pensiero di un possibile massacro.
Titubante, Erebo valutò la cosa per alcuni secondi, prima di annuire e tornare a dirigersi verso il trono. Soddisfatta, e badando bene a non essere vista, Kalì lanciò un'occhiata di sottecchi in direzione di Guerra, accennando il più sottile dei sorrisi. "Il grande sovrano è l'unico che può darci ordini, non gli abbiamo certo giurato fedeltà per diventare sottoposti di un sottoposto!" pensò trionfa.
Sedutosi, Erebo fissò gli Imperatori "Fermateli nei territori più esterni di Avalon allora, ma badate bene a non sottovalutarli, nè ed affrontarli in gruppo! Quei ragazzini sono abituati a lottare fianco a fianco ed hanno già compiuto diverse imprese impossibili per comuni esseri umani. Se la loro forza dovesse continuare a crescere, potrebbero diventare una minaccia!" li avvertì.
Sorridendo apertamente, Surtur annuì e si alzò in piedi, espandendo il suo cosmo rosso cremisi.
Intanto, Pegasus, Sirio, Cristal, Andromeda e Phoenix sfrecciavano sopra il Mare del Nord, diretti verso Avalon. Nessuno aveva voglia di parlare, nel cuore e nella mente avevano il saluto agli amici lasciati ad Asgard, unito alla consapevolezza che difficilmente li avrebbero rivisti. Il timore per la loro sorte era ben superiore a quello per il proprio destino, riguardo il quale provavano quasi un senso di serena indifferenza. Sconfiggere Erebo era tutto quel che li premeva, poco importava se il prezzo da pagare sarebbero state le loro vite.
Solo una volta arrivati in vista di Avalon gli eroi si scossero, guardando inorriditi quella che un tempo era l'Isola Sacra di Oberon. Sollevata in aria dal cosmo di Erebo, essa non era più nascosta alla vista o avvolta da mura di nebbia, ma si stagliava distintamente nel cielo del mattino. Anche da lontano però, il cambiamento era evidente rispetto al luogo visitato appena il giorno prima: le foreste erano del tutto inaridite, gli alberi un tempo rigogliosi ridotti a sottili scheletri di legno, e la roccia stessa sembrava annerita e spaccata.
"É come se la vita stessa fosse stata bandita… nemmeno sull'Isola di Andromeda ho mai scorto tanta desolazione!" commentò tristemente il più giovane tra i Cavalieri.
"Inutile stupirsi, ormai sappiamo bene di cosa è capace Erebo…" rispose Pegasus, rallentando nel frattempo nettamente la velocità perchè erano appena entrati nello spazio aereo dell'isola.
"Sembra deserta, il piano di Ilda deve aver avuto successo!" disse Phoenix, scrutando prudentemente il suolo.
"Ad ogni modo sarebbe meglio atterrare e proseguire a piedi, a mezz'aria siamo…" suggerì Sirio, ma prima che potesse finire la frase la Catena di Andromeda iniziò a muoversi all'impazzata.
"State attenti, ci dev'essere un pericolo!!" gridò il ragazzo, guardandosi rapidamente attorno. Non ebbe bisogno che di un istante per rendersi conto della minaccia avvertita dalla sua arma, ma ciò fu abbastanza per prenderli di sorpresa.
Comparendo dal nulla, una sfera di fuoco esplose in mezzo al gruppo, frantumandosi in frammenti che a loro volta detonarono di nuovo, generando onde d'urto che travolsero gli eroi e li spinsero in direzioni diverse, scaraventandoli al suolo. Andromeda vide con la coda dell'occhio Phoenix precipitare nella foresta prima di sbattere malamente su un costone roccioso, rotolando fino a cadere nel letto ormai arido del fiume di Avalon.
Rimessosi in qualche modo in piedi, il ragazzo cercò immediatamente tracce degli amici, ma senza successo: i loro cosmi erano distanti, sparsi per l'intero lato settentrionale ed orientale dell'isola. Un istante dopo tuttavia avvertì potenti energie dirigersi verso di loro, pronte alla battaglia.
"Sembra che Avalon non sia deserta come speravamo!" pensò, iniziando a correre in direzione di Phoenix, che sentiva essere il compagno a lui più vicino. Non appena ebbe mosso un passo però, la catena sul suo braccio sinistro si agitò di colpo, avvertendolo di una minaccia imminente, e reagendo d'istinto l'eroe balzò all'indietro. Un istante dopo, dei raggi di luce piombarono nel punto in cui si era trovato, aprendo dei crateri nel letto del fiume e sollevando una cortina di polvere.
"Dove pensi di andare, ragazzino?" lo derise una voce femminile, sottile e tagliente.
"Ormai è troppo tardi per fuggire, la tua sorte è già scritta!" esclamò una seconda, più profonda ma ugualmente sarcastica.
"É già tempo di combattere…" sospirò il ragazzo incupendosi e facendo attenzione ai movimenti della sua catena.
Quando la polvere si fu diradata, di fronte a lui vi erano due donne dalla pelle d'ebano, vestite in armature dorate ricoperte di squame. Una era di corporatura minuta, con folti capelli ricci lunghi fino alle spalle, solo in parte trattenuti da un diadema a forma di mascella di serpente, le cui zanne scendevano sulle guance. La sua corazza, liscia e lucida, più chiara sul ventre che sul dorso, copriva integralmente il torace, il bacino e gli arti, avvolgendosi quasi a spirale lungo il corpo.
La seconda era più alta e massiccia, con spalle ampie e cortissimi capelli neri. Anche il suo diadema ricordava la bocca di un serpente, ma i denti erano decisamente più piccoli e scendevano solo sulla fronte. Da dietro la schiena, l'armatura avvolgeva il suo corpo quasi come un cappotto, piegandosi su fianchi e torace ma lasciando nuda una striscia centrale in mezzo ai seni e lungo l'addome fino alla cintura, dove la corazza si richiudeva e dava origine alla protezione per le gambe.
"Sudditi di Erebo… quali sono i vostri nomi?!" domandò Andromeda.
"Wadjet della Mamba e Renenuter del Cobra, è così che ci chiamiamo! La stirpe cui apparteniamo è quella degli Sciacalli del Deserto, al seguito del nobile Apopi!" disse fieramente la più piccola tra le due, sbalordendo il Cavaliere di Atena.
"Apopi, il Dio egizio della fine, nemico del sole Ra!" ricordò con un fremito, adombrandosi al sentirlo nominare "Che cos'ha a che fare con Avalon ed Erebo?"
A questa domanda, le due donne scoppiarono a ridere.
"Non avrai creduto davvero che le armate del sommo Erebo fossero limitate ad eserciti di defunti? Il signore dell'oscurità è accompagnato da cinque Flagelli e sei Imperatori, che ne costituiscono la fiera corte! Undici divinità invincibili, portatrici dell'Apocalisse!" esclamò Wadjet.
"E tra loro, il sire Apopi risplende per regale magnificenza!" aggiunse Renenuter "A differenza dei suoi più selvaggi compagni, egli detesta sporcarsi personalmente le mani, e per questo ha condotto noi qui ad Avalon, come suo seguito!"
"Ritieniti fortunato, altri Imperatori ti avrebbero destinato ad una fine ben più dolorosa di quella che ti offriremo noi!" lo schernì Wadjet.
"Flagelli e Imperatore… sono dunque questi i nemici da abbattere prima di poter raggiungere Erebo!" commentò Andromeda, ignorando del tutto l'ultima frase della donna e scattando verso la foresta "Gli altri già si apprestano a combattere, devo affrettarmi!"
Nel vederlo muoversi, Renenuter e Wadjet balzarono in aria, atterrando di fronte a lui e sbarrandogli il passo.
"Pensi forse di scappare? Siamo noi le tue avversarie!" gridò la Sciacalla del Cobra, sollevando la guardia. Andromeda si fermò, ma rimase in posizione di riposo, limitandosi a chiudere l'occhio ancora sano.
"Non è mia intenzione farvi del male! Cedete il passo e lasciatemi proseguire, ve ne prego! Ora come ora non siete avversari che possano impensierirmi!" le avvertì.
A queste parole, entrambe le guerriere serrarono i pugni, fissandolo con disprezzo.
"Chi ti credi di essere per parlarci con tanta arroganza?! La nostra stirpe è ben più antica e potente di quella dei Cavalieri a cui appartieni!" tuonò Wadjet, espandendo il suo cosmo.
"Non si tratta di arroganza, ma di semplice constatazione!" rispose il Cavaliere, sollevando il braccio destro, dal quale la catena penzolava inerte "La Catena di Andromeda possiede da sempre la capacità di avvertire la presenza di una minaccia, reagendo nella maniera più efficace! Guardate: essa è immobile adesso, pienamente consapevole che un suo intervento non sarebbe necessario!"
"Come sarebbe a dire?! La tua catena ci considera così inferiori da non dover nemmeno degnarsi di difenderti?!" esclamò Renenuter tra i denti.
"E' così… l'ho capito sin dal vostro primo assalto, quando si è limitata ad avvertirmi senza intervenire!" spiegò, fissando per qualche istante la sua arma, prima di spostare di nuovo lo sguardo sulle donne e riprendere in tono più sommesso, quasi di supplica "I vostri cosmi sono potenti… non molto tempo fa sareste state avversarie difficili, ma ormai la distanza che ci separa è troppo grande perchè possiate colmarla! Non ho nulla contro di voi, nè provo piacere nell'abbandonarmi alla battaglia… non obbligatemi ad uno scontro inutile, fatevi da parte lasciandomi proseguire, vi prego!"
Le sue parole però ottennero l'effetto opposto. Digrignando i denti, entrambe le guerriere fecero esplodere i loro cosmi.
"Mocciosetto impertinente, ti ricacceremo queste parole in gola! Prendi il mortale veleno della mamba: Zanne di Fiele!!" gridò Wadjet.
"Unite al fatale Morso del Cobra!!" l'appoggiò Renenuter.
Due fasci di luce dalle forme di rettili saettarono verso Andromeda, che rimase immobile, limitandosi a chinare il capo rammaricato. Sospirando, il ragazzo compì poi il più impercettibile dei movimenti, scuotendo la catena di difesa.
