RESISTENZA
Alex Josephson non ne poteva più.
Tentando ancora una volta - l'ennesima - chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie con le dita per cercare di ignorare il rumore che lo circondava ed il mal di testa crescente, ma come le precedenti non servì a nulla.
Istintivamente, la mano sfiorò la tasca della giacca dove teneva l'Ipod, ma poi tornò mestamente a poggiarsi sul sedile.
"Perché diavolo non ho portato il caricabatterie?!" si lamentò, maledicendosi per la sua sbadataggine.
"Stiamo per atterrare! Stiamo per atterrare!", gridò una voce stridula alle sue spalle, subito accompagnata da vari "aaah", "ooh" e pure qualche "wow", strappandogli una smorfia.
Girandosi, lanciò un'occhiataccia al ragazzino seduto nella fila precedente, desiderando ardentemente di poterlo fulminare con lo sguardo, ma quello fece spallucce e continuò a parlare eccitato con gli amici.
"Magari se metto lo stesso gli auricolari…", pensò, tirandoli fuori ed infilandoseli rapidamente nelle orecchie.
Purtroppo però, senza musica era come se non ci fossero, non fermavano minimamente il fracasso.
Sospirando, lanciò un'occhiata verso il finestrino, notando con sollievo che effettivamente le forme di New York si stavano facendo sempre più vicine. Da diversi minuti ormai la spia della cintura di sicurezza si era riaccesa, segno che l'aereo aveva incominciato la sua discesa e presto avrebbe raggiunto il JFK. Poi quella tortura sarebbe finita.
Il pensiero lo fece sentire un po’ meglio. Abbassò la tendina e, dando fondo a tutte le forze che aveva, chiuse gli occhi, concentrandosi il più possibile per escludere il rumore.
Erano trascorse più di sette ore dalla partenza da Amburgo, e quel viaggio era stato un tipico caso di quelle situazioni in cui il buongiorno si vede dal mattino: oltre un'ora di ritardo al decollo, hostess che avrebbero dovuto perdere come minimo qualche chilo prima di poter essere definite almeno carine, schermo con una scelta minima di film, e dulcis in fundo il gruppo di bambini più rumoroso del mondo seduto accanto e dietro di lui.
Per tutto il tempo non avevano fatto altro che parlare ad alta voce e né il personale di bordo né i parenti o genitori o quel che erano si erano presi la briga di zittirli. Sette ore costretto a sentire quelle voci stridule fare discorsi su ragazze, baseball, scuola, film, fumetti e decine di altri argomenti che non lo interessavano minimamente.
In quel momento, i bambini urlarono persino più forte di prima. Li maledì di nuovo, tentato all'idea di alzarsi e fare una scenata, ma ormai mancava così poco all'atterraggio.
"Che vadano a farsi fottere le regole del Terminal! Appena sceso dalla scaletta telefono Jamie e le dico di iniziare a cucinare! Se non c'è traffico sarò a casa…"
Un altro urlo interruppe i suoi pensieri. Stavolta però non era stridulo ma più profondo, come di un adulto.
Passò un istante, poi altri tre o quattro grida. Uno persino dalla fila davanti alla sua, dove sedeva una coppia di anziani.
"Ma che diavolo…", pensò, riaprendo gli occhi ed accorgendosi che tutti i passeggeri stavano guardando fuori dai finestrini sul suo lato dell'aereo. Confuso, alzò la tendina per fare lo stesso.
E la mascella gli cadde dalla sorpresa.
Come sospesa a mezz'aria ad alcuni metri da loro, c'era una nave, lunga e sottile, senza vele o albero maestro ma con lunghe file di remi che uscivano dallo scafo. Aveva uno strano colore grigiastro, e riusciva a tenere agilmente il passo con la velocità dell'aereo.
"Non è possibile…", balbettò, ancora con la bocca aperta.
Sbatté le palpebre, aspettandosi quasi che sparisse, ma non fu così. Attorno a lui, c'era chi parlava di alieni, chi piangeva, chi gridava, persino chi pregava.
Guardando meglio, si accorse che la nave non era sola. Centinaia di altre del tutto identiche riempivano il cielo alle sue spalle. Ma questa era più vicina, ed aveva la prua inclinata nella direzione dell'aereo.
Il pensiero si formò autonomo, figlio di tanti documentari e film di guerra: "È… in rotta d'intercettazione"
Nello stesso momento, sulla fiancata comparvero fila di guerrieri, tutti con indosso la stessa armatura integrale grigia, ed in mano degli archi neri.
Alex capì cosa stesse per succedere, ed il cuore gli si fermò nel petto.
Una pioggia di frecce partì all'unisono, trapassando la carlinga e colpendo i motori, che presero subito fuoco.
In preda alle fiamme, l'aereo perse quota e precipitò, esplodendo a mezz'aria e bombardando New York con una pioggia di detriti.
Nell'ufficio del ministro della difesa, il telefono iniziò a squillare.
Pochi minuti dopo, nelle strade della più famosa città d'America regnava il caos. Strappata dalla propria routine quotidiana di fine giornata, la gente fuggiva in preda al panico, mentre nugoli di frecce piovevano dal cielo, seminando morte.
Nella confusione dominante, quasi nessuno si accorse di tre comete dorate che attraversarono il cielo venendo da Oriente. Giunte al termine del loro arco, esse perforarono un grattacielo come se fossero proiettili e si schiantarono a terra, dove aprirono dei piccoli crateri.
Dopo quasi un minuto, da essi emersero tre figure malconce, coperte di ferite sanguinanti e con indosso armature d'oro piene di crepe e danni.
"U… uuh…", mormorò Toro dolorante "Che… cos'è successo? Dove siamo?"
"Ci siamo… lanciati contro Erebo… e poi…?", ricordò Scorpio, guardandosi attorno confuso.
"Ci ha colpiti… gettati via con un mero gesto…", disse Ioria, intuendo quel che probabilmente era accaduto. Simile ad un vento nero, il cosmo di Erebo li aveva investiti, facendoli sparire nella notte.
Poi il Cavaliere di Leo notò un'auto parcheggiata a qualche metro di distanza, e le si avvicinò incredulo.
"Siamo… negli Stati Uniti! Sono stato qui anni fa, per la missione a Three Miles Island… riconosco questo tipo di targhe!", esclamò.
Toro e Scorpio lo fissarono stupefatti.
"Non è possibile, ti sbagli di certo! Come può questa essere l'America, eravamo in Scozia pochi minuti fa!!", balbettò il custode dell'ottava casa, cercando un'altra spiegazione, ma non riuscendo a trovarla. Per quanto assurdo potesse sembrare, si trovavano davvero dall'altro lato dell'oceano.
"Perché non ci ha uccisi allora… era di certo in suo potere…", si chiese alla fine.
"Ricordate le sue ultime parole, prima di colpirci? «Esseri indegni, incapaci di temere una forza che neppure capite, sparite dalla mia vista!»", ripeté Ioria, iniziando a intuire quel che era accaduto.
"Ci ha scacciati come miseri moscerini indegni del suo tempo… indegni persino di morire per sua mano…", comprese alla fine Scorpio, sentendosi quasi mancare al pensiero della facilità con cui Erebo si era liberato di loro.
"Ma perché solo noi? Che ne è di Mur, di Virgo, e dell'anziano maestro?!", domandò Toro preoccupato.
Bruscamente riportati alla realtà, i due Cavalieri chiusero gli occhi, tendendo al massimo i loro sensi alla ricerca delle aure dei compagni.
"I cosmi di Mur e Libra… posso sentirli anche se sono lontani… appena percettibili…", mormorò alla fine Scorpio, ma nella sua voce era evidente il dolore. "Ma quello di Virgo… è scomparso!"
Un istante di silenzioso dolore accomunò i tre eroi, mettendoli di nuovo di fronte alla tragedia della morte.
"Anche tu ci hai lasciato anzitempo, amico mio… ma sulle zanne che albergano nel mio braccio, giuro che ti vendicherò!", sussurrò Ioria, serrando il pugno con forza.
In quel momento, un grido terrorizzato colse l'attenzione dei tre, che per la prima volta si accorsero di non aver visto nessuno perché si trovavano in una stradina laterale deserta, circondata da palazzi e grattacieli. Adesso però una giovane donna era comparsa sull'imboccatura, correndo terrorizzata e stringendosi disperatamente il braccio sinistro, nel quale era conficcata in profondità una freccia nera.