Con un guizzo, l'arma spazzò l'aria alla velocità della luce, annientando senza alcuno sforzo il doppio assalto ed abbattendosi sulle donne, che riuscirono a stento a vederla prima che mandasse in pezzi le loro armature, travolgendole. Incapaci di opporre resistenza, le guerriere caddero al suolo prive di vita. Dopo averne osservato amareggiato i cadaveri per un istante, Andromeda si preparò a riprendere la corsa
Improvvisamente però, un brivido gelido attraversò il suo corpo, paralizzandolo, e insieme ad esso giunse la certezza di essere osservato. Nello stesso istante, la catena di difesa iniziò ad agitarsi all'impazzata, al punto da quasi sbilanciarlo per l'improvvisa tensione.
"Non ti è bastato che un colpo per annientarle, le parole di avvertimento di Lord Erebo erano ben giustificate…" esordì una voce, e nonostante il tono pacato e distante, Andromeda sentì come se migliaia di gelidi aghi stessero trapassando da parte a parte le sue carni con ogni singola sillaba. Una sensazione opprimente si impadronì di lui, facendogli scorrere sul viso un rivolo di sudore mentre si guardava disperatamente attorno alla ricerca del nuovo nemico. Per trovarlo, non gli occorse che un istante: il Dio, perchè non vi era dubbio che tale fosse la sua natura, era ritto immobile ad appena pochi passi da lui, e lo osservava con sguardo interessato.
Di carnagione scura e con corti capelli argentati che coprivano la fronte con una frangetta, indossava un'armatura d'oro, persino più brillante di quelle dei Cavalieri del Grande Tempio, che ne proteggeva quasi interamente il corpo. Il pezzo più bizzarro era l'elmo, che riproduceva in sottile metallo la forma dei tipici copricapo dei faraoni egizi. Sul collo, una massiccia collana di lastre d'oro squadrate tempestate di gemme color ebano copriva la cima del pettorale. Sinuosi serpenti neri erano cesellati attorno al corpo, come ad avvolgerlo, passando lungo i fianchi e terminando con teste dalle fauci aperte su ciascun lato del centro del torace. Le lingue, piccole, biforcute e sottili tese diagonalmente verso l'alto, verso il collo del Dio. Altri serpenti neri avvolgevano i bracciali e gli schinieri, e sempre la testa di un rettile ornava il centro della cintura, composta da varie placche simili a quelle dell'armatura del Dragone.
In contrasto con le forme fluide ma minacciose delle sue vesti però, i lineamenti erano delicati, quasi dolci e femminei, e lo sguardo tranquillo nel suo distacco. Ciò tuttavia non tranquillizzò Andromeda, che poteva avvertire un cosmo gelido come il ghiaccio agitarsi dietro quell'esteriorità.
"Apopi, il Dio egizio divoratore del sole! Non può esservi dubbio a riguardo…" intuì, osservandolo bene "Pur non essendo di stirpe greca, anche tu hai quindi giurato fedeltà ed obbedienza ad Erebo?"
A questa domanda, il Dio sorrise leggermente "La maestà del sire Erebo va ben oltre questioni così banali: greco è solo il nome che egli ha scelto per se, ma per origine e lignaggio è come un Dio per gli Dei. Tutti noi portatori dell'Apocalisse gli dobbiamo implicita e assoluta fedeltà, indipendentemente da culto o discendenza, riuniti sotto il suo stendardo siamo numi del Nord, di India e di Egitto!" rispose tranquillamente, facendo incupire Andromeda.
"Come temevamo, la vittoria non sarà facile! Ma in fondo quando mai lo è stata?" sospirò con una certa rassegnazione, tendendo le catene e lanciando un'occhiata ai cadaveri di Wadjet e Renenuter "avresti potuto proteggerle ma non l'hai fatto… perchè non le hai salvate?"
"Mpf… perchè mai avrei dovuto? Sin dai tempi più antichi… sin da quando gli astri brillavano sul regno d'Egitto, è sempre stato gioia e dovere di qualsiasi suddito proteggere il proprio sovrano anche a costo della vita! Renenuter e Wadjet sono state condotte qui ad Avalon con quest'unico scopo, dovrebbero esser fiere di averlo adempiuto! In caso contrario, la loro esistenza sarebbe stata inutile…"
"Hanno adempiuto al loro scopo perdendo la vita?! Come sarebbe a dire!" esclamò sdegnato Andromeda, ma Apopi si limitò a scrollare le spalle.
"Non capisci? Eppure è semplice, le ho condotte qui al solo fine di vederle perire in battaglia contro un eventuale nemico. Rallentandoti per qualche secondo hanno almeno avuto una parvenza di utilità, ripagando la generosità che ho dimostrato nell'aver dato ascolto alle loro suppliche e permesso di accompagnarmi. Non vi sarebbe stato spazio per loro nel regno che Lord Erebo sta per creare: cadendo dignitosamente, da guerriere, mi hanno almeno risparmiato il tedio di dover ordinare loro di suicidarsi…" spiegò con voce sottile.
A queste parole, Andromeda si accigliò vistosamente, stringendo con forza la catena con entrambe le mani.
"Risparmiare la noia di ordinare loro il suicidio… a tal punto arriva la tua bassezza?! Come puoi definirti un Dio tu che hai così poco rispetto persino per la vita di chi ti è fedele?" gridò, senza però che l'espressione spocchiosa di Apopi mutasse.
"Un Dio dell'Apocalisse, portatore del Caos! La pietà verso gli umani la lascio a Ra o ad Horus, a Zeus o ad Odino… tutti loro la serbavano nel cuore, e tutti loro sono morti o scomparsi, mentre io prospero al seguito del nobile Erebo!" affermò in tono di scherno, prima che i suoi occhi si chiudessero in una fessura "La pietà albergava anche nel cuore di Atena, ma ciò non l'ha salvata!"
"Non ha senso sprecare fiato con te… le serpi che ti adornano l'armatura sono riflesso del tuo cuore! I miei amici già combattono, come loro è ancora una volta alla forza che dovrò ricorrere per far trionfare la giustizia! Catena di Andromeda!!" tuonò, lanciando in avanti la catena di attacco. Apopi però restò perfettamente immobile.
"Della virtù guerriera della tua arma ho sentito parlare, ma ti attende un'amara delusione se credi che essa basti a impensierirmi!" avvertì, espandendo il suo cosmo che si manifestò come alone dorato. Quasi istantaneamente, gigantesche serpi di sabbia si sollevarono da terra, saettando verso la catena con le fauci spalancate, come per inghiottirla. In un istante, una di essa si avvolse a spirale lungo l'arma, mentre un'altra ne avviluppò la punta, imprigionandola completamente.
Apopi sorrise, ma lo stesso fece Andromeda "Sei tu che sarai deluso se credi di poter avere così facilmente ragione di Sovrana dei Venti! Forte della fiducia degli Dei di Grecia, la mia catena non si lascerà sconfiggere!" avvertì, espandendo il suo cosmo lungo l'intera lunghezza dell'arma, che iniziò a brillare di energia, dilaniando le serpi di sabbia.
Accigliatosi, Apopi creò altri serpenti a sua difesa, ma la catena di attacco li trapassò senza esitare, disperdendoli come niente e sfrecciando verso il Dio, che alla fine fu obbligato a saltare.
Cambiando repentinamente direzione, l'arma allora deviò verso di lui, cercando di colpirlo a mezz'aria, ma l'Imperatore l'intercettò con un movimento a spazzare del braccio, deviandola, e contemporaneamente guardò Andromeda, liberando una frazione del suo cosmo. In tutta risposta, la terra ai piedi dell'eroe tremò, e da essa si innalzarono giganteschi serpenti, pronti ad abbattersi sul Cavaliere.
"Hai affrontato gli Dei di Grecia, ma non illuderti! Io non sono come loro, fiaccato da sentimenti impropri ad un dominatore!" lo schernì.
"No, non sei come loro, questo è certo!" rispose brevemente Andromeda, e, senza esitare nemmeno un attimo, ritirò a se la catena di attacco, circondandosi contemporaneamente con quella di difesa sulla quale si infransero le serpi di sabbia, venendo totalmente dissolte. Stavolta però, anzichè ricadere a terra, i granelli che le componevano rimasero sospesi in aria, creando una sorta di velo di nebbia che avvolse l'intera area, facendo scomparire gli alberi, il suolo ed Apopi stesso alla vista del ragazzo. Per di più, il cosmo del Dio sembrava provenire contemporaneamente da tutte le direzioni, come se egli stesso fosse parte della sabbia.
Mantenendo il sangue freddo, il Cavaliere si guardò attorno circospetto ed abbassò la catena di difesa, che subito iniziò a muoversi da sola, scrutando in direzioni diverse, mentre quella di attacco spazzava l'aria, distruggendo tutti i serpenti che, comparendo dal nulla, cercavano di avventarsi su di lui.
Dopo alcuni secondi, la punta sferica cominciò ad agitarsi, ed un sorriso sicuro apparve sul viso di Andromeda "E' inutile cercare di nascondersi! La mia catena può trovare un nemico ovunque si celi, ad anni luce di distanza come dietro la più infida delle barriere! Preparati: Onde del Tuono!!" esclamò, scagliando insieme le sue armi.
Attraversate dal rosato cosmo di Andromeda, le catene zigzagarono scomparendo nel velo di sabbia, ed un attimo dopo un clangore metallico risuonò da un punto sulla sinistra dell'eroe. Quasi contemporaneamente i granelli sospesi in aria ricaddero a terra rivelando la posizione di Apopi, immobile con una mano sul fianco, ove era visibile una piccola ma evidente scheggiatura sulla sua armatura.
Per alcuni attimi, lo sguardo calmo ma determinato di Andromeda incrociò quello torvo del Dio, ma poi gli occhi di Apopi si abbassarono e la bocca allargò in un sorrisetto di sincera sorpresa.
"Sembra che io stesso alla fine abbia ignorato l'avvertimento di Lord Erebo… avevo dimenticato la forza dei Cavalieri di Atena!" commentò, senza che la scelta delle parole sfuggisse al ragazzo.
"Dimenticato? Cosa significa?"
"Tu non sei il primo membro della tua stirpe che incontro… anni fa ebbi brevemente modo di affrontare un guerriero dalle ali dorate, il Cavaliere di Sagitter!" disse, facendo spalancare di sorpresa gli occhi di Andromeda.
"Tu incontrato Micene?! Come può essere!"
"Il luogo ove si trovava il mio tempio, tra le sabbie dorate dell'Egitto, venne disturbato da un intervento umano che indebolì i sigilli che mi imprigionavano! Il mio cosmo iniziò allora a diffondersi tra le dune, crescendo progressivamente in forza, e così il Sagittario fu inviato ad affrontarmi prima che potessi risvegliarmi del tutto. La sua freccia d'oro trafisse le mie spoglie transitorie, precipitandomi ancora una volta nell'oblio!" raccontò sommariamente.
"Se hai già conosciuto la sconfitta per mano di Micene, hai un motivo in più per arrenderti! Ho premura di raggiungere i miei compagni e non sei tu il mio nemico, fatti da parte!" incitò allora il Cavaliere, ma le sue parole parvero non impressionare Apopi, il quale rimase immobile.
"La tua forza è di gran lunga superiore a quella del Sagittario, non vi è alcun dubbio a riguardo… ma purtroppo per te, il destino non ti è stato amico! Avresti potuto distruggermi se mi avessi incontrato solo poche decine di anni fa… ma ora il tuo fato è segnato!" minacciò, afferrando la punta della catena ed espandendo il suo cosmo.
"Che significa!" esclamò Andromeda, cercando invano di ritrarre a se l'arma, consapevole dell'aumentare dell'aura del nemico.
"Quando affrontai il Sagittario, ero ancora prigioniero dei sigilli di Zeus e Ra!" dichiarò il Dio, incupendosi "Per porre fine alla mia eterna caccia al Dio del Sole e ringraziarlo dell'ospitalità data alla sua stirpe nel corso della guerra contro Tifone, il signore del fulmine sigillò al mio interno un'altra divinità solare: Iperione, dell'armata dei dodici Titani!"
"Iperione… colui che diede il via agli scontri tra i Cavalieri d'Oro ed i Titani pochi anni fà… si dice fosse un Dio dalla forza straordinaria, ma anche capace di atti di profonda nobiltà! Il suo nome è ancora rispettato al Grande Tempio…!" ricordò Andromeda, iniziando a intuire cosa Apopi stesse dicendo.
"Era mio destino dare la caccia al sole, ma senza poter mai riportare vittoria definitiva! Divorare la luce indebolisce anche le tenebre, imprigionando entrambi in un equilibrio impossibile da spezzare! E fu proprio questo il piano di Zeus! Sigillando Iperione dentro di me, ne sfruttò la luminosità per bilanciare le mie tenebre, precipitandomi in uno stato di sonno, in cui il mio cosmo poteva manifestarsi solo per reazioni istintive, con l'effigie di un serpente! Fu in queste condizioni che Sagittario ebbe ragione di me! In quella battaglia in cui i miei occhi erano chiusi non potevo combattere che con i mezzi più elementari! Ma tu, Cavaliere di Andromeda, non hai questa fortuna! Quello scontro mi liberò dalla presenza di Iperione e con il tempo ho ritrovato la mia forza: nulla vi è più a trattenermi!" concluse, immettendo il suo cosmo sull'arma dell'eroe. Una scarica nera risalì la catena in una frazione di secondo, colpendo Andromeda e scaraventandolo indietro.
Forte dell'esperienza accumulata però, il Cavaliere non gli lasciò l'iniziativa, recuperando l'equilibrio con un colpo di reni e sferrando subito un attacco a spazzare con la catena di difesa. In tutta risposta, Apopi si circondò per qualche secondo di una sfera di energia dorata, facendo rimbalzare via l'arma, e contemporaneamente portò ambo le mani innanzi a se, congiungendole davanti al torace e facendole scattare in avanti. Dai palmi e dalle punta delle dita scaturì una violentissima tempesta di sabbia che investì in pieno Andromeda con la forza di un uragano.
"Cavalcata delle Dune!" sibilò Apopi prima che il vento sempre più impetuoso lo facesse sparire allo sguardo di Andromeda.
Preda delle correnti, il ragazzo tossì violentemente, cercando di coprirsi la bocca ed il naso con una mano per impedire alla sabbia finissima di soffocarlo. L'occhio gli lacrimava, appannando ulteriormente la vista già fiaccata dalla sabbia e dalla menomazione subita da Erebo, ma l'eroe non osava chiuderlo del tutto per timore di trovarsi preda di un attacco a sorpresa. Per di più, quelli non erano normali granelli, quanto milioni di minuscoli aghi di sabbia, che, pur non potendo niente sull'armatura, gli graffiarono il viso, la punta delle dita e le poche zone scoperte, lacerando e perforando la carne, mentre il continuo mutare della direzione del vento lo sbalzava e capovolgeva in aria.
Con il passare dei secondi però, il Cavaliere si accorse anche di qualcos'altro: nonostante la violenza dei vortici che lo circondavano, la pressione sul suo corpo era relativa, sufficiente a sbalzarlo ma non a danneggiarlo come si sarebbe aspettato, e soprattutto si stava affievolendo. Era quasi come se i venti non osassero colpirlo con tutta la loro forza, abbattendosi con maggior violenza attorno a lui piuttosto che su di lui. Confuso, per qualche istante Andromeda temette una trappola, prima di accorgersi che la sua armatura stava brillando tenuamente, avvolta in un bagliore con tinte oro, cremisi e azzurre.
Un senso di calore, di rassicurante tepore, gli avvolse il cuore e le membra, insieme ad una voce amica che risuonò nei recessi della memoria. Comprendendo quel che stava accadendo, il Cavaliere sorrise, spiegando le ali della sua corazza.
Dall'altro lato del vortice, Apopi spalancò gli occhi sbalordito nel vedere la tempesta di sabbia da lui evocata affievolirsi e spezzarsi in due. Di fronte a lui, sospeso in aria grazie alle ali della sua corazza ed avvolto nel mulinello della catena di difesa, era Andromeda, leggermente sanguinante per alcuni graffi sul corpo ma altrimenti incolume.
"Che prodigio è mai questo, come può la Cavalcata delle Dune non aver sortito alcun effetto?!" sibilò tra i denti, realmente confuso per la prima volta da quando lo scontro era iniziato.
"Non dolertene! La forza dei tuoi uragani è spaventosa, ma essi non possono niente di fronte a Sovrana dei Venti, l'armatura che sono orgoglioso di indossare! Neanche la più spaventosa delle tempeste potrà offenderla, perchè in essa vive lo spirito di Eolo, che del vento era sovrano! Grazie a lui, non devo temerti!" dichiarò l'eroe, con una punta di commozione nella voce, memore delle parole di Zeus «Cavaliere di Andromeda, tuo è il sangue del generoso Eolo, il cui cuore era sensibile quanto nobile lo spirito! E' Sovrana dei Venti il nome delle tue nuove vesti, e grazie ad esse mai più dovrai temere la collera degli elementi evocata dal nemico!»
"Grazie, nobile Eolo! Il tuo cosmo vive in me attraverso l'armatura, rendendola impervia di fronte alla furia dei venti. Essi si acquietano di fronte a lei, non osando colpire il loro sovrano. Grazie al tuo aiuto, non devo temere Apopi!" pensò grato Andromeda, prima di richiamare la catena di difesa e far esplodere il suo cosmo. I venti che ancora lo circondavano iniziarono a cambiare direzione, piegandosi al suo cosmo e lasciandosi avvolgere dalla sua aura cremisi.
"Se è il vento l'arma con cui più ti aggrada combattere, allora preparati perchè è con esso che ti colpirò!! Brucia, mio rilucente cosmo: Nebulosa di Andromeda!!" gridò, scatenando la sua tecnica più potente. La tempesta di vento esplose, fondendosi alle correnti d Apopi e prendendone il controllo per poi abbattersi sull'incredulo Imperatore, che venne travolto in pieno e scaraventato in aria, circondato da frammenti della sua armatura, terreno e scheletri di alberi, strappati dalla foga dei venti.
"E' finita!" sospirò Andromeda nel vedere il Dio precipitare violentemente a terra e venir sepolto dai detriti. Senza esitare, si voltò e iniziò a correre in direzione del cosmo più vicino.
Dopo alcuni passi però, avvertì un'aura opprimente innalzarsi maestosa alle sue spalle e si voltò di scatto, allarmato. Di fronte a lui, Apopi si rialzò, circondato da un cosmo immenso. Esso però era diverso da prima, i bagliori dorati stavano venendo sostituiti da altre tinte, nere come la pece.
"Cavaliere di Andromeda…!" sibilò minaccioso, mentre la sua armatura, già danneggiata dalla Nebulosa, sembrava sgretolarsi e cadere al suolo in frammenti minuscoli.
Istintivamente, Andromeda indietreggiò di un passo, sentendosi quasi schiacciare da un senso di pericolo imminente e mortale. Confuso, incrociò lo sguardo di Apopi, ed in quella frazione di secondo il suo corpo fu attraversato da un brivido simile a quello provato all'inizio della battaglia ma molto più profondo, tanto da paralizzarlo. Gli occhi del Dio non avevano più niente di umano, sostituiti da sottili fessure con pupille verticali simili a quelle dei rettili, cariche di odio.
Contemporaneamente, le ultime tracce d'oro scomparvero dal suo cosmo, che divenne interamente nero, ed istanti dopo un bagliore della medesima tinta si sprigionò dall'armatura. Sotto la corazza caduta in frantumi ne comparve un'altra, identica alla precedente ma con i colori invertiti: laddove prima vi era oro, adesso vi era nero d'ebano, e laddove prima vi era nero adesso c'era oro. Era quasi come se l'oscurità avesse circondato e divorato qualsiasi traccia di luce, prendendo il sopravvento.
"Ch… che significa tutto questo?!" riuscì a domandare Andromeda, scuotendosi a fatica dalla morsa che lo imprigionava.
Ignorando la domanda, Apopi sollevò il braccio destro in direzione del nemico.
"Mi vuole attaccare!" realizzò il Cavaliere, sollevando la catena triangolare "Onda del Tuono!!".
"Sibili nel Deserto!" sussurrò in risposta Apopi. Il cosmo attorno al suo avambraccio iniziò a vorticare, prendendo la forma di una moltitudine di serpenti neri che sfrecciarono in avanti accompagnati da un fruscio sinistro, affrontando frontalmente la catena di Andromeda.
"Si annulleranno a vicenda!" pensò l'eroe, iniziando ad organizzare la mossa successiva. Con suo immenso stupore però, al momento dell'impatto i serpenti semplicemente aprirono la bocca, ingoiando la catena e continuando indisturbati la loro corsa fino ad investire il ragazzo al braccio ed al fianco destro.