Nell'accorgersi dei tre Cavalieri, la donna si fermò, guardandoli per un attimo con occhi dilatati dalla paura, prima di indietreggiare, voltarsi e fuggire di nuovo sulla strada principale.
"Fermati! Aspetta! Non vogliamo farti del male!", la chiamò Ioria, muovendosi per inseguirla.
Prima che potesse muovere un passo, il cielo sopra di loro fu scosso da un rombo. Alzando la testa, videro interi squadroni di caccia dell'aeronautica sorvolarli in formazione, e quelli più avanzati persino aprire il fuoco verso qualcosa di fronte a loro.
"Ma che sta succedendo?!", si domandò Toro.
Perplessi, i tre eroi uscirono sulla strada principale, in modo da poter avere una visuale migliore senza essere ostacolati dalla presenza degli edifici, e quel che videro li lasciò senza parole.
Il cielo era letteralmente invaso da centinaia e centinaia di vascelli, i cui scafi bianchi e argentei risplendevano di bagliori rossastri a causa dei riflessi del sole al tramonto. Sui bordi delle chiglie c'erano frotte di guerrieri, tutti con indosso le medesime armature integrali argentate. Alcuni erano armati di archi, altri di lance, altri ancora di asce, coltelli, spade o martelli da guerra.
Contro di loro, impegnati in una battaglia senza speranza, numerosi caccia da guerra sparavano colpi di mitragliatrice o persino missili, ma per ogni vascello che cadeva, altri due sembravano prenderne il posto. I velivoli venivano abbattuti da nugoli di frecce, da guerrieri che si lanciavano sopra di loro senza alcuna esitazione, e persino dalle navi stesse, a volte manovrate in rotta da collisione.
Per di più, ogni volta che un vascello precipitava, i guerrieri a bordo semplicemente si rialzavano, uscendo indenni dai resti e continuando la carneficina al livello delle strade. Queste erano già imbrattate di sangue, coperte da decine di cadaveri, tutti con la medesima espressione terrorizzata sul volto. Alcune macchine si erano schiantate contro gli edifici, altre erano capovolte o in fiamme, mentre lo sciame di guerrieri sfondava anche i balconi e le vetrate, entrando all'interno dei palazzi.
I Cavalieri d'Oro non erano uomini comuni, il fuoco di mille battaglie contro i nemici più terribili li aveva forgiati, ma nella parte più profonda del loro essere erano comunque umani, e mai, in tanti anni, avevano visto un tale massacro. Per qualche istante persino loro rimasero immobili, inorriditi.
Fu un grido di terrore a destarli, un uomo che era stato letteralmente strappato fuori dalla sua automobile e stava per essere trafitto da un guerriero armato di lancia.
Con un ruggito da far gelare il sangue nelle vene, il cosmo di Ioria si infiammò, ed il Cavaliere della quinta casa si lanciò all'attacco.
"Per il Sacro Leo!!!", gridò, fulminando il guerriero con un fascio di luce e scaraventandolo via. Incerto su cosa aspettarsi, rimase immobile in caso di una controffensiva, ma l'essere semplicemente tremò per qualche istante, e poi la sua armatura vuota si scompose e cadde a terra.
"Che razza di creatura…", balbettò confuso.
"Non abbassare la guardia!", gli gridò in quel momento Scorpio, superandolo in velocità, con l'unghia della mano destra che risplendeva di bagliori cremisi.
"Cuspide Scarlatta!!!", gridò, trapassando con le sue punture alcuni guerrieri che stavano convergendo verso l'amico. Come l'avversario di Ioria, anche loro, appena colpiti, caddero a terra non lasciando che armature vuote dietro di sé.
"Sono tanti, ma se è tutta qui la loro forza…", commentò il ragazzo con un sorriso sarcastico, ma in quel momento una freccia gli sfiorò il viso, conficcandosi nella parete dell'edificio alle sue spalle.
"Sopra di voi!", li avvertì Toro, indicando alcuni dei vascelli che, abbandonata la lotta con gli ormai sparuti caccia rimasti, li stavano prendendo di mira.
Nel tempo di un respiro, una pioggia di frecce nere così fitta da sembrare quasi fumo saettò verso gli eroi.
"Per il Sacro Leo!!!", gridò Ioria, scattando di fronte a Scorpio e scatenando un reticolato di luce con cui intercettare i dardi. Contemporaneamente, anche Toro si lanciò all'attacco, facendo scattare entrambe le braccia verso l'alto.
"Per il Sacro Toro!!!", urlò, facendo esplodere il suo colpo segreto. Un raggio dorato abbagliante rischiarò il cielo, colpendo in pieno una delle navi, che esplose in frantumi.
"Non è possibile!", esclamò in quel momento Scorpio, inducendo il custode della seconda casa a voltarsi. Ioria era piegato in ginocchio, con una freccia nera conficcata nella coscia sinistra ed un'altra nel pugno destro.
"I loro dardi… hanno perforato le armature d'oro?!", si accorse sbalordito il massiccio Cavaliere. "Non può essere… anche malridotte dopo le battaglie con Erebo ed i Guardiani, dovrebbero essere ben in grado di respingere delle semplici armi!"
"Non di semplici armi si tratta…", mormorò Ioria, stringendo con forza le aste delle frecce e tirandole fuori. "Ho già visto qualcosa di simile quando ho combattuto contro Bres, il Guardiano d'Irlanda! Se le lame di questi guerrieri hanno gli stessi poteri del suo pugnale…"
In quel momento, allertato da un sibilo, Toro si piegò di scatto, evitando appena in tempo una lancia che era stata scagliata contro di lui. I guerrieri della nave che aveva abbattuto, perfettamente incolumi, erano usciti dai detriti dello scafo e si stavano lanciando all'attacco con le armi in pugno. Contemporaneamente, molti altri stavano letteralmente saltando a terra dalle imbarcazioni in cielo, unendosi alla mischia.
Scambiatisi un rapido sguardo d'intesa, i Cavalieri d'Oro si rialzarono, facendo esplodere i loro cosmi.
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Nel frattempo, migliaia e migliaia di chilometri più ad Ovest, altri due custodi dorati si trovavano in una situazione simile. Precipitati tra le strade di Kitakyū
shū, nel Sud del Giappone, si erano rialzati solo per trovarsi anche loro di fronte ad un esercito di guerrieri, che stava portando morte e distruzione."Che inferno è mai questo… chi sono questi demoni?!", disse Mur.
"Non ne ho idea. I loro corpi emanano un'aura mortifera… Ma chiunque siano, è evidente che dobbiamo fermarli, non possiamo permettere ad un tale massacro di continuare!", rispose Libra stringendo i pugni.
Senza aggiungere altro, il Cavaliere d'Oro si lanciò all'attacco, abbattendo i nemici più vicini con raggi di luce. La sicurezza delle sue parole però non si rispecchiava nei tormenti che portava nel cuore.
"Le lettere su quelle insegne sono kanji… con un solo gesto Erebo ci ha precipitati fino in Giappone! I cosmi di Scorpio, Ioria e Toro resistono ancora, da qualche parte ad Est, ma quello di Virgo è completamente scomparso, e come se non bastasse ora ci troviamo di fronte a questo esercito nero! Non può essere una coincidenza, ma non siamo nelle condizioni di combattere ancora… i nostri cosmi sono allo stremo!", pensò il custode della settima casa, colpendo al fianco un guerriero con un calcio, e scagliandolo contro una parete.
Subito un altro lo afferrò dietro le spalle, cingendogli la gola in una stretta. Spostando il proprio baricentro, il Cavaliere si piegò in avanti, scrollandoselo di dosso e finendolo con un pugno deciso. Nello stesso momento, altri due si avventarono verso di lui, venendo però spazzati via da un fascio di luce dorata.
"Quando vengono abbattuti i loro corpi scompaiono, lasciando solo un'armatura vuota!", notò l'Ariete, avvicinandosi all'amico.
Libra si girò per rispondere, quando si accorse del preoccupante pallore sul viso del compagno, che si stringeva l'addome con la mano, cercando di trattenere una copiosa emorragia.
"La ferita causatami da Balor dev'essersi riaperta… non temere, non è grave…", lo rassicurò il Cavaliere della prima casa, senza però che il sorriso riuscisse ad arrivargli agli occhi.
"Non chiedere troppo alle tue forze… sei esausto, hai bisogno di riposo!", esclamò il guerriero di Cina, ma prima di poter insistere ulteriormente, entrambi sentirono il bruciare di un cosmo oscuro e terribile. Un cosmo che riconobbero subito, nonostante si trovasse ad una distanza incalcolabile.