Con un grido di dolore, Andromeda fu scaraventato indietro, sbattendo duramente contro l'argine del fiume ormai secco e rotolando nel letto. Riaperto l'occhio, si accorse con orrore che il braccio destro stava leggermente sanguinando: minuscole punture, simili a morsi, avevano trapassato persino la sua nuova armatura, lacerando la carne sottostante.
"Se non fosse ssstato per quella corazza, il tuo braccio sssarebbe stato completamente dilaniato! Ma non rallegrartene, la sssua resistenza non farà altro che prolungare il tuo tormento!" sussurrò Apopi, comparendo accanto ad Andromeda e colpendolo al volto con un manrovescio, che lo scaraventò di qualche metro più indietro con un filo di sangue sul labbro.
"E' completamente diverso dal nemico che ho affrontato finora! Ma come può un Dio mutare a tal modo…!" si chiese il Cavaliere, rotolando nella polvere per trasformare il colpo subito in una spinta e rialzandosi su un ginocchio.
"Io sono colui che divorerà il sole! Mi hai cossstretto a rivelare la mia vera forza, preparati a pagarne il prezzo! Abbandona ogni speranza, Cavaliere di Grecia, la fine giungerà tra mille sssofferenze!!" minacciò Apopi sollevando di nuovo la mano "Sibili nel Deserto!!"
"Mai! La speranza che mi sorregge appartiene a troppi cuori, non vi rinuncierò! Catena, disponiti a difesa!!" ritorse Andromeda, sollevando la spirale difensiva di fronte al nuovo assalto del nemico.
Un istante dopo una pioggia di serpi nere iniziò a bombardarlo, scontrandosi sulla sua arma con violenza sempre maggiore, al punto da iniziare a deformarne il vortice, senza tuttavia riuscire a prevalere. Ad ogni impatto infatti, i rettili sembravano andare in pezzi, dissolvendosi in bagliori nerastri.
"Resisti, mia catena! Non cedere alle tenebre!" sussurrò l'eroe, imprimendo il proprio cosmo nella fidata compagna e mantenendo i piedi ben saldi a terra.
"E' inutile, la tua fine è già scritta! Quell'arma di cui tanto ti fregi stavolta non ssservirà!" avvertì Apopi. Contemporaneamente, Andromeda si accorse che la luce nera dei serpenti distrutti non si stava dissolvendo, ma anzi aderiva quasi alla catena, ruotando insieme a lei e ricoprendola fino a circondarlo completamente, e, soprattutto, fino a filtrare all'interno della spirale difensiva.
Intuendo il pericolo, l'eroe cercò di respingerla con il proprio cosmo, ma era troppo tardi. Un istante dopo, i serpenti si riformarono all'interno della catena di difesa, abbattendosi sul Cavaliere da tutte le direzioni ed esplodendo all'unisono.
In una colonna color ebano alta fino al cielo, Andromeda fu sbalzato diversi metri in aria, circondato da flotti di sangue, prima di ricadere rovinosamente a terra.
Inesorabile nella sua offensiva, Apopi non esitò un attimo, dirigendo su di lui una nuova scarica di colpi e facendolo gridare di dolore. Rotolandosi su un fianco, il ragazzo cercò allora di allontanarsi e soprattutto di riprendere il controllo della battaglia, lanciando insieme le due catene in avanti, ma stavolta l'Imperatore non si fece cogliere impreparato e modificò la direzione dei suoi colpi in modo da intercettare e deviare le armi del nemico, per poi raggiungerlo all'addome con un fascio di energia.
Tossendo sangue, Andromeda vacillò in avanti, ritrovandosi del tutto impreparato di fronte al nuovo attacco di Apopi, che sferzò l'aria con le braccia, creando un piano di energia che attraversò obliquamente il torace dell'eroe, sbattendolo contro l'argine del fiume con tanta forza da scavare un solco. Barcollando, il guerriero riuscì appena a fare un passo che nuovi serpenti neri si abbatterono su di lui, facendolo crollare a terra accompagnato da schizzi di sangue.
"Non riesco a fare niente, sta prendendo il sopravvento!" ammise amaramente a se stesso il Cavaliere, avvertendo distintamente i denti dei serpenti penetrargli nelle carni.
"Sovrana dei Venti smorza i suoi assalti, ma neanche lei riuscirà a resistere ancora a lungo! Devo reagire… che senso avranno avuto tutti questi sacrifici… tutte queste battaglie… se ora mi lascio sconfiggere alla prima difficoltà?!" si disse, facendosi forza e stringendo i denti per rimettersi in piedi.
In un lampo di luce accecante, il suo cosmo esplose di nuovo, accompagnato da correnti scarlatte che si scontrarono a mezz'aria con i serpenti di energia, disintegrandoli. Un vento tempestoso iniziò a circondarlo, frantumando il suolo e sollevando in aria terreno, polvere e detriti.
"Carica della forza della costellazione che mi è propria, esplodi, Nebulosa di Andromeda!!" gridò, riversando tutto se stesso nel suo attacco più potente.
Soverchiati da un'energia superiore, i serpenti di Apopi vennero distrutti, le loro tenebre dilaniate e spazzate via dalla luce cremisi della tecnica suprema dell'eroe. Impassibile, il Dio li guardò sparire, restando immobile mentre la tempesta cosmica si preparava ad abbattersi su di lui.
All'ultimo istante, le sue labbra si contrassero nella linea di un sorriso.
"Estinzione del Sole!"
Sbalordito, Andromeda vide l'intero cosmo del nemico innalzarsi ed agitarsi selvaggiamente come se fosse un'essere vivente, prima di assumere la forma della metà superiore di un gigantesco serpente di energia nera, dalle pupille sottili e cariche di malvagità.
Facendo schioccare la lingua, il mostro si scosse a mezz'aria, proteggendo Apopi e ricevendo in pieno i venti della Nebulosa senza barcollare minimamente. Dopo alcuni istanti scattò poi in avanti, contrastando apertamente la tempesta provocata dal Cavaliere e dirigendosi verso di lui.
L'eroe ebbe appena il tempo di incrociare le braccia davanti al volto che il serpente si sollevò su di lui, spalancando le fauci e richiudendole attorno al suo corpo. Nello stesso momento, l'oscurità calò su Andromeda, privandolo del ben dei sensi e di qualsiasi contatto con l'esterno.
Contemporaneamente, egli si sentì attraversare da migliaia di fitte di dolore, prima sottili, simili a gelidi aghi, poi sempre più profonde e distese, come se il suo corpo stesse venendo strappato e dilaniato dalla furia di animali selvaggi.
Per secondi che sembrarono un'eternità, sentì il sangue gorgogliare in gola e fu sul punto di perdere i sensi, del tutto impotente di fronte alla furia nemica. Poi la prigione d'ombra che lo rinchiudeva esplose, scaraventandolo per oltre un centinaio di metri in aria come a disegnare l'arco di una cometa, prima di lasciarlo schiantare nuovamente a terra, circondato da un lago scarlatto.
"Estinzione del Sole, la tecnica con cui ogni notte attentavo alla vita dell'odiato Ra!" risuonò flebile la voce di Apopi, giungendo a lui come da un'altra dimensione "Atta a distruggere un Dio, essa è insopportabile per i mortali! Ssei il primo ad averne provato l'abbraccio! Il dolore che ti accompagnerà negli ultimi istanti di vita sssarà la giusta punizione per avermi spinto a rivelare la mia vera forza!".
Andromeda cercò di rispondere qualcosa, ma la bocca gli si riempì di sangue, obbligandolo a tossire per non soffocare. Afferrandolo per la gola, Apopi lo sollevò in modo da guardarlo direttamente nell'occhio.
"Ti ssstai chiedendo da dove venga questa mia forza, non è vero? E' la vera natura del cosmo che mi appartiene, e che di solito è sssopita, in attesa del tramonto del sole, dell'arrivo dell'imbarcazione di Ra nel regno ove le ombre regnano sssovrane!" spiegò, lasciando cadere il nemico e calpestandogli la testa con il tacco.
"Fino all'intervento di Zeus, per migliaia di anni io e Ra ci siamo ssscontrati ogni notte, la luce della creazione contro le tenebre del caos. Al termine di ogni battaglia, il mio corpo veniva fatto a pezzi, solo per ricomporsi il giorno successivo, pronto ad un nuovo ssscontro! Il dolore di ogni sconfitta, della quotidiana devastazione delle carni, fluiva nel mio cosmo, rendendolo più potente e mortale, in attesa del giorno in cui avrei potuto finalmente trionfare ed addormentarmi in un mondo di oscurità!
"Usare la mia vera forza, destinata ad un'impresa così gloriosa, contro un sssemplice essere umano mi ripugnava, e per questo ho iniziato il nostro duello come comune divinità del deserto! Ssse ti fossi arreso, abbracciando il tuo destino di creatura inferiore, avresti evitato di soffire! Ora invece pagherai il prezzo della tua caparbietà: come il sole destinato a essere fatto a pezzi dalle tenebre, così tu sarai distrutto e dilaniato dai miei attacchi! Addio, Cavaliere di Atena!" affermò, lanciando il ragazzo in aria e prendendolo di mira con entrambe le braccia. "Sibili nel Deserto!"
Con un ultimo, disperato tentativo, Andromeda aprì le ali della sua armatura, cercando di schivare l'assalto.
Lo sforzo fu valido, ma del tutto vano. I serpenti di Apopi lo colpirono in pieno sul volto, l'addome e il torace, facendolo precipitare circondato da schizzi di sangue.
"E' nemico troppo superiore… per quanto tenti non ho forze per arrivare a lui che è divinità dell'Apocalisse! Non voglio arrendermi, ma che fare? Non basta la catena… non basta la Nebulosa… non mi resta… più niente…" pensò, chiudendo l'occhio sul punto di perdere conoscenza.
Anzichè sprofondare nell'oscurità dell'oblio come si aspettava però, fu accolto da un lampo di luce che lo abbagliò, quasi come se si fosse ritrovato a guardare direttamente il sole dopo un'esistenza trascorsa nelle tenebre. A fatica, riaprì l'occhio, scoprendo di non essere più ad Avalon, ma di star fluttuando alto nel cielo, cullato dal vento. Ogni traccia di dolore era scomparsa, sostituita solo da un enorme senso di spossatezza, e dall'ardente desiderio di richiudere l'occhio e lasciarsi andare.
"Dove… mi trovo…" si chiese a stento, guardandosi attorno alla ricerca di punti di riferimento.
Improvvisamente, sentì delle grida lontane, prima flebili e confuse, poi sempre più acute e stridenti. Insieme a loro giunsero gli echi di una battaglia, il clangore di spade, le urla di soldati, il fragore di edifici in rovina e le ultime parole al cielo di guerrieri morenti.
Con orrore, il Cavaliere si accorse che sotto di lui, in lontananza, vi era Asgard. Non più però la cittadella che avevano lasciato poco prima, ma un campo di battaglia coperto di sangue e cadaveri ammucchiati. Le mura erano state sfondate, permettendo ad uno sconfinato esercito nero di sciamare all'interno, massacrando tutti sul suo cammino.
Riversi al suolo, con gli occhi ancora aperti ed i corpi martoriati, vi erano Toro, Mime, Ioria, Artax, Alcor, Orion, Thor e persino Flare ed il piccolo Kiki, tutti caduti con il viso deformato da un'ultima smorfia di terrore. In piedi, con il torace trapassato da cento frecce, Mizar e Mur difendevano con le ultime forze Ilda, il cui volto, sfregiato da un taglio diagonale, era una maschera di sangue. Di fronte a loro, l'esercito avanzava inarrestabile.
"No!!" gridò Andromeda, cercando di scuotersi e raggiungerli. Ad ogni suo movimento però la scena si allontanava sempre di più, rendendo vano ogni sforzo. Spiegò le ali, ma esse non si mossero; lanciò la catena, solo per vederla cadere priva di vita; aprì la bocca per urlar loro di fuggire, ma non uscì alcun suono. Di fronte a lui, gli assassini calarono inesorabili le loro armi, abbattendo l'ultima resistenza.
"No! No no no no no no!!" pianse il ragazzo, stringendosi la testa con le mani "Non può essere vero, abbiamo lasciato Asgard da poco più di un'ora, le sue difese non possono essere già crollate!" si ripetè, cercando di opporre la razionalità alle immagini che aveva davanti, di ignorare quanto fossero vivide e reali.
"Non è ancora successo, ma questo è il destino che attende tutti loro se non riuscirete a trionfare…" sospirò in quel momento una voce lontana, mentre le immagini di Asgard tremulavano e sparivano, sostituite dal vuoto. Era una voce di donna, anzi di bambina, flebile, colma di tristezza, che sembrava parlare direttamente al suo cuore. Andromeda non l'aveva mai udita prima, ma vi era in lei qualcosa di familiare e rassicurante, qualcosa che dava fiducia.
"E' così debole la tua voce… chi sei?!" domandò confuso.
Vi fu una pausa di silenzio, e solo dopo molti secondi giunse la risposta.
"Non ricordo più il mio nome… è passato così tanto dall'ultima volta che l'ho pronunciato… esso non ha importanza comunque, ad altro devi dirigere la tua attenzione, per il bene dei tuoi amici!" rispose la voce dopo molti secondi di silenzio. Seppur sempre flebile, stavolta vi era in lei un senso di maggior urgenza, quasi disperazione.
"Sei stata tu a creare tutto questo?" insistette il Cavaliere indicando il vuoto attorno a se dove prima si trovava Asgard "Perchè l'hai fatto?"
"Perchè chiudi gli occhi di fronte ai colpi del nemico? Non ti preme la salvezza dei tuoi alleati? Preferisci lasciarti andare, abbandonandoli?" chiese la voce, ignorando la sua domanda.
"Come puoi pensare una cosa del genere?!" esclamò Andromeda serrando il pugno e cercando di spiegarsi "Certo che mi preme la loro sorte, darei la vita per salvarli! Ma Apopi… è fuori dalla mia portata! Grazie al sangue di Eolo, la Catena e la Nebulosa sono forti come mai… eppure lui… le ha completamente annullate! I suoi colpi sono superiori, sia in attacco che in difesa! E il suo cosmo è così immenso… così gelido e oscuro… carico di un odio atavico che non ho armi per contrastare!"
"Non è così!" sospirò la voce, iniziando ora a suonare debole e stanca "Le armi di cui hai bisogno già le possiedi! La via ti è stata indicata, non ti resta che seguirla… non ti resta che seguirla…" ripetè, in un sussurro appena percettibile, prima di svanire.
"Che vuoi dire? Spiegati, ti prego!" la chiamò Andromeda, cercando di inseguirla. Non appena ebbe mosso un passo, vi fu un nuovo lampo di luce e lo scenario attorno a lui cambiò ancora, trasformandosi in un edificio in rovina.
Alzando lo sguardo, l'eroe vide dinanzi a se Zeus, gli occhi fissi in un punto nel vuoto, l'espressione assorta. Voltandosi, si trovò di fronte a se stesso e gli amici, con indosso le nuove armature empiree, rifulgenti di energia. Poi una luce abbagliante investì l'ambiente, facendo tremulare tutte le figure. Prima che esse scomparissero del tutto però, la voce del signore degli Dei di Grecia risuonò decisa "Sappi che non sempre in battaglia vi è una sola risposta, e che la vittoria talvolta arride a chi è in grado di unire in se la placida calma e la dirompente furia!"
Nel sentire queste parole, Andromeda spalancò l'occhio sbalordito, comprendendo quel che doveva fare.
Sul campo di battaglia, di fronte all'esterrefatto Apopi, il corpo dell'eroe fu circondato da un vortice di energia pura, talmente intenso da obbligare il Dio ad indietreggiare di scatto. Un istante dopo, i venti si quietarono rivelando il Cavaliere, coperto di sangue ma di nuovo in piedi e pronto allo scontro.
"Decidere di rialzare di nuovo la testa pur in schiacciante inferiorità! E' così tipico della tua razza un tal comportamento, non avete mai imparato ad accettare il vostro ruolo nell'ordine del creato!" affermò sprezzante l'Imperatore "Non c'è spazio per esseri così miseri ed ingrati nel nuovo mondo che Lord Erebo sta per creare! Ti annienterò e spargerò le tue membra ai quattro angoli del globo!"
"L'oscurità e la sorte che annunci non mi fanno paura, ma non resterò passivamente ad aspettarle! Sfodera pure le tue armi, saprò affrontarle stavolta!" rispose con decisione Andromeda, stringendo la catena.
"Parole ardite, ma prive di ogni riscontro! Le catene di cui tanto ti fregi si sono già dimostrate inutili contro di me! Sibili nel Deserto!!" proclamò, sollevando entrambe le braccia e scatenando la tempesta di serpenti neri.
"Questa volta sarà diverso! Ho fiducia in te, colpisci mia fedele Catena di Andromeda!!" ribattè l'eroe scagliando ambo le armi in avanti.
Catene e serpenti si scontrarono a mezz'aria, dando vita ad un'armonia di riflessi neri e cremisi ogni volta che le aure cosmiche dei contendenti si fronteggiavano. Dopo pochi secondi appena però i rettili ebbero la meglio, avvolgendo l'arma del Cavaliere e saettando verso il suo corpo con le fauci spalancate.
Pronto a questa evenienza, il guerriero allargò di scatto le braccia che aveva portato dinanzi al torace, liberando in maniera dirompente il cosmo accumulato "Nebulosa di Andromeda!!!"
Come nel duello precedente, l'impeto dei venti dissolse le serpi nere, ribaltando l'equilibrio delle forze in campo e avanzando verso Apopi. Già però il corpo dell'Imperatore era avvolto da un'aura nera scintillante.
"L'esperienza ti fa difetto! Non pago del dolore subìto vuoi ripetere due volte lo stesso errore? E sia, proverai ancora una volta l'agonia della distruzione: Estinzione del Sole!!"
Il cosmo tenebroso del Dio si alzò maestoso, prendendo nuovamente le sembianze del serpente nero araldo della caos. Sibilando sinistramente, il mostro fronteggiò i venti della Nebulosa per poi prenderne di mira il creatore e sfrecciare verso di lui pronto a divorarlo.
"Non so come tu abbia potuto sopravvivere al mio primo affondo, ma stavolta non avrai scampo!" sorrise Apopi.
Andromeda però lo ignorò. Pur in procinto di essere investito dalla micidiale tecnica segreta del Dio, chiuse l'occhio, concentrandosi al massimo e tendendo tutto se stesso verso un unico obiettivo.
"E' la mia unica possibilità, non avrò altre occasioni! Pegasus, Cristal, Sirio, in passato avete saputo trovare dentro di voi la capacità per ribaltare battaglie che sembravano già scritte, creando nuovi colpi segreti che vi hanno condotto alla vittoria! E' tempo che anch'io, che avevo sempre fatto solo affidamento su quanto appreso o sviluppato sull'Isola di Andromeda, faccia lo stesso! Seguirò la strada che Zeus mi ha indicato!" decise, stringendo con forza la catena che non aveva mai richiamato dopo lo scontro con i Sibili nel Deserto.
"Mia fedele compagna, abbiamo sempre combattuto insieme, crescendo ed affrontando le avversità! Non so se riuscirai a resistere, questa tecnica potrebbe distruggerti o condurci alla vittoria! Affidami la tua vita come io ti ho sempre affidato la mia: io credo in te, Catena di Andromeda!" sussurrò, facendo esplodere il suo cosmo.
Dall'altro lato del campo di battaglia, Apopi spalancò gli occhi sbalordito nel vedere una nuova energia innalzarsi dal corpo del Cavaliere, mentre i venti della Nebulosa cambiavano direzione, contorcendosi su se stessi e formando un vortice sempre più concentrato e compatto.
Per alcuni attimi, esso si dimenò in aria, come fuori controllo, poi cambiò direzione e saettò verso il serpente nero, entrandogli direttamente in bocca. L'oscurità sembrò allora chiudersi su di esso, ma non fu che un'illusione, perchè una frazione di secondo dopo il vortice ricomparve, avendo trapassato da parte a parte il rettile di energia.
"Non è possibile, che prodigio è mai questo?!" esclamò Apopi, prima di rendersi conto che non era finita: l'attacco stava infatti sfrecciando verso di lui ad una velocità superiore a quella della luce, e soprattutto non si trattava solo di energia cosmica. Qualcosa risplendeva al suo interno, nell'occhio del ciclone.
Resosi conto della verità in una frazione di secondo, l'Imperatore incrociò disperatamente le braccia, venendo però colpito lo stesso in pieno al fianco.