"Erebo!!!", disse Libra a denti stretti. "Sta combattendo… sull'Olimpo?!"
"Vuole uccidere gli ultimi nemici che potrebbero sbarragli il passo… e nel frattempo il suo esercito sciama sul mondo!", intuì Mur.
Prima che i due potessero continuare la conversazione, numerosi guerrieri si lanciarono verso di loro con le armi in pugno, separandoli.
"Colpo Segreto del Drago Nascente!!!", gridò il custode della settima casa, travolgendone alcuni, ma poi fu costretto a piegarsi di lato per evitare l'ascia di un nemico.
Ci riuscì appena, ma con orrore si accorse che l'arma aveva scheggiato la sua armatura d'oro, aprendo una sottile fessura nera sul fianco. Reagendo d'istinto, sollevò l'unico scudo rimastogli, disegnando un arco a mezz'aria e colpendo alla tempia l'avversario, il cui elmo andò in pezzi.
Il volto che venne fuori era allo stesso tempo giovane e vecchio. Corti capelli biondi e occhi azzurri si stagliavano su un viso i cui lineamenti erano come smagriti e consumati, ma anche induriti dall'esperienza e segnati da antiche cicatrici.
Il soldato incrociò per un attimo il suo sguardo, fissandolo con indescrivibile disprezzo, e poi scomparve, lasciando solo la sua armatura che cadde a terra con un clangore metallico.
Prima che Libra potesse ponderare la cosa, un raggio di energia lo colpì all'addome, spingendolo indietro fino a farlo cadere a terra.
"Costoro… possono usare anche il cosmo?!", si chiese a denti stretti alzandosi su un ginocchio, mentre già numerosi avversari sollevavano i pugni per attaccarlo.
"Muro di Cristallo!!!", gridò Mur, erigendo la sua difesa davanti al compagno e fermando il molteplice assalto, anche se con espressione chiaramente sofferente.
Stringendo i denti, il Cavaliere disperse la barriera ed alzò la mano destra al cielo, circondandola del bagliore del suo cosmo. "Per il Sacro Ariete: Rivoluzione Stellare!!!"
La tempesta di meteoriti crivellò decine di guerrieri, disperdendoli. In pochi istanti però dozzine di altri sciamarono all'attacco e contemporaneamente nugoli di frecce piovvero su di lui.
Con un balzo, Libra afferrò l'amico per spingerlo al sicuro, e contemporaneamente cercò di proteggere lui e se stesso con lo scudo. Alcuni dardi penetrarono nell'arma, incastrandosi al suo interno senza riuscire a perforarla del tutto. Due di loro però trapassarono il coprispalla, conficcandosi nel corpo del cavaliere della settima casa.
Con un grido, Libra spezzò le aste, tirando fuori la catena dello scudo e lanciandolo all'attacco, falciando con un colpo solo più avversari. Contemporaneamente, dietro di lui, Mur si alzò su un ginocchio, lottando per non perdere i sensi nonostante un crescente senso di nausea e la vista sempre più appannata.
Alcuni guerrieri, balzando a terra dalle loro navi volanti, stavano cercando di accerchiarli.
Dando fondo alle sue forze, il Cavaliere d'Ariete allargò di scatto entrambe le braccia, facendo esplodere il suo cosmo. "Starlight Extinction!!!", gridò, investendoli con un'onda di luce accecante che li disintegrò come se non fossero mai esistiti.
Lo sforzo però si rivelò troppo grande, ed il ragazzo fu costretto ad appoggiare un braccio a terra, sentendosi mancare. Approfittando di quel momento di debolezza, numerosi guerrieri lanciarono all'unisono i loro raggi di energia, colpendolo in pieno e scaraventandolo contro la parete di un palazzo.
"Mur!!!", urlò Libra, facendo esplodere il suo cosmo per allontanare con una scarica di energia coloro che lo stavano circondando.
Poi, concentrando il cosmo nelle mani, gridò: "Colpo dei Cento Draghi Nascenti!!", scatenando la furia del suo colpo segreto più potente con il raggio più ampio possibile.
Decine e decine di dragoni emeraldini saettarono in tutte le direzioni, investendo e perforando i colpi dei nemici, che vennero spinti indietro e spazzati via, dando loro un attimo di respiro.
Avvicinandosi al compagno, il Cavaliere si accorse subito che l'emorragia all'addome, già grave, era ora fuori controllo. Un lago di sangue si stava allargando sotto la schiena dell'eroe, il cui volto era sempre più pallido.
"Non sei più in condizione di combattere, dobbiamo andare via di qui! Posso colpire i punti di pressione e cercare di fermare l'emorragia, ma ho bisogno di tempo!", disse preoccupato, sollevandolo contemporaneamente per le spalle.
Mur però lo fermò, appoggiandogli debolmente una mano sul polso.
"Se andiamo via… per questa gente sarà la fine… siamo i soli a poter combattere questo esercito…", sussurrò a fatica.
Guardandosi attorno con grande preoccupazione, Libra si accorse di quel che l'amico intendeva. Non molto lontano, centinaia di persone stavano scappando in preda al panico, a piedi o in automobile, e solo lo scontro con i Cavalieri d'Oro aveva distratto i guerrieri dalle loro prede originarie. Andandosene, li avrebbero condannati a morte sicura.
D'altra parte però, restare equivaleva a un suicidio. Seppur non individualmente troppo forti, i soldati erano migliaia, ed una vittoria sembrava impossibile. Mur inoltre era troppo debole per teletrasportarsi, e non sarebbe comunque sopravvissuto a lungo da solo.
Disperatamente alla ricerca di una soluzione, Libra notò un ingresso della metropolitana a poche decine di metri di distanza. Raggiungendo una decisione nel tempo di un respiro, sollevò Mur e scattò in quella direzione, bruciando al massimo il suo cosmo in una colonna di luce d'oro.
Attirati da quell'esplosione di energia, i guerrieri in un raggio di centinaia di metri si voltarono in direzione dei due eroi, lanciandosi all'inseguimento.
****************
"Per il Sacro Leo!!!", gridò ancora una volta Ioria, cercando di non lasciar trasparire la stanchezza dalla voce. Decine di nemici caddero sul colpo, solo per essere sostituiti da dozzine e dozzine di altri.
Ormai non c'erano più caccia in cielo, essendo stati tutti abbattuti dalle schiere di guerrieri. I Cavalieri d'Oro avrebbero potuto cercare di allontanarsi alla velocità della luce, ma per permettere a più persone possibile di mettersi in salvo, stavano piuttosto cercando di tenere duro, attirando i nemici e formando una sorta di sbarramento.
Lo sforzo stava funzionando, ma gli eroi non avrebbero potuto resistere ancora a lungo.
"Non c'è limite alle loro schiere!", pensò Ioria, respirando affannosamente. Il suo corpo, già enormemente fiaccato per le numerose battaglie precedenti, aveva perso ogni velocità ed i movimenti erano lenti e fiacchi.
Prima che potesse fare qualcosa, un automobile in fiamme volò contro di lui, investendolo in pieno e spingendolo contro le vetrine di un negozio, che andarono in pezzi in una pioggia di frammenti di vetro.
"Ioria!!!", lo chiamò Toro, afferrando con la mano la testa di un guerriero e sbattendolo a terra con tanta forza da spaccare il cemento della strada. Poi, raccolto il martello da guerra che costui stringeva, lo fece girare sopra la testa gettandosi in una mischia di nemici e sfruttando la sua imponente molte per farsi largo.
"Sto… bene…", rispose in qualche modo il leone, togliendosi di dosso il rottame ed asciugandosi con il dorso della mano una nuova ferita alla fronte.
Ad alcuni metri di distanza, Scorpio spaziava su tutto il fronte d'attacco, tempestando di cuspidi chiunque osasse avvicinarsi. Fortunatamente, tre o quattro punture bastavano a mettere fuori gioco la maggior parte dei guerrieri, ma ciononostante anche il custode dell'ottava casa stava iniziando a rallentare.
"I nostri cosmi sono prossimi allo sfinimento!", pensò preoccupato Ioria, strappandosi nel frattempo due frecce spezzate dal bicipite sinistro, e barcollando per tornare a combattere.
In quel momento ci fu un grido di dolore. Colto di sorpresa da un nemico strisciato alle sue spalle, Toro era stato trafitto da parte a parte alla gamba, e si era accasciato in ginocchio, subito circondato da schiere di guerrieri.