"Nebula Chain!!" gridò Andromeda, non potendo trattenere un sorriso nel vedere la forza del colpo segreto che aveva appena creato. Di fronte a lui Apopi venne sbalzato in aria, accompagnato da frammenti di armatura e persino schizzi di sangue nero, per poi ricadere a terra con la schiena. Contemporaneamente, la Nebulosa si dissolse, rivelando al suo interno la catena di attacco, ancora ammantata di energia.
"N… Nebula Chain?!" ripetè Apopi sollevandosi su un ginocchio e stringendo il fianco ferito. La catena non aveva solo spaccato l'armatura, ma persino lacerato la carne e indebolito l'area circostante. Incredulo, si guardò la mano sporca di sangue prima di fissare di nuovo l'avversario.
"Da dove viene questa tecnica, avevi nascosto un'arma così potente per tutto questo tempo?!" domandò a denti stretti. In risposta, Andromeda chiuse l'occhio, pensieroso.
"No, sei in errore. Non di arma nascosta ad arte si tratta, ma di una tecnica che ho appena creato per sconfiggerti!" ammise con calma. Nel sentirlo, Apopi contrasse il volto in una smorfia di disprezzo.
"Non osare prenderti gioco di me! Come potresti essere riuscito a creare un colpo così devastante nella furia della battaglia?!"
"E' stato Zeus… a indicarmi la strada!" affermò, riaprendo l'occhio per fissare al meglio il nemico "Dopo aver forgiato queste nuove armature, il signore dell'Olimpo ha dato a ciascuno di noi un consiglio, parole evidentemente preziose sul cui senso non ci eravamo però soffermati. A me ha detto… che non sempre in battaglia vi è una sola risposta, e che la vittoria talvolta arride a chi è in grado di unire in se la placida calma e la dirompente furia!"
"Consigli? I deliri di un folle morente piuttosto!" schernì Apopi, rialzandosi in qualche modo in piedi. Andromeda però scosse la testa, proseguendo come se non lo avesse udito.
"In origine… il nome greco della mia catena si sarebbe potuto tradurre come "Nebula Chain", Catena della Nebulosa, per via delle spire che disegnava a terra nella sua configurazione difensiva di base, simili agli anelli della Nebulosa che mi è propria. Col tempo questo nome cadde in disuso, ed essa assunse semplicemente quello di Catena di Andromeda, in segno di rispetto al Cavaliere che fosse riuscito a dominarla nella prova finale dell'addestramento! Essa è un'arma straordinaria, dotata di molti poteri incredibili e capace di ricevere il cosmo che in lei è riversato… entro dei limiti!" disse, ripensando ai giorni trascorsi sotto la guida di Albione.
"Nel prenderne per la prima volta il controllo, anni fa di fronte al mio maestro, la infusi inavvertitamente dell'energia della tecnica che avevo sviluppato inconsciamente, quella che sarebbe poi diventata la tempesta che conosci come Nebulosa di Andromeda. Nel farlo, mi resi conto che persino la catena, pur con tutti i suoi poteri, era inadatta a riceverne in pieno la forza: era cosmo allo stato puro, troppo potente per un'armatura di bronzo. Compresi che avrei dovuto essere prudente per evitare di distruggere la mia stessa arma! Nella speranza di non aver mai più bisogno di ricorrere alla Nebulosa, mi limitai a combattere con la sola catena, e quando, alle Dodici Case e poi in Asgard, fui obbigato a sfruttare la mia arma più potente, feci sempre attenzione a privarmi prima della corazza, per dare al nemico una possibilità, ma anche per proteggere l'armatura stessa!
"Con il passare del tempo, l'armatura e la catena di Andromeda attraversarono diverse evoluzioni, divenendo sempre più potenti e resistenti, ma anche la forza della Nebulosa aumentò di pari passo, mantenendo inalterato il rischio. Solo quando l'armatura raggiunse il livello di corazza divina osai ricorrere alla Nebulosa senza privarmene, a volte usandola persino in sequenza con la catena. La posta in gioco era sempre più alta, i nemici sempre più potenti… non c'era più spazio per le esitazioni! Ma, quando possibile, feci comunque attenzione a ritirare la catena per proteggerla dall'impeto dei venti…"
"Fino ad ora!" lo interruppe Apopi "Fino alle parole di un Dio in rovina che ti hanno convinto a rischiare!"
"La calma e la furia unite insieme… la Catena e la Nebulosa congiunte in un unico attacco, forte della letale precisione della prima e della potenza devastante della seconda! Era questo il significato recondito delle parole di Zeus!" concluse Andromeda.
"E così hai rischiato… la salvezza della tua arma in cambio di una speranza di vittoria! Una mossa coraggiosa ma risolutiva, devo dartene atto!" concesse l'Imperatore.
"No… non ho rischiato… non davvero!" lo contraddisse però Andromeda, guardando con gratitudine gli anelli della sua arma "La protezione del sangue di Eolo ha annullato ogni pericolo, permettendo ai venti della Nebulosa di circondare la catena senza danneggiarla ben più di quanto io avrei saputo fare! Non l'ho capito che all'ultimo istante, nel momento in cui l'ho lanciata! La saggezza di Zeus è grande: egli… non ha solo riparato le nostre armature, ma credo che abbia anche usato il sangue della divinità più adatta per ciascuno di noi! Se fosse stata la linfa vitale di Ares, Ermes o Apollo a creare la Regina dei Venti, di certo ora sarei stato sconfitto!".
"E' comunque quello il tuo destino, non illuderti credendo altrimenti!" affermò però Apopi, espandendo il suo cosmo.
"Hai ancora intenzione di combattere? La situazione si è capovolta, adesso sei tu a non aver difese! Non c'è ragione per ulteriore violenza, cedi il passo, ti prego!" supplicò ancora una volta calorosamente il Cavaliere, ottenendo però solo uno sguardo di sdegno.
"Cedere il passo a te? Un essere umano e per di più straniero? Per me che per millenni ho attentato alla vita del sole, sarebbe un fato ben più ignominioso della morte stessa! Ma non temere, nè la resa nè l'oblio sono scritte sulla stele del mio destino, solo la vittoria, in nome del signore Erebo!" annunciò. Nell'osservarne gli occhi, Andromeda si accorse che si erano nuovamente ristretti come quelli di un serpente pronto a ghermire la preda.
A malincuore, si mise in posizione di guardia, quando una fitta di dolore lo obbligò a guardare la gamba destra: il copricoscia era incrinato e da esso scorrevano copiosi flotti di sangue. "Ma allora…!"
"L'Estinzione del Sole: non sei riuscito ad evitarla come credevi, non del tutto! La tua nuova arma è valida ma non ti basterà per trionfare, la distanza che ci separa è ancora troppo grande perchè tu possa colmarla! Sin dai tempi più antichi, Cavaliere, sin dalle più lontane civiltà, gli umani hanno guardato agli Dei con timore e rispetto, prostrandosi al suolo e offrendo doni per ottenerne la grazia! Potresti forse colmare tu l'abisso che ci separa? La mia superiorità, così come la mia vittoria, è scritta nella storia!" proclamò trionfante lanciando un raggio di energia. Rallentato dalla ferita alla gamba, l'eroe non riuscì a schivarlo del tutto, venendo spinto indietro, e questo permise al Dio di portarsi a ridosso concentrando il cosmo nelle mani.
"Accecato dalla tua stessa presunzione, non ti rendi conto che è inutile?" ribattè improvvisamente Andromeda, guardandolo negli occhi "Se anche Erebo riuscisse a vincere non otterresti il regno che tanto agogni. Saresti solo un vassallo, lontano da lui quanto noi umani lo siamo da te!"
"Taci!" lo redarguì Apopi, alzando entrambe le braccia nella posa dei Sibili nel Deserto e centrandolo a distanza ravvicinata, travolgendolo e facendogli sputare sangue "Cosa ne sai tu della grandezza di Lord Erebo? Lui è colui che purgherà il mondo dalla luce dando il via all'avvento delle tenebre, avverando ogni nostro desiderio! Lui per noi…"
"E' come un Dio?" concluse il Cavaliere, rialzando la testa da terra ed obbligandolo a fermarsi esitante "Non l'hai forse definito «un Dio per gli Dei» all'inizio del nostro duello? E questo non fa di te un suddito, simile agli uomini che tanto disprezzi?!"
Punto sul vivo, Apopi barcollò confuso, sembrando quasi incerto. La sua indecisione non durò però che qualche istante, appena il tempo perchè Andromeda si rialzasse in piedi, poi il Dio strinse il pugno con fermezza lasciandosi circondare di nuovo dal suo cosmo nero.
"Non ha senso continuare questo dibattito, chi come te prospera nel sole non potrà mai comprendere la grandezza di Lord Erebo, che ha saputo resistere ad un'esistenza di prigionia negli abissi del tempo! Le tue tracotanti parole non possono essere perdonate, ti colpirò come avrei dovuto fare sin dall'inizio, con la mia tecnica suprema alla massima potenza! Spegniti ora, Cavaliere di Atena!! Estinzione del Sole!!" gridò, liberando il suo colpo segreto.
Andromeda cercò di lanciare la catena in sua difesa, ma la serpe fu subito su di lui, ingoiandolo ed innalzandosi al cielo.
"Ah ah ah ah, credevi non mi fossi accorto del punto debole della tua nuova tecnica? Per poterla eseguire devi sferrare i tuoi attacchi nella giusta sequenza, e soprattutto hai bisogno di tempo per concentrare l'energia del tuo cosmo! Ma il tuo tempo è giunto a termine, l'epopea della tua vita guerriera si chiude qui, per mano di un messia dell'Apocalisse! A…" gridò trionfante Apopi, ma dopo qualche attimo le parole gli morirono in gola, lasciandolo immobile con la bocca ancora spalancata. Dal corpo del serpente d'ebano uscivano infatti accecanti raggi di luce scarlatta, prima sottili, poi sempre più spessi e luminosi.
Improvvisamente, con un bagliore intensissimo, la testa del rettile esplose, spazzata via dall'interno da un'energia superiore. Al suo posto, Apopi vide Andromeda sospeso in aria, grondante sangue da numerose nuove ferite ma con con le ali dell'armatura spiegate ed il corpo circondato dalla spirale della catena difensiva. Essa però non era l'arma normale: proprio come quella di attacco poco prima, era avvolta dal vortice rosato della Nebulosa, capace di trasformare la spirale di difesa in un vero muro di vento.
"Il punto debole che hai appena descritto l'avevo già previsto, non altrettanto hai saputo fare tu con la tua tecnica suprema! Il serpente nero araldo della fine avvolge la preda nelle sue fauci, sprofondandola nell'oscurità totale, ma a causa del tuo stesso sadismo sono necessari alcuni secondi prima che l'effetto sia completo! In quegli istanti in cui le tenebre avrebbero dovuto soffocarmi, ho saputo reagire!" dichiarò con sicurezza, prima di sollevare la mano destra in cui stringeva la punta della catena di attacco, risplendente di energia cosmica.
"E' la tua ultima speranza, Imperatore dell'Apocalisse! Arrenditi, non te lo chiederò ancora: troppi amici stanno rischiando la vita, è tempo che io vada!" lo supplicò.
In tutta risposta, Apopi esplose il suo cosmo, un lampo di follia negli occhi al posto della normale espressione compassata.
"Mai! Non indietreggerò mai di fronte ad un essere umano! Estinzione Solare!!!" gridò, ricreando la testa del serpente nero e lanciandolo all'attacco.
"E sia… come un faro tra le tenebre risplendi e colpisci, mia Nebula Chain!!!" rispose Andromeda in un sospiro, lanciando la sua nuova arma.
La Nebula Chain saettò in avanti alla velocità della luce come un fulmine, scontrandosi con le fauci del serpente di Apopi. Dopo un istante di equilibrio, la forza della catena ed i turbini della Nebulosa ebbero la meglio, frantumando le zanne della creatura e trapassandone il corpo per tutta la lunghezza, fino a raggiungere il Dio stesso all'altra estremità ed attraversarne diagonalmente il torace.
Con un fremito, l'armatura dell'Imperatore andò in pezzi, accompagnata da copiosi flotti di sangue nero che schizzarono in tutte le direzioni.
Con gli occhi spalancati, il Dio aprì la bocca allibito, ma non riuscì ad emettere alcun suono: gorgogliando, la linfa vitale gli riempì la gola e la bocca stessa, iniziando a grondare all'esterno, e disegnando ironicamente delle zanne nere di serpente sui bordi del mento prima di gocciolare a terra. Tendendo incredulo la mano in avanti, Apopi fissò Andromeda con un misto di odio e disprezzo e mosse qualche passo verso di lui, per poi crollare a terra ormai privo di vita.
Osservandolo rammaricato, il Cavaliere placò il proprio cosmo, richiamando a se le catene. Il suo corpo sanguinava da una mezza dozzina di ferite, punti in cui l'Estinzione del Sole era riuscita a penetrare persino la Regina dei Venti.
"Se non fosse stato per quest'armatura rinata con il sangue di Eolo, e per i consigli di Zeus, a quest'ora sarei io quello riverso al suolo privo di vita! Vi prometto che farò tesoro dell'aiuto che mi avete dato!" sussurrò il ragazzo con gratitudine, poi un'espressione dubbiosa gli comparve sul volto.
"Chissà a chi apparteneva quella voce che mi ha scosso, strappandomi dall'abisso dell'oblio! Era flebile e lontana, ma anche amica, quasi familiare… e colma di un'infinita tristezza…" pensò malinconicamente per qualche secondo.
Incapace di trovare una risposta, sospirò e scosse la testa, riprendendo finalmente la corsa.
***************
LA GRANDE GUERRA DI ASGARD
Prologo
Ilda di Polaris ed i Cavalieri riuniti ad Asgard osservarono le scie luminose di Pegasus, Sirio, Cristal, Andromeda e Phoenix perdersi nel cielo tra le prime luci del mattino. Quando furono svanite all'orizzonte, tutti loro provarono un misto di sollievo ed ineluttabilità, consapevoli che il momento della battaglia imminente in cui il loro fato sarebbe stato scritto era ormai imminente, e per diversi minuti restarono tutti chiusi nei loro pensieri, in silenzio.
Ironia della sorte, fu un soldato semplice a scuoterli, annunciando la propria presenza con un colpo di tosse imbarazzato ed inginocchiandosi di fronte ad Ilda, cui sussurrò qualcosa.
Annuendo, la ragazza sospirò e chiuse gli occhi per qualche secondo, prima di riaprirli e voltarsi verso tutti i presenti "Le prime Naglfar, avanguardia dell'esercito di Erebo, stanno solcando i cieli sopra il Mare del Nord. Saranno probabilmente qui in meno di un'ora!" esclamò, evitando di soffermarsi sui loro occhi per più di una frazione di secondo.
L'annuncio fu seguito da un secondo di silenzio mentre i Cavalieri assorbivano la notizia, ma poi la maggior parte di loro annuirono, serrarono i pugni o sorrisero perfino.
"Che vengano! Scopriranno sulle loro carni il fato che attende gli invasori!" dichiarò Orion.
Leggermente sollevata, Ilda annuì, ordinando al soldato di far definitivamente chiudere le porte della città, al cui interno si erano ormai rifugiati tutti gli abitanti dei villaggi vicini. Congedato l'uomo, fece poi cenno a tutti gli altri di seguirla nella sala dove avevano discusso il piano d'azione la sera prima, per dare le ultime istruzioni.
"La nostra priorità" - iniziò, restando in piedi a capotavola - "sarà impedire alle truppe di penetrare all'interno del secondo cerchio di mura. Finchè potremo sfruttare le difese di Asgard, la loro superiorità numerica sarà inutile, ed anzi gli si ritorcerà contro, rendendo caotici i loro movimenti! Se però dovessero entrare, la situazione si ribalterebbe e ci ritroveremmo accerchiati, senza via di scampo! Per questo motivo, sarà vitale disporci adeguatamente in campo… gli Einherjar sono abili e valorosi, dotati di un'abilità guerriera affinata da secoli di esperienza, ma sono anche privi di armature ed incapaci di sfruttare fino in fondo la vera forza del cosmo, per questo è necessario che siate voi Cavalieri a sostenere l'urto degli assalti nemici! Specie se, come temo, non è solo contro gli spiriti malvagi risorti dall'oltretomba che dovremo lottare!"
"Crede che non saranno solo loro a muoverci guerra?" intervenne Doko.
"Vorrei… che fosse così, le nostre speranze sarebbero decisamente maggiori contro un esercito privo di qualsiasi disciplina, che ha solo nel numero la sua forza! Ma è il Ragnarok quello che ci troviamo ad affrontare… ed il Crepuscolo degli Dei ha i suoi demoni assetati di sangue!" sospirò la Celebrante. Immediatamente, i Cavalieri del Nord si accigliarono, scambiandosi sguardi ben consapevoli.
"Fenrir, Surtur, Jormurgander ed Hela, i messi della fine!" disse Orion a denti stretti.
"La loro presenza tra le schiere di Erebo è molto probabile!" annuì Ilda, pensierosa "Non tutti forse prenderanno parte a questa battaglia, ma di certo ci sarà qualcuno a comando dell'esercito! Hela, che dell'aldilà è incontrastata sovrana, non perderà l'occasione di condurre le sue schiere verso la carneficina!"
"Una divinità… questo rende tutto più difficile! Se la sua forza è pari a quella di Titania…!" mormorò preoccupato Toro, ben memore degli immensi poteri della regina di Avalon.
"La spada di Odino… Balmung… non potrebbe esserci d'aiuto? Al pari del tridente di sire Nettuno o della folgore di Zeus, essa è arma di fattura divina, e quindi mortale anche per Hela!" ricordò Syria.
"Non è così semplice, purtroppo!" intervenne Orion "Balmung è parte dell'armatura di Odino, e come ogni armatura essa può essere adoperata solo con il consenso del suo padrone! Ora che il signor Odino è scomparso, l'armatura non accorrerà in nostro aiuto finchè non percepirà un'altra persona degna di indossarla, anche solo temporaneamente! Ma la maggior parte di voi non appartiene alla fede degli Dei del Nord, ed a noi è stata solo elargita una vita provvisoria tra le mura del Valhalla. In queste condizioni… Balmung potrebbe anche non venire in nostro soccorso!" spiegò mestamente e con evidente rammarico.
"La spada di Odino non è la sola arma dotata di un potere deicida!" intervenne in quel momento Scorpio, attirando l'attenzione di tutti su di se. Ioria e Doko in particolare si accigliarono, intuendo ciò cui il Cavaliere dell'ottava casa stava pensando.
"La daga d'oro del Grande Sacerdote, donata da Crono a Gemini affinchè attentasse alla nobile Atena! Lady Isabel la utilizzò per prendere la propria vita nelle prime ore della guerra contro Hades!" ricordò seriamente.
"E' vero, pur portatrice di una storia infausta, quella lama ci sarebbe indubbiamente utile!" commentò Mur "Essa… si trova ancora lì, nella sala del trono del Grande Tempio! Ma come raggiungerla? L'esercito di Erebo è alle porte, il teletrasporto sarebbe sicuramente avvertito!"
"Uno di noi dovrebbe scivolare dietro le linee nemiche, raggiungere il Santuario, prendere il pugnale e fare ritorno, non vi sono altre alternative!" esclamò il custode dell'ottava casa, facendo un passo in avanti.
"Intendi offrirti volontario, Cavaliere di Scorpio?" gli chiese Ilda, ottenendo un cenno di assenso.
"E' necessario che sia uno di noi ad andare, per entrare al Grande Tempio senza incontrare resistenza, e sono il più adatto per una missione del genere!" spiegò.
Pensierosa, Ilda soppesò la cosa per qualche secondo, prima di annuire, seppur ad una condizione "Alcor e Luxor ti accompagneranno!" disse, lanciando un'occhiata ai due, che, pur sorpresi, acconsentirono con un movimento del capo. Scorpio aprì la bocca per obiettare, ma la donna lo precedette "Anche nella furia della battaglia, è improbabile che il nemico non si accorga della tua partenza, e non sappiamo di che guerrieri Hela disponga! Lasciarti andare da solo equivarrebbe non soltanto a condannarti a morte, ma anche a perdere un'arma che potrebbe essere la nostra unica speranza!".
Pur non convinto, il Cavaliere d'Oro sospirò ed annuì con la testa, lanciando un'occhiata ai due guerrieri di Asgard. L'essere inviato in missione proprio con Luxor in particolare lo incuriosiva, dopo la conversazione avuta qualche ora prima "Sembra proprio che dovrò davvero verificare in prima persona la tua determinazione sul campo di battaglia!" pensò, concedendosi un sorriso.