Deglutendo, il fratello minore di Micene sollevò il braccio dolorante verso l'alto, circondandolo di lampi dorati e conficcandolo poi a terra.
"Lightning Fangs!!!", gridò, irradiando il suo potere nel sottosuolo e facendolo emergere attorno a Toro sotto forma di fulmini, in modo da raggiungere contemporaneamente tutti coloro che attorniavano il corpulento Cavaliere.
I guerrieri caddero, ma il trionfo fu di breve durata. Prima ancora di avere il tempo di sorridere, Ioria venne raggiunto alla testa da un maglio da guerra, e poi colpito al petto e all'addome da numerosi raggi, che lo sbalzarono per alcuni metri.
Muovendosi alla velocità della luce, Scorpio afferrò alcune armi abbandonate a terra e saettò tra i guerrieri che già stavano convergendo sull'amico, falciandoli senza pietà.
"I cosmi di costoro non sono molto forti… è più o meno il livello di un Cavaliere d'Argento di bassa risma, ma riescono a schiacciarci con la sola forza del numero! Nondimeno dobbiamo resistere! Cadere contro nemici come questi sarebbe un disonore inaccettabile!", pensò, gettando via le armi che aveva in pugno ed ergendosi su una gamba sola, concentrando il cosmo nelle mani proprio come aveva fatto anni prima, durante la missione sull'Isola di Andromeda.
In pochi istanti, un vento tempestoso e bagliori dorati circondarono il suo corpo, crepando il suolo ed investendo i soldati avversari, che cercarono invano di difendersi incrociando le braccia. Travolti in pieno, vennero spazzati via e sbattuti con violenza in aria o contro le pareti degli edifici, mentre la corrente si faceva sempre più selvaggia e potente.
Preparandosi a far esplodere il suo cosmo, Scorpio unì le mani davanti al corpo, quando all'ultimo momento una lancia schizzò dal sottosuolo, aprendogli un sottile taglio verticale sul lato destro del pettorale, ed obbligandolo a indietreggiare.
Sfruttando la rete fognaria, alcuni guerrieri si erano portati sotto di lui, emergendo poi all'improvviso per attaccarlo con le loro lame. Non avendo scelta, il Cavaliere d'Oro balzò a mezz'aria, venendo però centrato alla schiena da una decina di raggi congiunti, che lo scaraventarono contro un'automobile parcheggiata, mandandola in pezzi.
"Selvaggia Corrente delle Pleiadi!!!", gridò Toro, facendo scattare il braccio in avanti ed investendo un intero plotone di soldati con il suo colpo più potente.
Ansimando per la fatica, si accorse che un'ombra stava oscurando la luce del sole calante, e alzando la testa vide altre navi convergere verso di loro, con gli scafi pieni di guerrieri in procinto di saltare.
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In Giappone, Libra stava trascinando con sé Mur nella rete di cunicoli sotterranei della metropolitana, ormai deserti. A causa dell'attacco improvviso i servizi erano stati evidentemente sospesi, e l'istinto spingeva la gente a nascondersi in casa o fuggire al livello delle strade piuttosto che scendere sottoterra.
Di questo il Cavaliere d'Oro era grato, perché la situazione era già vicina all'essere disperata. Mur aveva bisogno di cure immediate, per amministrare le quali il custode della settima casa avrebbe avuto bisogno di fermarsi per diversi minuti, ma il risuonare dei passi dei guerrieri inseguitori, amplificato dall'eco delle gallerie, si faceva sempre più vicino.
E soprattutto, era proprio il Cavaliere d'Oro a indicare loro la strada, emettendo un'aura abbastanza vivida da lasciare una scia che i nemici potevano ben percepire.
"Se celassi completamente il mio cosmo, forse potremmo riuscire a nasconderci… ma poi nulla impedirebbe loro di tornare a riversarsi sulle strade, massacrando chiunque sul loro cammino! Devo continuare ad attirare la loro attenzione, mantenere le distanze abbastanza da lasciarci un po’ di vantaggio…", pensò preoccupato, ma anche consapevole che in questo modo avrebbero soltanto potuto rallentarli, e che prima o poi sarebbero stati messi con le spalle al muro.
"Lasciami qui… cercherò io di trattenerli per qualche minuto…", gli chiese Mur in un sussurro, ma Libra scosse la testa, continuando imperterrito a trascinarlo.
"Kanon, Virgo, Sirio, Pegasus, la Dea Atena… questo giorno è stato già foriero di troppi lutti, non ti abbandonerò a morire!", rispose dopo qualche secondo, continuando a guardare avanti, cercando di mantenere salda la voce al pensiero dei caduti.
"Ascoltami… che ne sarebbe di Toro, Ioria o Scorpio se anche tu perdessi la vita? Hanno bisogno di te… della tua guida… sono giovani e impetuosi, proni all'imprudenza! Devi sopravvivere… per loro se non per te stesso!", insistette il Cavaliere d'Ariete.
"Non a questo prezzo!", ribatté Libra. "Anche la tua saggezza ci è preziosa! E con che coraggio potrei guardare negli occhi il mio vecchio amico Sion nell'aldilà, se ora ti abbandonassi a morire in questo modo indegno? No, che il nostro destino sia di vita o di morte, lo affronteremo insieme!"
Nel dire questo, il ragazzo svoltò un'ampia curva, trovandosi in una lunga galleria che procedeva in linea retta per centinaia di metri, interrotta solo verso la metà dall'apertura laterale di un'uscita.
"Saremo allo scoperto… in linea di tiro!", realizzò, lanciando un'altra occhiata dietro di sé, e sentendo con chiarezza i passi ritmati dei soldati avvicinarsi. Non avendo altra scelta, iniziò a camminare nella galleria il più velocemente possibile.
Non ebbe compiuto che pochi passi, quando una freccia sibilò nell'aria, graffiandogli la guancia e conficcandosi nella parete accanto a lui. Per un attimo, temette che gli inseguitori li avessero raggiunti, ma poi si accorse che il dardo era stato scoccato dalla direzione completamente opposta, ovvero da qualcuno che si trovava di fronte a loro.
"Oh no…!", sussurrò, intuendo quel che era successo e poggiando subito Mur a terra, ponendosi davanti a lui con il proprio corpo e lo scudo alzato, appena in tempo per schivare o parare altre frecce.
Guardando preoccupato in direzione dell'uscita notata poco prima, vide con orrore un altro drappello di soldati sciamare da quella parte con in mano gli archi tesi. Altri, con le armi in pugno, stavano già saltando sui binari per correre verso di loro.
Erano circondati.
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In America, Toro si gettò davanti a Ioria e Scorpio, ancora malconci, facendo esplodere il suo cosmo, e travolgendo un'onda di nemici con il suo colpo segreto. Nel farlo però, si accorse preoccupato che la forza dell'attacco era molto scemata, appena sufficiente a spazzare via i guerrieri più vicini.
"Se non misuro le forze, crollerò per la stanchezza prim’ancora che per i loro colpi!", pensò, preparandosi a cambiare strategia di lotta.
Stringendo i denti, serrò i pugni e piantò i piedi a terra, sfruttando la sua enorme mole per torreggiare sopra gli avversari e colpirli prima che potessero avvicinarsi troppo.
Il primo guerriero che cercò di attaccarlo cadde in meno di un istante con il torace sfondato, mentre il secondo si accasciò un secondo dopo con l'elmo in frantumi. Un terzo tentò un affondo con la propria lancia, ma afferratala a mezz'aria, il Cavaliere la tirò a sé insieme al suo proprietario, sollevandolo sopra la testa e lanciandolo contro altri guerrieri.
Per qualche istante, sembrò che il suo impeto da solo bastasse a mantenere in equilibrio la battaglia nonostante la schiacciante inferiorità numerica, ma quegli strani soldati sembravano non conoscere la paura, e resisi conto di dover mantenere la distanza, lasciarono subito il campo agli arcieri, che presero di mira l'eroe con i loro dardi.
Incupendosi, Toro incrociò le braccia sul torace, sfoggiando poi un sorriso di sfida, proprio mentre gli arcieri scoccavano.
"Credete che delle frecce così sottili possano sconfiggere un Cavaliere d'Oro di Atene?!", li derise, intercettando i proiettili con un'onda di luce e disintegrandoli o rimandandoli indietro.
In quel momento, un guerriero armato di ascia piombò del cielo, calando un fendente contro l'eroe. Preso di sorpresa, Toro riuscì comunque a bloccare la lama con le mani, scaraventando poi via l'aggressore con un calcio, ma così facendo fu obbligato ad offrire il fianco al nemico, e subito un soldato si lanciò in avanti, pugnalandolo al costato.
Con un grugnito di dolore, il Cavaliere lo spinse via, estraendo l'arma dalla ferita e spaccandola con la stretta della mano. Numerosi guerrieri allora sollevarono le braccia verso di lui, lasciando partire fasci di energia nera e centrandolo al petto, il collo e le spalle, facendolo barcollare e infine cadere all'indietro sanguinante.
Nel vedere l'amico in difficoltà, Ioria, la cui tempia sanguinava copiosamente per il colpo di martello subito poco prima, si rialzò in piedi di scatto, tempestando i nemici di fulmini d'oro.
"Coraggio, Cavalieri! Non c'è nulla di leale o cavalleresco in costoro, non sono altro che bestie assetate di sangue! Anche se fossero migliaia, anche se fossero milioni, non possiamo lasciarci sopraffare da simili vermi!", ringhiò, caricando il cosmo nel pugno. "Per il Sacro Leo!!!".
Decine di soldati vennero spazzati via come steli nell'uragano, ma, ora che Toro era caduto, si erano aperti dei varchi nella linea difensiva formata dai protetti di Atena. Immediatamente gruppi di guerrieri sciamarono sui fianchi, circondando gli eroi con le loro schiere.
"Cuspide Scarlatta!!!", gridò Scorpio da terra, abbattendo quelli più vicini. Prima di poter continuare l'offensiva però, fu obbligato a difendersi con il dorso del braccio da una scarica di fasci di energia, e nello stesso momento un fendente lo raggiunse diagonalmente al torace.
Costretto a respingere ormai a mani nude i nemici che lo soverchiavano, Ioria si girò con la coda dell'occhio verso il compagno, vedendolo barcollare. Nello stesso momento, diversi guerrieri gli afferrarono le braccia, mentre altri si gettarono in avanti con le armi in pugno.
Un colpo di mazza ferrata raggiunse il ragazzo alla tempia, facendogli sputare sangue ed annebbiandogli la vista.
"Sono… troppi! Che debba dunque… finire così?!", pensò, sentendosi sopraffare dall'oblio.
In quel momento, due cosmi brillanti di energia esplosero.
****************
"Colpo dei Cento Draghi Nascente!!!", gridò Libra, scatenando la furia del suo attacco micidiale. I bagliori dorati del suo cosmo illuminarono le gallerie sotterranee, spazzando via orde di nemici e frantumando la terra, fino ad aprire un varco per la superficie.
"Dobbiamo tornare fuori o non avremo scampo!", pensò, sollevando quasi di peso Mur, ormai appena cosciente, e cercando di trascinarlo via.
Un fendente lo raggiunse alla schiena e due frecce gli trapassarono il polpaccio, ma l'eroe strinse i denti, utilizzando quel che restava dello scudo per colpire i guerrieri più vicini e farsi largo.
"Usando adesso i miei colpi segreti rischierei di ferire Mur! Se solo avessi ancora le armi della Bilancia…!", pensò, ricordando come la maggior parte di loro fosse andata in pezzi nel corso della battaglia contro Titania.
Improvvisamente un soldato lo afferrò alla caviglia, bloccandogli la gamba. Libra lo allontanò subito con un calcio, ma un altro guerriero lo prese alle spalle, stringendogli una catena attorno alla gola, e dando tempo ai compagni di avvicinarsi.
Facendo esplodere il suo cosmo, il Cavaliere della Bilancia se li scrollò di dosso, ma nello stesso momento un altro di loro scagliò la propria lancia, conficcandogliela nel fianco.
Gridando di dolore, il ragazzo cadde in avanti, crollando su un ginocchio, mentre qualcosa gli strisciava lungo la tempia, lacerandola leggermente.
"Non… ce la faccio… perdonami, Mur!", pensò, mentre il sangue gli scorreva sugli occhi.
In quel momento, il Cavaliere d'Ariete gli strinse la mano con forza, e Libra vide il mondo attorno a sé appannarsi e scomparire, venendo sostituito una frazione di secondo dopo dal chiarore del cielo del mattino.
"Ci hai teletrasportato all'esterno, anche se lo sforzo avrebbe potuto esserti fatale!", dedusse l'eroe, guardando preoccupato in direzione del compagno, i cui occhi erano ora chiusi. Soltanto il più impercettibile scintillio del cosmo ed i leggeri movimenti del torace testimoniavano che fosse ancora vivo.
Afferrandolo e mettendoselo in spalla, nonostante il fianco sembrasse quasi in fiamme per il dolore, Libra si preparò a riprendere la fuga, ma non appena ebbe mosso un passo, una pioggia di frecce e lance si conficcò al suolo davanti ai suoi piedi.
Alzando la testa di scatto, l'eroe vide numerose imbarcazioni torreggiare su di lui, e plotoni interi di soldati abbandonarle per saltare a terra, sbarrando così la strada ai due fuggitivi.
Guardandosi indietro con la coda dell'occhio, Libra si rese conto di essere con le spalle al muro.
Che vi avesse partecipato in prima persona o soltanto assistito nei suoi più di 250 anni di vita, il Cavaliere della Bilancia era un veterano di molte battaglie, e sapeva riconoscere una situazione disperata. Appoggiando di nuovo Mur a terra, deciso a difenderlo fino all'ultimo respiro, si preparò all'assalto finale.
Pregustando già il sapore della vittoria, i guerrieri si lanciarono all'attacco.
In quel momento, con un fragore assordante, una delle navi volanti esplose, trapassata da parte a parte da una colonna di energia violacea. Nello stesso istante un urlo di guerra come mai se ne erano sentiti per secoli riecheggiò sul campo di battaglia, paralizzando i contendenti, ed una figura maestosa comparve in cima ad un palazzo, stagliandosi di fronte al sole.
Sotto lo sguardo sbalordito di Libra, due enormi asce di guerra saettarono nell'aria, falciando i guerrieri come se non fossero che messi di fronte alla lama.
Contemporaneamente, dal nulla nell'aria si diffuse una melodia dolcissima e insieme minacciosa. Presi di sorpresa e confusi, i soldati si guardarono attorno alla ricerca del nemico, ritrovandosi però intrappolati in sottilissimi fili mortali, che stritolarono le loro carni.
Nel medesimo istante, accompagnata dall'ululare di un lupo, una figura si lanciò in avanti, muovendosi con gesti così ferini da sembrare un animale, e nell'arco di pochi attimi decine e decine di guerrieri caddero dilaniati sotto i suoi artigli.
Incredulo e sbalordito, Libra sbatté le palpebre, mentre, apertisi un varco tra le schiere nemiche, tre Cavalieri balzavano davanti a lui.
"Ma… ma voi siete…?!"
"Luxor, Cavaliere di Asgard!", si presentò il primo con un sorriso sarcastico.
"Mime, musico e cantore, di melodie maestro!", disse il secondo, la cui voce aveva insita un'affascinante musicalità.
"Ed io sono Thor, del mitico Mjiollnir armato!", esclamò fieramente il terzo.
Nel vederli, mille domande si affollarono nella mente del custode della settima casa, ma un pensiero in particolare fu più forte degli altri
"Scorpio, Ioria, Toro! Anche i loro cosmi sono prossimi a svanire!"
Nonostante l'ansia evidente nel suo tono, i tre si limitarono a scambiarsi uno sguardo e sorridere.
"Non temere, altri sono già corsi in loro aiuto! E si tratta di guerrieri ben più forti di noi!", lo rassicurò Thor, prima di stringere la presa sulle asce e voltarsi verso i soldati nemici con uno sguardo di sfida.
****************
In America, i soldati che si stavano accanendo sui Cavalieri d'Oro improvvisamente si ritrassero, allertati dall'esplodere di due cosmi potentissimi.
"Caldo Soffio del Meriggio!!!", gridò una voce imperiosa, e prima che potessero muovere anche solo un passo, un oceano di fiamme si abbatté su di loro, disperdendoli e formando un anello di fuoco protettivo attorno a Ioria, Toro e Scorpio.
"Colpite, Occhi del Drago!!!", urlò contemporaneamente una seconda voce, e due fasci di energia saettarono verso il cielo, colpendo altrettante imbarcazioni e mandandole fragorosamente in frantumi.