Ilda intanto proseguì, come scorrendo sistematicamente una lista di punti che aveva stabilito. Pur sul baratro di una crisi imminente, la sua mente era rimasta fredda, resistendo alla tentazione di cedere al panico.
"Nelle ultime ore, nell'espandere il mio cosmo ho anche creato una barriera sui cieli immediatamente sopra Asgard! Questo impedirà alle Naglfar di sorvolare la città e far entrare l'esercito direttamente al suo interno, riducendo il loro peso nel conflitto. Potremo infatti concentrare la battaglia a terra, posizionando la maggior parte delle truppe sulle mura a Sud ed attorno al cancello principale! C'è però un'altra cosa che dovremo custodire con attenzione, un ingresso sotterraneo che collega Asgard alla caverna vulcanica che si trova non lontano dalla costa!"
A queste parole, Orion ed Artax guardarono di colpo la Celebrante, mentre gli altri si scambiarono sguardi confusi.
"Esiste un passaggio segreto?" domandò Ioria.
"Si, le sue origini risalgono ad oltre tremila anni fa, a quando la città di Asgard fu edificata per la prima volta!" rispose Ilda "Ad erigerla, simbolo dell'imperitura fede nel nostro popolo nel signore Odino, furono le quattro famiglie più importanti dell'epoca: la famiglia Polaris, la famiglia Duhbe, la famiglia Merak e la famiglia Alberich. I Polaris, di cui io e Flare siamo gli ultimi discendenti, divennero la dinastia regnante, mentre alle altre
tre venne garantito di poter sempre vivere a palazzo, come ricompensa per la loro fedeltà ed atto di fiducia. Orion ed Artax sono gli ultimi discendenti delle famiglie Duhbe e Merak… ma la famiglia Alberich è quella di Megres, l'unico Cavaliere di Asgard cui l'accesso al Valhalla è stato precluso per le turpi azioni di cui si era macchiato in vita!""Quel vile non è più tra noi, quindi perchè preoccuparsi? Il passaggio segreto resterà tale!" esclamò Thor. Fu però Doko a rispondere, intuendo quel che passava nella testa della Celebrante.
"Teme… che egli faccia ora parte delle schiere del nemico?" domandò, suscitando numerosi sguardi preoccupati.
"E' una possibilità che non possiamo ignorare! L'astuzia di Megres era grande, ma anche la sua abilità… queste doti potrebbero non essere sfuggite ad Hela, senza contare che, come ex Cavaliere di Asgard, avrebbe un notevole peso strategico! D'altra parte però, non possiamo rischiare di indebolire le nostre difese solo sulla base di una supposizione… per questo la cura del passaggio sarà affidata solo ad uno o due Cavalieri! Mime, per te che meno di altri hai bisogno di spazi aperti su cui muoverti in battaglia, quegli anfratti sarebbero congeniali: affido a te la loro difesa!" decise la donna, voltandosi verso il musico, il quale rispose annuendo rispettosamente.
"Se me lo concede… mi unirò anche io a lui!" intervenne Doko "E' stato il mio allievo, Sirio, a sconfiggere Megres, ed io stesso combattei contro suo padre anni fà! Conosco le anime della natura che è in grado di evocare, e saprei come contrastarle!"
"Va pure! La tua esperienza è ben nota, Cavaliere di Libra, se i miei timori avranno ragione di fondamento essa ci sarà di certo d'aiuto!" acconsentì Ilda, per poi rivolgersi a tutti gli altri "Noi seguiremo la battaglia dalle mura, insieme ai soldati ed agli Einherjar, appoggiandoli ed accorrendo dove ci sarà maggiormente bisogno! Ricordate, la nostra missione non è necessariamente vincere, ma almeno resistere il più a lungo possibile, in modo da dare a Pegasus ed i Cavalieri il tempo di cui hanno bisogno! E' improbabile che i più fedeli servitori di Erebo abbiano lasciato Avalon, quindi i Cavalieri necessiteranno almeno di qualche ora per raggiungerlo. Resistere per un giorno intero, è questo che vi chiedo! Il tramonto del sole sarà il nostro obiettivo: la notte di Asgard… la cui discesa già una volta ha scandito una battaglia per la giustizia, determinerà il destino della nostra città, e forse del mondo!"
Tutti i presenti annuirono, pur consapevoli di quanto quella missione sarebbe stata difficile. Resistere un'intera giornata contro il più potente esercito del creato era impresa improba, il nemico avrebbe potuto schiacciarli con la sola forza del numero, ma non avevano scelta.
In quel momento, udirono in lontananza un rumore ritmico e pesante, solo parzialmente soffocato dalla neve ed inquietante nella sua semplicità. Il suono inconfondibile di migliaia di spade e scudi che sbattevano tra di loro minacciosi. Un attimo dopo, un soldato si precipitò di corsa nella stanza, il volto pallido e gli occhi colmi di paura.
"Il… il nemico, si sta avvicinando!"
Con un ultimo sguardo di assenso, e nel contempo di saluto, Ilda ed i Cavalieri si diressero verso le postazioni prestabilite. Solo Artax tardò ad uscire, lo sguardo cupo attraversato da mille pensieri.
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In un'ampia cabina sottocoperta a bordo della Naglfar maestra, talmente grande da essere paragonabile ad un vero e proprio salone, diverse figure attendevano con impazienza l'inizio della battaglia. L'atmosfera però era tutt'altro che calma, minata da dissidi interni.
"Quel miserabile!" esclamò rabbiosamente un guerriero sfondando una paratia con un pugno "Non è che il settimo Comandante, come osa cercare di scavalcarci di fronte alla nostra regina! Ordinarci di attendere come se fossimo suoi servi!"
"Porta pazienza, Fasolt!" lo calmò un altro, scoccandogli uno sguardo di rimprovero "Per quanto sia frustrante, Hela in persona gli ha consegnato il comando della missione, almeno per adesso. Disobbedirgli sarebbe come disobbedire a lei stessa: un atto di tradimento!"
"Come puoi essere così calmo, Gunther?!" rispose frustrato colui che era stato chiamato Fasolt "Tu sei il sesto Comandante, il prossimo che Megres potrebbe scavalcare! Non provi ira al pensiero che egli possa presto prendere il tuo posto? La nostra fedeltà alla regina Hela è fuori discussione! Lui invece ha negli occhi la luce dell'inganno!"
"E' vero, la scalata di Megres al potere è stata rapida finora…" intervenne una terza figura, che finora era rimasta in silenzio comodamente seduta su una poltrona "Se in questa battaglia dovesse riportare successo, la sua fama potrebbe superare quella di Gunther, e persino avvicinarsi alla tua, quinto Comandante Fasolt!"
"Non sembri preoccupato, Alberico! Ti senti sicuro dall'alto del tuo quarto seggio?" rispose stizzito Fasolt, pentendosene però quasi subito alla vista dello sguardo dell'altro.
"Soprassiederò al tuo commento… per ora, ma ricorda chi è il tuo superiore!" disse in tono pericolosamente calmo Alberico, prima di proseguire "Quanto a Megres, bisogna dare atto della sua abilità… affabulatoria se non guerriera! Ma la battaglia ristabilirà i valori in campo, non avete nulla da temere!"
"Sua eccellenza Alberico ha ragione… Megres non potrà mai insidiarvi!" aggiunse timidamente un'altra figura, dalla corporatura minuta ed il volto coperto da una maschera. Nel sentire la sua voce però, l'espressione di Fasolt tornò ad accigliarsi, mutandosi in disprezzo.
"Fa silenzio, Seven Macaw! Non dovresti nemmeno trovarti in questa stanza in nostra compagnia tu che sei l'ultimo tra noi, nonchè l'ultimo ad esserti unito a noi, comparendo un giorno al nostro cospetto e strisciando supplicante di unirti alle nostre schiere! Non so ancora come tu abbia sconfitto il decimo Comandante precedente e preso il suo posto, ma la tua sola presenza mi dà solo ribrezzo!" disse sgarbatamente, spingendo l'altro ad indietreggiare con il capo chino e lo sguardo basso.
"Modera i toni, è pur sempre ad uno dei dieci Comandanti della regina Hela che ti stai rivolgendo!" esordì in quel momento una voce, mettendo tutti sull'attenti, e spingendo persino Alberico ad alzarsi di scatto e chinare il capo.
"Secondo Comandante Sigmund!" salutò rispettosamente Fasolt, prima di accigliarsi nel vedere le figure che lo accompagnavano "Megres e Semargl… come mai insieme a lei?"
"L'ottavo Comandante Semargl è qui per ordine della nostra sovrana!" disse l'uomo chiamato Sigmund, rispondendo solo a parte della domanda "Tre figure hanno appena lasciato Asgard alla velocità della luce: sua maestà Hela mi ha ordinato di inseguirle, insieme a Semargl ed al decimo Comandante Seven Macaw!"
Immediatamente, l'uomo mascherato annuì rispettosamente, avvicinandosi a Sigmund.
"Partire insieme a due stranieri che non appartengono neppure alla nostra stessa stirpe!" esclamò Fasolt di rimando "Non è adatta a lei una tale compagnia, permetta a me di accompagnarla!"
Il secondo Comandante però scosse il capo "Sono state le spie di Seven ad informarci della partenza di quei tre… e comunque la tua presenza è richiesta altrove" rispose brevemente, prima di uscire insieme agli altri due.
Sorridendo, Megres si avvicinò a Fasolt, passandogli accanto e superandolo "Non temere, la gloria che brami la troverai presto, ho una missione da affidarti!" disse in tono amichevole, dandogli le spalle "Esiste un passaggio segreto che conduce al palazzo reale di Asgard: se lo conquistassimo, la vittoria sarebbe assicurata! Voglio che sia tu ad occupartene, in fondo la tua forza è nota a tutti… anche se ovviamente ti accompagnerò, dopotutto potrebbe essere difeso da qualcuno e potresti aver bisogno…"
Spalancando gli occhi, l'uomo si voltò di scatto.
"Io sono il quinto Comandante dell'esercito di Hela, Fasolt il Prode! Non ho alcun bisogno del tuo aiuto, conquisterò da solo questo passaggio, anche se a proteggerlo ci fosse Odino in persona!" dichiarò orgoglioso, prima di uscire dalla stanza senza neppure attendere una risposta.
Tra i presenti, solo Alberico notò il sorrisetto comparso sul volto di Megres.