I soldati a terra indietreggiarono, stringendo la presa sulle armi e preparandosi ad attaccare i misteriosi nuovi venuti.
Prima che potessero muovere un passo però, tra le strade della città risuonarono potenti le note di antichi corni di guerra ed il nitrire di cavalli.
Sbattendo le spade e le asce sugli scudi, dal nulla comparvero decine e decine di guerrieri, con indosso rozze armature di cuoio e metallo, i corpi muscolosi, i visi dagli occhi chiari coperti da folte barbe bionde, bianche o rosse.
Senza un solo istante di esitazione, con un urlo di guerra da far raggelare il sangue nelle vene, costoro si lanciarono contro i soldati neri come un'onda, ingaggiando una feroce battaglia.
Nel mentre, due figure coperte da brillanti armature saltarono davanti agli sbalorditi Cavalieri d'Oro, ed uno di loro, vestito con l'effige del drago, tese loro la mano.
"State bene, amici?", domandò amichevolmente.
Accettando l'offerta, Ioria strinse la sua mano e si rialzò in piedi, osservandoli perplesso.
"Grazie a voi… il vostro intervento è stato provvidenziale! Ma chi siete?"
"Orion, Cavaliere di Asgard è il mio nome!", rispose orgogliosamente il primo.
"Della stessa gloriosa stirpe sono io, Artax!", affermò il secondo.
A queste parole, i Cavalieri d'Oro li guardarono stupefatti.
"Orion? Artax? Ma vi sapevo… caduti, sconfitti per mano di Pegasus durante la Guerra dell'Anello!", balbettò Scorpio.
"E così era!", annuì Orion. "Ma il giorno del giudizio è finalmente giunto! Per ordine del sommo Odino, le 540 porte del Valhalla sono state aperte! Gli Einherjar - i guerrieri caduti gloriosamente in battaglia - sono pronti al conflitto finale! Sono pronti al Ragnarok!"
"Ragnarok?! Il Crepuscolo degli Dei del Nord?!", esclamò incredulo Ioria. "È questo quel che sta succedendo?"
Incupendosi immediatamente, Orion annuì, indicando le imbarcazioni nel cielo.
"Quelle sono le Naglfar, navi costruite con le unghie dei defunti! La loro comparsa è presagio di sciagura: i guerrieri che le governano sono i corpi rianimati dei malvagi assetati di sangue caduti compiendo il male nel corso dei millenni! Sono l'opposto dei gloriosi Einherjar, e con loro destinati a scontrarsi, alla fine del mondo!"
Un rivolo di sudore scorse sul volto di Ioria, che ebbe la sensazione di star comprendendo solo adesso la magnitudine della situazione.
"È Erebo? È stata la sua comparsa a dare inizio al Ragnarok?!", domandò, non mancando di notare le sopracciglia di Orion ed Artax aggrottarsi e incupirsi ulteriormente al sentir pronunciare il nome dell'assassino di Atena.
"Sì, egli è portatore di distruzione! Il sommo Odino è già andato a combattere… da solo!", rispose l'eroe del Nord, non riuscendo a trattenere un certo rammarico.
"Ma prima di andare, ha concesso noi la libertà di lasciare la fortezza del Valhalla, affidando ad Orion il comando degli Einherjar e raccomandandoci di riunire più guerrieri possibile! In questo momento, i nostri compagni stanno soccorrendo i vostri amici che si trovano in Oriente!", proseguì Artax.
"Vorrei solo… che fossimo potuti arrivare in tempo per salvare anche Pegasus, Sirio e gli altri…", sospirò Orion, stringendo il pugno ed abbassando lo sguardo. "Persino dal Valhalla, abbiamo potuto sentire i loro cosmi annegare nelle tenebre!".
"Saranno vendicati! Come Virgo, e tutti gli innocenti morti quest'oggi!!", esclamò Ioria con enfasi, guardando Orion negli occhi. Nonostante i loro modi fossero leggermente diversi, un'immediata sintonia era evidente tra i due Cavalieri.
Ricambiando il suo sguardo fiero, Orion annuì, prima di alzare la testa al cielo, dove altre navi si stavano avvicinando.
"Dobbiamo andare ora, non possiamo restare qui! Null'altro possiamo fare per questa gente, e mantenere un presidio difensivo sarebbe impossibile! Per organizzare le nostre difese e riunirci agli altri, dobbiamo ripiegare!", esclamò, afferrando un corno che teneva agganciato alla cintura e soffiando al suo interno. Al sentire quelle note, gli Einherjar si fermarono di colpo, serrando i ranghi e retrocedendo, mentre un muro di fuoco si innalzava a coprire la loro ritirata.
"Ripiegare? Dove?!", domandò Scorpio, stringendosi con una mano il fianco sanguinante.
Gli occhi di Orion scintillarono con un misto di gioia, desiderio e timore. "Nel luogo della battaglia finale, l'ultima fortezza degli uomini liberi! Ad Asgard!"
****************
"Braccio di Titano!!!", tuonò Thor, abbattendo un'altra Naglfar, prima di tranciarne due con la furia delle sue asce e farsi largo tra le schiere dei nemici.
Attorno a lui, gli Einherjar cantavano e gridavano, eccitati dal suo impeto guerriero e dalla sua forza mostruosa. Insieme, avevano formato un cuneo, con il Cavaliere al suo apice, e stavano tagliando le forze dell'esercito nero.
Più in disparte, fuori dal gruppo, Luxor correva velocissimo tra i soldati, dilaniandoli con i suoi artigli prim'ancora che avessero tempo di abbozzare una difesa. Ora che la loro superiorità numerica era meno schiacciante, e che i loro avversari erano freschi di forze, i guerrieri infernali avevano perso ogni vantaggio e stavano venendo respinti.
"Andremo… ad Asgard?", domandò Libra a Mime, che era rimasto accanto a lui per permettergli di dare finalmente a Mur le prime cure.
"Sì! Secondo il sommo Odino, è lì che si combatterà la grande battaglia contro le armate infernali! Ed anche mettendo da parte le profezie, le sue mura fortificate sapranno offrirci rifugio sicuro!", spiegò il musico, prima di tentennare un attimo. "Tuttavia… voi non siete di Asgard, non avete alcun obbligo a seguirci, se non lo desiderate…"
Sorridendogli, Libra gli strinse calorosamente la mano. "Saremo… onorati di venire! Senza il vostro aiuto, oggi forse saremmo morti, vi siamo debitori! Ed anche se così non fosse, nella guerra contro le forze delle tenebre non possono esistere distinzioni tra Grande Tempio ed Asgard: combatteremo tutti insieme, per la pace e la giustizia sulla Terra!"
"La nobiltà che avevo scorto in Andromeda e Phoenix, risiede anche in te, Cavaliere della Bilancia!", rispose Mime, ricambiando il sorriso dopo un attimo d'esitazione.
In quel momento, dagli Einherjar si levò un grido di vittoria, mentre Thor conficcava la sua ascia nell'ultimo nemico.
A centinaia di metri di distanza, altri si stavano già riorganizzando, formando una lunga linea nera, ma stavolta il Cavaliere del Nord non si scagliò all'attacco, lanciando piuttosto un'occhiata a Mime, che annuì.
I cosmi degli eroi si accesero, scomparendo dal campo di battaglia.
Dalla cima di un palazzo, appoggiato alla porta per il tetto, una figura con le braccia conserte sogghignò soddisfatto.
****************
In quello stesso momento, mentre i Cavalieri superstiti si recavano ad Asgard, colui che aveva dato inizio alla catastrofe sferrò il colpo finale contro Zeus e Odino.
Soddisfatto, lasciò l'Olimpo, ormai in rovina, comparendo istanti dopo sulle coste di Avalon.
Muovendosi con la più completa sicurezza, come se l'isola ormai gli appartenesse, Erebo avanzò verso il castello di Oberon, circondato dal vorticare delle tenebre.
Al suo passaggio, le foglie degli alberi si tinsero di nero, i rami divennero rigidi ed aguzzi, gli animali caddero privi di vita, e le acque dei fiumi sembrarono mutarsi in cumuli di vapore e nebbia. Persino il suolo reagì al contatto, spaccandosi, diventando sterile e pietroso, ed assumendo la cupa tinta rossastra del sangue disseccato.
In pochi minuti, la Prima Ombra raggiunse le mura esterne della fortezza, lasciandosi dietro di sé un'isola il cui stesso aspetto incuteva timore. Un luogo che ben poco aveva in comune con quello su cui i Cavalieri di Atena erano arrivati solo qualche ora prima.
Di fronte al castello, Erebo chiuse gli occhi per qualche istante, intento a concentrarsi. Poi alzò, lasciando partire un raggio nero come la pece che attraversò il cielo notturno.
"Venite a me, figli miei!" comandò imperioso, facendo risuonare il suo ordine attraverso il mondo e le dimensioni, fino agli abissi del Tartaro stesso.
Non trascorsero che pochi secondi, poi sette sagome nere scesero dal cielo, disponendosi a cerchio intorno ad Erebo, in ginocchio. Ognuno di loro indossava una lunga tunica color ebano dalla quale vorticavano le stesse tenebre del mantello del massacratore dell'Olimpo.
Ma soprattutto, ognuno di loro teneva lo sguardo fisso a terra, non osando incrociare quello della divinità che aveva di fronte, e per quanto tentassero di celarlo, i loro cosmi erano ricolmi di paura.
"Finalmente ci ritroviamo! Quanto tempo è passato, miei figli…", sibilò Erebo, camminando in mezzo a loro senza soffermare lo sguardo su alcuno in particolare. "Millenni… interi eoni, dall'ultima volta in cui siamo stati riuniti…".
Alcune figure rabbrividirono visibilmente, altre piegarono ancora di più la testa, quasi a voler toccare il suolo con la fronte, ma nessuna osò dire nulla.
"Sì, millenni… i millenni che ho trascorso prigioniero, incatenato dai legacci del mio mortale nemico!", sussurrò, continuando a camminare all'interno del cerchio, e non mancando di notare coloro che istintivamente si ritraevano quando un lembo del suo mantello li sfiorava.
"Devo confessarvi… di essere deluso! Quando la prigionia mi fu chiara, risi dell'ingenuità del mio flagello. «Certamente» - pensai - «i miei fedeli figli verranno presto in mio soccorso… Certamente, sarò presto libero di diffondere di nuovo le mie tenebre…»", proseguì.
"P… padre…", balbettò una figura, ma Erebo la zittì con un cenno della mano.
"Attesi, mentre gli anni diventavano secoli, ed i secoli millenni… Attesi, in catene, quando tutto quel che mi restava erano l'odio e la collera… Attesi… ma nessuno di voi venne mai a liberarmi!", concluse minaccioso, voltandosi di scatto
"Come lo spieghi tu questo, Biasimo? E tu, Nemesi?", disse, ora in tono accusatorio, portandosi rapidamente di fronte a due di loro e strappandogli i mantelli di dosso.
Coloro che si chiamavano Biasimo e Nemesi, vestiti delle loro armature divine rispettivamente rosso opaco e verde, tremarono visibilmente, lasciando scappare un gemito e chiudendo gli occhi per la paura.
Erebo però si allontanò da loro, riprendendo a camminare lentamente nel cerchio.
"Non avete parole per spiegarlo… ma io so… io so…", avvertì, con un sussurro così lieve da essere quasi impercettibile.
"Tutti voi, per i quali essere miei figli era motivo di sommo vanto, mi avete voltato le spalle! Veloci come il soffio del vento dell'Est, mi avete rinnegato! Non uno, dei tanti che ogni giorno mi giurava fedeltà eterna, è venuto a cercarmi! Non tu, Geras, che governi la vecchiaia… Non tu, Inganno, signore di oscure trame… Non tu, Eris, della Discordia sovrana!", disse, strappando i mantelli di altri tre di loro.
Come Biasimo e Nemesi prima di loro, anche Geras, Eris e Inganno rabbrividirono, piegando ulteriormente la testa e deglutendo nervosamente di fronte allo scintillio sinistro degli occhi del loro genitore.
Ignorandoli, Erebo si avvicinò alle ultime due figure, il cui tremore era adesso ben visibile anche ad occhio nudo.
"Non voi… Thanatos, Hypnos!", sussurrò, squarciando anche i loro veli, ed osservando con attenzione le armature nere che gli Dei gemelli indossavano.
"Le Surplici di Hades…", le riconobbe, sfiorandole lentamente con la mano. "Vedo… che non avete impiegato molto tempo a trovare un nuovo padrone da seguire. Voi, che più di ogni altri vi proclamavate a me fedeli, non avete esitato a smettere i manti di ombra della nostra dinastia, giurando obbedienza ad uno dei piccoli figli di Crono… vestendo le armature da lui forgiate, andando a vivere nel paradisiaco Elisio… combattendo per lui!"
"Padre…", balbettò Hypnos senza però osare alzare la testa per guardarlo negli occhi. "Noi… non sapevamo! È stata ignoranza a trattenerci, non slealtà… Un giorno, il tuo cosmo è scomparso… abbiamo pensato che… che…"
"Che fossi morto?", disse Erebo, finendo per lui la frase. "Che fossi caduto vittima del mio antico avversario? E senza dubbio questa convinzione dev'essere giunta voi come un sollievo, visto che non una ricerca, non un tentativo avete compiuto…"
"Non io, padre! Non io!", esclamò in quel momento Discordia, alzando leggermente la testa. "Non ho mai smesso di pensare a te… per secoli all'interno della cometa Lepar ho attraversato il gelo degli spazi siderali, per trovarti!"
A queste parole, l'espressione finora piatta di Erebo si mutò in un ghigno, ed una scarica nera partì dal suo corpo, raggiungendo la figlia e facendola gridare di dolore.
"Non credere di poterti prendere gioco di me!", tuonò, mentre già la Dea si prostrava a chiedere perdono, coprendosi il volto con le braccia e chinando la fronte fino a toccare terra. "I ricordi di Oberon mi hanno svelato la verità: non per cercarmi hai vagato nel cosmo, ma perché esiliata da Zeus per le tue colpe! Se non l'avessi ucciso, staresti ancora solcando l'universo in questo momento! Come Hypnos e Thanatos patirebbero ancora negli abissi del Tartaro, se non li avessi richiamati a me!"
Alla collera insita in queste parole, gli Dei si scambiarono veloci sguardi preoccupati. Biasimo, dalla corporatura sottile e minuta come quella di un bambino, strisciò leggermente indietro, mentre Geras, i cui lunghi capelli erano corvini e folti sul lato destro del capo e bianchi come la neve e radi su quello sinistro, aggrottò le sopracciglia.
"Perdonaci, padre…", disse tentativamente Inganno. "Ma non pensare male di noi! Seppur nulla paragonabile alla tua, la nostra sofferenza è stata considerevole in questi millenni!"
"La vostra sofferenza?", ripeté la Prima Ombra, scandendo con attenzione le parole.
"Privi della tua guida, abbiamo dovuto indossare una maschera con cui celare al mondo la nostra reale natura! Siamo stati costretti a prostrarci ai piedi di Zeus e degli Olimpici, offrendo loro i nostri servizi come i più miseri degli schiavi! Ma non la nostra fedeltà! Ella è sempre stata tua, e tua solamente!", spiegò, parlando lentamente ma con trasporto.
"Sì! Sì! Quella era la vera maschera, non il giuramento a te fatto!", intervenne Discordia.
"Ed ora che sei tornato, potremo combattere di nuovo sotto il tuo vessillo! Saremo la tua armata, diffonderemo le tenebre nel mondo!", affermò Nemesi, non potendo trattenere un sorriso al pensiero dei massacri e delle carneficine.
"Saremo esercito degno della Prima Ombra! Senza Zeus a sbarrarci il passo, l'umanità non avrà scampo! Gli ultimi Cavalieri di Atena ancora in vita… annientarli sarà questione di un respiro!", concordò Thanatos.
Erebo li osservò con attenzione, soffermandosi sugli sguardi di ciascuno di loro. Alla fine, dopo diversi secondi, chiuse gli occhi, volgendo loro le spalle ed uscendo dal cerchio.
"Un possente esercito solleverà il mio stendardo…", disse.
A queste parole, le sette divinità alzarono la testa, sollevate, ed Inganno in particolare sorrise soddisfatto.
"… suo primo compito, sarà sbarazzarsi di voi traditori!", concluse però Erebo allontanandosi di alcuni passi.
Hypnos, Thanatos, Discordia, Inganno, Biasimo, Geras e Nemesi si guardarono confusi, e nello stesso momento sei cosmi avvamparono attorno a loro, emergendo dall'oscurità ed avventandosi all'attacco.
Con un ringhio selvaggio, un essere dall'armatura grigia dalle sembianze di lupo si gettò su Biasimo, squarciandogli il petto con gli artigli. Nello stesso istante, il cuore di Nemesi fu trapassato da uno scettro d'oro e verde.
Senza nemmeno rendersi conto di quel che stava succedendo, i due Dei caddero esanimi.
"N… no!… Indietro!!!", gridò Geras, accorgendosi che una delle figure si stava dirigendo verso di lui.
Alzando il palmo della mano, l'investì con onde di luce, e l'essere parve istantaneamente invecchiare, come se per lui interi secoli stessero passando in meno di un secondo.
"Presto non sarai che polvere!", sorrise Geras, ma la sua espressione si mutò in orrore quando, di fronte ai suoi occhi, il nemico annullò il potere del suo cosmo e tornò alle proprie sembianze originali, rivelando un volto di donna.
Con un sorriso minaccioso, ella sferrò un fascio di energia, investendo in pieno il Dio della vecchiaia, che crollò a terra privo di vita.
Accanto a lui, Discordia era sollevata a mezz'aria, stretta alla gola dalla presa di qualcuno alle sue spalle, incapace di liberarsi.
La Dea si dimenò, cercando di colpire il suo invisibile carnefice, ma le mani che la cingevano si illuminarono di un cosmo color corallo, scarnificando e perforandole il collo, prima di lasciarla cadere, ormai morta.
"Così in fretta…", balbettò terrorizzato Inganno, voltandosi e correndo verso Erebo.
"Padre! Perdonaci, padre! Possiamo ancora aiutarti, possiamo ancora…", supplicò prostrandosi in ginocchio, ma prima ancora che potesse finire, una mano coperta da un'armatura rosso fuoco lo afferrò per la fronte, sollevandolo, ed in un grido assordante il suo corpo fu avvolto dalle fiamme.
Rimasti soli, Thanatos e Hypnos si avvicinarono spalla a spalla, facendo esplodere i loro cosmi.
"Non torneremo negli abissi del Tartaro… non dopo aver assaporato la libertà! Terrible Providence!!!", urlò il Dio della Morte.
"Sprofonderete in un sonno privo di sogni! Eternal Drowsiness!!!", esclamò Hypnos.
I due colpi segreti, lanciati quasi a casaccio, detonarono insieme, investendo coloro che si trovavano di fronte a loro.
Con immenso stupore degli Dei gemelli però, una figura, vestita di un'armatura verdacea e argento, attraversò i due assalti come se nulla fosse, avventandosi sul governatore del sonno e spingendolo a terra.
Di fronte agli occhi terrorizzati di Thanatos, l'essere strappò letteralmente il pettorale dal corpo di Hypnos, sfondandogli poi la gabbia toracica con una sola mano, e schiacciandogli il cranio con l'altra.
Sconvolto, il Dio superstite si voltò per scappare, quando si accorse che l'assassina di Geras era adesso di fronte a lui.
"N… no! Terrible Providence!!!", gridò in preda alla disperazione.
"I Numi di Grecia sono invero indegni della loro fama, se a un tale misero essere è stato affidato il dominio della morte…", lo schernì la donna, annullando il colpo segreto con un rapido movimento del braccio ed investendolo con un raggio di luce.
Con la Surplice in pezzi e gli occhi sbarrati, Thanatos crollò a terra privo di vita.
Ignorandolo, la donna ne superò il corpo, dirigendosi verso Erebo ed inchinandosi ai suoi piedi, subito affiancata dalle altre cinque figure.
"Mio signore, dopo aver assistito per prima al suo ritorno, dalla mia imbarcazione sui cieli di Scozia, è con immensa gioia che io, Hela, Dea dell'Oltretomba del Nord, le porgo i saluti di tutti noi! I Sei Imperatori dell'Apocalisse si prostrano ai suoi ordini!", gli sorrise.
"Surtur, Demone del fuoco portatore della fine!", si presentò colui che aveva ucciso Inganno.
"Fenrir, flagello di Asgard!", disse l'assassino di Biasimo.
"Kalì, messia di distruzione nelle lande d'Oriente!", affermò con orgoglio la responsabile della fine di Discordia.
"Jormurgander, che tra le proprie spire stritola la preda!", esclamò l'essere dall'armatura verde e argento, ancora bagnato del sangue di Hypnos.
"Apopi, dalle assolate terre dell'Egitto!", concluse l'ultimo, il cui scettro aveva posto fine alla vita di Nemesi.
Erebo, con le braccia incrociate, annuì alle parole di ciascuno di loro. Poi però la sua espressione si incupì.
"Come mai solo voi sei, tra tutte le creature dell'Apocalisse che un tempo popolavano il creato, avete risposto al mio richiamo? Che ne è di Shiva e di Ravana, di Tezcatlipoca e dei signori di Xibalba, di Seth, di Tifone, di Hathor, o dei Gallas?", domandò.
"Purtroppo essi non sono più tra noi, o mio signore. Alcuni sono caduti in battaglia, vinti dai nemici che erano destinati ad affrontare sin dall'alba dei tempi. Altri, la maggior parte, certi che dopo la sua scomparsa il loro momento non sarebbe mai giunto, hanno ormai abbandonato questo piano della realtà, volgendo le spalle al creato!", spiegò Hela in tono piatto
"Oberon, gli Dei di Grecia o Odino erano rare eccezioni, le ultime vestigia di una stirpe destinata al tramonto. Dimenticati, ridotti a mera superstizione, molte divinità hanno compiuto la scelta di abbandonare questa dimensione, diventando puro cosmo e svanendo per sempre. Per primo fu il fiero Ra, che molti secoli or sono condusse altrove la sua gente, lasciando allo sbando le proprie legioni mortali. Col tempo, molti altri seguirono il suo esempio… solo coloro più fermamente legati a questo mondo materiale si sono trattenuti!"
"Io però sono rimasto! Sapevo che lei un giorno sarebbe tornato a guidarci, oh mio signore!", intervenne in quel momento Apopi, alzando la testa con orgoglio.
"Ed io con lui! Anche quando i miei seguaci furono perseguitati e sgominati dai colonizzatori bianchi, ho sempre saputo che prima o poi sarebbe giunto il giorno in cui precipitare il mondo nel caos!", aggiunse Kalì.
Erebo li osservò pensieroso per qualche attimo, e quando alla fine parlò, sul suo viso comparve un raro sorriso.
"Sia, non ha alcuna importanza! Altri presto si uniranno al mio esercito!"
"Intende dire…", balbettò Hela.
"I cinque Flagelli portatori dell'Apocalisse! È tempo che anche loro risorgano a nuova vita, disponendosi al mio fianco!", dichiarò la Prima Ombra, confermando i sospetti della Dea.
A queste parole, i sei Imperatori si scambiarono sguardi timorosi, ma anche eccitati, quasi frementi nell'attesa di quel che sarebbe successo. La voce imperiosa del loro sovrano però li richiamò subito al presente.
"Hela! Le tue infinite legioni sono già scese in campo a diffondere morte e distruzione! Affido a te il compito di occuparti di qualsiasi forma di resistenza degli esseri umani! Trova ed annienta tutti coloro che osano opporsi all'avanzare delle tenebre, a cominciare dai Cavalieri di Atena superstiti!", comandò, ricevendo un rapido cenno di assenso.
"A voi cinque invece affido la difesa della nostra roccaforte mentre io sarò via! Che una lenta morte accolga tutti coloro che dovessero osare attaccarci!", proseguì, riferendosi agli altri.
"La nostra roccaforte?", domandò confuso Fenrir.
Nello stesso istante in cui le parole uscirono dalle sue labbra, l'intera isola iniziò a tremare, come scossa sin dalle profondità della terra. Qualche istante dopo, sospinte da un vento nero, le coste si spaccarono e sollevarono dal mare, mentre l'intera Avalon saliva al cielo.
"Quella che un tempo era l'isola delle nebbie, sarà adesso il simbolo del mio regno! Visibile da tutti e cinque i continenti, essa sprofonderà il cuore degli uomini nel terrore!", proclamò Erebo.
"Che l'impero dell'oscurità abbia inizio!"
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La sfera di luce comparve dal nulla tra le rovine, rischiarando con il proprio bagliore l'oscurità quasi innaturale della zona.
Non brillò che per qualche istante, ma quando svanì lasciò al suo posto cinque figure, coperte di sangue, ferite ed armature in frantumi.
"E adesso… dove siamo finiti?!", domandò Cristal ad alta voce.